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L'OBBLIGO A VEDERE
Il cinema di Johan van der Keuken
di Valeria Moreschi

 

The long holiday (Vacanze prolungate)
di Johan van der keuken Olanda 2000, 35mm, 142', col., v.o. sott. Inglese

Venerdì 12 febbraio 2001
Auditorium San Carlo/Pandora - Milano

Ultimo documentario del regista olandese prima della morte per cancro alla prostata. Una volontà, un'impulso alla memoria prima che l'occhio si chiuda: girare l'ultimo film, l'ultimo viaggio di fronte allo stupore del mondo.
Prima tappa in India e Nepal, seconda in Africa, nel deserto di Burkina Faso. In mezzo i dialoghi di JvdK con il medico in ospedali olandesi e americani. In mezzo lo scorrere statico, su sfondo nero degli oggetti della vita quotidiana del regista. Soprammobili, fotografie, feticci. Oggetti inutili accumulatisi nel corso di una vita. La loro visione e il loro mostrarsi nella loro assoluta inutilità è la possibilità della memoria. Una tazzina da tè sbatte ritmicamente scandendo l'inizio della visione. L'ultimo viaggio comincia dalla possibilità di guardare il mondo: l'India, piani orizzontali di strade trafficate e colorate di gente, l'interno di una casa, una guaritrice indiana che legge nel colore del sangue il destino degli uomini e poi i piani verticali di spazi immensi, di paesaggi che si perdono tra il caos delle città e il verde dei declivi montani. Poi l'Africa, i colori cambiano, in un eccesso di terra arida e di volti impolverati.
La voce del regista scorre, lungo tutto il film, sotto le immagini: lenta, ma appassionata, afferma e commenta con sicurezza, ma senza voler persuadere o imporsi. La camera a mano di JvdK riesce a cogliere, con assoluta semplicità, la bellezza della visione, di paesaggi di una incredibile forza nel loro assoluto realismo. L'ultimo viaggio non parla della morte imminente del regista, non è la precarietà della vita a spingere JvdK a voler fissare le ultime immagini. Su tutto prevale l'assoluta necessità di vedere e di stupirsi di fronte alla bellezza, allo squallore, alla banalità, alla povertà, e alla quotidianità di ciò che ci circonda. Sempre. Questione di pura sopravvivenza. Con questa consapevolezza si chiude il film: una visione statica in cui solo la natura si muove, nelle navi che scorrono lungo il mare e i gabbiani che volano all'orizzonte. Una natura illuminata, perché l'immagine deve essere mediata dalla luce, altrimenti non è, altrimenti la visione non è possibile. Questo è il cinema di JvdK.
Questa serata, come molte altre in programma per le serate milanesi, è stata organizzata dall'associazione Pandora...informatevi, seguiteli, tampinateli...

L'associazione cinematografica Pandora nasce nel settembre 1996 dall'unione di tre associazioni attive da tempo nell'organizzazione cinematografica e culturale a Milano: Vertigo, Atlantis e Corsia dei Servi -Cinecircolo San Carlo. Insofferente delle gabbie specialistiche che anche nel cinema tendono a limitare la portata e l'interesse degli interventi, Pandora ha da subito impostato il proprio progetto sul confronto fra culture e pratiche diverse, nella convinzione che questa sia una vera e propria condizione per lo sviluppo delle arti. In una città come Milano, dove mancano anche i luoghi - fisici e culturali - in cui questo confronto sia possibile (i filmmaker frequentano i filmmaker, i teatranti parlano solo con i teatranti e i musicisti ascoltano solo i musicisti), Pandora ha cercato di valorizzare la capacità del cinema di fare propri contributi disparati ed eterogenei in quella che dopo più di un secolo di esistenza si presenta come la più completa sintesi dell'immaginario del 900. Insieme a classici della storia del cinema (Fellini, Kurosawa, Buñuel) e a prime visioni di film 'maledetti' (The Addiction di Abel Ferrara, Safe di Todd Haynes) o indipendenti (Tiburzi di Paolo Benvenuti), a incontri con alcuni dei filmmaker italiani più interessanti (da Roberta Torre a Luca Bigazzi).

Via Matteotti 14, Milano pandorassociazione@libero.it

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