LA SECONDA GUERRA MONDIALE

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BERSAGLIERI DISPERSI DALL'8 SETTEMBRE 1943

  - JUGOSLAVIA Btg.Zara, 4° e 11° reggimento -

 

La base navale di Pola, i suoi arsenali, i suoi centri d'addestramento e i cantieri e le raffinerie di Fiume erano il meglio in quel momento che la Marina militare Italiana, dopo la Spezia, poteva disporre. Le forze appartenenti alla Regia Marina, presenti nella base istriana, ammontavano a più di ventimila unità. Dopo il 25 luglio, accolto anche qui con indifferente calma, il controllo dell’ordine pubblico venne assunto dal Comando del XXIII Corpo d’Armata, Gen. Alberto Ferrero (dipendente da VIII armata di Padova in ricostituzione dopo la Russia) che estendeva la sua competenza sull’Italia orientale dal Brennero fino a Fiume esclusa dove cominciava la competenza della II armata). La notte del 2 settembre 1943 Superesercito emanò la “Memoria  44 op” che stabiliva, quali obiettivi particolari, la distruzione da parte della II armata della 71a Divisione tedesca (che teneva le linee da Tarvisio al mare), impedire, con l’VIII Armata, le comunicazioni verso il Sud Italia e, per quanto riguarda i compiti affidati alla sola VIII Armata, d'interrompere le comunicazioni tra la Germania e l’Italia ed arrestare il passo alle truppe tedesche in Trentino ed in Alto Adige. Uno scherzo da ridire !!!. Il mattino del 5 settembre il generale  Gambara, comandante dell’XI C.d.A (II armata), giunse in auto a Roma, convocato dallo S.M Generale per ricevere l’incarico di formare un corpo speciale di circa 10 / 12 divisioni prese dalle due armate per precludere ai tedeschi l’occupazione di Trieste, Fiume e della Slovenia. Gli ordini gli furono però consegnati dopo l’annuncio dell’armistizio che lui non aveva ascoltato. Il generale apprese a Foligno, alle ore 23 ad un posto di blocco, della proclamazione dell’armistizio: chiese istruzioni circa la sua missione e gli fu detto di proseguire. I tedeschi intanto avevano riconosciuto a Ante Pavelic tutti i territori già sloveni e croati. Il giorno 11 settembre Gambara, inopinatamente apriva le porte ai tedeschi della zona controllata dagli italiani. Ciò che spinse probabilmente il generale Gambara a cedere dinanzi ai tedeschi fu il pericolo rappresentato dai partigiani e dalla presenza minacciosa degli ustascia di Pavelic. I tedeschi vennero considerati una garanzia rispetto agli sloveni ed ai croati che, se fossero entrati nell'Italiana Fiume, non avrebbero certo risparmiato le migliaia di residenti di etnia italiana. La lotta armata intorno a Fiume si estinse in pochi giorni: per dar prova del successo delle operazioni compiute in Venezia Giulia (ma non solo), il 30 settembre i tedeschi fecero sfilare i partigiani catturati nei giorni precedenti e già resisi responsabili di eccidi e massacri verso italiani e tedeschi. L’Italia venne divisa in tre zone di operazione: la prima, sotto il comando di Kesserling, abbracciava le regioni meridionali e centrali, quelle dove era il fronte. Le altre, subordinate a Rommel, includevano anche le province di Bolzano, Belluno e Trento (Ozav) e un’altra, denominata OZAK,  zona Jugoslava non soggetta agli ustascia. 32 divisioni italiane !!! (ca 300.000 uomini dislocate in Slovenia, Croazia, Dalmazia e Montenegro erano state disarmate. Le unità tedesche utilizzate nel primo rastrellamento al confine non superarono i 5.000 uomini ed incontrarono solo sporadica resistenze da parte di piccoli gruppi. L’operazione, dal nome in codice “Wolkenbruck” (nubifragio) impegnò le unità della 162 div. turkmena, della 24 e della 44 div. di Fanteria corazzata, delle divisioni corazzate S.S. Prinz Eugen e Leibestandtarte Adolf Hitler (ma con queste copriva anche quasi tutta la jugoslavia). L’arrivo dei tedeschi, che segnò ulteriormente la già provata penisola istriana, fu tuttavia sentito come la fine di un incubo fatto di violenze, sopraffazioni ed esecuzioni sommarie già avviate dal breve interregno partigiano (la prima foiba).  

