RAFFAELE

 CADORNA

Pallanza/Verbania 12/9/1889-22/12/1973

            

 Il suo comportamento e quello del suo diretto superiore Carboni a Roma all'epoca dell'armistizio, innescano polemiche a non finire nel dopoguerra, polemiche accantonate con una assoluzione per tutti i mediocri personaggi militari dell'8 settembre 1943 .

Figlio di Luigi, 3° Conte dal 1928, intraprende la carriera militare in Cavalleria partecipando alla guerra di Libia coi Lancieri di Firenze (Sottotenente dal 1909) dove ottiene una medaglia di bronzo. Tre medaglie d'argento nella grande guerra per incarichi di Stato Maggiore svolti al fronte presso il comando supremo, insieme con il padre Luigi (Trincea mai !!!). Dopo l'armistizio è a Innsbruck con le truppe d'occupazione, poi dal 1920 al 1924 fa parte della commissione militare interalleata in Germania incaricata di tracciare i nuovi confini. Fu successivamente addetto militare a Praga dal '29 al '34 e Comandante del Savoia Cavalleria nel '37. Esprime intanto giudizi negativi nei confronti della politica militare fascista ed è contrario alla guerra d'Etiopia. Da Colonnello comanda dal '41 la scuola di Cavalleria di Pinerolo. Promosso Generale di Brigata nel 1943 ebbe il comando della neo ricostituita 135a Divisione Corazzata Ariete II nella versione di Cavalleria Corazzata. Il suo atteggiamento antifascista lo spinge a sollecitare direttamente il principe Umberto perché sostituisca Mussolini. L'8 settembre 1943 partecipa alla difesa di Roma, ma sul suo comportamento si aprono fiumi di polemiche , compresa una denuncia di insubordinazione (vedi sotto). Dopo l'occupazione della capitale e lo scioglimento della sua unità, è ricercato dalla polizia fascista. Nel dicembre del '43, dopo mesi di irreperibilità, irreperibilità che aveva contestato ai suoi sottoposti, prende contatti con il CLNAI per rendersi conto della possibilità di successo della guerriglia contro i nazisti e riferirne al Centro Militare Clandestino. Nel giugno 1944 viene paracadutato al nord come consigliere militare del movimento partigiano su designazione del governo Bonomi. Cadorna al centro da" la Riscossa" Bietti ed. To. 1975La tradizione di famiglia con gli ideali patriottici, lo spinge infatti, sfidando i limiti imposti dall’età (superata la cinquantina), a conseguire in pochi giorni di addestramento il brevetto di paracadutista, per affrontare le incognite di un lancio in territorio nemico, nella Val Cavallina, in piena notte. Affiancato dai due vice comandanti Parri e Longo, assume nel novembre 1944 il comando del Corpo dei Volontari della Libertà (?-XI-1944 al 22-II-1945) ma nel febbraio 1945 rassegna le dimissioni perché contrario al progetto di unificazione delle formazioni partigiane. Appianati i contrasti, in qualità di comandante supremo dell'esercito partigiano, da il segnale di insurrezione nell'aprile 1945 e tratta la resa delle truppe della RSI. Si deve anche a Raffaele Cadorna il piano che ha consentito di risparmiare numerosi impianti industriali e manufatti di rilevante importanza, facendoli difendere dai partigiani anche a prezzo di gravi perdite, mentre insorgevano Genova,Torino, Milano e gli alleati erano ancora lontani. Il 4 luglio 1945 è nominato capo di Stato maggiore del Regio Esercito (ultimo). Ne diventa anche il primo quando il cambio istituzionale fa del Regno una Repubblica (2-VI-1946 al 1-II-1947). Dimessosi per insanabili contrasti con i vari Ministri della Guerra (Difesa) succedutisi nel dopoguerra, si candida alle elezioni come indipendente nella DC nelle cui file è eletto senatore dal 18-IV-1948 al 28-IV-1963. 

