(5/12/1997) Alla vigilia delle elezioni presidenziali in Serbia giriamo agli iscritti alla nostra mailing list un ulteriore, eccezionale contributo sulla situazione in quella repubblica, reperito sul sito EST (http://www.ecn.org/est/balcani/jugo/jugo04.htm). Rispetto al contenuto dell'articolo, ci limitiamo ad osservare che tra la "borghesia bianca" e la "borghesia rossa" a cui esso fa riferimento esiste una differenza sostanziale: mentre gli appartenenti alla prima sono (o furono, prima della seconda Guerra mondiale, o vorrebbero essere, dopo una loro eventuale prossima presa del potere) effettivamente detentori della proprieta', gli appartenenti alla seconda non lo sono (sui tratta degli amministratori delle imprese pubbliche, statali o sociali-autogestite). Cio' non toglie che anche la "borghesia rossa" sia "borghesia" in senso sociologico e comportamentale, e che ad essa, come alla "bianca", sia da imputare lo sfascio attuale e passato del paese. Per riassumere il quadretto con un accostamento italiano, potremmo paragonare Milosevic a Craxi, per la politica socialdemocratica e dirigista e per la clientela elettorale fatta soprattutto di impiegati, lavoratori e dirigenti statali e parastatali. -- LA PRIVATIZZAZIONE DELLA POLITICA IN SERBIA di DIANA JOHNSTONE "Nazionalista" èe' l'epiteto preferito, ma in realta'à la posta in gioco èe' il mercato [Segnaliamo che l'articolo e'è stato pubblicato alcuni mesi fa e piu'ù precisamente nel marzo '97 - n.d.t.] Belgrado - Nell'interessarsi tardivamente alla democrazia serba durante le dimostrazioni di protesta dello scorso inverno, i media occidentali sono riusciti a lasciare largamente intatti i loro stereotipi, insistendo sul presupposto che l'approccio piu'ù appropriato, quando si tratta di Serbia, èe' quello di sottoporla a un esame per il suo "nazionalismo" con una severita'à alla quale ben pochi altri paesi sulla faccia della terra sono stati sottoposti. Ogni giorno della settimana, molto piùu' "nazionalismo" viene esibito negli Stati Uniti, per non parlare della Gran Bretagna, della Francia, della Turchia ecc., che nella piccola Serbia con i suoi 8 milioni di abitanti, assillati da pressanti problemi. Ma naturalmente, poiche'é e'è stato stabilito dal consenso dei media nella grande innocente entitàa' chiamata "comunitàa' internazionale" - per definizione libera dai peccati del nazionalismo - che la Serbia deve essere il prototipo di un nazionalismo pericolosamente aggressivo nel corso del ventesimo secolo, e'è obbligatorio adeguarsi a degli standard speciali. A un primo sguardo, Belgrado non sembra essere all'altezza della sua reputazione di centro del nazionalismo estremo. Le bandiere serbe sono raramente esposte, anche negli edifici pubblici. Durante le dimostrazioni di protesta degli studenti, sono state preferite le bandiere dell'Unione Europea, degli Stati Uniti e perfino della Germania. Nonostante i piu'ù di 600.000 rifugiati dalla Croazia e dalla Bosnia-Erzegovina, quattro anni di sanzioni economiche senza precedenti e un'inflazione galoppante che nel 1993 ha raggiunto livelli peggiori della leggendaria inflazione della Repubblica di Weimar, che ha portato all'ascesa al potere di Hitler, la cittàa' non risulta assolutamente depressa e trascurata. La gente èe' sorprendentemente tranquilla, sicura e decisa. Ci sono pochi mendicanti. Il trasporto pubblico e il cibo sono abbondanti. I giornali e le riviste dell'opposizione sono esposti a ogni angolo della strada e vendono come torte appena sfornate. Il tabloid Blitz, di proprietàa' tedesca, èe' il quotidiano piu'ù diffuso del paese. La ricerca obbligatoria del nazionalismo serbo puo'ò per fortuna contare su una fonte sicura: le accuse rivolte agli opponenti politici dai serbi che danno interviste ai media occidentali. Chiamare il proprio avversario politico "nazionalista" e'è sicuramente il modo piùu' sicuro per essere presi sul serio da un giornalista straniero. Altrimenti, il nazionalismo non e'è esattamente quello a cui pensano i belgradesi. Tutti concordano che il