Intervista a Piero Vivarelli
Piero Vivarelli ex appartenente alla Decima Mas, credo che questa intervista
sia un contributo per capire meglio quali furono le motivazioni che
spinsero molti ad aderire a questo corpo.
Motivazioni ben diverse da quelle che vengono addotte oggi da chi vorrebbe
piegare la buona fede di sedicenni pieni di entusiasmo allo scopo di
legittimare la propria fazione politica.
intervista a cura di Claudio Montresor
D: Recentemente hai fatto un film sulla Decima Flottiglia Mas, che è uscito
sul primo canale della RAI a fine gennaio (ora è stato pubblicato dalla
collana storica dell'Istituto Luce accompagnato da un fascicolo
introduttivo - ndc). Questa esperienza tu l'hai condivisa. Quando e perché ti
schierasti con Borghese e cosa ti spinse a farlo?
R: Mi spinse un senso di ribrezzo per quello che era successo l'otto
settembre. Senso di ribrezzo che ho tuttora. Anche per ciò che vidi il
venticinque luglio (ero un ragazzino, avevo sedici anni); perché
storicamente è un dato di fatto che il fascismo non è mai stato abbattuto,
ma si è suicidato, fortunatamente aggiungo. Per come poi si arrivò all'otto
settembre, mettendo la gente in condizioni incredibili, sia che uno la
pensasse in un modo, oppure in un altro. Centinaia di migliaia di soldati
italiani furono mandati allo sbaraglio. Questo lo consideravo assolutamente
inaccettabile. Per me fu anche un colpo al mio orgoglio personale. Così
scappai di casa e risolsi il problema. Ancora oggi lo rifarei; anche perché
noi, all'epoca, non sapevamo tutto quello che si è saputo dopo. E' chiaro
che, se avessi avuto una minima idea dell'esistenza dei campi di sterminio,
non ci sarebbe stato discorso. Però abbiamo avuto una serie di maestri che,
anche sulle riviste chiamiamole "di fronda", non è che ci abbiano mai
illuminato molto. Giorgio Bocca scriveva sul giornale della federazione
fascista di Cuneo e fino a pochi mesi prima un ragazzo che, come me, leggeva
i suoi articoli, si infiammava di amor patrio. Adesso io non accetto giudizi
da loro. Li accetto solo da chi ha combattuto la guerra di Spagna, quindi in
primo luogo dai comunisti e poi dagli altri che fecero quella scelta. La
scelta ideologica andava fatta allora. Per chi scelse dopo, beh... Come
disse Longanesi: "Gli italiani sono campioni nel salto sul carro del
vincitore." Saranno stati in buona fede, non discuto, ma comunque non hanno
il diritto di giudicarmi, non hanno il diritto di dirmi nulla.
D: Avevi sedici anni. Che cosa facevi? Studiavi? Lavoravi?
R: ... facevo il liceo...
D: Qual era l'atmosfera dopo l'armistizio e l'otto settembre? Come lo
ricordi tu, come ragazzo di quegli anni?
R: Io mi ricordo che l'otto settembre ero andato al cinema. Ci andavo
sempre, sono sempre stato un cinefilo. Fino a sette anni volevo fare
l'ufficiale di marina. A sette anni mi innamorai di Shirley Temple,
"riccioli d'oro", della quale sono ancora innamorato. A volte mia moglie
sente dire: "Buonanotte amore mio, ti amo tanto!" - e crede che dica a lei,
invece parlo a Shirley Temple, di cui ho la foto in cima al letto. Decisi
così che, se volevo avere Shirley Temple, dovevo fare il cinema. Anche il
pomeriggio dell'otto settembre ero andato al cinema. Quando sono uscito ho
trovato la città in festa, da un'ora all'altra; i soldati che venivano
abbracciati. "La guerra è finita! La guerra è finita!" Io, pure avendo
sedici anni, pensai: "Questi sono scemi. Quando è finita? Come può essere
finita? E' tecnicamente impossibile che sia finita." Fino a quel momento
l'alleato era stato il tedesco di cui, ripeto, non sapevamo nulla, perché né
Giorgio Bocca, né Ingrao, né Jaime Pintor ci raccontavano alcunché. Jaime
Pintor, in quel periodo, partecipava ai congressi della gioventù, anche in
Germania, come gufino, cioé come iscritto ai Gruppi Universitari Fascisti.
