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L'organizzazione del Trattato del Nord Atlantico ha mandato recentemente in Jugoslavia una ingente forza militare per imporre l'accordo raggiunto a Dayton, Ohio, alla fine del 1995 sulla guerra in Bosnia. Le forze impiegate sono valutate nell'ordine dei 60.000 uomini, equipaggiati con carri armati, blindati e artiglieria. Le truppe di terra sono sostenute da un formidabile schieramento aereo e navale. In effetti, se si considera il totale delle forze di appoggio impegnate, comprese quelle dislocate nei paesi vicini, si vede che vengono impegnati almeno 200.000 uomini. Sono cifre confermate da fonti della difesa USA (1).
Da qualsiasi punto di vista lo si voglia considerare, l'invio di ingenti forze militari occidentali nell'Europa centro-orientale e' un fatto che desta sorpresa, anche nella situazione fluida creata dalla pretesa fine della guerra fredda. Il corpo di spedizione nei Balcani costituisce la prima vasta operazione militare della NATO, ed e' un'operazione "fuori area", cioe' fuori dall'ambito geografico originariamente stabilito per l'azione militare della NATO.
L'invio di forze NATO nei Balcani e' pero' il risultato delle enormi pressioni per un'estensione generale della NATO verso est. E se l'impresa jugoslava e' il primo passo concreto nell'espansione della NATO, altri passi si prevede seguiranno in un futuro assai ravvicinato. Alcuni paesi occidentali premono infatti perche' i paesi di Visegrad diventino membri a pieno titolo della NATO entro la fine del secolo. Altri paesi occidentali per un po' hanno resistito alle pressioni in favore dell'estensione, ma i recalcitranti sono stati costretti ad accettare la pretesa necessita' di allargamento della NATO.
Qual'e' la ragione che spinge le potenze occidentali a premere per l'espansione della NATO? Perche' rinnovare e allargare la NATO se la "minaccia sovietica" e' scomparsa? E' chiaro che c'e' in gioco assai piu' di quel che appare dalle dichiarazioni ufficiali. L'imposizione di una pace precaria in Bosnia non e' che il pretesto per mandare le forze NATO nei Balcani.
Le ragioni che portano a dislocare forze NATO nei Balcani e soprattutto ad estendere la NATO in tempi relativamente rapidi alla Polonia, alla Repubblica Ceca e all'Ungheria sono assai piu' profonde. Si tratta di ragioni legate a una scelta strategica che si sta delinenado per controllare le risorse della regione intorno al Mar Caspio e per "stabilizzare" i paesi dell'Europa Orientale e in ultima analisi per "stabilizzare" la Russia e i paesi della Comunita' degli Stati Indipendenti. Si tratta, per dirla con qualche eufemismo, di una politica estremamente ambiziosa e potenzialmente contraddittoria. E' importante che ci si interroghi a fondo sulle ragioni che vengono addotte per giustificarla.
Perche' l'idea di "stabilizzare" i paesi che facevano parte del blocco socialista in Europa non significa semplicemente assicurare la stabilita' politica di quei paesi, facendo rimanere in sella i regimi che hanno liquidato il socialismo, ma significa fare in modo che rimangano immutate le condizioni politiche e sociali. E poiche' la cosiddetta transizione alla democrazia nei paesi colpiti ha prodotto un'incipiente deindustrializzazione e un crollo del tenore di vita della maggioranza della popolazione, e' lecito chiedersi se un obiettivo di questo genere sia auspicabile che venga raggiunto.
La questione e' tanto piu' pertinente dato che nell'accezione occidentale della parola, "stabilizzazione" significa riprodurre nei paesi dell'ex blocco socialista condizioni economiche e sociali simili a quelle attualmente prevalenti in occidente. Le economie dei paesi industriali dell'occidente in effetti sono in uno stato di semicollasso e, anche se i rispettivi governi non accetterebbero mai di riconoscerlo, qualsiasi analisi ragionevolmente obiettiva della situazione economica dell'occidente porta a questa conclusione, suffragata dalle statistiche ufficiali e dalla maggior parte degli studi prodotti dagli economisti piu' quotati.
E' chiaro inoltre che il tentativo di "stabilizzare" i paesi dell'ex blocco socialista crea grosse tensioni con la Russia e potenzialmente con altri paesi. Non pochi commentatori si sono spinti fino ad affermare che le iniziative occidentali per l'allargamento della NATO accrescerebbero i rischi di un conflittonucleare (2).
Basta accennare a questi problemi per vedere che l'allargamento della NATO, iniziato di fatto in Jugoslavia e proposto per altri paesi, si basa in larga misura su ragionamenti confusi e persino irrazionali. Si sarebbe tentati di dire che esso e' il frutto delle paure e dell'ostinazione di certi gruppi dirigenti. Per dirlo con schiettezza, non si vede proprio per quale ragione il mondo dovrebbe augurarsi l'estensione forzata ad altri paesi del caos economico e sociale che domina l'occidente, tanto piu' che si tratta di un processo che accresce i rischi di guerra nucleare.
Questa relazione si propone di descrivere i retroscena degli attuali tentativi di allargamento della NATO e di sollevare alcuni interrogativi di fondo circa la logica e la sensatezza di questa operazione.
La piu' importante fu l'idea che, nonostante tutti cambiamenti determinati dalla fine della guerra fredda, i paesi occidentali dovevano affrontare nuovi "problemi di sicurezza" fuori dall'ambito geografico tradizionale della NATO, tali da giustificare il permanere dell'organizzazione. La NATO, sostenevano gli interpreti di questo punto di vista, doveva trovare nuovi compiti che ne giustificassero l'esistenza.
La premessa implicita era che la NATO doveva rimanere in piedi per assicurare la leadership americana negli affari europei e mondiali. Questa fu certo una delle ragioni che portarono al massiccio intervento occidentale nel Kuwait e in Iraq nel '90 e '91, in cui la partecipazione degli alleati NATO degli USA fu relativamente modesta. La coalizione che doveva prender parte alla guerra contro l'Iraq era stata messa insieme con grande difficolta', ma il governo degli Stati Uniti la considerava necessaria per la credibilita' degli USA all'interno dell'Alleanza occidentale e sulla scena mondiale.
«NATO: fuori area o fuori servizio». Questo slogan avanzato dai primi sostenitori dell'allargamento della NATO, centrava in modo esplicito la questione, anche se lasciava in ombra le motivazioni (3).