ELIO RICCIARDI - I BERSAGLIERI IN DALMAZIA ... ED. ANVGD 1999

pag. 162 e segg. ... Anche in Dalmazia l’8 settembre vi furono nei reparti esplosioni di euforia contrastate, come dovunque, dai più responsabili, coscienti della previsione che non si trattasse della fine della guerra ma dell’inizio della sua fase peggiore. Diverso fu lo stato d’animo della popolazione civile italiana che, a differenza dei connazionali della Penisola, non poteva avere illusioni su di una semplice conclusione del conflitto. Non è questa la sede per trattare di come la situazione sia stata gestita dal governo e dagli alti vertici militari, che in un certo senso coincidevano dal momento che dopo il 25 luglio il governo era presieduto dal Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio (l'uomo più alto in grado dopo il Re). Di sicuro la situazione venne gestita in un modo disastroso. Non è neppure questa la sede per approfondire la figura del Badoglio, sulla quale sembrano lecite quanto meno notevoli perplessità. Fu comunque l’uomo che si addossò il compito di portare l’Italia attraverso una scelta che a molti sembrava obbligatoria. Di sicuro sembrava obbligatoria ai vari politici che attesero il compimento del disastro prima di tornare alla ribalta. Nessuno di essi risulta però essersi fatto avanti nel momento peggiore per cercare di farlo superare con il minore danno possibile (ndr: tutto fu concentrato in un mese e mezzo fuori dai tradizionali canali politici (Badoglio fece un governo di "tecnici" graditi a Casa Savoia), e quindi fuori da ogni controllo e fattibilità di merito. L’unico vero responsabile era il Re).
Sembra comunque lecito pensare che se i Tedeschi si attendevano tale mossa significa che la ritenevano rispondente agli interessi italiani. Rispondeva per contro agli interessi tedeschi impedire la resa dell’Italia e questo giustifica gli sforzi italiani per tenere segreta l’operazione. Non so quindi quanto sia giusto parlare di tradimento da parte dell’Italia. Di sicuro i comandi tedeschi superarono la loro crisi dovuta alla notevole inferiorità iniziale di forze in sede locale addivenendo con i comandi italiani ad accordi, che generalmente disattesero dopo avere acquisito la superiorità. La superiorità locale fu raggiunta dai Tedeschi sia mediante la manovra delle forze e sia a causa del progressivo sfaldamento delle unità italiane. Tale sfaldamento fu causato in misura determinante dalla carenza e dalla contraddittorietà degli ordini che i vari livelli di comando ricevevano dai comandi superiori (in loco o nel Sud Italia). Tali ordini avevano la costante preoccupazione di cercare un accordo con gli ex-alleati, cercando di evitare il più possibile scontri armati. La conseguenza fu che i Tedeschi poterono disporre dell’iniziativa, mentre gli ordini che giungevano alle unità italiane finirono per risultare molto spesso superati e addirittura controproducenti. Era logico che in tale situazione la naturale inclinazione dei singoli (compresi non pochi comandanti) a considerare la guerra conclusa ed a rimpatriare determinasse un progressivo sfaldamento dei reparti.
L’8 settembre 1943 coglie i 340.000 soldati italiani dislocati in Jugoslavia nelle condizioni peggiori che un esercito di invasione possa immaginare. Le forze dell’Asse, nell’aprile 1941, hanno liquidato in dodici giorni la Jugoslavia realista (del re). Dopo poche settimane, però, si sono ritrovate invischiate in una guerra civile e partigiana condotta con una determinazione e una ferocia che non hanno riscontro nel resto dell’Europa. Il crollo verticale dello Stato iugoslavo ha liberato cupi contrasti nazionali e di classe, cresciuti nel precedente ventennio. Con la guerra di resistenza all’invasore, esplode anche una guerra civile di tutti contro tutti. Croati nazionalisti e ustascia di Ante Pavelic, nazionalisti serbi di Draza Mihailovic, montenegrini, musulmani, sloveni, albanesi, minoranze nazionali, le più diverse, si scagliano gli uni contro gli altri. Un ginepraio di odi nazionali, ideologici, religiosi, che gli italiani credono di poter «amministrare» a proprio vantaggio, ma nel quale presto si perdono. Capita che ustascia croati e cetnici serbi, alleati degli italiani, si battano tra di loro e non possano essere impiegati fianco a fianco contro i partigiani di Tito. Succede anche che l’esercito italiano accolga nella sua zona di occupazione in Dalmazia serbi ed ebrei che fuggono i massacri dell’alleato ustascia. A Gospic, nel novembre 1941, sono gli alpini che interrompono, con la minaccia delle armi, una ennesima strage di serbi. Nello stesso tempo, gli italiani sono travolti nella spirale della repressione contro la guerra partigiana di Tito. Si rastrella, si incendia, si fucila
… Antonio Pitamitz