Successivamente anche lui ebbe lo shock, in un altro modo rispetto a me e
tentò di passare il fronte. Io invece decisi di non farlo, anche se poi lo
passai comunque per compiere azioni di sabotaggio oltre le linee. Proprio
per questo alla fine della guerra sono stato arrestato, dopo circa un anno
di latitanza, dagli Alleati.
D: Quanto tempo sei rimasto in prigione?
R: Circa un anno. La cosa buffa fu che, in prigione leggevo L'Unità, Il
Politecnico e tutti questi "politici" mi guardavano come se fossi un matto.
Per me fu molto dura quando, con l'amnistia Togliatti (anche se come scelta
politica l'apprezzai molto), tutti uscirono; mentre io, che non avevo nulla
a che fare con le autorità italiane ed ero a disposizione degli Alleati,
rimasi in galera assieme ai soli già condannati. Avevo diciotto anni e
quello fu un momento abbastanza spiacevole.
D: Volevo sapere quali erano i rapporti, quelli che tu direttamente ricordi,
tra Decima, Comando Tedesco e repubblichini. Avevate un'autonomia di
carattere logistico? Come vi procuravate le armi?
R: L'autonomia era totale. Totale fino al punto che, il 14 gennaio 1944, il
comandante Borghese (questo lo racconto nel film sulla Decima) venne
invitato a conferire con Mussolini, a Villa Feltrinelli a Garniano, sul lago
di Garda. Nell'anticamera un ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana
gli disse di togliersi la pistola e lui che era sempre stato un grande
soldato, forse uno dei più grandi di tutti i tempi, ma politicamente era una
merda e anche uno stupido, la consegnò. A quel punto gli dissero che era in
arresto. Per sua fortuna, il comandante Borboni, suo aiutante di bandiera,
si era fermato nell'ingresso e vide la scena. Non mi ricordo se in
motocicletta o come, corse a La Spezia, dove c'era il comando della Decima e
successe il finimondo. Il Comando della Marina, che poi venne cambiato,
aveva mandato lì due ufficiali per assumere il comando della Decima, ma il
comandante dei nuotatori e paracadutisti Buttazzoni, li arrestò e poi li
andò a consegnare alla Guardia Nazionale Repubblicana a Firenze, dicendo che
erano due badogliani. Successe un casino. Poi si dissero: "Va bene. Si
marcia su Salò, si mette in pensione nonno e si fucilano tutti". A quel
punto intervenne, direttamente presso Mussolini, quello che allora veniva
chiamato "il partito delle medaglie d'oro". Poi credo intervenne in maniera
forte la Marina Tedesca, che aveva assoluta necessità della Decima. Per
esempio, anche qui in Istria, a Pola e a Brioni, c'erano i sommergibili
tascabili, i mezzi d'assalto e i tedeschi non possedevano in loco mezzi che
potessero svolgere quelle funzioni. (Così Borghese non fu trattenuto e la
Decima non fu sciolta - ndc).
D: Nel fim sostieni storicamente quella scelta, anche se riconosci che fu un
errore. Quali furono i rapporti tra Decima e partigiani? Qualche giorno fa
mi hai parlato degli ammutinamenti e del fatto che molti di voi si
rifiutarono di combattere contro altri italiani. Me ne vuoi parlare un po'
più approfonditamente?
R: Casi isolati ce ne sono stati, non c'è dubbio; però fino a quando non
venne costituita la Divisione Decima, non vi furono rapporti tra i
partigiani e la Decima. Ci potevano essere stati ammazzamenti, ma erano
fatti singoli. La Divisione Decima venne costituita in Piemonte ed a questo
punto si comprese che c'era, forse, la necessità di una lotta
antipartigiana. Anche se era una lotta difensiva. Borghese dette a tutti gli
ufficiali la possibilità di andarsene, con regolare foglio di congedo,
stipendio, ecc... Urbano Rattazzi, ad esempio, allora marito di Susanna
Agnelli, che era stato vice-comandante del battaglione "Barberigo" e poi
aiutante di bandiera di Borghese, scelse di andarsene. Tutti, salvo alcuni
facinorosi (i facinorosi c'erano da tutte le parti), si sono sempre
rifiutati di combattere contro altri italiani. C'è il caso clamoroso del mio
battaglione, che, ad un certo punto, ricevette l'ordine di partire per un
rastrellamento. Per noi il rastrallamento significava solamente andare a
combattere contro altri italiani. Le compagnie presenti a Valdobbiadene,
vennero schierate e il comandante Buttazzoni disse che, chi non voleva
partecipare al rastrellamento, doveva andasene. Tutto il battaglione fece un
passo avanti. Lui tirò fuori la pistola e sparò sul primo. Fortunatamente il
soldato si salvò. Qualcuno disse che fu ferito al braccio. Poi dopo, ma solo
dopo la guerra, fecero pace. Questo accadde perché nessuno sapeva qual era
la missione. Si trattava in realtà, non di un rastrellamento, ma di andare
sul cosidetto "fronte orientale", per contrastare l'invasione del IX Corpus
slavo. Praticamente era la stessa cosa che andare sul nostro "fronte
meridionale". La nostra ossessione, in quel momento, era il fronte, il
fronte, il fronte... Tanto è vero che io successivamente scelsi di fare
delle missioni al Sud, che furono quelle per cui fui incriminato dagli
Alleati e passai un anno in galera.
