Dal 1989 alcuni commentatori hanno notato ed additato il
lavoro svolto dai mezzi di disinformazione di massa, ad esempio
nel conflitto contro l'Irak o nel caso della caduta di Ceausescu
in Romania (es. i morti di Timisoara).
Il lavoro che attorno agli scenari di guerra
viene fatto dalle agenzie di informazione consiste
nell'orientare l'opinione pubblica attraverso una scelta accurata
delle informazioni da far "passare" e dei "casi" giornalistici
da scatenare. Spesso non c'è bisogno di inventare notizie false:
basta filtrare sapientemente ciò che arriva oppure usare
in maniera tendenziosa le informazioni disponibili. Non è però
raro, per chi fruisce delle informazioni, scoprire a posteriori
- spesso molto dopo che "la frittata è fatta" - che
determinate notizie lette a suo tempo erano semplicemente
inventate.
Rispetto a quest'ultima categoria di notizie (anche dette "menzogne")
possiamo elencare brevissimamente alcuni esempi relativi
al caso jugoslavo: il bombardamento di Lubiana e la distruzione
del centro storico di Dubrovnik (1991); l'occupazione serba della
Bosnia (1992);
lo stupro di centinaia di migliaia di bosniaco-musulmane (1993);
i bombardamenti al napalm sul Bihac da parte dei serbi (1994); nel
1995 si scatena poi un vero putiferio di stragi vere con attribuzioni
false o di stragi "gonfiate", fino ai bombardamenti NATO.
Esistono anche delle agenzie specializzate nel "fare lobbying", come si dice, ovvero nel creare un clima favorevole attorno ad una questione tessendo una rete di contatti e diffondendo in vario modo una concezione stravolta dei fatti. Di uno di questi casi si occupa il pezzo che riportiamo di seguito, tradotto dall'originale inglese (da "Mainstream", aprile 1994; in Italia su "Balcanica", n. 3-4/1994), che rispecchia un punto di vista ebraico (non l'unico) sulla guerra fratricida interjugoslava.
di Yohanan Ramati (direttore del "Jerusalem Institute for Western Defense")
(...) Ed allora, chi è? Chi è che sta conducendo e controllando
l'ampio sforzo di distruggere un popolo che gli
Stati Uniti, l'Inghilterra e la Francia non hanno alcuna
ragione di odiare allo scopo di costruire un secondo Stato
musulmano, in una regione balcanica dove i musulmani sono
minoranza?
Parte della risposta ci viene da una illuminante intervista a
Mr. James Harff, direttore della "Ruder&Finn Global Public
Affairs", rilasciata a Mr. Jacques Merlino a
Parigi nell'ottobre 1993. La "Ruder&Finn" è una società di
public relations,
correntemente registrata come agente
per l'estero. Ecco alcune delle frasi di Harff, leggermente
sintetizzate.
HARFF: Per 18 mesi abbiamo lavorato per la Repubblica di Croazia e per la Bosnia-Erzegovina, così come per l'opposizione in Kosovo. In tutto questo tempo abbiamo ottenuto molti successi, guadagnandoci una immagine internazionale formidabile. Intendiamo avvantaggiarci di ciò e sviluppare accordi commerciali con questi paesi. La velocità è essenziale, perchè bisogna impiantare nell'opinione pubblica argomenti favorevoli ai nostri scopi. È la prima frase quella che conta. Le smentite non hanno effetto.Le organizzazioni ebraiche americane ed i leader influenzati dalla "Ruder&Finn" possono ora sculacciarsi. Hanno giocato un ruolo centrale nel convogliare la simpatia del mondo verso regimi antisemiti in Jugoslavia. Questi sono "politically correct"...MERLINO: Con quale frequenza intervenite?
HARFF: Non è importante la quantità. Bisogna intervenire nel momento giusto e con la persona giusta. Tra giugno e settembre [1993] abbiamo organizzato 30 incontri con le principali agenzie di stampa, ed incontri tra personalità ufficiali musulmane ed Al Gore, Lawrence Eagleburger e 10 influenti senatori, tra i quali George Mitchell e Robert Dole. Abbiamo anche inviato 13 rapporti informativi esclusivi, 37 fax con notizie dell'ultimora, 17 lettere ufficiali ed 8 comunicati ufficiali. Abbiamo realizzato 20 chiamate telefoniche con lo staff della Casa Bianca, 20 a senatori ed un centinaio a giornalisti, editori, "newscasters" e ad altre persone influenti nei media.
MERLINO: Di quale risultato andate più orgogliosi?
HARFF: Di esser riusciti a portare l'opinione pubblica ebraica dalla nostra parte. Si trattava di una materia delicata, perchè il dossier, visto da questo punto di vista, era pericoloso. Il presidente (croato) Tudjman è stato molto privo di tatto nel suo libro "La deriva della verità storica" [il testo di Tudjman nel quale si mette in discussione la realtà dello sterminio di 750.000 serbi e 25.000 ebrei nello Stato Indipendente Croato di Ante Pavelic, 1941-'44, e si dipingono gli ebrei internati nel lager di Jasenovac come aguzzini essi stessi; n.d.crj]. Leggendo i suoi scritti, uno potrebbe accusarlo di antisemitismo [celebre una frase di Tudjman degli anni dello scoppio della guerra: "Per fortuna mia moglie non è serba nè ebrea"; n.d.crj]. In Bosnia, la situazione non era migliore: il Presidente Izetbegovic aveva fortemente supportato la creazione di uno Stato islamico fondamentalista nel suo libro "The Islamic Declaration" [cfr. il nostro breve ritratto di Izetbegovic; n.d.crj]. Inoltre il passato croato e bosniaco era contrassegnato da un antisemitismo reale e crudele. Decine di migliaia di ebrei sono morti nei campi di concentramento croati. Per cui c'erano tutte le premesse che gli intellettuali e le organizzazioni ebraiche fossero ostili verso i croati ed i bosniaci [s'intendono i musulmani della Bosnia; n.d.crj]. La nostra sfida è stata quella di capovolgere questa attitudine. Ed abbiamo avuto un successo eclatante.
