Gen. Giuseppe Tellera

la morte di Balbo

Nello Quilici padre di Folco era discusso giornalista del regime e faceva parte come ferrarese dell’Entourage (collaboratori) di Balbo. Il 28 giugno 1940 l’aereo sul quale il giornalista si trovava insieme con Italo Balbo e con altri collaboratori del governatore, fu abbattuto dalla contraerea italiana nel cielo di Tobruk. Il Maresciallo dell’aria aveva fatto salire ben nove persone sul suo aereo S79, fra questi il nipote Lino, il cognato Cino Florio, Caretti, federale di Tripoli, il maggiore Brunelli e Nello Quilici. Guidava lo stesso Balbo, col maggiore pilota Frailich, il capitano motorista Capannini e il maresciallo marconista Berti. L'altro aereo era quello del Gen. Porro che imbarcò il gen. di brigata aerea Egisto Perino, il capitano Leardi, il generale Tellera capo di S.M., il tenente colonnello Sorrentino e il capitano Goldoni. Dal racconto di Perino: - Quasi sulla verticale dell’aeroporto, fummo investiti da una centralissima salva di artiglieria - sparavano le batterie costiere e quelle di una R. Nave della baia di Tobruk - e da proiettili traccianti da mitragliera da 20 mm. Istintivamente gli apparecchi, disunendosi dalla formazione, scapparono in direzione opposta: noi verso il mare, l’apparecchio di Balbo, alla nostra destra, verso terra. Intanto, il tiro già aggiustato delle batterie continuava. Vedemmo l’aereo del Maresciallo scivolare repentinamente su un’ala e quindi precipitare verso il suolo dove, dopo l’urto, si incendiava. Anche il nostro velivolo era stato in varie parti colpito da schegge e da proiettili di mitragliatrice. Consigliammo perciò al generale Porro di dirigersi per l’atterraggio verso il più prossimo aeroporto onde toglierci da una posizione sempre più pericolosa. Poco dopo atterrammo nel campo di El Gazala da dove subito, in automobile raggiungemmo Tobruk - . 

http://www.insmli.it/pubblicazioni/1/ic_243_ceva.pdf ITALIACONTEMPORANEA n° 243, giugno 2006 - Balbo e la preparazione della guerra in Africa settentrionale di Lucio Ceva

Angelo del Boca: Tellera scrive alla moglie il 29 giugno 1940: «Sei già al corrente dell’orrenda sciagura che ci ha tolto il Maresciallo Balbo: Io ero in altro apparecchio al seguito e ho assistito a tutto! A me stamane è toccato il duro, amaro compito di informare la Signora, che è a Cirene con i bambini. Uno strazio da non dire. Avevamo avuto due giorni di ghibli violentissimo, che ci aveva impedito di volare. Il 28 il tempo si era fatto bello ed il Maresciallo decise di recarsi al pomeriggio a visitare certe truppe che avevano occupato quella mattina una nuova posizione. Partenza alle 17 dal campo d’aviazione qui vicino. Io dovevo andare sull’apparecchio del Maresciallo, come al solito; ma proprio nel momento in cui stavo per montare la scaletta del suo apparecchio, il Maresciallo mi disse di passare in quello del gen. Porro, perché lì c’era da sedere. E con me mandò il ten.col. Sorrentino. Così noi due abbiamo avuta salva la vita. [...] Quando ci siamo avvicinati a Tobruch si è visto che gli inglesi stavano bombardando il campo d’aviazione e noi abbiamo proseguito. Giunti al campo per atterrare (gli inglesi si erano allontanati) siamo stati investiti da raffiche di mitragliatrice della difesa contraerea, il nostro pilota si è buttato violentemente a sinistra e in basso verso il mare, e ci siamo salvati pure con qualche pallottola nell’apparecchio; l’aereo del Maresciallo è stato colpito nel serbatoio ed è precipitato in fiamme. Noi abbiamo atterrato in un altro campo, abbiamo atteso il Maresciallo; il dubbio è diventato certezza; siamo corsi a Tobruch e siamo giunti sull’imbrunire, quando l’apparecchio finiva di bruciare. Non ci pareva vero. Ho chiamato Gariboldi, perché assuma il comando interinale delle truppe della Libia ed è giunto stamane; ma ora un telegramma comunica che prenderà il Governo e il Comando Superiore il Maresciallo Graziani».

