LA SECONDA 

GUERRA MONDIALE  

 

Togliatti, Tito e i confini orientali

La resa di Trieste
Palmiro Togliatti: "Lavoratori triestini! Il vostro dovere è accogliere le truppe di Tito come liberatrici e di collaborare con esse nel modo più stretto". Truppe jugoslave, al grido di "Napred!" (avanti!) scendono l'1 maggio 1945 dal Carso e arrivano alle 9.30 nel centro di Trieste! Nel quartiere di Roiano scoppiano i primi incidenti tra partigiani italiani e truppe jugoslave, ma i comunisti, usciti dal C.L.N., corrono ad acclamare le truppe titine.

LA LETTERA

   

Roma , li 7/2/1945

Caro Presidente,
Mi è stato detto che da parte del collega Gasparotto (
ndr ministro Aeronautica e padre di Poldo ucciso a Fossoli nel '44) sarebbe stata inviata al C.L.N.A.I. una comunicazione, in cui si invita il C.L.N.A.I. a far sì che le nostre unità partigiane prendano sotto il loro controllo la Venezia Giulia, per impedire che in essa penetrino unità dell'esercito partigiano jugoslavo. Voglio sperare che la cosa non sia vera. perché, prima di tutto, una direttiva di questo genere non potrebbe essere senza consultazione del Consiglio dei Ministri.
Circa il fondo del problema, è a prima vista evidente che una direttiva come quella che sarebbe contenuta nella comunicazione di Gasparotto è non solo politicamente sbagliata, ma grave, per il nostro paese, dei più seri pericoli. Tutti sanno, infatti, che nella Venezia Giulia operano oggi le unità partigiane dell'esercito di Tito, e vi operano con l'appoggio unanime della popolazione slovena e croata. Esse operano, s'intende, contro i tedeschi e i fascisti. La direttiva che sarebbe stata data da Gasparotto equivarrebbe quindi concretamente a dire al C.L.N.A.I. che esso deve scagliare le nostre unità partigiane contro quelle di Tito, per decidere con le armi a quale delle due forze armate deve rimanere il controllo della regione. Si tratterebbe, in sostanza, di iniziare una seconda volta la guerra contro la Jugoslavia !. Questa è la direttiva che si deve dare se si vuole che il nostro paese non solo sia escluso da ogni consultazione o trattativa circa le sue frontiere orientali, ma subisca nuove umiliazioni e nuovi disastri irreparabili.
Quanto alla situazione interna, si tratta di una direttiva di guerra civile, perché è assurdo pensare che il nostro partito accetti di impegnarsi in una lotta contro le forze antifasciste e democratiche di Tito. In questo senso del resto la nostra organizzazione di Trieste ha avuto personalmente da me istruzioni precise e la maggioranza del popolo di Trieste, secondo le mie informazioni, segue oggi il nostro partito. Non solo noi non vogliamo nessun conflitto con le forze di Tito e con le popolazioni jugoslave, ma riteniamo che la sola direttiva da darsi è che le nostre unità partigiane e gli italiani di Trieste e della Venezia Giulia collaborino nel modo più stretto con le unità di Tito nella lotta contro i tedeschi e i fascisti.
Solo se noi agiremo tutti in questo modo creeremo le condizioni in cui, dimenticato il passato, sarà possibile che le questioni della nostra frontiera siano affrontate con spirito di fraternità e collaborazione fra i due popoli e risolte senza offesa nel comune interesse.
Voglio sperare che la informazione che mi è stata data non corrisponda a verità. Ad ogni modo credo sia bene ti abbia precisato qual è il proposito della nostra posizione, la sola, io ritengo, che rifletta i veri interessi della Nazione italiana. Soltanto a questa posizione corrisponderà l'azione del nostro partito nella Venezia Giulia e non a una direttiva come quella accennata, soprattutto poi se emanata senza nemmeno la indispensabile previa
consultazione del Gabinetto.

Cordialmente Togliatti

A.S.E. Ivanoe Bonomi
Presidente del Consiglio dei Ministri
______ Sede

                                  
 annotazione: inviata  a Gasparatto (Luigi)**

ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Presidenza Consiglio dei Ministri, 1948-50, serie 1.6.1., fasc. 25049/1A. Lettera di Palmiro Togliatti (Vice presidente del Consiglio)  su carta intestata della vicepresidenza (copia di originale disponibile)

(definizione dei profughi istriani*).

