Generale

Luigi Reverberi

Profilo fornito da Cristian Manfredini e integrato con altre testimonianze  

           

Luigi Reverberi nasce a Cavriago il 10 settembre 1892. 

Figlio di Domenica Balzani e di Torquato, il farmacista del paese (che era fratello dell'Arciprete di Castellarano, morto in concetto di Santità, Don Giuseppe Reverberi*), a 18 anni sceglie la carriera militare ed entra all'Accademia di Modena. Ne esce nel 1912 col grado di sottotenente e, come ufficiale subalterno, l'anno dopo prende parte alla campagna di Libia (guerra italo-turca) con i battaglioni Exilles e Fenestrelle.
Nel 1915 è capitano del 7° Reggimento Alpini e a Ponte Alto, nella zona di Cortina, dieci giorni dopo lo scoppio della guerra, merita la sua prima Medaglia d'Argento al valor militare. Guadagna una seconda medaglia sulle Tofane nel luglio del 1916 e una terza, ancora da capitano, gli viene attribuita nel 1917 sulla Bainsizza quando è al comando della 150ª compagnia del battaglione "Monte Antelao". Nell'agosto dello stesso anno, divenuto comandante di battaglione, si guadagna anche una Corce di Guerra per il valore dimostrato sul San Gabriele.

In particolare, si distingue in una azione ardimentosa quando, al comando di un battaglione di Alpini, si apre una breccia sul M. Grappa (1918 Solaroli e Col dell'Orso) penetrando in profondità nel dispositivo avversario, facendo prigioniere tutte le truppe nemiche che resistevano in Val Cismon. Per le sue audaci azioni il 18 dicembre del 1919 gli viene attribuita la Croce di Cavaliere dell'Ordine militare di Savoia, onorificenza insolita per un Ufficiale inferiore, e ottiene la promozione a maggiore per meriti di guerra.

Nel 1940 viene promosso generale e il 4 agosto assume il comando della divisione alpina Tridentina, partecipando, poco tempo dopo, alla guerra sul fronte greco-albanese. Nel luglio del 1942 parte per la campagna di Russia. Sul fronte russo il 26 gennaio 1943 si distingue nel corso della battaglia di Nikolajewka, mettendo in salvo 30.000 alpini male armati e altre migliaia di sbandati di varie nazionalità. Nella notte tra l’8 e il 9 settembre il generale Reverberi, viene arrestato dai tedeschi a Bressanone e inviato al campo di concentramento per ufficiali di Posen nella Germania orientale. Due mesi dopo fu trasferito a Vittel, in Francia, in un campo per ufficiali collaborativi, ma proprio qui il generale prese contatto con i partigiani francesi. Scoperto viene internato in un campo di punizione a Wietzendorf e infine, nell’estate del 1944, nuovamente trasferito a Posen.

Agli inizi del 1945 passa nelle mani dei russi rimanendo prigioniero nella zona di Kiev fino al settembre del 1945 quando viene rimpatriato. Entrato nella riserva termina la sua carriera con la promozione a Generale di Corpo d'Armata nel 1947. Il 21 gennaio 1951 a Brescia, nella ricorrenza della battaglia di Nikolajewka, il generale Umberto Utili, comandante militare territoriale di Milano, gli consegna, in forma solenne, la medaglia d’oro al valor militare concessagli per le operazioni sul fronte Russo. Luigi Reverberi muore a Milano il 22 giugno 1954. Ora riposa nel cimitero di Montecchio Emilia e la sua tomba è meta di pellegrinaggio di alpini di tutte le generazioni.

La motivazione della medaglia d'oro conferitagli dice: « Comandante della « Tridentina » ha preparato, forgiato e guidato sagaciamente in Russia con la mente e con l'esempio i suoi reggimenti che vi guadagnarono a riconoscimento del comune eroismo medaglia d'oro al Valor Militare. Nel tragico ripiegamento del Don, dopo tredici combattimenti vittoriosi, a Nikolajewka il nemico notevolmente superiore in uomini e mezzi, fortemente sistemato su posizione vantaggiosa, deciso a non lasciar passare, resisteva ai numerosi, cruenti nostri tentativi. Intuito essere questione di vita o di morte per tutti, il Comandante nel momento critico, decisivo, si offre al gesto risolutivo. Alla testa di un manipolo di animosi, balza su un carro armato e si lancia leoninamente, nella furia della rabbiosa reazione nemica, sull'ostacolo, incitando con la voce e il gesto la colonna che, elettrizzata dall'esempio eroico, lo segue entusiasticamente a valanga coronando con una fulgida vittoria il successo della giornata ed il felice compimento del movimento. Esempio luminoso di generosa offerta, eletta coscienza di capo, eroico valore di soldato ». Nikolajewka (fronte russo), ago. 1942 - genn. 1943. 

