LA SECONDA 

GUERRA MONDIALE  

 

INDUSTRIA BELLICA ITALIANA

LE AZIENDE

3a parte

         
         
         
         
         
         
         
         
         
         
         
         
         
         
         
         
         
         
         
         

 

LE DIFFICOLTA' DELL'INDUSTRIA ITALIANA NEL PERIODO DELLA NON BELLIGERANZA

Si può immaginare come ci restò Mussolini all'annuncio del patto Ribbentrop-Molotov dell'agosto 1939 che diede la stura alla cancellazione della Polonia. E come ci restarono secchi i fascisti che si scoprirono definitivamente amici dei comunisti. Mussolini fece buon viso a cattivo annuncio e prese dopo un pò carta e penna per scrivere a baffino (che aveva altro per la testa che rispondergli, mentre i Russi sistemavano le faccende coi finlandesi lui stava preparando un piano di attacco alla Russia e faceva da spettatore in Finlandia). In Italia le simpatie andavano ai finlandesi !! tanto che qualche volontario partì. Partivano i volontari ma non arrivava più carbone dall'Inghilterra (e dalla Germania) che ci considerava ormai sotto la sfera d'influenza russo-tedesca. Non arrivava perché la marina inglese attuava un embargo sia verso la Germania sia nei nostri confronti. Avevamo bisogno di 15 milioni di tonn e 13 le compravamo fuori. I tedeschi fino a quel momento avevano usato il porto di Rotterdam per il carbone (che non era neanche tedesco, ma le navi forse si di cui alcune italiane). Gli inglesi per il loro (carbone: 4 mil. di tonn) pretendevano ora il pagamento in armamenti. Lo stallo e l'applicazione integrale dell'embargo inglese si concretizzò a Febbraio quando lo scambio pomodori olio pasta contro carbone venne rifiutato. Dal 1° marzo 1940 navi italiane venivano bloccate e internate. L'8 marzo si presentò Ribbentrop con la risposta di Hitler (era ora). Per il carbone non c'era problema: d'ora in poi lo avrebbero fornito loro via treno e via Brennero (con notevoli problemi ferroviari sulle linee; stimati 50 treni al giorno da distribuire su tutta la penisola e da alimentare le locomotive).

 

Nel trattare dell’industria bellica italiana bisogna sfatare alcune considerazioni di fondo, fuorvianti e consolidate nel tempo,  sulla incapacità del paese ad affrontare, allora (anni 30) come oggi, prove impegnative. Già nella grande guerra l’apparato industriale s'era mobilitato e,  pur nel ridimensionamento che ne era seguito, l’industria e il Made in Italy continuarono a crescere. L’industria italiana era in grado di produrre dimensionalmente e proporzionalmente, come e meglio degli altri. Se ce ne fosse bisogno si può citare i grandi costruttori di auto e le competizioni che vedevano trionfare o equivalere mezzi e piloti italiani (e non parliamo di navi sia civili che militari). Quello che difettava era la strategia di fondo, uno sguardo più largo, aperto sul mondo, gli indirizzi e per ultimo le materie prime (e strategiche),  punto dolente per noi e formalmente irrisolvibile. Negli anni '30 lo sviluppo dell’industria, sia civile che militare, non conobbe soste e si fece sempre più travolgente, a volte anche troppo, con decine di aziende (visto il minor peso in campo mondiale) impegnate nei loro  progettini. Le nostre guerre, a metà degli anni trenta (Etiopia e Spagna), videro un grande dispiegamento di mezzi che andarono perduti, vuoi per la lontananza (usura e onere per riportarli a casa come in Etiopia), vuoi per averli lasciati a Franco che non li pagò!. Il tutto per un valore di circa 12 miliardi di lire (del 1940 !!!).