Anche la Jugoslavia e' stata un banco di prova e naturalmente assai piu' importante. La crisi jugoslava era esplosa in Europa e i paesi dell'Europa occidentale dovevano affrontarla in un modo o nell'altro. La Germania e gli Stati Uniti pero', che sembravano auspicare la fine delle guerre civili in Jugoslavia, nei fatti fecero quanto era in loro potere per prolungarle, soprattutto per la guerra in Bosnia. Le loro iniziative ebbero l'effetto di perpetuare e approfondire vieppiu' la crisi jugoslava
E' importante osservare che la NATO ha cercato di inserirsi nella crisi jugoslava fin dall'inizio. L'intervento divenne del tutto manifesto nel 1993, quando la NATO incomincio' ad appoggiare le operazioni dell'UNPROFOR in Jugoslavia, soprattutto con il blocco contro la Repubblica Federale di Jugoslavia e l'imposizione di una zona di interdizione dei voli nello spazio aereo bosniaco.
L'intervento tuttavia ha inizi assai meno appariscenti e bisogna ricordare che la NATO in quanto tale fu implicata nella guerra in Bosnia gia' nei suoi primissimi stadi. Nel 1992, la NATO aveva inviato in Bosnia-Erzegovina un gruppo di circa 100 effettivi col compito di organizzare un centro militare a Kiseljak, non lontano da Sarajevo. La missione ufficiale era appoggiare le forze ONU in Bosnia.
Si capiva benissimo pero' che la missione aveva un altro scopo. Ecco come un diplomatico della NATO descriveva all'epoca quell'operazione a «Intelligence Digest»:
«Si tratta di un primo passo assai cauto e stiamo cercando di non fare troppo rumore, ma potrebbe essere l'inizio di qualcosa di assai piu' grosso... Si potrebbe dire che adesso la NATO ha messo un piede nella porta. Non sappiamo se potremo aprirla quella porta, ma abbiamo incominciato» (4).
E' evidente che i comandi NATO stavano gia' anticipando la possibilita' che le resistenze alle pressioni USA e tedesche fossero superate e che l'impegno della NATO in Jugoslavia venisse gradualmente accresciuto.
La NATO dunque ha incominciato a lavorare per una vasta operazione "fuori area" praticamente fin dall'inizio della guerra in Bosnia-Erzegovina. La dislocazione recente di decine di migliaia di soldati in Bosnia, Austria, Ungheria, Croazia e Serbia non e' che il culmine di un processo iniziato quasi quattro ani fa. Altro che proposte e conferenze. Il vero problema era concepire un'operazione che, con l'appoggio di alcuni paesi chiave, portasse alla fine all'impegno attivo della NATO "fuori area", rinnovando in questo modo l'organizzazione.
Pur in assenza di chiare analisi pero' la macchina per spingere in avanti la situazione lavorava a tutto vapore fin dalla fine del 1991. Alla fine di quell'ano la NATO creo' il Consiglio di Cooperazione Nord Atlantico (NACC). I paesi membri della NATO invitarono 9 paesi dell'Europa centrale e orientale a entrare nel NACC per dare impulso alla cooperazione tra le potenze della NATO e gli ex membri del Patto di Varsavia.
Si trattava di un primo passo per offrire qualcosa ai paesi dell'Europa orientale che volevano entrare nella NATO. Il NACC pero' non rispondeva alle aspettative di quei paesi, percio' all'inizio del '94 gli USA lanciarono l'idea della Partnership for Peace. La PFP dava agli stati che volevano far parte della NATO la possibilita' di partecipare a varie attivita' della NATO, comprese esercitazioni militari e operazioni di "peacekeeping". Piu' di 20 paesi, compresa la Russia, fanno attualmente parte della PFP.
Molti di questi paesi vogliono arrivare allo status di membri effettivi della NATO, ma non naturalmente la Russia, che ritiene che la NATO non dovrebbe espandersi verso est. Secondo il Center for Defense Information di Washington, che e' un autorevole centro di ricerca indipendente sui problemi militari, la Russia parteciperebbe alla Partnership «per non essere tagliata fuori del tutto dal sistema della sicurezza europea» (5).
Il movimento per l'allargamento della NATO ha acquistato percio' un peso sempre crescente. La creazione del Consiglio di Cooperazione Nord Atlantico era gia' espressione di simpatia e apertura verso i paesi che aspiravano a divenire membri della NATO, ma non porto' molto lontano. La creazione della Partnership for Peace era un fatto piu' concreto, perche' coinvolgeva nella NATO paesi che avevano appartenuto al Patto di Varsavia e iniziava una politica di "doppio binario" verso la Russia, a cui veniva offerto un rapporto con la NATO praticamente inconsistente, che aveva pero' lo scopo di calmare le sue apprensioni per l'espansione della NATO.
Eppure, nonostante questo incessante sviluppo, la logica addotta a sostegno dell'espansione poggiava quasi sempre su presupposti piuttosto vaghi. Tutto cio' porta a chiedersi quali siano le motivazioni effettive che hanno spinto negli ultimi quattro anni per l'espansione della NATO. La questione va posta relativamente a due aree: quella balcanica e quella dei paesi dell'Europa centrale. I Balcani infatti sono il teatro di una lotta importante, in particolare per la supremazia nei Balcani meridionali, in cui ora e' coinvolta anche la NATO. Chiaramente poi alcuni paesi occidentali stanno ritornando alle politiche della Guerra Fredda ed e' proprio questo che porta la NATO nell'Europa centrale.
Sin dall'inizio il problema principale in Jugoslavia e' stato l'intervento straniero nelle affari interni del paese. Due potenze occidentali, gli Stati Uniti e la Germania, hanno deliberatamente indirizzato i loro sforzi a destabilizzare e smantellare il paese. Il processo, gia' in pieno svolgimento negli anni '80, (6) e' stato ulteriormente accelerato all'inizio dell'attuale decennio. Le due potenze hanno accuratamente pianificato, preparato e assistito le secessioni che hanno mandato in pezzi la Jugoslavia e hanno fatto il possibile per allargare e prolungare le guerre civili iniziate in Croazia e continuate poi in Bosnia Erzegovina. Dietro le quinte il loro coinvolgimento non e' mai venuto meno in nessuna delle fasi della crisi.
L'intervento straniero doveva servire a creare quegli stessi conflitti che le potenze occidentali tanto deprecavano perche' quei conflitti, una volta innescate le guerre civili, fornivano i migliori pretesti per intervenire apertamente.
Le affermazioni di questo tipo, naturalmente, sono accolte con sdegno nei paesi occidentali. Ma cio' avviene solo perche' l'opinione pubblica occidentale e' stata sistematicamente disinformata dalla propoganda di guerra e ha accettato praticamente fin dal primo momento la versione dei fatti fornita dai governi e diffusa dai mass media. Rimane il fatto inoppugnabile che la Germania e gli USA sono stati i principali responsabili dello smantellamento della Jugoslavia e della diffusione del caos nel paese.