principale problema politico e'è quello dell'economia. E tutti concordano sulla necessitàa' delle privatizzazioni. La domanda non e'è se, ma come - e per opera di chi. E' questo il problema centrale in tutti i paesi in transizione dal socialismo di stato al capitalismo. In tutta l'Europa Orientale, la "rivoluzione" contro il sistema comunista èe' avvenuta dall'alto in basso, guidata dai leader di partito e dai manager che vedevano migliori opportunita'à di perpetuare e migliorare i loro vantaggi abbandonando il sistema di comando centralizzato. Ma la Jugoslavia aveva giàa' un'economia sintonizzata sul mercato e un'istituzione del tutto speciale: il "socialismo autogestito". Questo, e le sanzioni economiche, hanno reso il problema delle privatizzazioni piu'ù scottante nella Jugoslavia post-disintegrazione (Serbia e Montenegro) che altrove. La Jugoslavia di Tito aveva stabilito tre categorie di proprietàa' economica: privata, statale e sociale. Il punto nuovo era il terzo, il settore "sociale", affidato all'"autogestione". Qui, i dirigenti venivano eletti dai dipendenti, i cui interessi dovevano essere presi in considerazione, cosìi' come i fattori di mercato, in misura maggiore di qualsiasi altro paese socialista. Questo settore sociale include ancora le principali fabbriche, come l'acciaieria di Smederevo, l'industria elettrica di Nis e l'area politicamente piu'ù delicata: quella delle telecomunicazioni, che include il servizio postale e la televisione.[NOTA: in realta' la privatizzazione delle poste e telecomunicazioni serbe e' gia' stata avviata la scorsa primavera] Un errore fatale del socialismo autogestito e'è consistito nel fatto che, senza il controllo democratico delle principali decisioni di investimento, la tendenza e'è stata quella di incentivare gli interessi egoistici locali delle aziende. E in effetti, la natura centrifuga del sistema autogestito ha contribuito alla catastrofica disintegrazione finale della Jugoslavia. Il debito estero, e le conseguenti misure di "aggiustamento strutturale" imposte dal FMI negli anni '80, hanno spinto l'economia jugoslava verso la privatizzazione. Ideologicamente, la privatizzazione èe' stata giustificata in tutta l'Europa Orientale in nome della teoria della "societa'à civile", che ha avuto una fioritura nella sinistra libertaria occidentale prima del crollo del comunismo. L'espressione economica ideale della societàa' civile, dal punto di vista della sinistra, non era un tempo il capitalismo senza limiti, ma piuttosto "l'autogestione dei lavoratori", uno dei concetti favoriti della sinistra europea occidentale, fino a non molto tempo fa. Teoricamente, era proprio quello che aveva la Jugoslavia. "Insegnavo ai lavoratori le virtu'ù del socialismo autogestito e le illustravo agli amici occidentali di sinistra che venivano qui ammirati", ricorda Anna storcendo il naso. "Ora me ne vergogno. Forse poteva funzionare in Svezia, ma non altrove e di sicuro non qui. I lavoratori non erano interessati a gestire niente. Non dovevano assumersi responsabilita'à. Venivano pagati regolarmente - non necessariamente molto, ma almeno lavoravano meno. C'e'è un detto, da noi, che suona cosi'ì: 'Non riuscirete mai a pagarmi cosi'ì poco come lavoro'". Le persone istruite cercano perlopiu'ù di avere un posto in una impresa privata, ma non vedono come. Le sanzioni e l'inflazione hanno prosciugato i risparmi e ridotto i salari e le pensioni alla mera sussistenza. Il figlio di Anna, dopo avere preso parte alle proteste studentesche del 1991 e del 1992, si trova a New York dopo avere ottenuto la sua "carta verde"; altri circa 200.000 giovani hanno lasciato la Serbia per evitare di combattere una guerra civile alla quale si opponevano - una percentuale molto piùu' alta dei giovani in etàa' di leva americani che sono emigrati in Canada per non combattere in Vietnam. Anna stessa, un'economista in pensione, ha lavorato brevemente come cuoca a Miami ed èe' alla ricerca di un'altra opportunitàa' simile. La Costituzione del 1992 protegge il terzo settore, stabilendo