Da "Il manifesto" del 13 Settembre 1998

BALCANI

Anche Tudjman soffia sul fuoco di Pristina

- GIACOMO SCOTTI - RIJEKA (FIUME)

L a notizia che lo spalatino Muhamed Jusufi, cittadino croato di etnia albanese, è stato arrestato ad Ancona mentre era alla guida dell'autocarro che trasportava un centinaio di armi automatiche e di munizioni destinate alla guerriglia nel Kosovo, non ha sorpreso quanti vanno dicendo da mesi che la Croazia è il canale attraverso il quale vengono alimentati più o meno tutti i focolai di guerra nei Balcani. Sull'argomento il quotidiano "Novi List" di Fiume ha pubblicato un lungo commento del suo redattore Drazen Vukov Colic. Chiudendo gli occhi su questo traffico di armi, e sulla raccolta in Croazia di fondi che vanno a finanziare l'acquisto di armi per la guerra nel Kosovo, il regime in Croazia alimenta indirettamente una guerra che ha per obiettivo la frantumazione di due-tre stati sovrani vicini o confinanti, dice in soldoni il commentatore dall'autorevole giornale indipendente. Tollerando e sostenendo il terrorismo balcanico, Zagabria dà fondamento alle accuse dei molti che, a Belgrado, dicono e scrivono che "la Croazia appoggia la rivolta nel Kosovo con uomini, denaro, armi ed esperienza". Nella stessa Croazia c'è chi apertamente dice le stesse cose: "Zagabria sostiene fortemente la secessione del Kosovo". Si inserisce in questo scenario, aggiunge il "Novi List", "la storia del generale croato importato che guida la guerra kosovara".

Il giornale non manca di denunciare - nel contesto - la politica serbo-milosceviciana della terra bruciata e dello sterminio nel Kosovo (400 villaggi e 14.000 case distrutte col fuoco, 382.000 profughi) che ha portato a una catastrofe umanitaria. Dà pure rilievo alle manovre sotterranee di certi circoli fondamentalisti islamici che, inviando propri agenti nel Kosovo e in Albania attraverso la Bosnia, cercano di versare altra benzina sul fuoco che divampa in quella regione, "sperando che dal Kosovo le fiamme si estendano nuovamente in Bosnia" e permettendo ai leader della destra nazionalista guerrafondaia di Belgrado e Zagabria di procedere a una nuova spartizione della torta ex yugoslava: il Kosovo all'Albania, la Repubblica serba di Bosnia alla Serbia, il rimanente territorio bosniaco a uno staterello islamico e alla Croazia.

La denuncia di questa idea di spartizione viene dal politologo e scrittore croato Ivo Banac, oppositore di Tudjman costretto a rifugiarsi negli Stati Uniti, il quale asserisce che Tudjman e Milosevic continuano a rispettare gli accordi segreti stipulati nel 1991 a Karadjordjevo per la divisione della Bosnia, "nella quale va costantemente aumentando - precisa il giornale fiumano - il numero dei mercenari islamici stranieri". Pertanto, di fronte a questo scenario - scrive "Nl" - il fermo ad Ancona del camion targato Spalato carico di armi destinati al Kosovo, "scopre la punta di un grande iceberg". Una montagna sottomarina che è un inestricabile groviglio militare, politico e diplomatico, per cui è difficile orientarsi fra "buoni" e "cattivi", fra vittime e criminali, fra combattenti per la libertà e oppressori.

Dei carnefici mandati da Milosevic e Seselj nel Kosovo non è certo possibile parlare bene, ma anche gli insorti kosovari non suscitano eccessive simpatie quando chiedono la creazione di una "Grande Albania", di uno stato "panillirico" minacciando l'indipendenza del Montenegro, della Serbia, della Macedonia e della Grecia, ovvero lo sgretolamento di questi paesi. Non fa certo piacere che Adem Demaqi, l'avversario del pacifista Rugova, respinga persino un'ampia autonomia del Kosovo per scegliere la via della "guerriglia nei villaggi e nelle città, in ogni luogo e in ogni tempo", per "risolvere una volta per sempre e interamente la questione albanese" nei Balcani. Seguendo questa linea radicale, gli albanesi del Kosovo, della Macedonia, del Montenegro e di altri territori fuori della Repubblica che ha per capitale Tirana, farebbero la fine dei Kurdi in Turchia o degli insorti della Cecenia, o della "Vera Ira" in Irlanda, dopo aver scelto la via delle stragi. Per quanto riguarda la Croazia, concordiamo con il commentatore del "Nl", il quale - dopo essersi chiesto se la polizia di Tudjman ignorava l'esistenza del canale delle armi, oppure "essa stessa ha lasciato passare quella merce che ha fatto finta di non vedere" - conclude ammonendo il regime zagabrese: "Oggi si tratta di una guerra altrui, ma la prossima volta potrebbe trattarsi dell'importazione di bombe altrui (in Croazia)".