Si tratta di un fatto terribile che segna la nuova fase di real-politik e di lotte per l'egemonia seguita all'ordine della Guerra Fredda. Recentemente alcune fonti dei servizi segreti hanno incominciato ad accennare a questi fatti in maniera sorprendentemente chiara. Nell'estate del '95, per esempio, un'autorevole rivista pubblicata in Inghilterra, l' «Intelligence Digest» riferiva che:«Il disegno originale tedesco-americano per la ex Jugoslavia [prevedeva] una Bosnia-Erzegovina indipendente dominata dai musulmani e dai croati, alleata a una Croazia indipendente accanto a una Serbia fortemente indebolita» (6).
Non c'e' alto funzionario della maggior parte dei governi occidentali che non sappia che questa descrizione e' assolutamente esatta. Naturalmente questo vuol dire che i discorsi correnti sulla «aggressione sebra» come causa scatenante di tutti i problemi o sulla «nuova democrazia» croata non sono solo falsi, ma sono fatti apposta per trarre in inganno.
Ma perche'? Che ragione avevano i mass media di cercare di ingannare l'opinione pubblica occidentale? Certo, l'intervento flagrante e su larga scala negli affari jugoslavi doveva essere nascosto agli occhi del pubblico. Ma questa non era la sola ragione. Il fatto e' che la gente si sarebbe chiesta come mai la Germania e gli stati Uniti stessero deliberatamente cercando di creare il caos nei Balcani e inevitabilmente avrebbe voluto conoscere le ragioni di quelle iniziative. Ma queste dovevano essere tenute nascoste con piu' cura delle attivita' disgregatrici delle grandi potenze.
In sostanza, il problema vero stava nei piani estremamente ambiziosi degli stati Uniti per tutto il continente europeo. Gli Stati Uniti si considerano, come vien detto ormai senza nessuna reticenza, «una potenza europea». Negli anni '80 un'affermazione di questo genere non avrebbe potuto esser fatta con altrettanta facilita', perche' avrebbe sollevato troppi dissensi tra gli alleati occidentali, ma la spinta a stabilire il dominio americano in Europa era comunque un dato di fatto e gli Stati Uniti stavano gia' preparando quello che oggi e' di dominio comune.
Di recente Richard Holbrook, vicesegretario di stato per gli affari europei, scrivendo sull'influente rivista «Foreign Affairs», ha reso esplicita la posizione ufficiale. Nell'articolo Holbrook non si limita a parlare degli Stati Uniti come "potenza europea", ma delinea i piani ambiziosi del suo governo per l'insieme del continente europeo. Riferendosi al sistema di sicurezza collettiva, comprendente la NATO, creato dagli Stati Uniti e dai loro alleati dopo la seconda guerra mondiale, Egli scrive:«Questa volta gli Stati Uniti devono esercitare la loro leadership per creare un'architettura di sicurezza che comprenda e percio' stabilizza tutta l'Europa - quella occidentale, gli ex satelliti sovietici dell'Europa centrale e, cosa piu' difficile, la Russia e le ex repubbliche sovietiche» (7).
Insomma adesso e' la politica ufficiale: bisogna puntare all'integrazione di tutto il continente europeo in un sistema politico ed economico occidentale, e farlo mediante l'esercizio della leadership americana. Questo non e' che un modo gentile e fuorviante di parlare dell'incorporazione degli ex paesi socialisti in un nuovo vasto impero (8).
Non c'e' da stupirsi se il resto dell'articolo di Holbrook parla della necessita' di allargare la NATO, soprattutto nell'Europa centrale, per garantire la "stabilita'" di tutto il continente europeo. Per Holbrook «l'allargamento della NATO e' una conseguenza essenziale della caduta della Cortina di Ferro» (9).
Dietro i ripetuti interventi nella crisi jugoslava ci sono dunque i piani strategici a lungo termine per tutto il continente europeo.
Nel quadro dell'evoluzione di queste linee strategiche, la Germania e gli Stati Uniti dapprima decisero di dar vita nei Balcani a un nuovo ordine basato sull'organizzazione di mercato delle economie e sulla democrazia parlamentare. L'obiettivo era la liquidazione definitiva del socialismo nei Balcani (10). La posizione ufficiale era che, incoraggiando dichiarazioni di indipendenza come quella croata, si voleva "far crescere la democrazia". La realo'ta' era quella di un complotto per dividere l'area balcanica in staterelli minuscoli e vulnerabili. Sotto la maschera della "promozione della democrazia" veniva in realta' aperta la strada alla ricolonizzazione dei Balcani.
Col 1990 la maggior parte dei paesi dell'Europa orientale si era piegata alle pressioni occidentali per avviare quelle che, con espressione assai fuorviante, venivano definite "riforme". Alcuni aveva accettato interamente le condizioni poste dagli occidentali per gli aiuti e il commercio. Altri, e in particolare la Bulgaria e la Romania, le avevano accettate solo parzialmente.
In Jugoslavia pero' c'era una certa resistenza. Le elezioni del 1990 in Serbia e Montenegro avevano mantenuto al potere un partito socialista o socialdemocratico. Il governo della Federazione restava pertanto nelle mani di politici che, pur cedendo di volta in volta alle pressioni per le "riforme", si opponevano pero' alla ricolonizzazione dei Balcani. E molti di loro si opponevano alla frammentazione della Jugoslavia. La terza Jugoslavia, formata nella primavera del 1992, disponeva di una base industriale e di un grosso esercito: per questo il paese doveva essere distrutto.
Dal punto di vista tedesco, questa non era altro che la continuazione di una politica portata avanti gia' dal Kaiser e poi dai nazisti.
Una volta disintegrata e gettata nel caos la Jugoslavia, si poteva incominciare a riorganizzare questa area centrale dei Balcani. La Slovenia, la Croazia e la Bosnia-Erzegovina dovevano entrare nella sfera di interessi tedesca. La Germania otteneva l'accesso al mare sull'Adriatico e in prospettiva, se si fosse riusciti a piegare totalmente i Serbi, al nuovo canale Reno-Danubio, una via d'acqua che puo' trasportare navi da 3.000 tonnellate dal Mare del Nord al Mar Nero. Le parti meridionali della Jugoslavia dovevano cadere in una sfera di interessi americana. La Macedonia, che controlla gli unici valichi tra est e ovest e tra nord e sud nelle montagne dei Balcani doveva essere il centro di una regione americana. Ma la sfera americana doveva includere anche l'Albania e, se si fosse riusciti a strappare quelle regioni alla Serbia, anche il Sangiaccato e il Kosovo. Alcuni esperti americani hanno parlato anche dell'emergere eventuale di una Grande Albania sotto tutela USA e turca, comprendente una serie di staterelli musulmani, compresa se possibile la Bosnia-Erzegovina, con accesso all'Adriatico.