che deve essere "trattato in maniera uguale" agli altri tipi di proprieta'à. La coalizione al governo, composta dal Partito Socialista Serbo (SPS) del presidente Milosevic e dal suo partner minore, la Sinistra Unita Jugoslava (JUL), afferma che cio'ò significa che un'impresa di proprietàa' sociale non dovrebbe essere venduta ai fini della privatizzazione di per se stessa, ma solo nel caso in cui non vada bene e la privatizzazione ne potrebbe migliorare le prestazioni. Indicano come esempio imprese a proprieta'à sociale che secondo loro vanno bene. Gli esponenti dell'opposizione sostengono che si tratta di un pretesto per proteggere i dirigenti delle imprese a proprietàa' sociale, che sono la vera base di potere di Milosevic. E' per questo che non le puòo' privatizzare, indipendentemente da quello che dice o che vuole. "Si tratta essenzialmente di una lotta di potere per la proprietàa' tra la borghesia 'rossa' e la borghesia 'bianca'", sono le parole con cui la sociologa Vera Vratusa mi ha spiegato la situazione. "Il partito di sinistra JUL e'è il cuore della borghesia 'rossa'. L'attuale legge in vigore sulle privatizzazioni da'à agli amministratori delegati il potere di adottare decisioni chiave in merito alla privatizzazione. La grande maggioranza di essi erano membri del SPS, prima delle ultime elezioni municipali di novembre, oggetto delle contestazioni. Ora che e' stata adottata una legge speciale che riconosce le vittorie dell'opposizione nelle maggiori citta'à, in seguito alle lunghe settimane delle dimostrazioni di protesta, i dirigenti vengono sostituiti con membri della coalizione di opposizione Zajedno nelle citta'à in cui ha assunto il potere. Ora utilizzeranno le leggi adottate dal SPS per la propria clientela e per mettere le mani sulla ex-proprieta'à sociale". Il governo di Milosevic aveva gia'à adottato un programma di privatizzazioni nel 1991-1992. Quasi il 40 per cento delle proprieta'à pubbliche èe' stato venduto, ma il programma e'è stato sospeso in seguito alle sanzioni e alla comparsa di un'inflazione galoppante. I dipendenti avevano comprato azioni con uno sconto enorme e con pagamento dilazionato, sistema che, con l'arrivo dell'iperinflazione, ha significato che non hanno pagato praticamente nulla. La gente ha ritenuto che cio'ò non fosse corretto e quindi la vendita èe' stata sospesa e e' drasticamente cambiata nel 1994 con una nuova legge che prevedeva la rivalutazione di tutte le proprieta'à e delle azioni, tenendo conto dell'inflazione. Nel 1994, il noto economista Dragoslav Avramovic, successivamente candidato del Partito Democratico all'opposizione [poi dimessosi - n.d.t.], ha preso il posto di presidente della Banca Centrale fermando l'inflazione, legando il nuovo dinaro al marco tedesco (vale a dire che non poteva essere emessa piu'ù valuta di quella coperta dalle riserve in marchi tedeschi). Il Partito Democratico chiede una rapida privatizzazione di tutte le imprese di piccole e medie dimensioni. "Dato che nel paese non esiste un capitale, il metodo principale deve essere quello dei voucher", afferma il principale economista del partito, Miroljub Labus. Un'impresa di proprieta'à sociale verrebbe in tal modo privatizzata distribuendone le azioni in forma di vouchers, tra i cittadini serbi. In parte essi andrebbero ai dipendenti, in parte ai fondi pensionistici; una terza parte verrebbe offerta, e accettata se desiderata, come "conversione del debito" ai titolari di depositi congelati (che secondo le stime dovrebbero ammontare a una cifra compresa tra $4 e $5 miliardi), ai quali il sistema bancario - distrutto dalle sanzioni e dall'inflazione - non èe' in grado di fare fronte. Una quarta e ultima parte dei beni nazionali verrebbe distribuita agli altri cittadini. E in tutto questo, come si inseriscono i lavoratori? Questa vendita di proprieta'à statali verràa' utilizzata almeno in parte per fornire un ammortizzatore sociale destinato ai dipendenti che perdono il posto di lavoro con la privatizzazione? Assolutamente no. "Non ci sono soldi