   

Il 4° a sud e l'11° bersaglieri prima dell'8 settembre http://digilander.libero.it/freetime1836/libri/libri13bis.htm 

Nei giorni immediatamente successivi all’ 8 settembre 1943, a Cattaro la divisione “Emilia” combatté per tre giorni contro i tedeschi. A Ragusa i tedeschi entrarono il 10 dopo alcuni scontri. A Spalato i partigiani precedettero i tedeschi e vi rimasero dal 10 al 27, ma si volatilizzarono all'arrivo dei tedeschi. Anche a Sebenico i partigiani precedettero i tedeschi, ma si ritirarono il giorno successivo. A Zara i tedeschi entrarono il 10 ed i partigiani non vi avrebbero posto piede sino al 31 ottobre del 1944. A Spalato il 18 settembre, con un manifesto, annunciarono che il Tribunale militare aveva condannato a morte ventidue persone e che la sentenza era già stata eseguita. Il 23 settembre un secondo avviso annunciava la fucilazione di altre sette persone. I tedeschi superarono la resistenza partigiana il 27, ed il 1° ottobre a Treglia (Trlj) decimavano gli ufficiali della divisione “Bergamo”, a cui era in forze anche il 4° bersaglieri, per aver trattato con partigiani ed aver loro ceduto armi e magazzini. 47 furono fucilati.
Il 9 ottobre, Maria Pasquinelli, insegnante a Spalato, otteneva dal Comando Piazza tedesco di procedere alla riesumazione ed al riconoscimento delle salme dei condannati a morte dal Tribunale militare partigiano. Dalla prima fossa, che secondo gli avvisi doveva contenere ventidue cadaveri, ne vennero esumati trentanove. Dalla seconda fossa, al posto delle sette salme, ne vennero dissepolte ventiquattro. In una terza fossa, della quale nessuno aveva dato notizia, furono trovati i corpi di quarantadue fucilati. I morti complessivamente ammontavano a centoquindici. Il Capo gabinetto del Prefetto di Spalato, dottor Scrivano, asserì di aver visto prelevare notte tempo, dal carcere dove era detenuto, non meno di duecentocinquanta persone.  Da una indagine, effettuata dopo la guerra, si sono potuti individuare “nominativamente” nella zona di Spalato - Traù 53 civili e 43 guardie di pubblica sicurezza uccisi dai partigiani. Ma ancor prima dell’ 8 settembre la pubblica sicurezza aveva avuto 6 morti, i carabinieri 10, e la guardia di finanza 15. Nelle altre località della Dalmazia, al di fuori di Zara, Spalato e Traù, sono stati “nominativamente” identificati 44 civili, 18 guardie di pubblica sicurezza, 16 guardie di finanza e 30 carabinieri uccisi dai titini.