L'Italia, oltre ad ingenti quantitativi di materiale aeronautico e logistico, inviò in Spagna 763 aerei (tra cui 418 caccia, 180 bombardieri e 112 tra ricognitori-assaltatori, addestratori e idrovolanti), 1.930 cannoni, 149 carri Ansaldo L3, 8 autoblindo Lancia, oltre 240.000 fucili e 7.663 automezzi. Questo, che la nostra industria a differenza di quella tedesca non poteva rimpiazzare in tempi brevi, verrà a mancare allo scoppio (1940) del secondo grande conflitto. Le sanzioni conseguenti alla guerra d'Etiopia ci tagliarono poi l’accesso ai mercati delle materie prime (non tutti e non la Germania, ma la fregatura era non poter vendere) lasciandoci alla vigilia del conflitto, nelle cosiddette braghe di tela. Inutile dire che il principale produttore nazionale era la Fiat con la sua galassia di controllate (Ceirano, OM, Spa etc.). Oltre a questa producevano per il settore bellico terrestre e aeronautico le seguenti industrie (elenco parziale). Alfa Romeo, Aerei camion e macchine, Ansaldo Fossati mezzi corazzati etc.., Bianchi moto camion e macchine, Breda Aerei, trattori e camion, Isotta Fraschini Aerei, camion e macchine, Lancia camion e macchine, Pavesi trattori, Viberti rimorchi, Macchi, Guzzi, Gilera, Sertum, Benelli motocicli, Borletti, Necchi, Off. Galileo, Diatto, Off. Greco. Ilva, Off. Meccaniche Pinerolesi, Piaggio, OMI Reggiane, Siai Savoia Marchetti, Ambrosiani, Cant, Caproni, Nardi, Ferroviarie Aeronautiche Meridionali, Pignone, S.Giorgio, Pirelli, Agusta etc.etc...

 Il "Centauro" fu forse il più formidabile e certamente il più potente aereo da caccia italiano della II guerra: la parte equina per il motore tedesco, il Daimler-Benz DB-605A da 1.475 CV al decollo, la parte umana per l'affusolata e filante cellula di progettazione italiana. Con il Macchi "Veltro"ed

La "grande" industria (o nano industrie) che si avvaleva allora, ma non solo da allora, di un regime che, più che liberale, era protezionistico (monopolio), finiva per essere legata a doppio filo al sistema politico che le permetteva di competere solo con piccoli paesi satelliti europei ed extraeuropei. I nostri piccoli mezzi a basso prezzo comunque, trovavano un fiorente mercato ai quattro angoli del mondo. Dall’Afghanistan all’ Ungheria, dalla Svezia alla Romania. La certezza che un’altra guerra sarebbe scoppiata per gli stessi motivi della prima non impegnava i produttori a ricercare nella modernità, nella guerra di movimento le migliori soluzioni nazionali, anche per dichiararsi vigilmente neutrali (e difendersi di conseguenza). Per fare questo la strategia non poteva che venire dall’alto. Le proposte che partivano dal basso restavano sempre o quasi cosa morta. Al comitato delle produzioni belliche facevano capo complessivamente 876 stabilimenti con quasi 600.000 operai. La protezione autarchica e la finanza pubblica avevano creato un tipo particolare di capitalista il cui unico scopo non era l’innovazione e la conquista dei mercati ma il tranquillo profitto esentasse. Badoglio quando era diventato Capo di Stato Maggiore aveva scritto a Mussolini “Vostra Eccellenza avrà l’Esercito che desidera”. Bocca dirà poi “Gli industriali, assieme ai generali sono le figure più deprimenti del regime, peggio dei politici” ma qualcuno ribatté “Politici e generali passarono, gli industriali no”,

il Re "Sagittario", il Fiat G.55 faceva parte della Serie 5, i caccia di 3a generazione richiesti dal ministero dell'aeronautica nel '41, ma che risultarono disponibili solamente nel '43, quando le sorti della guerra erano oramai segnate. Sul "Centauro" i piloti italiani finalmente trovarono un armamento adeguato per affrontare ad armi pari i caccia alleati. Un cannoncino Mauser MG da 20mm sparante attraverso il mozzo dell'elica, 2 mtrg Breda-Safat da 12,7mm sul cofano motore e altri 2 cannoni da 20mm sulle ali. Un volume di fuoco impressionante e fino ad ora inimmaginabile per un caccia italiano. Si dimostrò in prova superiore ai Me109G e Foke Wulf 190A caccia di punta tedeschi dell'epoca, Con la proclamazione dell'armistizio, l'8/9/43, e la proclamazione della RSI, la Fiat consegnò il G.55 alla neo costituita Areonautica Nazionale Repubblicana. da  avionshirt

