la pietas per i vinti |
"Song' tutt' figl' 'e
mamma" era la semplice, ma lapidaria risposta di quella donna, umile e
forte ad un tempo, a chi le diceva di lasciar perdere, che era tempo
sprecato rischiare per dare sepoltura a dei soldati tedeschi morti in
combattimento. In fondo si trattava pur sempre di nemici, di soldati che
avevano perso la guerra e, si sa, la gente non è mai tenera con i vinti.
Si era nell'immediato dopoguerra, le passioni politiche infiammavano gli
animi, e l'odio delle fazioni non si fermava nemmeno davanti alla morte e
il suo atteggiamento poteva essere scambiato anche come retaggio fascista.
Eppure Lucia Apicella, così si chiamava quella donna che aveva da poco
superato i 50 anni, raccoglieva e ricomponeva anche i resti di caduti
anglo-americani, ma erano una esiguità. Non faceva
differenza di divise o di bandiere, lei, davanti alla morte. Ma come era
cominciata tutta quella storia? Lucia Apicella nasce e vive la sua
giovinezza in Sant'Arcangelo di Cava de' Tirreni in provincia di Salerno. Qui apre una piccola
bottega di frutta e ortaggi e da tale modesta attività ricava il magro
sostentamento per vivere. La sua vita di popolana trascorre senza
scossoni, tra quel suo negoziuccio e la vicina chiesa, in cui si reca a
pregare appena può, essendo religiosissima, anche quando Cava si
trova in prima linea anzi caposaldo del fronte di guerra. Sono i giorni di
Avalanche dello sbarco alleato nella piana del Sele a sud di
Salerno. Una delle strade
obbligate per le colonne anglo-americane, che puntano ad occupare
rapidamente Napoli, è la SS 18, che passa
proprio per il centro del territorio cavese incassato fra i rilievi
montuosi. La battaglia d’arresto è quindi inevitabile. E sarà violenta e
sanguinosa. Il 23 settembre 1943 ha inizio l'assalto decisivo del X C.d.A
anglo-americano alla divisione Herman Goering attestata a Cava. I raid
aerei
alleati aprono vuoti spaventosi nelle fila tedesche, ancor più dei cannoni
al largo. Alla fine i Commandos inglesi forzano il Passo di Molina di
Vietri, che porta su a Cava. Adesso è la stessa Cava ad essere investita
in pieno dai combattimenti. La battaglia infuria con alterne vicende, poi
i tedeschi iniziano il ripiegamento. Le centinaia di caduti, tra le forre
e i dirupi delle montagne cavesi, testimoniano il coraggio e la tenacia
dei tedecshi. Dalla sua bottega Lucia Apicella li ha visti passare nella
loro divisa terribile. Sono giovani, sono i ricambi della Goering, sempre
dissanguata in tante battaglie e sempre ricostituita. Hanno forse vent'anni
e nel volto già il pallore della morte. Vanno a prendere posizione contro
il nemico che avanza, e molti di essi non ritorneranno come non
ritorneranno decine di vincitori, ma a loro sarà riservata degna
sepoltura. Per i tedeschi no, non c'è stato tempo sono sotto un pugno di
terra o addirittura insepolti per giorni. Poi tutto passa, anche il rombo
lontano dei cannoni e la vita riprende. Per lei quei giovani, andati al
macello, erano tutti "figli di mamma" e al di la delle sue abitudini un
giorno resta colpita da un teschio che dei giovani usano come pallone. Le
ripassano negli occhi i tristi giorni di quel tragico settembre del '43.
