LA SECONDA 

GUERRA MONDIALE  

 

I 7 FRATELLI GOVONI

11 MAGIO 1945

Lo scherno alla madre  

LA STORIA DEI SETTE FRATELLI GOVONI RACCONTATA DA DESTRA

San Giorgio di Piano è uno di quei grossi paesi agricoli che insieme ad Argelato, Pieve di Cento e San Pietro in Casale s'incontra a circa metà strada fra Bologna e Ferrara. E' pianura emiliana che beneficiò funestamente dei primi collaudi socialisti e rivoluzionari. L’odio di classe continua a trovarvi una lussureggiante pastura. Nell'immediato periodo del dopo-liberazione in questa zona che giuppersù potrebbe essere ampia quanto la pianta di Roma, per intenderci, i «prelevati» sono stati 128. Centoventotto persone che una sera furono portate via dalla loro casa e che mai più hanno fatto ritorno. Centoventotto. Fin'ora se ne sono trovati in queste fosse comuni circa una metà. Dell'altra sessantina perfino il mistero della loro morte è cupo. Nella macabra fossa di Argelato, dunque, sono stati rinvenuti diciassette cadaveri buttati alla rinfusa laggiù con un metro di terra addosso. Di questi, ben sette erano fratelli. Sono i fratelli Govoni. La mamma di questi sette figli «prelevati» vive ancora. Ha passato questi ultimi anni nell'angoscia dell'ignoto destino dei suoi figlioli, nella disperazione. Se non fosse venuta incontro la fede a questa povera madre fiaccata dall'enorme lutto, come avrebbe potuto assistere ai funerali senza maledire i colpevoli? Invece ha invocato il Paradiso per le sue creature ammazzate. Fino a poco tempo fa non usciva di casa. C'era perfino chi le canticchiava «bandiera rossa» dietro. Alla madre che disperatamente cercava una pista per onorare almeno il sepolcro dei suoi sette figli dissero tra lo scherno: «Vi occorre, buona donna, un cane da tartufi». Nella fossa macrabra di Argelato i cadaveri sono ammonticchiati disordinatamente. I carabinieri hanno rovesciato quel metro di terra che copriva tanta disumanità ed hanno intravvisto moncherini legati da filo spinato. Nella solitaria casa dei Govoni è restata solamente l'ultima figliola Maria a consolare la vecchia madre. Maria e il nipotino Sergio che oggi va all'Asilo e non sa che la madre sua la «prelevarono» una sera mentre l'allattava.
Gli altri
Tra gli altri 10 cadaveri sono stati riconosciuti i quattro Bonora, Giovanni Caliceti, Alberto Bonvicini, Guido Mattioli, Guido Paricaldi e Vinicio Testoni. I quattro Bonora appartengono a tre generazioni: il nonno, il padre, il figlio e un cuginetto. Ivo si chiamava e quando incominciò la guerra giocava ancora a rincorrersi attorno ai pagliai. Li invitarono a presentarsi al comando partigiano per il rinnovo della carta d’identità in quel lontano maggio del 1945. Andarono e da allora ecco qua i loro cadaveri nella fossa macabra di Argelato. Caliceti quando lo vennero a chiamare da casa, andò tranquillamente, perchè sapeva di non aver fatto niente a nessuno. Male non fare e paura non avere, diceva. Malaguti, studente del terz’anno di ingegneria ed ufficiale della guerra di liberazione con gli alleati era appena tornato a casa da una settimana. Sparì. La mamma lo cercava affannosamente. Per sei anni il dolore incerto di questa donna è andato vagando dappertutto. Ecco, suo figlio glielo restituisce questa fossa a pochi chilometri dalla sua casa. I funerali si sono svolti parte a San Giorgio di Piano e parte a Pieve di Cento. 17 bare con sopra una fotografia. Centinaia di corone e un corteo senza fine. Si ribellano all'odio venerando i morti. Le saracinesche di tutti i negozi tirate giù spontaneamente. Nessuno ha parlato. Solo i numerosissimi sacerdoti con cotta recitavano i salmi del perdono. All'altro lato del paese, nella stessa ora, era stato organizzato un comizio comunista. San Giorgio di Piano, marzo 1951.
Stralcio dell'omelia del 28 ottobre 1956 del Card. Lercaro, all'epoca Arcivescovo di Bologna. E' nostro dovere di italiani che da undici anni stiamo difendendo le nostre più sante libertà, ma forse troppo fiaccamente, così da far temere che il gioco un brutto giorno diventi pericoloso; e' nostro dovere, soprattutto in questa nostra terra bolognese, in mezzo alla quale il tumore comunista, che da anni tiene in angustia il mondo, ha una delle sue metastasi più vaste e insidiose. Così la nostra doverosa preghiera chiede al Signore forza, luce, conforto per la Chiesa di Ungheria, inondata di sangue; per la Chiesa polacca soffocata dalla violenza; per le altre Chiese di oltre cortina; per le popolazioni tutte nelle quali passa il fremito della libertà e dalle quali si eleva l'invocazione all'indipendenza, alla giustizia, alla pace.