Mentre Cadorna assume dopo  il '43 incarichi nel governo di Liberazione, il 19 ottobre 1944 parte una commissione d'inchiesta sui fatti dell'8 settembre a Roma. Tutto andrebbe bene (ma reprimende ed elogi si sprecano nei due sensi), se non fosse che in un impeto di perfezionismo realista, prende la parola in parlamento. Era l'11 marzo del 49. Il tempo trascorso aveva messo le ali ai suoi detrattori che, come si dice in gergo, aprirono il sacco.  Sul giornale romano "Il merlo giallo" si scatenò la caccia a Cadorna.

….. Quando gli si presentò (nei giorni 9/10 settembre 43) l’occasione di dare esecuzione ai suoi patriottici programmi, fino allora solo cautamente espressi nelle segrete e pallide conventicole, ponendosi alla testa della sua potente unità corazzata per attaccare i tedeschi - come gli era stato formalmente e reiteratamente ordinato (da Carboni) - egli disobbedì accampando scuse degne di una recluta e frustando così un piano di azione che - se al suo posto ci fosse stato un generale diverso - avrebbe potuto far cambiare le sorti di Roma e probabilmente di tutta l’Italia centrale. Quando successivamente gli venne ingiunto di costituire, con le armi e gli elementi della sua divisione, delle bande di patrioti in Abruzzo, egli ancora disobbedì preferendo badaluccarsi, prima, in un comodo doppio gioco con i tedeschi e poi, rifugiarsi in località extraterritoriale ove si rese irreperibile per tutto il periodo di occupazione della capitale.” (Lettera aperta al senatore Cadorna apparsa sul “Merlo Giallo” del 22 marzo 1949, a firma A.Valenti). 

Se aveva avuto da ridire sugli ordini del 9 dati da Carboni (o per sua mano dal Colonnello Salvi, poiché Carboni era sparito) su quelli del 10 settembre la sua posizione era indifendibile. Ricevuto un preciso ordine (al mattino presto) di organizzare due colonne per andare in aiuto dei Granatieri e di porsi al comando di una, cominciò a tergiversare su presunti attacchi tedeschi rivelatisi inesistenti. Carboni spedì un uomo del suo staff  per controllare e ribadire l'ordine, al ché si senti rispondere che gli serviva un ordine scritto, dopo quelli telefonici e a parole che l'ufficiale (Cadorna dichiara di non conoscerlo e pensa a un trabocchetto tedesco) gli ha rinnovato. Alle 14 finalmente le colonne sono pronte a muoversi, ma il comando viene affidato al vice Fenulli. Erano passate 7 ore e mezza. Alle 16 viene firmata la resa. Carboni non si fa attendere e dopo le dichiarazioni di Cadorna ricambia con una denuncia. Padre e figlio a colloquio

1) perché quale comandante della divisione corazzata Ariete, dopo aver palesato deleterie incertezze nel primo giorno (9 settembre) della battaglia per la difesa di Roma, nel secondo giorno (10 settembre) disobbediva all’ordine impartitogli direttamente dal suo comandante del Corpo d’Armata, di mettersi personalmente alla testa di una colonna di assalto e si assentava a lungo, dal suo comando e dalle sue truppe. Impostogli una seconda volta di obbedire all’ordine di prendere personalmente il comando di detta colonna, lo eseguiva ma non attaccava. Inviatogli un ufficiale con l’ordine di attaccare, ricorreva al pretesto di non conoscere l’ufficiale, con la quale aveva già avuto contatti precedenti, ed esigeva inoltre un ordine scritto. Inviatogli anche l’ordine scritto, adduceva un inesistente attacco tedesco su Tivoli, per evitare di portare le proprie truppe all’assalto. Perdeva così quasi mezza giornata in assenze ingiustificate, pretesti e disobbedienza, demoralizzando le proprie truppe e frustando il piano d’azione del suo comandante col far trascorrere il momento adatto per un’azione efficace.
2) perché nel successivo periodo clandestino, si sottraeva al suo dovere di riprendere contatto con il proprio comandante di Corpo d’armata, mentre, a tutela della propria incolumità, manteneva contatti con elementi collaborazionisti dei tedeschi. Perché, allo scopo di occultare le proprie colpe, tramava contro il proprio comandante di Corpo d’armata, in collaborazione coi disertori di Brindisi e con altri ufficiali che avevano mancato durante la battaglia per la difesa di Roma tentando di svalutare il sacrificio dei caduti, il significato unitario della battaglia e il suo valore nazionale, così da fare attribuire a se stesso meriti insussistenti.