La mancanza poi di scontro sindacale evitava quelle rincorse, tipiche del dopoguerra, alla produttività, al cottimo. Come dire "tu non chiedi e nessuno ti mette fretta": Modello che in Russia ha resistito per 50 e + anni. Su Mussolini, Badoglio e Favagrossa (commissario per le fabbricazioni di guerra) ricadono in primis le responsabilità. Responsabilità anche per il fatto che, con un paese che era alla vigilia della guerra, si erano fatte vendite di motori e mezzi a Francia, Inghilterra, Svezia, Romania, Ungheria, Jugoslavia, Giappone per svariati miliardi di allora fino all'ultimo minuto. Tra i fattori negativi e perdenti si cita l’industria leggera (piccole armi), strategicamente dislocabile in più aree e che invece era concentrata tutta a Brescia; per converso l’artiglieria pesante era sparsa in 95 distretti. Quando nel '41 i tedeschi, vista la nostra debolezza, proposero di costruire sotto licenza il carro armato MkIV, a condizione che fornissimo il motore da 300 hp,. l’Ansaldo (per il corpo) si dichiarò disponibile per 50 pezzi al mese. L’unico motore esistente da 300 hp però era un Lancia e non un Fiat che aveva l’esclusiva con l’Ansaldo. Non se ne fece nulla !!!!. Ancora nel periodo della non belligeranza l’Italia era stata sollecitata dagli Alleati a produrre per loro, tanta la considerazione nei nostri confronti fosse buona, di concerto nessuna vera e propria scelta, in un senso o nell’altro venne fatta (anche la Russia lo aveva chiesto). E’ a tutti noto che presentammo a Hitler, tout court per restarne fuori nell’agosto del 39, la lista della spesa o lista delle meraviglie che la dice lunga anche su materiali strategici che andavano accumulati per tempo. Alle 10 del 26 agosto 1939 il listone è sul tavolo dei tedeschi ( per poco non gli piglia un colpo). Qualcuno visto che non costava nulla caricò anche la mano. >>>>>> >>>>>>(I numeri, se non diversamente espressi, sono in milioni di tonnellate) 6 milioni tonn. di carbone (che raddoppieranno a regime), segue 2 di acciaio, 7 di oli minerali, 150.000 tonn. Rame, idem di nitrato di sodio, 70.000 tonn di sali potassici, altrettanti fra gomma, toluolo, piombo e stagno e nichelio. Sotto il migliaio tutti i metalli nobili, usati industrialmente per le leghe come, molibdeno, tungsteno, zirconio, titanio. La lista prosegue con materiale bellico vario, macchinari e utensili già costruiti, già pronti all'uso. In totale alla fine oltre 17 milioni di tonn., tanto da farne 50 treni al giorno, 17.000 treni in totale che terrebbero occupati in esclusiva i binari da e per la Germania per almeno 12 mesi. (Il fabbisogno è naturalmente per i primi 12 mesi. Consegna immediata, pagamento a 180 giorni dice l’ambasciatore Attolico). Mussolini dovrà scusarsi poi per quell'immediato. Hitler ci resta di sasso ma abbozza: ci penserà.