Non c'e' da stupirsi se la Germania e gli USA, pur avendo lavorato di concerto per la disintegrazione della Jugoslavia, sono ora in competizione per il controllo di varie parti del paese, specialmente la Croazia e la Bosnia-Erzegovina. In effetti in tutta l'area balcanica c'e' un grosso scontro per l'influenza e i vantaggi commerciali (11). I contendenti principali sono la Germania e gli Stati Uniti, le due potenze responsabili della disintegrazione della Jugoslavia. Alla corsa partecipano pero' anche importanti societa' e banche di altri paesi europei. La situazione e' simile a quella creata in Cecoslovacchia dall'accordo di Monaco del 1938, raggiunto per dividersi le spoglie in modo da evitare scontri che avrebbero condotto immediatamente alla guerra.
Questa potrebbe essere la vera ragione della presenza NATO in Jugoslavia.
Gli Stati Uniti stanno cercando attualmente di consolidare un nuovo blocco di paesi tra l'Europa e il Medio Oriente e si presentano come leader di un gruppo informale di paesi musulmani che vanno dal Golfo Persico ai Balcani. Questo gruppo comprende la Turchia, che e' di importanza cruciale nel nuovo blocco emergente. La Turchia fa parte della regione balcanica meridionale ed e' una potenza dell'Egeo, ma confina anche con l'Iraq, l'Iran e la Siria, unendo cosi' l'Europa meridionale e il Medio Oriente, dove gli USA ritengono di avere interessi vitali.
Gli USA sperano di allargare questa alleanza informale di stati musulmani del Medio Oriente e dell'Europa meridionale fino a comprendere alcuni dei nuovi paesi del margine meridionale dell'ex Unione Sovietica.
Non e' difficile capirne le ragioni. Gli USA si sentono impegnati in una nuova competizione per il controllo delle risorse mondiali, in cui il petrolio riveste particolare importanza. Con la guerra contro l'Iraq, gli USA si sono insediati piu' forti che mai nel Medio Oriente. La disintegrazione quasi simultanea dell'Unione Sovietica ha aperto le porte allo sfruttamento occidentale delle risorse petrolifere della regione del Mar Caspio.
Si tratta di una regione assai ricca di petrolio e di gas. Alcuni esperti occidentali ritengono che potrebbe avere per l'occidente un'importanza pari a quella del Golfo Persico.
Paesi come il Kazakistan dispongono di riserve petrolifere enormi, probabilmente piu' di 9 miliardi di barili. Si ritiene che il Kazakistan possa estrarre 700.000 barili al giorno. Come per altri paesi dell'area, il problema, dal punto di vista dei paesi occidentali, e' far viaggiare il petrolio e i gas verso l'occidente per vie sicure. E non e' solo un problema tecnico, ma anche politico.
Per gli Stati Uniti e per altri paesi occidentali nella situazione attuale mantenere buoni rapporti con paesi come il Kazakistan e' di importanza cruciale. Soprattutto quello che piu' importa e' la certezza che i diritti acquisiti per l'estrazione del petrolio o per la costruzione degli oleodotti per trasportarlo verranno comunque rispettati, perche' le somme che si prospettano per gli investimenti nella regione sono enormi.
Insomma le imprese occidentali, le banche, le societa' proprietarie degli oleodotti, vogliono avere la certezza che la regione sia "politicamente stabile", che non ci siano cio' in futuro cambiamenti politici che possano minacciare i loro nuovi o potenziali interessi.
Recentemente un importante articolo del «New York Times» forniva il quadro di quella che viene definita la nuova «grande partita» nella regione facendo un'analogia con la contesa tra Russia e Gran Bretagna alla frontiera nordoccidentale del suncontinente indiano nel XIX secolo. Gli autori dell'articolo scrivevano che:«Adesso, negli anni post guerra fredda, gli Stati Uniti stanno nuovamente assumendo il controllo dell'impero di un ex nemico. La disintegrazione dell'Unione Sovietica ha indotto gli Stati Uniti ad allargare l'area della loro egemonia militare nell'Europa orientale (tramite la NATO) e nella gia' neutrale Jugoslavia, e - cio' che piu' conta - ha consentito all'America di impegnarsi piu' a fondo nel Medio Oriente» (12).
Naturalmente le ragioni che hanno spinto i leaders occidentali in direzione dell'allargamento della NATO sono piu' d'una, ma una ragione importante e' chiaramente di carattere economico.
La cosa appare in piena evidenza se si guarda piu' attentamente al parallelismo tra lo sviluppo dello sfruttamento commerciale nella regione del Mar Caspio e la penetrazione della NATO nei Balcani.
Il 22 maggio del 1992 la NATO rilasciava una dichiarazione davvero stupefacente riguardo ai combattimenti allora in corso nella Transcaucasia. In essa si diceva.«Gli alleati esprimono grave preoccupazione per il perdurare del conflitto e le perdite di vite umane. Il problema del Nagorno Karabak, con le tendioni che ha prodotto tra l'Armenia e l'Azerbaijan, non puo' essere risolto mediante la forza. Qualsiasi azione contro l'integrita' territoriale dell'Azerbaijan o di qualunque altro stato, o mirante al raggiungimento di obiettivi politici con l'uso della forza, rappresenterebbe una violazione flagrante e inaccettabile del diritto internazionale. In particolare noi [la NATO] non potremmo accettare che lo status riconosciuto del Nagorno Karabak o del Nakicevan venga cambiato unilateralmente con la forza» (13).
Si tratta di una dichiarazione notevole da tutti i punti di vista, dato che di fatto la NATO faceva una velata minaccia di prendere "misure" adeguate a impedire iniziative dei governi della regione del Mar Caspio supposte lesive degli interessi occidentali.
Due giorni prima che la NATO rilasciasse questa dichiarazione d'interessamento per le questioni transcaucasiche, una societa' petrolifera americana, la Chevron, aveva firmato un accordo col governo del Kazakistan per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi di Tengiz e Korolev nella parte occidentale del paese. I negoziati per questo accordo erano andati avanti per due anni prima della firma e, come riferiscono fonti attendibili, si era corso il rischio di rottura perche' la Chevron temeva l'instabilita' politica nella regione (14).