All'inizio di luglio 1992 il "New York Newsday" se ne uscì con l'affare dei campi di concentramento (serbi). Abbiamo colto al volo l'opportunità. Abbiamo influenzato ["outwitted" nell'originale inglese] tre grandi organizzazioni ebraiche - la "B'nai B'rith Anti-Defamation League", l'"American Jewish Committee" e l'"American Jewish Congress". In agosto suggerimmo che pubblicassero un annuncio sul "New York Times" ed organizzassero dimostrazioni di fronte alle Nazioni Unite.
Fu un colpo tremendo. Quando le organizzazioni ebraiche entrarono nel gioco dalla parte dei bosniaci (musulmani) noi potemmo immediatamente paragonare i serbi ai nazisti nella mente pubblica. Nessuno capiva quello che stava succedendo in Jugoslavia. La grande maggioranza degli americani si stava probabilmente chiedendo in quale paese africano fosse situata la Bosnia. Ma con un'unica mossa siamo stati in grado di presentare una storia esemplare di bravi ragazzi da una parte e mascalzoni dall'altra, la quale d'ora in avanti avrebbe camminato da sè. Abbiamo vinto prendendo l'auditorio ebreo come "target". Quasi immediatamente c'è stato un chiaro cambiamento del linguaggio sulla stampa, con l'uso di parole dal forte contenuto emotivo come "pulizia etnica", "campi di concentramento" eccetera, che evocavano immagini della Germania nazista e le camere a gas di Auschwitz. La carica emozionale era così potente che nessuno poteva opporvisi.MERLINO: Ma quando avete fatto tutto questo non avevate prove che attestassero che ciò che dicevate fosse vero. Avevate solamente l'articolo sul "Newsday"!
HARFF: Il nostro lavoro non è quello di verificare le informazioni. Non siamo equipaggiati per questo. Il nostro lavoro è quello di accelerare la circolazione delle informazioni a noi favorevoli, di mirare su target scelti in modo appropriato. Noi non abbiamo confermato l'esistenza di campi della morte in Bosnia, abbiamo fatto soltanto sapere che che il "Newsday" diceva questo.
MERLINO: Siete coscienti di esservi investiti di una grave responsabilità?
HARFF: Siamo professionisti. Avevamo un compito e lo abbiamo svolto. Non siamo pagati per essere morali.
I serbo-ortodossi erano la maggioranza in
Bosnia-Erzegovina prima della decimazione dei serbi per mano
degli ustascia croati e dei
sostenitori musulmani di Hitler
durante la seconda guerra mondiale; n.d.crj], ed ancora
popolavano più della metà
della Bosnia-Erzegovina prima che iniziassero i combattimenti
attuali. I musulmani occupavano meno territorio, benchè fossero
una percentuale più ampia della popolazione (...), essendo concentrati
essenzialmente in aree urbane (...). Nessuna sanzione fu
imposta all'Egitto per aver invaso ed annesso parte del Sudan
nel 1993 (pochissimo se ne sa poichè la stampa ed i media
di tutto il mondo ignorarono l'invasione egiziana, e le Nazioni
Unite si rifiutarono di discutere le lamentele sudanesi). In effetti,
nel 1993 centinaia di migliaia di persone sono state uccise in
varie parti dell'Asia, dell'Africa, dell'America Latina e
dell'ex-Europa sovietica senza che alcuna sanzione fossa
presa in esame. Ed apparentemente la "comunità internazionale"
è risoluta con gli Stati radicali solo quando sono minacciati
gli interessi petroliferi, come nel caso dell'Iraq nel 1990.
Ma non sono solo queste le ragioni per cui le sanzioni sulla Serbia
sono una disgrazia. Esse sono una disgrazia anche perchè
rappresentano il motivo principale per cui la guerra civile
in Jugoslavia non è finita [notare che l'autore
scrive un anno e mezzo prima degli accordi di Dayton; notare anche
che le sanzioni contro la Jugoslavia furono imposte in seguito
all'attentato contro una fila di persone che volevano
comprare del pane, attentato che avvenne in un momento
in cui un accordo sembrava prossimo e la cui paternità fu
in seguito messa in discussione; n.d.crj]. Gli incontri infiniti
tra rappresentanti serbi, croati, e musulmani bosniaci continuano
perchè le sanzioni che stanno privando la popolazione della Serbia
di cibo, medicine e carburante privano anche Izetbegovic di
un qualche motivo per interrompere i combattimenti e
raggiungere un accordo con gli altri. I musulmani - non gli
altri - continuano a rifiutare le proposte fatte di divisione
della Bosnia, proposte che farebbero passare sotto il controllo
musulmano ampie aree ora controllate dai serbi. (...) Izetbegovic
spera che i serbi cedano all'embargo dell'ONU, e allora:
perchè fare la pace con loro? (...)
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