Il settore aeronautico e la nuova forza aerea fanno storia a se e sono emblematici di una serie di errori, sia strategici che politici. Se Esercito e Marina erano monarchici, l'Aeronautica fresco parto non poteva che essere fascista. Si puntò quindi tutto sui primati di cui facemmo incetta ai quattro angoli del mondo, facendo impallidire perfino Lindbergh e la sua “occasionale” trasvolata. Cominciò De Pinedo con un raid Roma Tokyo Roma nel 1925 a bordo di un idrovolante Siai 16, che lui chiamava Gennariello. Partito dall’Italia il 20 aprile su una rotta passante per l'Australia arrivò a Tokyo il 26 settembre: colpa degli inconvenienti ai motori, dei tifoni e monsoni. Per Il ritorno ci vollero solo 40 giorni. La corsa al primato che si era innescata era il "Pozzo di San Patrizio" per le commesse di motori e materiali speciali di cui era impossibile valutare il costo ed altrettanto impossibile farne un'asta competitiva. L'8 febbraio 1927 sempre De Pinedo vola da Elmas (Cagliari) in Sudamerica con un S 55 Santa Maria che andò distrutto nel successivo tratto per il Nordamerica.

Quota 90
Tasso di cambio lira/sterlina fissato nel 1927 a seguito della rivalutazione annunciata da Mussolini nel discorso di Pesaro del 18 agosto 1926. A quella data il cambio era pari a 153 lire e quota 90 divenne l'obiettivo del governo. Comportò misure monetarie ed economiche, come il consolidamento dei BOT e la riduzione di salari e prezzi interni. "Quota 90" viene raggiunta nella primavera del 1927, fissando il cambio lira-sterlina a 92,46 e lira-dollaro a 19.

 

Lindbergh non aveva ancora volato. Un anno dopo 61 idrovolanti S 59 bis volavano sul mediterraneo, Spagna e Francia per 2804 km. la cosa più impressionante era il volo in formazione stretta che oscurava il sole negli occhi degli spettatori di città come Barcellona, Marsiglia. Nel giugno del 29 si replicò in Europa Orientale. I costi di queste crociere, con aerei spesso non di serie, una specie di formula uno, andavano alle stelle. Gli specializzati erano una equipe, sempre gli stessi ormai addestrati ad operare anche al buio sugli idrovolanti, il cui futuro commerciale e militare era sempre più nero. Si puntava sulla velocità pura ottenendo nel 1933 un mezzo da 711 kmh (parliamo di un goffo idrovolante). Si arrivò dopo altre crociere, create per riscattare gli emigranti (l'onore degli) a quella del decennale della Rivoluzione. Il 7 luglio 1933 (in ritardo) decollano da Orbetello per Chicago 25 S 55 con i nuovi motori Isotta Fraschini da 930 hp. Al suo arrivo, a Balbo, venne dedicata una strada e non gli si poté negare la tradizionale sfilata degli eroi, del trionfo, fra milioni di listelle di carta. Mentre Balbo riceveva il bastone da Maresciallo De Pinedo periva fra le fiamme col suo Bellanca ala alta. Le iniziative di Balbo di acquisire il controllo di tutte le forze Armate, adombrarono Mussolini sempre attento ai rivali e avversari, più interni che esterni. Bastò andare a contare gli aerei efficienti (911) su quelli dichiarati (3125), dati arcinoti per il capo del Governo, e per il ministro fu la fine pubblica. La mania dei record non era terminata. Tito Falconi volò a testa in giù per tre ore, Francesco Agello volò nel '34 a 709 km/h con un Macchi, Mario Pezzi raggiunse nel 1938 il record d i 17.000 metri di altezza con un Caproni, Umberto Maddalena quello per la durata di un volo: 67 ore. Nel 1939 l'Italia deteneva ancora 33 record da Guiness: tanti quanto quelli di Francia, Germania e Usa messi assieme !!!!. Nel 1938 alle squadriglie caccia veniva consegnato il Biplano Cr 42 840 hp con velocità massima di 430 kmh che era meglio del mod 32 che ne sviluppava solo 375 kmh. I Tedeschi dopo l'esperienze spagnola avevano impostato il Messerschmitt BF 109 (500 kmh) e gli inglesi lo Spitfire con carrello retrattile capace di una velocità di 550 kmh !!!. Gli Inglesi saranno in grado di produrre 74.000 aerei contro i nostri 11.000. (i tedeschi 63.000).