All'epoca della dichiarazione, comunque, la NATO avrebbe avuto ben scarse possibilita' di dar seguito ai suoi moniti. In primo luogo perche' non esisteva alcun precedente di interventi NATO su vasta scala fuori area e, in secondo luogo, perche' le forze NATO erano assai lontane dalla Transcaucasia. Basta uno sguardo alla carta dei Balcani, del Mar Nero e del Mar Caspio per capire che la situazione sta cambiando.
Gli Stati Uniti, la Germania e alcuni loro alleati cercano di costruire intorno all'economia del bacino nordatlantico un sistema veramente globale. A dire il vero, il tipo di ordine che vogliono imporre non presenta grandi novita': esso dovra' basarsi sulle istituzioni del capitalismo. Il fatto nuovo e' il tentativo di estendere "il vecchio ordine" ai vasti territori gettati nel caos in seguito alla disintegrazione del comunismo e di incorporarvi paesi che in precedenza non ne avevano fatto pienamente parte.
Insomma, stanno cercando di creare un sistema capitalista funzionante in paesi che per decenni hanno vissuto in regime socialista o che, come nel caso dell'Angola, hanno provato a liberarsi dal sistema capitalista.
Visto che vogliono costruire un "nuovo ordine mondiale", le potenze occidentali devono anche pensare a come difenderlo. Da qui nasce l'idea di estendere il controllo militare alle nuove regioni europee che cercano di agganciare al bacino nord atlantico e quindi il ruolo che la NATO dovrebbe assumere nel nuovo ordine europeo.
I due maggiori architetti della futura nuova Europa capitalista integrata, sono gli USA e la Germania, che lavorano con un coordinamento particolarmente stretto sulle questioni dell'est europeo e hanno formato di fatto una stretta alleanza, nell'ambito della quale gli USA si aspettano la collaborazione tedesca nella gestione degli affari non solo dell'Europa occidentale ma anche di quella orientale. Per usare le parole di George Bush a Mainz nel 1989, la Germania e' «associata nell'esercizio della leadership».
Questa stretta collaborazione lega gli USA al punto di vista tedesco su quella che gli esperti tedeschi e americani chiamano ora Europa centrale. E' un punto di vista che prevede: 1) l'espansione dell'Unione Europea verso est; 2) una leadership tedesca in Europa; e 3) una nuova divisione del lavoro in Europa.
Proprio l'idea di una nuova divisione del lavoro in Europa riveste particolare importanza. Nella visione tedesca, l'Europa in futuro sara' organizzata in cerchi concentrici intorno a un centro costituito dalla Germania. Il centro sara' la regione piu' sviluppata da tutti i punti di vista: sara' la piu' avanzata tecnologicamente e la piu' ricca; avra' i livelli salariali piu' alti e i redditi pro capite maggiori; si dedichera' esclusivamente alle attivita' economiche piu' profittevoli, quelle che la pongono in posizione di comando del sistema. La Germania si occupera' percio' di pianificazione industriale, progettazione, sviluppo tecnologico, ecc., di tutte le attivita' insomma di programmazione e coordinamento dell'economia delle altre regioni.
Via via che ci si allontana dal centro, i vari cerchi concentrici avranno livelli di sviluppo, ricchezza e redditi piu' bassi. L'anello immediatamente adiacente la Germania dovrebbe essere caratterizzato da molteplici attivita' produttive e di servizio ad elevato profitto e comprenderebbe parte della Gran Bretagna, la Francia, il Belgio, l'Olanda e l'Italia settentrionale. Il livello generale del reddito vi sarebbe alto, ma inferiore a quello tedesco. L'anello successivo comprenderebbe le parti piu' povere dell'Europa occidentale e parti dell'Europa orientale, con alcune produzioni, assemblaggio, produzioni alimentari. I livelli stipendiali e salariali vi sarebbero considerevolmente piu' bassi che al centro.
Inutile dire che in questo schema la maggior parte delle regioni dell'Europa orientale apparterrebbero a un anello periferico. L'Europa orientale sarebbe tributaria del centro. Produrrebbe alcuni generi di merci, ma non primariamente per il proprio consumo. Una parte considerevole della produzione, con el materie prime e anche i generi alimentari, verrebbe destinata all'estero. Anche l'industria pagherebbe inoltre stipendi e salari bassi e il livello generale di stipendi e salari, e dunque dei redditi, sarebbe piu' basso che in passato.
Insomma, nel nuovo sistema integrato la maggior parte dell'Europa orientale sara' piu' povera di quanto non sarebbe stata se i paesi dell'Europa orientale avessero potuto decidere autonomamente quale tipo di sviluppo perseguire. Il solo sviluppo perseguibile in societa' esposte alla potente penetrazione del capitale estero e bloccate dalle regole del Fondo Monetario Internazionale e' lo sviluppo dipendente.
Cio' vale anche per la Russia e gli altri paesi della Comunita' degli Stati Indipendenti. Anch'essi diverrebbero tributari del centro e la Riussia non avrebbe nessuna possibilita' di perseguire una via di sviluppo indipendente. In Russia rimarranno beninteso alcune produzioni industriali, ma senza la minima possibilita' di uno sviluppo industriale equilibrato, perche' le priorita' dello sviluppo saranno dettate sempre piu' dall'esterno. Le societa' occidentali, come dimostrano i dati sugli investimenti esteri, non hanno nessun interesse a promuovere lo sviluppo industriale della Russia.
L'interesse principale dell'occidente nella Comunita' degli Stati Indipendenti sta nello sfruttamento delle sue risorse. La disintegrazione dell'Unione Sovietica ha rappresentato un passaggio decisivo per aprire le possibilita' di un tale sfruttamento, perche' le repubbliche ex sovietiche, una volta indipendenti sono divenute assai piu' vulnerabili. Le societa' occidentali, inoltre, non hanno interesse a sviluppare le risorse della CSI per l'uso locale, ma sono interessate alle esportazioni verso occidente. Cio' vale in particolare per il gas e il petrolio. Buona parte dei benefici delle esportazioni di materie prime andrebbero percio' ad arricchire paesi stranieri. Gran parte dell'ex Unione Sovietica si verra' percio' quasi sicuramente a trovare in una situazione simile a quella dei paesi del terzo mondo.
La Germania dunque, coll'appoggio degli Stati Uniti, punta a una razionalizzazione capitalista di tutta l'economia europea intorno a un potente nucleo tedesco. La crescita e gli alti livelli di ricchezza del nucleo devono essere sostenuti dalle attivita' subordinate della periferia. La periferia deve produrre generi alimentari, materie prime e prodotti industriali per l'esportazione verso il nucleo e i mercati d'oltremare. L'Europa del futuro, se la si paragona all'Europa, tanto occidentale che orientale, degli anni '80, dovra' essere ristrutturata da cima a fondo, con livelli di sviluppo sempre piu' bassi via via che ci si allontana dal centro tedesco.