Rivede quei giovani che marciano e che nel volto hanno già il pallore
della morte. Finché una notte ha una visione. Vede in sogno una radura,
nella radura otto croci divelte. Poi le appaiono otto soldati tedeschi,
che, in un italiano stentato, la supplicano di restituire i loro resti
mortali alle proprie madri in Germania. Questa visione cambia radicalmente
la vita di Lucia Apicella. L'umile, timida e incolta popolana diventa
allora una donna forte e volitiva. E comincia la sua missione. Dura,
terribile, da togliere il respiro e, se non fosse per la sua profonda
fede, anche il senno. I primi resti li scopre in una grotta del vicino
Monte Castello. Ben tredici corpi accatastati alla rinfusa. E lei a
ricomporre quei corpi in disfacimento. A conservare piastrine, foto,
documenti e quant'altro potesse servire, un domani ad identificare le
famiglie d'origine di quei poveri giovani. Chiunque altro di fronte a tale
primo tremendo impatto, si sarebbe arreso. Lucia Apicella no, continua. In
località Arcara, altri 25 morti. Nuovamente le sue mani ricompongono,
lavano quei corpi martoriati. Poi ancora avanti a chiedere, ad
interrogare. Sono passati solo un paio d'anni dai giorni dei combattimenti
e molti ricordano ancora con precisione ed indicano a quella donna, che
ormai si è vestita di nero, i corpi dei soldati caduti. Però sorridono
sarcastici, quella donna deve essere pazza. Ma lei, noncurante, va avanti.
A Santa Maria a Tuoro, altri 18 corpi. In un campo, coltivato a patate
Montoro Inferiore,
addirittura 50 caduti in una sola volta, allineati come per un'ultima
parata. E ancora resti a Santa Croce, alla Badia di Cava e ancora a Monte
San Liberatore, a Pineta La Serra, Monte Pertuso, ai Monti del Demanio. Compra delle
cassettine di zinco e va avanti rischiando la vita quando addosso ai morti
ci sono ancora ordigni esplosivi. Confesserà in seguito di essersi
consegnata, fin dall'inizio della sua missione, completamente nelle mani
di Dio (specie per le bombe). Ci sono anche problemi igienici per la mancata mineralizzazione
dei cadaveri: è trascorso troppo poco tempo. In data 16 luglio 1946
l'Amministrazione Comunale di Cava le concede le autorizzazioni sanitarie
e l'assistenza di due becchini che ben presto rifiutano. E così Mamma
Lucia è nuovamente sola. Chiede aiuto ad una sua amica, Carmela Passero,
che coraggiosamente non si tira indietro. Le cassettine di zinco, in cui
depone con amore di madre le spoglie dei soldati, vengono trasportate
nella Chiesa di Santa Maria della Pietà. E' la chiesa più antica del Borgo Scacciaventi di Cava ed un più degno sacrario Mamma Lucia non poteva
trovare per i suoi "figli. Alla fine della sua missione ha raccolto le
spoglie di oltre 700 caduti. Immensa anche la raccolta di piastrine di
riconoscimento, documenti, foto, che permettono la traslazione di molti
caduti ai luoghi di origine. Prima la stampa nazionale, poi quella
internazionale s'interessano del caso. Adesso non solo la sua città natia
l'ama e l'ammira. Ma tutta l'Italia, Tutta l'Europa, il mondo intero.
Lucia Apicella, nella sua infinita bontà, era riuscita ad essere il
simbolo vivente della Madre dolorosa, che piange il figlio perduto in
guerra. E veramente ella si sentiva madre di tutti quei ragazzi, le cui
ossa giacevano in quelle cassettine e su ognuna di esse aveva versato
calde lacrime. Una madre che era riuscita ad andare oltre le divise, oltre
le bandiere. Il 4 agosto 1951, lei che non aveva mai chiesto nulla,
viene invitata in Germania da quel governo per ricevere l'altissima
onorificenza della Croce al Merito Germanico
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Hugh Pond nel libro "Salerno" scrive: " A 64 anni Mamma Lucia era ancora alta e diritta, nonostante tutta una vita di lavoro. I suoi occhi allora, come lo sono ancora oggi, erano neri e penetranti, e i suoi lineamenti si stagliavano aguzzi col naso imperioso sotto la fronte alta.. I capelli, appena toccati dal grigio, erano severamente tirati indietro. Le mani portavano i segni del lavoro consacrato, e nell'austero lungo vestito nero essa somigliava ad una suora, mentre la pace del suo volto ricorda una figura di Michelangelo".
Pertini così scriveva al sindaco "La scomparsa di Mamma Lucia colpisce dolorosamente quanti riconoscono nell'amore e nella solidarietà valori fondamentali per l'edificazione dell'uomo"
"Mama Luzia o Mutter der Toten" Radio Stoccarda trasmetteva: “ Un popolo che ha saputo dare al mondo una "mamma Lucia" merita tutto il nostro amore, tutta la nostra gratitudine, tutto l'onore di cui siamo capaci” |