    LA REALTA' CIVILE  

La grande crisi di riconversione seguita alla fine della grande guerra venne risolta entro il 1925 con il pareggio di bilancio. La nuova forza della lira e la caparbia volontà della sua rivalutazione (la famosa quota 90 voluta da Mussolini con lira rivalutata ed esportazioni difficili) portò ad una recessione (deflazione) che fece il pari con quella americana del '29. Erano si andate in crisi le grandi industrie (e le banche che le spalleggiavano), ma erano sopravvissute piccole e grandi realtà che producevano beni di consumo con tecniche semi artigianali da pezzo numerato. L’immagine dell'azienda era l'imprenditore: vedi Olivetti, Guzzi, Lancia, Caproni etc.... Se consideriamo la formazione dei progettisti possiamo affermare che siamo alla presenza di una cultura scientifico-tecnica uscita dai politecnici di Milano e Torino rafforzata dalla conoscenza di quanto si andava facendo nelle officine di nazioni industrialmente più avanzate dell'Italia. Siamo dunque di fronte a un progettista che, benché le dimensioni produttive fossero a volte non irrilevanti, si poneva di fronte all'oggetto con l'atteggiamento dell’artista, il Made in Italy ante litteram.

 La Fiat, che per anni non produsse macchine finite (forniva Chassis a carrozzieri), dopo aver lanciato la 1500 del ’35, presenta la più piccola utilitaria del mondo, la 500, con carrozzeria aerodinamica. Nell’universo delle piccole carrozzerie emergevano i nomi di Battista Pinin Farina di Torino (1926), Zagato di Milano. Dalla collaborazione tra questa carrozzeria e l’Alfa Romeo, cominciata nel ’23, nascerà la P2 da corsa che si aggiudicherà il primo Campionato del mondo. Zagato disegna anche carrozzerie di camion (Isotta Fraschini);  poi, nel 1928, l’Alfa 6C 1500, una macchina leggendaria, che vinse per quattro volte la Mille Miglia. L'Alfa 6C 1750, "The greatest sport car off all time" come gli inglesi amano ancora ricordarla, è invece del ’30 (29). Il suo motore sei cilindri in linea a teste emisferiche e doppio albero a camme, disegnato da Vittorio Jano, è considerato una pietra miliare nella storia del motore a scoppio. La Moretti di Torino (carrozzeria), la cui attività risale al 1925, diede inizio alla costruzione di autocarri elettrici nel 1939. Non si sa se derivati dai bus o piccoli autocarri derivati da berline. Si rilevano da immagini camion elettrici in Valtellina al lavoro per le dighe dell'Aem. Nel 1922 la Lancia apre le porte dell’innovazione tecnica con la Lambda. Bassa e slanciata, fu la prima auto al mondo ad adottare la scocca portante: era cioè la stessa carrozzeria a fare da telaio.

La Lambda era inoltre la prima vettura con sospensioni anteriori indipendenti. A Torino, la Fiat realizza nel 1921 un nuovo stabilimento, il Lingotto. La nuova fabbrica venne sviluppata su cinque piani e sul tetto aveva una pista di collaudo. Da qui esce la prima utilitaria Fiat in grande serie, la "509" presentata nel ’25. Nello stesso anno nasce la Sava (Società Anonima Vendita d’Automobili), per la vendita a rate. Ma rifacciamo un passo indietro. Con la fine del primo conflitto molti mezzi vengono ceduti ai privati, inibendone per alcuni anni la nascita e l'assorbimento di nuovi da parte del paese: Poi l'innovazione riprende. Si tracciano alcune linee guida, nate dall'esperienza della guerra per l'impostazione di piccoli mezzi adatti alla montagna in un paese che non conosce ancora le grandi vie di comunicazione. Fra i mezzi più interessanti citiamo un trattore per artiglieria, Pavesi, assoluta novità a distanza ancora di anni. La Svezia lo produrrà su licenza. Un altro primato ascrivibile agli italiani e alla Fiat è l'adozione ante litteram del motore diesel che fino a quel momento aveva equipaggiato grandi motori fissi o naviglio.

 

http://www.fondazioneansaldo.it/manufatti epoca cimeli.htm museo  http://regioesercito.dns1.us/industria/ecoguerra.htm un articolo sulla economia di guerra

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