Gran parte dell'Europa orientale e dell'ex Unione Sovietica e' dunque destianata a rimanere un'area permanentemente arretrata o relativamente sottosviluppata. Realizzare la nuova divisione del lavoro in Europa significa vincolare per sempre queste regioni a una condizione di arretratezza economica.
Per l'Europa orientale e per i paesi della CSI la creazione di un'Europa "integrta" in un quadro capitalista comporta dunque un'ampia ristrutturazione. Questa ristrutturazione puo' risultare assai vantaggiosa per la Germania e per gli USA, ma per le parti dell'Europa che verranno collegate all'occidente significhera' una retrocessione.
La natura dei cambiamenti in corso e' gia' stata prefigurata dagli effetti delle "riforme" attuate in Russia dai primi anni '90. Naturalmente si e' detto che quelle riforme avrebbero finito per portare la prosperita'. Ma questa era un'affermazione falsa fin dal principio, perche' le "riforme" attuate su insistenza occidentale non erano nient'altro cge le solite ristrutturazioni imposte dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale ai paesi del terzo mondo, e hanno anche avuto gli stessi effetti.
Il piu' appariscente e' la caduta verticale del livello di vita. Un terzo della popolazione della Russia sta cercando ora di sopravvivere con redditi al di sotto del livello ufficiale di poverta'. Dal 1991 la produzione e' caduta di piu' della meta'. L'inflazione corre a un tasso annuale del 200%. La speranza di vita di un maschio russo e' caduta da 64,9 anni nel 1987 a 57,3 nel 1994 (15). Sono cifre paragonabili a quelle di paesi come l'Egitto e il Bangladesh. E, nelle circostanze attuali, non c'e' assolutamente nessuna prospettiva di miglioramento delle condizioni economiche e sociali in Russia. Il livello di vita continuera' anzi quasi certamente a scendere.
Chiaramente c'e' un sentimento assai diffuso e giustificato di rabbia in Russia e in altri paesi per il crollo dei livelli di vita che ha accompagnato le prime fasi della ristrutturazione, e cio' ha contribuito a una crescente reazione politica, in Russia e in altri paesi, la cui manifestazione piu' evidente la si e' potuta vedere nei risultati delle elezioni parlamentari di dicembre in Russia. E' chiaro altresi' che l'ulteriore caduta dei livelli di vita in futuro creera' nuove reazioni di rabbia.
L'estensione del vecchio ordine mondiale all'Europa orientale e alla CSI e' un'operazione delicata, piena di incertezze e di rischi. Le maggiori potenze occidentali sono molto ansiose di realizzarla con successo, anche perche' in quel successo, definibile in termini di sfruttamento efficiente di queste nuove regioni, vedono una soluzione parziale dei loro stessi gravi problemi economici. C'e' una tendenza sempre piu' marcata nei paesi occidentali a dislocare i loro problemi e a vedere nell'attuale concorrenza internazionale per lo sfruttamento dei niuovi territori una qualche possibilita' di superamento della stagnazione economica mondiale.
Gli esperti occidentali giustamente prevedono che il futuro sara' portatore di instabilita' politica. Per dirla con le parole recenti del senatore Bradley, «il problema della Russia e' sapere se le riforme siano reversibili o meno» (16). Gli esperti militari traggono le conseguenze logiche: maggiore sara' la potenza miliater che puo' esser concentrata potenzialmente contro la Russia, minore sara' la possibilita' di ritorno indietro rispetto alle "riforme". Questo e' il segno di questa affermazione davvero notevole del Gruppo di Lavoro sull'Allargamento della NATO:«I compiti di sicurezza della NATO non sono piu' limitati al mantenimento di una posizione difensiva rispetto a una forza contrapposta. Non ci sono minacce immediate alla sicurezza militare dell'Europa occidentale, ma l'instabilita' politica e l'insicurezza nell'Europa centrale ed orientale ha conseguenze gravi per la sicurezza dell'area NATO. La NATO dovrebbe rispondere ai bisogni di sicurezza e di integrazione nelle strutture occidentali dell'Europa centrale e orientale, e in questo modo servirebbe gli interessi di sicurezza dei propri membri» (17).
Si tratta di una posizione del tutto nuova da parte della NATO, una posizione che alcuni paesi NATO ritenevano imprudente non molto tempo fa. Ed e' una posizione allarmante, perche' non affronta le vere ragioni che stanno dietro l'attuale pressione per l'allargamento della NATO. Nonostante i ragionamenti sfumati e capziosi del Gruppo di Lavoro, sembra che il dibattito in molti paesi sia ormai chiuso. Sarebbe assai preferibile, naturalmente, che le questioni vere fossero discusse pubblicamente. Ma per il momento questa possibilita' non esiste e la pressione per l'allargamento della NATO e' destinata a continuare
C'e' da dire che molte voci influenti nei paesi occidentali sono contrarie all'allargamento della NATO e hanno spesso spiegato quali ne sarebbero i rischi. E' importante osservare che, nonostante la posizione ufficiale della NATO e la relazione recente del Gruppo di Lavoro, l'allargamento della NATO verso est incontra forte opposizione, anche se, per ora, le tesi favorevoli all'allargamento hanno avuto il sopravvento.
Quattro pericoli insiti nell'allargamento della NATO devono essere discussi in particolare in questa sede.
Il primo consiste nel fatto che l'allargamento portera' nuovi membri sotto "l'ombrello" NATO. Cio' significa, per fare un esempio, che gli Stati Uniti e altri membri occidentali sarebbero obbligati a difendere mettiamo la Slovacchia contro un attacco. Ma da dove potrebbe venire un attacco? E davvero la NATO sarebbe pronta a difendere la Slovacchia in caso di conflitto con un altro paese dell'Europa orientale?
In un paese come gli Stati Uniti sarebbe una cosa assai impopolare. Come diceva nell'ottobre scorso il senatore Kassebaum:«Sarebbe disposto il popolo americano, a norma del Trattato Nordatlantico, a impegnarsi a considerare un attacco contro uno o piu' di questi nuovi possibili membri come un attacco contro tutti?» (18).
La questione dell'estensione dell' "ombrello" e' assai delicata, perche' le potenze NATO sono potenze nucleari. La relazione del Gruppo di Lavoro afferma che, in determinate circostanze, le forze degli alleati NATO potranno essere dislocate nei territori dei nuovi membri e il Gruppo di Lavoro non ha affatto escluso, come avrebbe dovuto, la dislocazione in quesi territori di armi nucleari. La mancata esclusione di questa possibilita' significa che la NATO sta imboccando una strada pericolosa, una strada che accresce i rischi di guerra nucleare.