D: Il film nasce forse dall'esigenza di riflettere su di un contesto storico
che ha subito delle semplificazioni, le cui interpretazioni storiografiche
sono state semplificanti, rispetto a ciò che effettivamente accadeva...
R: ...sì, tutti buoni da una parte, tutti cattivi dall'altra. Non è vero...
D: ...Noi non conosciamo ad esempio l'idea che ci sia stata una guerra
civile in Italia. C'è stata o non c'è stata? Perché hai sentito il bisogno
di fare questo film? Che cosa pensi dei films di alcuni giovani registi
italiani, che negli ultimi anni hanno raccontato quel periodo?
R: Il fim l'ho fatto proprio perché sono comunista cubano. Sono iscritto al
Partito Comunista Cubano e quando ho fatto la domanda di iscrizione, loro
hanno saputo tutto del mio passato. Anche quando ho collaborato a L'Unità e
a Il Manifesto ne ho scritto a chiare lettere. E' uscito in questi mesi il
libro Fascisti rossi, dove si parla di questo gruppo, la maggior parte del
quale appartenente alla Decima che passò in blocco al Partito Comunista.
Questo passaggio avvenne attraverso un ponte costituito dalla rivista Il
Pensiero Nazionale di Stanis Ruinas, che grazie a Pajetta venne anche
finanziata dal P.C.I.. Io a Milano avevo contatti con Tortorella. Il libro è
interessante, lo ha letto adesso mia moglie, lei, ex appartenente a Lotta
Continua, figlia di un garibaldino, poi diventato democristiano, mi ha
detto: "Non ci capisco più niente di quel periodo!" In effetti è così,
perché l'atteggiamento di noi repubblichini, ad esempio nei riguardi
dell'imperialismo, era quasi più intransigente di quello dei vecchi
comunisti. Devo dire che non è un caso se questo passaggio avvenne grazie a
persone come, in primo luogo Togliatti e poi Pajetta. Togliatti il 24 maggio
1947 al Teatro Adriano, a Roma, parlò molto chiaramente di chi era stato in
buona fede credendo in certi ideali, come la socializzazione. Erano persone
che avevano combattuto e quella fu un'intesa tra ex-combattenti. Altri non
l'hanno capita, né allora, né oggi; ma l'intesa ci fu e fu anche piuttosto
proficua.
D: Come è avvenuto il tuo passaggio ad un pensiero marxista? E' stato, come
mi stai raccontando, un fatto di rapporti personali tra uomini che avevano
condiviso, anche se da fronti opposti, la stessa esperienza...
R: Sì, la lotta antimperialista soprattutto... Io posso dire come é nato in
me, anche se poi ci siamo sentiti con tanti che hanno avuto una storia
simile alla mia. Con Cilento, con Giampaolo Testa, con Gigante, il figlio
del Prefetto di Fiume che venne fucilato. Lui fece una scelta molto precisa.
Gli eventuali errori dei padri, anche se in buona fede, non potevano
condizionare ciò che noi, maturando, decidevamo. Io subito dopo l'otto
settembre, non c'era ancora l'esercito italiano, mi aggregai ad un reparto
di granatieri corrazzati tedeschi e feci la campagna di rastrellamento da
Fiume a Lubiana. Una notte, scendendo in una vallata completamente
illuminata, credevo ci fosse una festa. Invece il vecchio autista del
camion, uno di Graz, mi disse: "No, no, no festa! Alles kaputt! SS und
Ustàscia!". Lì vidi, per la prima volta, decine di impiccati, delle donne
con il ventre squarciato e il feto attaccato ai ganci delle macellerie.