 

LA LUNGA AGONIA DEL BATTAGLIONE BERSAGLIERI ZARA

  Abbiamo lasciato il battaglione Bersaglieri Zara alla operazione invernale Weiss. Il 20 marzo 1943 l'unità autonoma rientrava nelle fila del 291° fanteria Zara riprendendo gli alloggi in località S. Antonio. Il 21 aprile sfilata lungo la Riva Nuova e giuramento delle reclute. A fine mese riprende il ciclo operativo con rastrellamenti ed eliminazione di blocchi stradali.

dal diario del Ten. Giuseppe Maras "
- 27 aprile, martedì. Arriviamo a Chistagne e ci sistemiamo alla meglio (...). Alla sera si apprende che domani mattina bisogna andare fino vicino a Knin (Tenin) ad esplorare la strada. Ma speriamo che vada bene perchè la zona è infestatissima di crucchi.
- 28 aprile, mercoledì. Si parte in bicicletta e si arriva fin sotto Pagene. Vediamo dei gruppi fuggire e mandiamo qualche raffica di mitragliatrice fuggono dai nostri colpi, li comincia a prendere in pieno l’artiglieria [... prima di sera si ritorna alla base)
- 29 aprile, giovedì. Andiamo nel posto di ieri per proteggere la strada perché il Generale va a Knin. Da Raducicco in su andiamo a piedi per un terreno quanto mai brutto. Si arriva a Pagene combattendo un po ma dopo, per un errore di manovra di un battaglione ci inchiodano sul posto ed il ripiegamento va piuttosto male.
E’ più una fuga. Abbiamo dei feriti, dei quali uno grave. Alla sera facciamo un po’ di baldoria al 291°. fanteria
- 1 maggio, sabato. Oggi finalmente un po’ di pace. Alla mattina faccio la S. Comunione e sono assai contento di aver potuto approfittare di quest’occasione
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- Il 30 aprile il btg. “Zara”, con il XV btg. dell’ 11° rgt. bersaglieri, il btg. squadristi “Milano”, la 4” B.A.C. e con il concorso dell’artiglieria, operando verso Pagene, avevano comunque costretto i partigiani a ritirarsi verso Debelo Brdo. Le nostre perdite erano stati 5 feriti del btg. “Zara”, quelle accertate dei partigiani 11 morti . Il I maggio la 5” cp. del battaglione rientrò autocarrata a Zara, seguita il mattino successivo dal resto del reparto in bicicletta, che si fermò a mangiare a Bencovazzo. lI 2 maggio giunse a Zara il neocostituito battaglione fanteria che, assunto il nome di II btg. “Traù”, prese il posto, nel 291° del btg. “Zara”. Quest’ultimo passò quindi alle dirette dipendenze del comando Divisione. continuando peraltro a dipendere dal 291° rgt. per la parte amministrativa. Dal 5 maggio il battaglione viene “condizionato” a Biograd o Zaravecchia ex capitale della regione. Bagni, calcio etc…

Tornando al diario Maras troviamo:
- 19 maggio, mercoledì: Si parte in bicicletta ed arrivati a Bencovazzo .. si parte alle 10,30 della sera e si cammina fino alle 3.
- 20 maggio, giovedì: Stiamo appostati dalle 3 alle 6 e quindi iniziamo il rastrellamento inquadrando tutti gli uomini dai 15 ai 60 anni. Parecchi di questi poi risultano ricercati per favoreggiamento. Si pranza a Bencovazzo e si arriva a Zaravecchia verso le 4. Con il reparto opera spesso una Bac cattolica di Bencovac comandata dal Ten. Ignazio Thuringer (vice comandante il Ten. Audace Mestrovich):
- 2 giugno, mercoledì: Partiamo alle 3 di notte e sempre a piedi si va in rastrellamento fino alle 3 del pomeriggio. Arriviamo stanchi morti. Appena arrivati si dovrebbe ripartire per Bencovazzo; invece ci va solo la 6” . Il 3giugno la 5” cp. con la I” B.A.C. parteciparono con carabinieri ad un’azione di normalizzazione nella zona di Zaravecchia. Krmina, S.Cassiano (Sukoan). Furono catturati 14 partigiani, 9 dei quali restarono uccisi in un tentativo di fuga. La guerriglia si sta avvicinando a Zara
- 3 giugno, giovedì (Ascensione): Mentre ci stiamo preparando per la S. Messa la 5”, che è andata a S. Cassiano con i carabinieri, ritorna e questi ultimi danno fuoco a diverse case di Zaravecchia, evidentemente di collaboratori, o ritenuti tali, dei partigiani. Arrestano anche un bersagliere del btg. per connivenza con il nemico. Il clima in paese è teso. Alla sera non c’è una persona al passeggio.