Il generale Tellera nell’assumere, il 22 dicembre 1940, il comando della X armata, già logorata nella precipitosa ritirata sulla piazzaforte di Bardia così confidava ad un collega: «So di andare a morire, ma avrei almeno gradito di guidare un’armata da me addestrata». Essendo in Libia dal settembre del 1937 Tellera conosceva perfettamente la situazione in Libia, la consistenza degli armamenti, il grado di preparazione delle truppe nazionali ed indigene. Sugli armamenti presenti in colonia avrebbe sicuramente potuto sottoscrivere ciò che il generale Erwin Rommel il 5 marzo 1941 scriveva nel suo primo rapporto a Berlino: «L’antiaerea è costituita da vecchissimi Skoda da 75 mm. che risalgono alla guerra 1914-18 (poteva aggiungere anche in mano a  deficienti). Ho visto perfino dei mortai di bronzo, antiquati già nell’esercito austro-ungarico (che lui conosceva bene dai tempi di Caporetto). Gli apparecchi da ricognizione sono vecchi Caproni, inermi e lenti, micidiali solo per chi ci vola… L’unica cosa viva è il valore e il coraggio dei piloti; un nostro aviatore rifiuterebbe di volare con certi apparecchi che qui, a ragione, chiamano “casse da morto”. [...] I fucili italiani si chiamano “modello 91” perché rimontano all’anno 1891. Gli italiani non possiedono mitra; i carri armati da 3 tonnellate sono semplicemente ridicoli».

LA MORTE DI TELLERA

.. ... il generale Tellera abbandonava il riparo della Casa cantoniera al Km 39 e, noncurante del fittissimo fuoco, saliva su uno dei carri superstiti e cercava di risalire la colonna per andare incontro alla brigata corazzata del generale Bergonzoli e con questa compiere l’ultimo tentativo per rompere l’accerchiamento. Ma mentre risaliva lo schieramento si scontrava con una formazione corazzata nemica e veniva ferito gravemente a un polmone. Era stato colpito da una scheggia di granata scoppiatagli a qualche metro di distanza. […] Soffriva, respirava male, e stentava a parlare. Tellera, che aveva schivato la morte in Giugno, moriva prigioniero ora alle 2 del 7 febbraio 1941.

fossato anticarro a  TobruckSempre Del Boca: ... il tenente medico Mauro Sabiani: "Il Generale morì nelle mie braccia alle ore due del 7 febbraio nel deserto Cirenaico, nei pressi di Solluch. Vi sia di conforto, signora, il sapere che il vostro caro marito non fu mai toccato da una mano che non fosse italiana: per un mio orgoglio e per un mio dovere. Gli alti comandi inglesi mi dettero personalmente l’autorizzazione di accompagnare la salma a Bengasi e mi fecero accompagnare da un capitano cappellano anglicano". «The Times» «Martedì mattina, al culmine della più grande battaglia fra carri armati della campagna, il generale Tellera veniva catturato mortalmente ferito. Il funerale si era svolto nella cattedrale di Bengasi «with full military honours».
I combattimenti lungo la via Balbia cessavano del tutto nella giornata del 7 febbraio con la resa del generale "Barba Elettrica- Electric Whiskers" Annibale Bergonzoli. La X armata aveva così cessato di esistere. Si erano salvati alla cattura soltanto 7 mila italiani e 1.300 libici. Restavano nelle mani degli inglesi 130 mila soldati, 400 carri armati e 1.200 cannoni. Anche l’aviazione aveva subito perdite gravissime nel corso dell’offensiva di Wavell: 564 apparecchi, di cui 200 abbattuti in volo o distrutti a terra, gli altri abbandonati durante il ripiegamento per la loro inefficienza.

MED. ORO alla memoria: motivo del conferimento
Capo di S.M. del Comando Superiore Forze Armate Africa Settentrionale, fu organizzatore fattivo e previdente, specie nel periodo che condusse le nostre armi alla vittoria di Sidi El Barrani. Assunto, in una situazione particolarmente critica, il comando di un’armata, conservava durante il forzato ripiegamento dal Gebel Cirenaico, la calma più serena, dando luminose prove di alta capacità di comando e di eminente valore personale. Nella battaglia del Sud Bengasino, quando il nemico aveva già resa impossibile la ritirata delle nostre truppe su Agedabia, arrestava, in due giorni di asprissima lotta, l’irruenza dell’avversario e gli infliggeva gravissime perdite, obbligandolo a desistere dalla sua spinta nella Sirtica. Riunite le truppe superstiti in estrema difesa in una località particolarmente importante, tentava ripetutamente, con grave rischio personale, di raccogliere gli ultimi mezzi per aprirsi un varco e rompere l’accerchiamento nemico. In tale supremo ed eroico tentativo, cadeva gloriosamente sul campo, degnamente suggellando una vita d’intera dedizione alla Patria. Sidi El Barrani (A.S.), settembre 1940 -Agedabia, 6 febbraio 1941.

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