 

Teresa Vergalli funzionaria del Pci e moglie di Claudio Truffi ( http://teresavergalli.wordpress.com/about/  ) … I fratelli Cervi diventano lo strumento, il pretesto, il contraltare, per mettere in luce i poveri “innocenti” fratelli Govoni, che pure qualche colpa la dovevano avere, se due di loro sono ritenuti i carnefici di Irma Bandiera a Bologna.
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dal sito Anpi (Ass.Naz.Partigiani): Irma Bandiera
Nata a Bologna l’8 aprile 1915, fucilata al Meloncello di Bologna il 14 agosto 1944, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. Di famiglia benestante, moglie e madre affettuosa, il suo amore per la libertà la spinse a schierarsi contro gli oppressori. Staffetta nella 7a G.A.P., divenne presto un’audace combattente, pronta alle azioni più rischiose. Fu catturata dai nazifascisti, a conclusione di uno scontro a fuoco, mentre si apprestava a rientrare a casa, dopo aver trasportato armi nella base di Castelmaggiore della sua formazione. Con sé Irma aveva anche dei documenti compromettenti e per sei giorni i fascisti la seviziarono, senza riuscire a farle confessare i nomi dei suoi compagni di lotta. L’ultimo giorno la portarono di fronte a casa sua: "Lì ci sono i tuoi – le dissero – non li vedrai più, se non parli", ma Irma non parlò. I fascisti infierirono ancora sul suo corpo martoriato, la accecarono e poi la trasportarono ai piedi della collina di San Luca, dove le scaricarono addosso i loro mitra. Il corpo di quella che, nella motivazione della massima onorificenza militare italiana, è indicata come "Prima fra le donne bolognesi ad impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà…", fu lasciato come ammonimento per un intero giorno sulla pubblica via
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Non rileviamo accenni a chi la uccise per verificare l'affermazione della Sig.ra Teresa Vergalli ved. Truffi. Se qualcuno ha prove che comprovino tali affermazioni le invii. 

.....Bertinotti scandisce «Come vittime i 7 giovani Cervi e i 7 giovani Govoni, per me sono uguali; come vittime! La differenza consiste che i primi hanno costruito la Repubblica italiana e perciò vanno onorati non come morti, ma come attori di quel cambiamento. Gli altri non hanno fatto niente, sono vittime, ma non come attori della storia. Ci sarà pure una differenza, o no?» …
(
ndr: Teorema Bertinotti: alla fine della guerra tutti quelli che non avevano fatto nulla dovevano essere ammazzati, la lista si allunga: stateve accuorte )

http://digilander.libero.it/freetime1836/libri/libri30.htm

 