Il silenzio del Gruppo di Lavoro su questa questione non puo' non suonare minaccioso per i paesi che non entreranno nella NATO, tra i quali il piu' importante e' chiaramente la Russia, che possiede anch'essa armi nucleari, cosi' come l'Ucraina e il Kazakistan.
Il secondo pericolo e' che l'allargamento metta in crisi i rapporti tra gli Stati Uniti e la Russia e produca una seconda guerra fredda. I paesi della NATO presentano l'organizzazione come un'alleanza difensiva, ma la Russia la vede in modo assai diverso. Per piu' di 40 anni la Russia ha visto nella NATO un'alleanza offensiva diretta contro tutti i paesi del Patto di Varsavia. E' ancora opinione generale in Russia che la NATO sia un'alleanza offensiva. L'ex ministro degli esteri, Kozyrev, lo aveva detto esplicitamente ai paesi della NATO. Potra' la Russia cambiare opinione in futuro?
E' inevitabile che l'allargamento della NATO sia visto in Russia come accerchiamento, il cui tacito presupposto e' la previsione occidentale di una Russia nuovamente aggressiva. Ma la conseguenza pressoche' certa di questo presupposto non potra' essere nient'altro che una nuova risposta di carattere militare. Esso non e' certo fatto per calmare le apprensioni russe sugli obiettivi della penetrazione NATO nell'Europa orientale. A proposito della decisione della NATO sull'allargamento, ecco come si esprimeva recentemente il direttore dell'Istituto di Studi sugli USA e il Canada dell'Accademia delle Scienze russa:«La Russia e' ancora una superpotenza militare, con un'enorme estensione territoriale e una popolazione numerosa. E' un paese con enormi capacita' economiche, che ha un potenziale straordinario, nel bene o nel male. Ma attualmente e' un paese umiliato, in cerca di identita' e di orientamento. L'occidente, con la posizione che prendera' sull'allargamento della NATO, puo' in certa misura determinare la direzione che la Russia prendera'. Il futuro della sicurezza europea dipende da questa decisione » (19).
Il terzo pericolo che l'allargamento della NATO comporta e' che mette a repentaglio l'adempimento del Trattato START I e la ratifica dello START II, come pure altri trattati sul controllo e la limitazione degli armamenti miranti ad accrescere la sicurezza in Europa. I russi, per esempio, hanno detto chiaramente che andranno avanti nell'adempimento del trattato sulle armi convenzionali in Europa (CFE) «se la situazione in Europa rimarra' stabile». Ma l'allargamento della NATO nell'Europa orientale cambia in modo significativo l'attuale equilibrio in Europa. I paesi della NATO mettono percio' a repentaglio molti dei risultati raggiunti negli ultimi 25 anni nel campo del disarmo. Alcuni sostengono anche, con argomenti convincenti, che l'allargamento della NATO metterebbe a rischio il trattato di non proliferazione nucleare.
Queste conseguenze non renderanno certo piu' sicura in futuro l'Europa ne' il mondo.
Il quarto pericolo insito nell'allargamento della NATO e' che esso puo' determinare una situazione di instabilita' nell'Europa orientale. La NATO sostiene che l'allargamento contribuirebbe a garantire la stabilita', ma l'Europa orientale e' gia' un'area instabile, soprattutto dopo i cambiamenti degli ultimi anni. Allargare la NATO aggiungendovi un pezzo dopo l'altro non potra' che accrescere le tensioni tra i nuovi membri e i paesi che rimangono fuori. E' inevitabile che sia cosi'. I paesi che rimarranno fuori, una volta che la NATO si sia insediata in un paese confinante non potranno che sentirsi piu' insicuri. Verrebbero a trovarsi in mezzo tra la NATO che si espande e la Russia e le loro reazioni non potranno essere che di paura e anche di ostilita'. L'espansione della NATO pezzo dopo pezzo potrebbe anche scatenare una corsa agli armamenti nell'Europa orientale.
Ma allora perche' i paesi della NATO insistono in questa direzione? Perche' appaiono incapaci di soppesare oggettivamente la pericolosita' delle loro azioni?
Una risposta parziale potrebbe essere che la decisione e' stata presa da gente che ha considerato il problema in una prospettiva assai ristretta, senza guardare al contesto piu' ampio entro il quale l'allargamento della NATO verrebbe a collocarsi. Se si considera il contesto piu' ampio, la proposta di allargamento della NATO appare chiaramente irrazionale.
Consideriamo questo contesto piu' ampio. La NATO propone di ammettere presto come membri a pieno titolo dell'alleanza alcuni paesi dell'Europa centrale. Altri paesi dell'Europa orientale potranno essere ammessi in una fase successiva. L'allargamento ha due possibili obiettivi: il primo e' impedire il "fallimento della democrazia in Russia", cioe' garantire la continuazione dell'attuale regime o di qualcosa di simile in Russia. Il secondo e' mettere la NATO in una posizione favorevole nel caso scoppi una guerra tra la Russia e l'occidente.
In un'epoca di armi nucleari, perseguire il secondo scopo e' forse ancor piu' pericoloso di quanto non lo fosse negli anni della guerra fredda, perche' ora ci sono vari paesi dotati di armi nucleari che potenzialmente sarebbero schierati contro la NATO. L'argomento che la NATO va allargata verso est per assicurare all'occidente un vantaggio in caso di guerra nucleare non e' molto convincente e certo, se fosse esplicitato, non suonerebbe convincente per i paesi centroeuropei che sarebbero le piu' probabili vittime nelle prime fasi di tale guerra. La loro situazione somiglierebbe a quella della Germania nella guerra fredda, come ben comincio' a comprendere il movimento per la pace tedesco negli anni '80.
L'obiettivo principale dell'allargamento della NATO, come viene quasi universalmente riconosciuto, e' garantire che i cambiamenti introdotti in Russia negli ultimi cinque anni non vengano rimessi in discussione. Cio' porrebbe termine al sogno di un'Europa a tre stadi, unita sotto le insegne del capitalismo, e chiuderebbe i nuovi vasti spazi apertisi alle iniziative del capitale occidentale. La presenza della NATO nell'Europa centro-orientale non e' altro che un modo per esercitare una maggiore pressione su chi volesse tentare di cambiare la situazione attuale in Russia.