per un ammortizzatore sociale,", afferma Labus. Comunque, "a causa delle sanzioni, le nostre aziende inefficienti sono giàa' in stato fallimentare. Le sanzioni hanno introdotto un aggiustamento strutturale forzato, ottenendo lo stesso risultato che hanno ottenuto le privatizzazioni all'Est". Il governo ha smesso di pagare i sussidi alle ditte che per continuare ne avevano necessitàa'. Durante l'embargo economico, i licenziamenti erano proibiti. Ma il giugno scorso, con le sanzioni parzialmente cancellate, la maggioranza di sinistra in Parlamento ha adottato una "legge sui rapporti di lavoro", che dàa' praticamente ogni potere ai dirigenti e ai proprietari. E' ora diffusa la paura che nel momento in cui le imprese diventeranno private, i dirigenti licenzieranno la manodopera in eccedenza. Nei prossimi mesi, in virtùu' di questa legge, potrebbero essere cancellati fino a 400.000 posti di lavoro. Ciòo' lascia pensare che lavoratori i quali in precedenza avevano votato per Milosevic a causa della paura di perdere i loro posti di lavoro, potrebbero diventare un fattore imprevedibile nelle elezioni presidenziali di quest'anno. L'elemento centrale della privatizzazione, dice Labus, deve essere semplicemente quello di "creare un quadro legale per le imprese. Il problema èe' quello della corruzione che si sviluppa attraverso gli stretti contatti tra il governo e le imprese. Il commercio estero, in particolare, offre delle grandi opportunitàa' per la corruzione, dato che e'è il governo ad assegnare le licenze di esportazione. Dobbiamo rompere il nesso tra lo stato e il commercio. Quello che importa e' il controllo, chi gestisce le imprese e l'influenza esercitata dal partito di governo. Dato che le aziende di proprieta'à sociale sono la vera base del potere del SPS, si tratta di un problema politicamente molto delicato". Con le sue priorita'à, la piattaforma del Partito Democratico costituisce chiaramente un programma "borghese", adatto a un partito di centro-destra che va fiero dei suoi contatti internazionali con i partiti conservatori al potere in Germania, Gran Bretagna e Francia, con Forza Italia in Italia, con il Partito Democratico negli Stati Uniti. Zoran Djindjic, l'attuale leader del Partito Democratico Serbo e il nuovo sindaco di Belgrado [ora non piu', dopo essere stato sfiduciato dai suoi stessi alleati, n.d.crj], ha utilizzato il tedesco che ha perfezionato studiando teoria della "societàa' civile" presso il filosofo Jurgen Habermas, per cercare di ottenere supporto dal governo conservatore di Bonn. "Riteniamo che la gente accogliera'à con favore il metodo dei voucher", dice Labus. "E' questa la questione politica essenziale: la gente deve considerare il metodo corretto". Potrebbe essere mai questo il nucleo internazionalmente inaccettabile del "nazionalismo" dell'opposizione serba? A quanto pare nessuno, nell'ambito della politica serba, ha dichiarato apertamente la necessitàa' di svendere l'economia al piu'ù basso offerente estero. Tutti sembrano essere piu'ù preoccupati dalla prospettiva di una rivolta popolare di fronte a misure considerate ingiuste. Le dimostrazioni dell'inverno scorso hanno acceso una prudente speranza, a Belgrado, che la Serbia possa riconquistarsi l'accesso all'Europa e all'Occidente. Ma forse la "comunita' internazionale" sa qualcosa che i serbi non sanno. Il 12 gennaio, la Reuters scriveva da Sarajevo che l'alto rappresentante internazionale in Bosnia, cioè l'ex-primo ministro svedese Carl Bildt, ha dichiarato che la Serbia "si trova sull'orlo del disastro finanziario", e il funzionario del Tesoro americano David Lipton, ha messo in guardia i serbi di Bosnia dal non seguire la Serbia "nel suo tragitto verso il basso lungo la valle dell'economia - una valle di disperazione e isolamento". Dal momento del crollo del comunismo i paesaggi politici hanno cominciato a essere confusi. La destra estrema e'è abbastanza facile da identificare: si tratta del Partito Radicale Serbo (SRS) di Vojislav Seselj. Per provarlo, basta citare il fatto che Jean-Marie