* Don Giuseppe Reverberi.

Merita di essere ricordato lo zio Arciprete Giuseppe Reverberi nato il 4 giugno 1865 decimo di dodici figli di una famiglia fra le più antiche di Montecchio nell'Emilia. Tra i suoi antenati, alcuni hanno vestito la talare, altri si distingueranno indossando il camice del medico ed altri ancora portando la divisa militare; tra questi ultimi, brillano due medaglie d'oro al Valore Militare. Il papà Paolo è uno stimato perito agrario - geometra. Giuseppina Mazza, la mamma, è una donna dal cuore grande che, nella sua funzione educatrice, punta all'essenziale e che, ben presto, dovrà assumere le redini della numerosa famiglia in seguito alla morte prematura del marito. Appena avverte la sua decima maternità, si affretta a consacrare il nascituro alla Madonna dell'Olmo, venerata nell'omonimo Santuario tanto caro ai Montecchiesi. Dalla mamma impara due cose che non dimenticherà mai: salvare l'anima e dare con generosità ai poveri. Circa la vocazione da seguire, ha un momento di perplessità: militare o sacerdote?. Giuseppe, riflettendo, intuisce che può essere un valoroso operaio al servizio del Regno di Dio ed entra in Seminario: prima, a Marola e, in seguito, a Reggio Emilia.Il 22 agosto 1888 è consacrato sacerdote. Dal volume di Don Erio Bortolotti "Una perla di prete" ... Arciprete a Castellarano
Il 4 novembre 1893, il parroco don Francesco Paderni, mentre sta ritornando alla casa canonica, per un improvviso balzo del cavallo, cade malamente dal calesse e muore dopo poche ore. Il giorno 4 gennaio 1894, è indetto il concorso canonico. Si presentano tre concorrenti. Due dei partecipanti ricevono 5 fave nere su 9; don Reverberi, con 6 fave bianche su nove, vince il concorso e, quindi, dopo le prime esperienze a Cadelbosco di Sotto, a Bibbiano e una breve permanenza come economo spirituale a Roteglia, a soli 29 anni di età, è nominato parroco dell'illustre e antica Pieve di Castellarano. Al momento dell'insediamento del nuovo parroco nel 1894, benché la popolazione sia in maggioranza cattolica e praticante, non c'è alcuna rappresentanza ufficiale. Il fatto non deve meravigliare; non sono lontane la "breccia di Porta Pia" e la dichiarazione di Roma, capitale d'Italia. Sono trascorsi appena 13 anni da quando, a Roma, un gruppo di facinorosi ha tentato di buttare nel Tevere la salma di Pio IX, morto tre anni prima. Anche a Castellarano, non mancano persone permeate di spirito anticlericale e massonico. Nel 1898, non sarà persino permesso a don Reverberi di votare perché non può presentare una documentazione sufficiente che attesti la sua capacità di leggere e scrivere. Con l'avvento del socialismo prampoliniano, nei contrasti tra socialisti e cattolici si trova coinvolto anche lui: parodie sacre, lettere anonime, sassate alle finestre. Taluni, in modo dispregiativo, lo chiamano "tupein nigher" (topo nero). Molti ricordano la chiassata di giovani esaltati con la bandiera rossa che, sotto le finestre della canonica, gridano: "Abbasso l'arciprete! Fuori l'arciprete!". La porta si apre davvero e compare, con un sorriso mesto, l'arciprete in persona. Restano sorpresi; se ne vanno in silenzio. L'indomani, un ragazzotto batte alla porta della canonica, per chiedere, a nome della mamma, un po' di legna. "Signor Arciprete, consiglia il giovane curato, gli dica di bruciare l'asta della bandiera che portava ieri sera!". Don Giuseppe ribatte in tono di rimprovero: "Cosa dite? Andate in legnaia! Sapete dov'è". E' una lezione al giovanotto credulone e ... all'intransigente giovane prete...

La parrocchia è ricca  perchè ha vasti appezzamenti di terra ma le sue tasche son sempre vuote. Dava, dava in continuazione. Sospinto da una carità che non conosceva limiti, non si dava pace se non quando aveva potuto fare del bene a chi gli faceva del male. Più volte arrivò a gettarsi in ginocchio davanti a chi per anni gli aveva resa amara l'esistenza. Tutti ricordano i cartoccini che confezionava con fogli di giornale e che riempiva di soldi. Li allunga agli ammalati, alle mondine e ai soldati quando scoppierà la guerra. Morirà il 3 aprile 1942, venerdì santo, a conflitto in corso.  La sua causa di beatificazione è arenata in qualche archivio.

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