Un'altra accusa gli era stata rivolta: Cadorna aveva chiesto ai suoi ufficiali che, anche gettata la divisa, restassero a disposizione e indicassero su un brogliaccio la loro reperibilità, anche clandestina. Il brogliaccio finì in mani tedesche ed è presumibile capire la fine che fecero questi. Lui stesso sparì per diversi mesi. Roba da ultimo dei caporali. 
 

I rapporti col padre Luigi

Il tempo — scrisse al figlio Luigi Cadorna il 17 giugno 1917 — è bello e caldo. Domani Mambretti ritenta l’operazione. Sull’Ortigara o si va oltre o si torma indietro. Speriamo che egli riesca anche a sfatare la deplorevole leggenda di jettarore che gli hanno appioppato. E’ una stupidaggine, lo so, ma in Italia compromette la reputazione e il prestigio. Figurati che, quando saltò prematuramente quella mina alla vigilia della fallita operazione, che uccise quasi tutti gli ufficiali di due battaglioni (120 fra soldati e ufficiali perdono la vita nella posizione detta della "Lunetta" di monte Zebio), che dovevano andare all’assalto, attribuirono la cosa alla sua jella”.. al termine dell’offensiva un mese più tardi “…La fama di M. cresce tutti i giorni — Ieri (13 luglio) l’ho telegrafato a Lello [il figlio Raffaele] e dice anche lui di non ricominciare perché, quando i soldati vedono M. fanno gli scongiuri ed ormai non può comparire in alcun luogo senza che i soldati si tocchino. Comunque sull’Ortigara ha fatto anche degli errori, pensando di assestarsi li”. Due giorni più tardi Mambretti fu destituito.

Del padre si è parlato diffusamente nei capitoli e del suo carattere, delle sue indecisioni e dello strano mondo "ufficiale" che lo circondava. Famose restano le sue lettere anche alla Figlia che ci danno la temperatura del conflitto. Così in una lettera alla figlia Carla l’8 maggio 1916, la drastica decisione di sostituire il gen. Brusati:  [...] Ho dovuto prendere l’energica risoluzione di proporre la sostituzione del comandante la 1ª armata. Nei provvedimenti presi per far fronte ad un attacco austriaco in Trentino, ha mostrato la corda e si è rivelato nel suo vero valore. Teme le responsabilità, rigetta tutto sui comandanti di corpo d’armata, non ha mai forze che gli bastino, perde la serenità e la calma. É una cosa molto dolorosa di dover colpire dei vecchi amici e farsene dei nemici [...] Brusati verrà riabilitato nel 1919.  

Quello che sta piangendo nella satira a fianco è il re Vittorio Emanuele III, e la scritta in tedesco dice "Cadorna, ridammi le mie legioni" La sottile ironia teutonica vuole in questo caso ricordare la disperazione di Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto che si aggirava di notte nelle sale del palazzo imperiale e battendo la testa al muro gridava "Lucio Varo ridammi le mie legioni !!...." Era l’anno 9 a.c. e un capo tedesco !!, Arminio, con un inganno (Rommel di Caporetto) aveva annientato nelle buie foreste di Teutoburgo tre legioni (circa 20.000 uomini) del suo Governatore generale Lucio Varo. .. era l'inizio di settembre e la fine del piano di espansione dell'Impero Romano oltre l’Elba nella terra dei Germani !!.

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