Le Pen, il leader del Fronte Nazionale Francese, èe' stato recentemente ospite di Seselj a Zemun, la roccaforte del SRS appena fuori da Belgrado in direzione nord-ovest. La Forza del Fronte Nazionale in Francia èe' maggiore di quella del SRP in Serbia. Le Pen ha lodato la comunitàa' di valori che unisce i nazionalisti di tutti i paesi, una nozione bizzarra se si considerano le devastazioni che i nazionalisti serbi e croati hanno cosìi' di recente scatenato gli uni contro gli altri nella vicina Croazia. Ma ha il suo grano di veritàa': i nazionalisti si rafforzano a vicenda. In questo, Le Pen, i cui seguaci hanno tradizionalmente dato la preferenza alla destra estrema croata, antiserba, non sono meno coerenti di altre, piu'ù rispettabili, forze politiche europee, il cui antinazionalismo si è mostrato estremamente selettivo. Che piaccia o meno, la sinistra serba ora consiste del SPS al governo e della JUL, il suo piccolo "think tank" - una coalizione di partiti di sinistra guidata dalla moglie di Milosevic, Mirjana Markovic. La JUL si dichiara antinazionalista e si vanta di avere staccato Milosevic dalla destra estrema, di cui aveva avuto bisogno per la precedente maggioranza parlamentare, consentendogli di firmare gli accordi di Dayton. "L'Occidente non capisce che Milosevic doveva fare un accordo con i nazionalisti per prevenire la guerra civile tra serbi", afferma il portavoce internazionale della JUL, prof. Vladimir Stambuk. "Nei fatti, non èe' mai stato a favore di una "Grande Serbia". La prova e' èche in una Serbia ampliata perderebbe il potere, perche'é la maggior parte dei serbi della Bosnia-Erzegovina sono cetnici - voterebbero per Karadzic". Stambuk e'è rimasto meravigliato dal fatto che sofisticati esperti occidentali siano stati incapaci di individuare questo punto di vista di Milosevic, nonostante appaia ovvio a molti, a Belgrado. La storia balcanica e'è un campo minato di conflitti che non sono assolutamente tutti "etnici". Il conflitto del 1941-1945 tra i cetnici filomonarchici, guidati dal gen. Draza Mihajlovic - il primo movimento di resistenza armata contro i tedeschi nazisti in Europa - e i partigiani comunisti ha lasciato delle divisioni tra i serbi, che alcuni temono possano portare a una guerra civile in Serbia. Nel 1946, dopo il trionfo di Tito, Mihailovic è stato giustiziato come traditore. Allo scopo, ufficialmente, di promuovere "la fratellanza e l'unitàa'" tra i serbi e i croati, agli scolari jugoslavi èe' stato insegnato di considerare come uguali i cetnici con gli ustascia fascisti croati sostenuti dai nazisti, che hanno perseguito una spietata pulizia etnica dei serbi in Croazia e in Bosnia-Erzegovina, seguendo la formula: "Ucciderne un terzo, convertirne un terzo, espellerne un terzo". Il professor Stambuk, il quale rispete insistentemente di essere uno "jugoslavo e non un serbo", rappresenta chiaramente la parte partigiana, che secondo lui continua la tradizione della dinastia Obrenovic, che ha regnato in Serbia nel diciannovesimo secolo, pronta a fare concessioni agli imperi ostili, cioèe' a quello ottomano o a quello absburgico, al fine di preservare l'interesse nazionale. Milosevic vuole conciliare l'Occidente, sottolinea. Ma, a quanto sembra, praticamente è quello che vogliono tutti, in Serbia. [...] Durante le dimostrazioni di protesta, il "supporto" dato dall'Occidente [all'opposizione] èe' sembrato prendere la forma di rinnovate minacce di isolare la Serbia e di rovinarne l'economia in maniera piu'ù decisa. Dopo Dayton, c'èe' stata l'impressione, in Serbia, che l'occidente appoggi Milosevic. Le cose sono cambiate, e oggi l'opposizione spera che gli Stati Uniti e l'Europa mostrino maggiore comprensione per gli interessi essenziali di una futura Serbia di "centro-destra", piuttosto che per quella marchiata come "comunista". Il fascino discreto della borghesia - funzionera'à? Diana Johnstone, ex-redattore europeo di In These Times, èe' stata addetto stampa dei Verdi nel Parlamento Europeo dal 1990 al 1996. [da: "The Nation", 24 marzo 1997]