Come abbiamo visto, pero', cio' significa bloccare la Russia e gli altri paesi della CSI in una situazione di sottosviluppo e di crisi economica e sociale permanente, in cui milioni di persone sono condannati a terribili privazioni senza che ci sia alcuna possibilita' per la societa' di cercare una via di sviluppo economico e sociale in cui le priorita' economiche siano dettate dai bisogni dell'uomo.
L'amara ironia della situazione sta nel fatto che i paesi occidentali offrono il loro modello di organizzazione economica per risolvere il problema della Russia. Chi analizza la situazione con realismo si rende pero' perfettamente conto che il punto e' un altro. Il loro unico interesse e' l'ulteriore estensione del dominio occidentale verso est e se propongono la loro esperienza come modello per altri e' solo per ingannarli. L'idea della "transizione alla democrazia", come spesso viene chiamata l'instaurazione di regole di mercato, ha la sua importanza pero' nella battaglia mondiale per guadagnare l'opinione pubblica ed e' servita a giustificare e sostenere le politiche che l'occidente ha iniziato a perseguire verso i paesi della CSI.
I paesi occidentali sono pero' preda essi stessi di una crisi economica che non riescono a padroneggiare. A incominciare dai primi anni '70 i profitti sono caduti, la produzione ha incominciato a vacillare, la disoccupazione di lungo periodo ha iniziato a crescere, i livelli di vita hanno incominciato a scendere. Ci sono stati naturalmente gli alti e bassi del ciclo economico, ma la cosa importante e' la tendenza di fondo. E la tendenza nella crescita del PIL nei maggiori paesi industrializzati e' stata negativa a partire dalla grande recessione del 1973 - 1975. Negli Stati Uniti per esempio il tasso di crescita e' caduto da circa 4% all'anno negli anni '50 e '60 a 2,9% negli anni '70, fino a 2,4% circa negli anni '80 e le proiezioni attuali di crescita sono ancora piu' basse.
Ne' la situazione e' stata assai diversa in alttri paesi occidentali, in cui il ritmo di crescita e' stato si' un po' piu' rapido, mala disoccupazione e' stata parecchio piu' alta. I tassi attuali di disoccupazione nell'Europa occidentale sono in media dell'11%, e le statistiche nascondono in parte la disoccupazione a causa dei vari piani governativi di pseudolavori.
Tanto l'Europa occidentale quanto il Nordamerica hanno conosciuto una prolungata stagnazione economica, e le economie capitalistiche non possono sostenere l'occupazione e i livelli di vita se non in presenza di una crescita relativamente rapida. Nei 25 anni che seguirono la seconda guerra mondiale, la maggior parte dei paesi occidentali conobbe una crescita rapida, dell'ordine del 4 e 5% all'anno. Fu quella crescita che rese possibile il mantenimento di alti livelli di occupazione, la crescita dei salari e il miglioramento del tenore di vita. Larghi strati delle classi lavoratrici ebbero la possibilita' di raggiungere livelli di vita dignitosi, mentre le classi medie e alte conobbero un periodo di prosperita' e raggiunsero spesso livelli di vita che si possono senz'altro considerare di lusso.
Adesso pero' quel periodo e' chiaramente tramontato. La grande "rivoluzione capitalisa" strombazzata dai Rockefeller non esiste piu'. Il "capitalismo dal volto umano" non esiste piu'. La crescita sempre piu' contenuta ci ha ripiombati nel "capitalismo selvaggio" e ha innescato una crisi economica e sociale in tutti i paesi occidentali, mettendo in forse tutte le conquiste del periodo postbellico. In Europa sono gia' 15 anni che lo stato sociale subisce l'attacco di chi vorrebbe spostare il peso della crisi sulle spalle dei meno fortunati. Negli Stati Uniti una "rete sociale" di protezione dei poveri relativamente modesta viene fatta a pezzi dai difensori aggressivi e gretti degli interessi dei proprietari, decisi a far si' che l'impatto della crisi di stagnazione del sistema vada a colpire quelli che meno sono attrezzati a sostenerlo.
L'occidente dunque e' esso stesso in preda a una crisi. E non e' una crisi transeunte o un "ciclo lungo", come direbbero gli apologeti accademici, ma una crisi di sistema. Il sistema di mercato non puo' piu' assicurare neanche una parvenza di prosperita'. I mercati che avevano trainato l'economia capitalista nel dopoguerra - automobili, beni di consumo durevole, costruzioni, ecc. - sono tutti saturi, come dimostrano sfilze di statistiche governative in tutti i paesi. Il sistema non ha trovato nuovi mercati che possano creare una ondata di prosperita' di quellivello. Inoltre l'accelerazione del progresso tecnico negli ultimi anni ha incominciato a eliminare dappertutto posti di lavoro a un ritmo stupefacente. Non c'e' nessuna possibilita' di compensare questo effetto creando nuova occupazione in quantita' sufficiente e a livelli alti di salario.
Da un certo punto di vista coloro che dirigono i governi e le economie occidentali sono perfettamente consapevoli della situazione. Conoscono le statistiche; sanno quali sono i problemi. Ma non sono in grado di capire che il problema sta nell'attuale sistema capitalista che, dopo aver raggiunto altissimi livelli di produzione, reddito e ricchezza, non ha piu' sbocchi. Soluzioni di compromesso beninteso si potrebbero trovare, ma i leaders occidentali non sono disposti a fare le concessioni politiche che esse richiederebbero. In particolare, le grandi concentrazioni di capitale dei paesi occidentali sono guidate da persone costituzionalmente incapaci di capire che c'e' un vizio di fondo nel sistema. Sarebbe come chiedere loro di consentire a una diminuzione del loro potere.
Per questo gli uomini che dirigono governi e industrie continuano ad andare avanti alla cieca, indisponibili ad accettare politiche che potrebbero avviare l'attuale sistema sulla via di una transizione a modi piu' razionali e umani di organizzare la vita economica. E' questa cecita', basata su confusione e paura, che ha offuscato la capacita' dei leaders occidentali di inquadrare con chiarezza i rischi dell'allargamento della NATO nell'Europa orientale. Il sistema occidentale sta vivendo una profonda crisi economica, sociale e politica, e i leaders dell'occidente, a quanto pare, vedono nello sfruttamento dell'est il solo grande progetto a portata di mano per poter stimolare la crescita, specie nell'Europa occidentale.
Per questo sono pronti ad affrontare grossi rischi. Il problema e' se il mondo sara' disposto ad affrontare i rischi di conflitto est - ovest e di guerra nucleare per congelare per sempre in una regione del globo un tipo di relazioni economiche che stanno gia' crollando altrove.
Sean Gervasi[tratto dal sito Internet della Fondazione Pasti]