Allora mi dissi: "Con chi mai cazzo mi sono alleato?". Poi però ci fu il
discorso di difendere l'Italia, combattere contro l'invasore e tutte quelle
menate che oggi ben conosciamo... Una volta, al ritorno da una missione al
Sud, in un comando avanzato tedesco, mentre io stavo preparando la relazione
di ciò che avevo visto (dovevo individuare un ponte da far saltare),
entrarono un sergente tedesco e un prigioniero. Il sergente mi chiese se
potevo regalare la matita e la carta al prigioniero. Era un partigiano
comunista. Sapeva "tranquillamente" che, dopo pochi minuti, l'avrebbero
fucilato. Mi chiese: "Tu sei un fascista?" - "No. Io sono della Decima
Mas..." - "Perché stai con loro?". Io gli parlai della lotta
antimperialista. E lui mi disse una cosa molto giusta: "Ma tu pensi che la
lotta antimperialista si possa fare, militando con chi difende
l'imperialismo nostro?". In fondo lui poteva odiarmi, invece fu molto
pacato. Mi invitò a riflettere: "Pensa un po' a cosa succederà dopo. Tu ti
preoccupi di cosa succede se vincono gli angloamericani, che è una
preoccupazione anche nostra. Però pensa se vincono i tedeschi.". E ancora
non sapevamo dei campi di sterminio. Mi colpì molto. Poi in università, a
Milano, io e un ragazzo della compagnia Giovani Fascisti "Bir El Gobi"
avemmo dei contatti con dei nostri giovani colleghi, che facevano parte
della Resistenza. Avemmo anche l'offerta di passare di là. Ci dissero che
non ci avrebbero mai obbligato a sparare contro i nostri ex-camerati; ma, di
lì a poco, il battaglione partiva per il fronte e io rifiutai. Pensai:
"Ormai vado fino in fondo". Del resto io volevo combattere gli
anglo-americani. Non sarebbe poi stato possibile in quel momento passare le
linee in borghese; c'era la guerra vera e propria, quella "guerreggiata".
Viceversa l'altro ragazzo, che si chiamava Fritz Profili, fece un accordo
(con i partigiani - ndc) per il quale è morto Mussolini. Questo io l'ho
anche raccontato su L'Unità, il 25 aprile di cinque anni fa. Devo dire che
non ha emozionato nessuno: né da una parte, né dall'altra. Successe questo:
Profili fece accordi personali con la Resistenza. La Compagnia Giovani
Fascisti "Bir el Gobi" (erano i reduci della famosa battaglia in Africa, più
altri volontari), possedeva un organico molto ampio ed era armata fino ai
denti. Erano capitanati dal capitano Pippo Ciolfi, attuale editore di Lancio
e di Mercury, sostenitore della Roma, mentre io sono interista. Mussolini
partì da Milano e la compagnia avrebbe dovuto fare quadrato intorno a lui;
sicuramente nessuno gli avrebbe messo le mani addosso, sino all'arrivo degli
Alleati. Senonché la compagnia si recò ai magazzini del Partito, in corso
Vercelli, il 18 aprile, mi sembra; si fecero dare dei maglioni grigioverdi,
avendo loro le camicie nere, si presentarono al raggruppamento partigiani
"Diana" e si consegnarono. Ad un certo punto ci fu un contrattacco tedesco e
siccome avevano in dotazione le mitragliere da 45, i partigiani chiesero se
qualcuno di loro voleva andare a combattere (contro i tedeschi - ndc). Fritz
Profili ed altri andarono. Si prese una pallottola in mezzo alla testa. Lui,
che fino al giorno prima era in camicia nera, è uno dei trentasei caduti
della liberazione di Milano, con tanto di lapide. Di questi episodi ne ho
visti diversi. E' stata una storia piena di contraddizioni. Contraddizioni
che non ci sono state da parte dei comunisti e dei volontari della guerra di
Spagna. Loro avevano idee molto chiare e precise. Io ho enorme stima per
costoro. E' quello che ho sempre sostenuto: sarebbe stato un orgoglio per me
essere fucilato dai comunisti e un orgoglio per loro essere fucilati da me.