Le pagine dei libri di storia della resistenza sono piene dei fatti relativi ai fratelli Cervi; ogni anno, in occasione delle date storiche i giornali pubblicano articoli su articoli che fanno rivivere quel tragico avvenimento, rinfrescando la memoria degli italiani che, in genere, sono "facili a dimenticare", e per riproporre, con la solita monotona formula le aberranti "atrocità nazifasciste".
La casa dei fratelli Cervi trasformata in "museo della resistenza", il pellegrinaggio continuo di cittadini e di scolaresche colà convogliate dalle organizzazioni di partito predisposte, l'onore della visita di capi di stato, innumerevoli volumi pubblicati sulla vicenda, sono testimonianze che dimostrano come: "nella storia dei Cervi si possa diventare antifascisti partendo dai valori più elementari ed essenziali: l'amore per l'uomo, il culto della famiglia, la passione per il lavoro dei campi." Sandro Pertini  
In questa terra padana, altri sette fratelli contadini questi valori elementari li conoscevano nello stesso identico modo, anche loro avevano il culto della famiglia, la grande passione per il lavoro e sapevano amare gli uomini ma, purtroppo, erano schierati dalla parte opposta, erano dei "fascisti", di conseguenza i pennivendoli del regime non hanno mai scritto, né mai scriveranno alcuna riga a ricordo di sette contadini che, stranamente secondo certe teorie addomesticate, vestivano in "camicia nera".
I Govoni vivevano a non molti chilometri di distanza da Campegine e precisamente a Pieve di Cento, in Provincia di Bologna ai confini con le Provincie di Modena e Ferrara, paese immerso nella medesima grande campagna; sono stati barbaramente uccisi a guerra ultimata solamente perché due di loro avevano aderito alla RSI. Di conseguenza, in questo paese, non sono stati eretti monumenti o musei, né per loro sono stati scritti ponderosi libri apologetici, qui, probabilmente la terra che lavoravano aveva un "humus" diverso dal reggiano, poiché né folle di cittadini, né scolaresche "intruppate", né Capi di Stato vengono convogliati a visitare questi luoghi di martirio, nessun segnale turistico indica "casa Govoni" e nemmeno sulla casa di campagna è stata posta una scritta che dice "su questa terra, in questa casa i sette fratelli Govoni vissero il senso della loro vita, su quest'aia vennero presi e portati a morte". Forse lo stesso papa' Govoni era tanto diverso nella sua dimensione di padre mutilato delle sue sette creature, da vedersi rifiutato, in morte, un necrologio in commemorazione del secondo anniversario della sua scomparsa.(11) Evidentemente tanto scomodo è questo ricordo alla Repubblica Italiana, nata dalla "resistenza". E' forse stato meno coraggioso dell'altro disgraziato padre, nel portare avanti la sua esistenza con coraggio e con tenacia sino alla fine dei suoi giorni, senza riconoscimenti, o medaglie al valore, chiuso nel suo grande dolore?.
11 Maggio 1945. La guerra è da poco finita, in una casa colonica tra Pieve di Cento ed Argelato vengono uccise, dopo orribili sevizie, 17 persone, tra queste, i sette fratelli Govoni. Come detto in questa località viveva una famiglia di contadini composta dal padre, Cesare Govoni, dalla madre, Caterina Gamberini e dai loro otto figli: il primogenito. Dino aveva 41 anni, sposato, due figli, artigiano falegname, era iscritto al Partito Fascista Repubblicano; il secondo, Marino, aveva 33 anni e anche lui aveva aderito alla RSI, nessuna accusa era mai stata portata nei loro confronti, terzogenita, Maria, che fu l'unica a salvarsi poiché, sposata si era trasferita ad Argelato con il marito e i partigiani non riuscirono a trovarla; seguivano: Emo, trentadue anni, viveva con i genitori e non si interessava di politica, così come Giuseppe, 30 anni sposato, anche lui faceva il contadino ed aveva un figlio di tre mesi, poi vi erano: Augusto, di 27 anni e Primo di 22 anni, celibi, lavoravano la terra con i genitori ed anche loro non si erano mai interessati di politica; l'ultimogenita si chiamava Ida, venti anni, appena sposata e madre di un bambino di due mesi, anche lei come il marito mai avevano svolto politica attiva.(12) I dati e le circostanze riportate, scaturirono dalla sentenza con la quale l'8 Febbraio 1953, la Corte d'Assise di Bologna, condannò gli autori di quei massacri.
La strage dell' 11 Maggio 1945, venne preceduta da altri orrendi delitti individuali e di massa compiuti da una "banda" di partigiani che scorrazzava nella zona, con piena licenza di uccidere i fascisti. Difatti, qualche giorno prima, molte altre persone vennero prelevate dalle loro case e portate in un isolato casolare di Voltareno di Argelato. Uno dei protagonisti, che era sfuggito alla cattura ed al massacro, vide parecchie cose e dopo un periodo di omertà forzata, parlò, provocando in quel modo l'intervento delle autorità.