"in Sicilia hanno il bandito Giuliano, noi qui abbiamo i banditi giuliani"

Questi relitti repubblichini, che ingorgano la vita delle città e le offendono con la loro presenza e con l'ostentata opulenza, che non vogliono tornare ai paesi d'origine perché temono d'incontrarsi con le loro vittime, siano affidati alla Polizia che ha il compito di difenderci dai criminali. Nel novero di questi indesiderabili, debbono essere collocati coloro che sfuggono al giusto castigo della giustizia popolare jugoslava e che si presentano qui da noi, in veste di vittime, essi che furono carnefici. Non possiamo coprire col manto della solidarietà coloro che hanno vessato e torturato, coloro che con l'assassinio hanno scavato un solco profondo fra due popoli. Aiutare e proteggere costoro non significa essere solidali, bensì farci complici

Tito in Visita a Kim II Sung in Corea del Nord

L'occupazione successiva della Venezia Giulia  da parte degli Jugoslavi diede avvio alla stagione delle Foibe che Togliatti giustificò come  "una giustizia sommaria fatta dagli stessi italiani contro i fascisti"

 

 

 

“All’inizio della primavera  (1944), la direzione per l’Alta Italia del PCI aveva designato il torinese Vincenzo Bianco “Vittorio” a rappresentarla presso il Comitato Centrale del PCS (sloveno). Bianco, che si trovava a Mosca, raggiunse la sua nuova destinazione con un aereo sovietico che in aprile lo paracadutò in Slovenia, assieme ad altri agenti. Presso il massimo organo comunista sloveno “Vittorio” rimase diverse settimane ed ebbe modo così di conoscere direttamente il punto di vista degli slavi sulle principali questioni allora sul tappeto.

(Leopoldo (Poldo) Gasparotto viene arrestato, con alcuni compagni, in Piazza Castello a Milano l'11 dicembre 1943. Morirà a Fossoli di Carpi il 22 giugno 1944. Gasparotto, poco dopo mezzogiorno del 22 giugno, venne prelevato dalla baracca, dove si trovava, dal sottufficiale Haage, consegnato alla porta del campo a due militari delle SS,  e fatto salire su un automobile, che lo portò via. Dopo mezz’ora i militari predetti si sarebbero presentati al Ten Thito, comandante del campo, dicendo: "L’ordine è stato eseguito.").

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  *L'atteggiamento del PCI nei confronti dei profughi giuliani, fu conseguente, e ogni profugo venne additato come fascista. Così l’Unità Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall'alito di libertà che precedeva o coincideva con l'avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi. I "comitati d'accoglienza" organizzati dal partito contro i profughi all'arrivo in Patria furono numerosi. All'arrivo delle navi a Venezia e ad Ancona, gli esuli furono accolti con insulti, fischi e sputi e a tutti furono prese le impronte digitali. A La Spezia, città dove fu allestito un campo profughi, un dirigente della Camera del lavoro genovese durante la campagna elettorale dell'aprile 1948 arrivò ad affermare "in Sicilia hanno il bandito Giuliano, noi qui abbiamo i banditi giuliani". A Bologna i ferrovieri, per impedire che un treno carico di profughi provenienti da Ancona potesse sostare in stazione, minacciarono uno sciopero. Il treno non si fermò e a quel convoglio, carico di umanità dolente, fu rifiutata persino la possibilità di ristorarsi al banchetto organizzato dalla (Poa) Pontificia Opera Assistenza. I profughi non crearono mai, in nessun luogo dove trovarono rifugio, problemi di criminalità.

** GASPAROTTO Luigi - Sacile (Pn), 31.5.1873 – Roccolo di Cantello (Va), 29.6.1954
Luigi Gasparotto, avvocato d'origine friulana, membro della Società democratica lombarda dal 1897, fu eletto deputato nel 1913 nelle liste del Partito radicale nel collegio di Milano. Partecipa come ufficiale di fanteria alla prima guerra mondiale, guadagnandosi tre medaglie d’argento al valore. Viene rieletto deputato nel 1919 e poi nel 1921 e ricopre la carica di Ministro della Guerra nel primo governo Bonomi (lug. 1921 – feb. 1922). Alle elezioni del 1924 si candida, con altre personalità liberali, nel listone fascista. Dopo il delitto Matteotti passa all’opposizione costituzionale senza però partecipare all’Aventino. Il 9 novembre 1926 con altri undici deputati vota contro le leggi eccezionali fasciste. Durante gli anni della dittatura vive in esilio e riprende l’attività politica alla vigilia della caduta del fascismo. Fuoruscito in Svizzera vi svolse un'intensa attività di solidarietà soprattutto dopo la fucilazione del figlio Poldo, comandante partigiano. È Ministro dell’Aeronautica nel secondo governo Bonomi (dic. 1944 – giu. 1945) ed in seguito Ministro dell’Assistenza post-bellica e poi della Difesa rispettivamente nel primo e terzo governo De Gasperi. Fa parte della Consulta Nazionale su designazione del Partito Democratico del Lavoro e nelle liste dello stesso partito viene eletto all’Assemblea Costituente, è poi nominato senatore di diritto nel primo Parlamento repubblicano. Dal 1946 al 1953, anno della morte, fu presidente dell'Ente Fiera di Milano. Gasparotto fu anche scrittore di romanzi storici e autobiografici, fra i quali si segnala "Diario di un fante", Milano, Treves, 1919, e "Diario di un deputato", Milano, Dall'Oglio, 1945.

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