Fortunatamente questo non è successso. Per quelli dell'ultimora ho il più
sovrano disprezzo. L'ho tuttora, da comunista però. Qui si entra nell'altra
domanda che mi hai fatto...
D: ... quella sui giovani registi italiani, che si sono occupati di queste
tematiche...
R: ... se ne sono occupati male. Anzi, come peggio non si poteva. Negli
ultimi tempi abbiamo visto un rifiorire di films sulla Resistenza. C'erano
stati in passato dei films, anche belli come Achtung! Banditi! di Lizzani,
Il sole sorge ancora di Vergano, poi non se ne era più parlato. Ad un certo
punto arriva questo coglione e fa Porzùs, sui fatti dell'"Osoppo".
D: E' un film girato un pò come un videoclip...
R: Non mi piacciono i films girati alla John Landis, soprattutto se vuoi
fare una storia epica. Lo trovo stilisticamente scorretto. A parte il fatto
stilistico, non puoi fare un film dove mi fai vedere i partigiani comunisti,
feroci e cattivi e quelli della "Osoppo", buoni e angeli. Non è vero.
Ammesso che fosse vero: i partigiani comunisti combattevano da combattenti,
questi altri da "impiccioni". Non parliamo poi del film di Lucchetti (I
piccoli maestri - ndc). C'è un miglioramento. In questo caso i buoni sono
gli azionisti. Si dimentica degli ex-combattenti di Spagna. Racconta di
questo gruppo di giovani azionisti, buoni, che non vogliono neppure uccidere
i giovani fascisti. Ciò significa che nella realtà erano dei combattenti di
merda, dei quali vergognarsi, non da esaltare. Erano quasi meglio le Brigate
Nere (adesso estremizzo chiaramente), con le quali abbiamo sempre avuto dei
rapporti piuttosto infelici, per non dire cattivi. Ultimamente, dopo il
lavoro sulla Decima, ho sentito il comandante Buttazzoni, ancora vivo
nonostante i suoi novantasette anni e inventore nel mondo, molto prima degli
americani, dei nuotatori-paracadutisti, nonché, come grande ingegnere
navale, delle navi per il recupero a grandi profondità per l'O.N.U.. Lavoro
per cui impiegò tutti ex-marinai della Decima. Gli ho fatto una domanda
tendenziosa su cosa pensasse dei fascisti, delle Brigate Nere. Mi ha
risposto: "Noi le Brigate Nere e tutti quei gruppuscoli lì, non li vedevamo
neanche!". Recentemente ho scoperto che esiste un giornale delle Brigate
Nere, credo che si pubblichi in Piemonte. Si chiama "Boia chi molla!". Me ne
hanno mandato una copia, intimidatoria suppongo, dicendo che l'avremmo
pagata cara, io e Buttazzoni... Ora, posso capire che ce l'abbiano con me,
che ho seguito il dettame del presidente Mao: "Cambiare è giusto!" - e sono
cambiato. Ma accusare il "povero" comandante Buttazzoni di tradimento...
D'altra parte, tutta la lavorazione del documentario sulla Decima, è stata
ostacolata in primo luogo dai dirigenti dell'Associazione X. Mandarono una
lettera circolare a tutti gli ufficiali ed ex-appartenenti alla Decima,
dicendo che il film era stato fatto da un comunista cubano, che aveva
irretito la nipote del comandante Borghese, pure lei sovversiva. Non
sapevano che, come altro consulente avevo il comandante Nesi (cugino di
Nerio Nesi - ndc), ex-uffiiciale dei mezzi da assalto: un duro, che ancora
oggi va in giro con il distintivo della Decima. Oltre a lui, anche il
comandante Ferraro, la medaglia d'oro, colui che affondò a nuoto
cinquantamila tonnellate di naviglio, l'unico eroe ancora vivo insieme a
Buttazzoni, era con me (...). Facemmo quindi un documentario contro quelli
dell'Associazone X (...). Successivamente mi è arrivata una lettera di
scuse. Ho visto l'ultimo numero di un giornale che fanno a Roma, Decima
Comandante, dove c'è una pagina in cui il film viene esaltato e alla pagina
successiva, senza soluzione di continuità, si dice che sono un voltagabbana
e che dovrei vergognarmi. Lo stesso atteggiamento (duplice - ndc) l'ho avuto
da Liberazione. Io sono tra i fondatori di Rifondazione Comunista. Litigai
ben presto; feci la scissione ben prima di Cossutta (...).