(13) La sera del 9 Maggio vennero eliminate, dopo innumerevoli sevizie, dodici persone; si trattava della Professoressa Laura Emiliani di S. Pietro in Casale, dell'ex Podestà di San Pietro, Sisto Costa con la moglie Adelaide ed il figlio Vincenzo e dei cittadini di Pieve di Cento: Enrico Cavallini, Giuseppe Alberghetti, Dino Bonazzi, Guido Tartari, Ferdinando Melloni, Otello Moroni, Vanes Maccaferri e Augusto Zoccarato. Il giorno seguente iniziò l'operazione di prelievo dei fratelli Govoni; il luogo del carcere e poi del supplizio fu una casa colonica di un contadino che, avendo avuto un figlio ucciso dai fascisti, doveva tenere la bocca chiusa per quello che sarebbe successo. Il primo ad essere prelevato fu Marino: "In realtà i partigiani contavano di arrestare, quella sera, tutti i fratelli Govoni. In casa, però trovarono solo Marino, il terzogenito. Gli altri, fatta eccezione per le due figlie che abitavano ormai altrove, erano tutti in giro per il paese. I più giovani si erano recati a ballare. I Govoni, infatti, non sospettavano lontanamente di essere già tutti in "lista". Nei giorni successivi all'arrivo delle truppe angloamericane erano stati convocati dal comando partigiano, interrogati e quindi rilasciati perchè a carico loro, non era emersa alcuna accusa. Il mancato prelevamento degli altri fratelli indusse i partigiani ad accelerare i tempi dell'azione nel timore di vedersi sfuggire le prede dalle mani.(14) Riuscirono così, nella notte, a raccogliere tutti gli altri fratelli compresa la giovane Ida, che implorava di non staccarla dalla bambina che doveva allattare, anzi presero anche il marito che poi venne scaricato dal camion che li trasportava, cammin facendo. Vennero portati tutti in un grande camerone adibito a magazzino e subito: "su di loro cominciò a sfogarsi la ferocia dei partigiani".(15)
Alla mattina successiva, altre 10 persone di San Giorgio in Piano furono condotte in quella prigione per condividere la sorte dei fratelli Govoni; erano andati tranquilli, poiché i partigiani avevano detto loro che si trattava di "comunicazioni" che li riguardavano, presso la caserma dei carabinieri, erano: Alberto Bonora, Cesarino Bonora e Ivo Bonora di 19 anni, nonno, figlio e nipote; Guido Pancaldi, Alberto Bonvicini, Giovanni Caliceti, Vinicio Testoni, Ugo Bonora, Guido Mattioli e Giacomo Malaguti. Tutte persone rispettate in paese per la loro onestà, ma con un difetto, erano anticomunisti. Malaguti, aveva addirittura combattuto contro i tedeschi con l'esercito del Sud, ed era appena rientrato al paese. Erano le ultime ore per i diciassette rinchiusi nel casolare di campagna e i registi di quel drammatico dramma di sangue si incaricarono di far confluire sul posto un buon gruppo di "comparse", della loro stessa specie, per compiere collettivamente un rituale sanguinario degno delle più orripilanti celebrazioni sataniche.
"Si era sparsa, frattanto, tra i partigiani della 2° brigata Paolo e delle altre formazioni, la voce che stava per incominciare un "bella festa" nel podere di Emilio Grazia. Dapprima alla spicciolata, poi sempre più numerosi, i comunisti cominciarono a giungere alla casa colonica dove erano già prigionieri i sette Govoni. Non è possibile descrivere l'orrendo calvario degli sventurati fratelli. Tutti volevano vederli e, quel che è peggio, tutti volevano picchiarli: per ore e ore nello stanzone in cui i sette erano stati rinchiusi si svolse una bestiale sarabanda tra urla inumane, grida, imprecazioni. L'indagine condotta dalla Magistratura ha potuto aprire solo uno spiraglio sulla spaventosa verità di quelle ore. La ferrea legge dell'omertà instaurata dai comunisti nelle loro bande ha impedito che si potessero conoscere i nomi di quasi tutti coloro, e che furono decine, che quel pomeriggio seviziarono i sette fratelli Govoni."(16)
Vi fu poi, una specie di interrogatorio, a base di maltrattamenti e sevizie, così dice la sentenza del vero tribunale. Nessuna delle vittime morì per colpi di arma da fuoco e quando molti anni dopo furono scoperti i corpi si accertò che quasi tutte le ossa degli uccisi presentavano fratture e incrinature. Le urla strazianti degli sventurati risuonarono per molte ore. Alle ore 23 del 11 Maggio tutto era finito. Poi ci fu, tra gli assassini, la spartizione degli oggetti d'oro delle vittime, mentre gli oggetti di scarso o di nessun valore furono buttati in un pozzo dove vennero rinvenuti mentre si svolgeva l'indagine istruttoria. I corpi delle diciassette vittime furono sepolti subito dopo in una fossa anticarro, non molto distante dalla casa colonica.(17)
Negli anni successivi silenzio assoluto. I genitori dei Govoni fecero una ricerca lunghissima e dolorosissima senza approdare a nulla. Nessuno parlava, tutti, in quelle zone vivevano nel terrore. La vecchia madre venne anche picchiata. Poi lentamente, si mosse la macchina della giustizia. Ma molti tra gli indiziati riuscirono ad espatriare con l'aiuto dell'organizzazione predisposta dal Partito Comunista, gli altri, pur essendo stati riconosciuti responsabili di quegli eccidi, di fronte alla giustizia che applicava le norme della amnistia Togliatti (18), furono sottoposti a giudizio esclusivamente per l'uccisione del militare che aveva combattuto con l'esercito del Sud e condannati; ma in seguito , il ricorso in Cassazione, le amnistie e i condoni giudiziari, rimisero in breve tempo, tutti i responsabili, in libertà. Ai due genitori, lo Stato Italiano, dopo molte perplessità, concesse una pensione di settemila lire:
"mille lire per ogni figlio assassinato."(19)

NOTE
11 Il giornale che rifiutò il necrologio per Papà Govoni fu : "Il Resto del Carlino" nel mese di Aprile del 1980.
12 cfr. G. Pisanò op. cit. da pag. 1733 a pag. 1740.
13-14-15-16-17- ibidem
18 ivi, nel capitolo riguardante l'epurazione. cfr. G. Pisanò, op. cit.

http://www.flavioberlanda.net/resistenza.htm 

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