Lo Zara assume ufficialmente la denominazione di "Battaglione autonomo bersaglieri ciclisti Zara" e viene rifornito di armi nuove, compresi 6 mortai da 60 e Mab. I bersaglieri che si erano preparati per la festa del 18 giugno debbono interrompere la preparazione per continui attacchi partigiani a Raducicco. Oltre 100 dei loro uccisi contro 15 dei nostri. Quello del 16 giugno 1943 era stato un attacco in forze di 1.500 partigiani che aveva visto impegnato il XV btg. del 11° Bersaglieri, il 291°, 292°, Cetnici delle Bac ortodosse. Le gare sportive vengono rimandate a fine mese.  L'8 luglio agganciamento di una colonna partigiana dalle parti del M. Sopalj dove muore il cappellano Don Frattini. Le notizie dello sbarco degli americani in Sicilia e del 25 luglio si susseguono lasciando immutato il quadro tattico della Dalmazia che si macera ormai di quotidiana guerriglia. La pressione, forse anche per gli sviluppi politici della caduta di Mussolini, sembra sospesa per giorni. Maras si chiede cosa ci aspetterà.  Il 28 luglio la 5’ e la 7” cp. andarono via mare a Vodizze (Vodice), in rinforzo ad un btg. di granatieri. Lo stesso giorno il rimanente del btg. “Zara” e la I” B.A.C. rastrellarono la zona di Goriza (15 km a sud-est di Zara) dove il giorno prima i partigiani avevano fatto irruzione prevalendo sui paesani armati.

"Con le notizie di questi ultimi giorni non posso dire che luglio sia stato un bel mese per me". Poi a metà agosto...
-15 agosto, domenica. Si parte in camion di scorta al Col. Lucchetti. Dopo qualche km si sente il ta-pum. Scendiamo ed io occupo una quota alle falde della quale si dispongono il Comando e l’artiglieria. Su delle quote antistanti si vedono benissimo molti ribelli e tra artiglieria ed aviazione alla sera si contano 74 morti, -12 prigionieri ed alcune armi. E’ una delle più belle azioni fatte in Dalmazia.
-16 agosto, lunedì. Rientriamo a Bencovazzo e vi troviamo anche il resto del battaglione che rientra a Zaravecchia per un giorno. Tanto per lavarsi e mettersi un po’ a posto. Noi invece restiamo a disposizione del colonnello Lucchetti. Sembra che ieri sia morto il famoso Drago Zivkovié e che abbiano avuto complessivamente 250 morti.
-5 settembre, domenica. Giornata magnifica con un passeggio molto frequentato
-7 settembre, martedì. La vita procede tranquilla e calma senza alcun avvenimento degno di nota. Alla sera si esce sempre un po’ prima per poter ammirare le bellezze muliebri di Zaravecchia

     
Ancor oggi non è stato possibile comprendere la ragione ed i motivi di ordine militare (salvo la rappresaglia di Tito) che indussero gli alleati a distruggere con 54 bombardamenti la città di Zara, un obiettivo di poco più di un kmq., sul quale sganciarono non meno di 584 tonnellate di bombe, pari a 54 chilogrammi di esplosivo per ogni 100 metri quadrati (metri 10 x 10). Zara non era una base di rifornimento per le divisioni tedesche che operavano nell’ interno della Jugoslavia. La città non era collegata con alcuna ferrovia. Il suo porto era più che altro turistico. Sulle sue banchine non potevano attraccare più di due piroscafi alla volta e di stazza non superiore alle 2.500 tonnellate. Il numero dei morti sotto i bombardamenti di Zara non è determinabile. Il primo bombardamento del 2 novembre 1943 causò circa 200 vittime ed altrettante il secondo del 28 novembre. Imprecisato, ma elevato il numero dei feriti. Dopo il secondo bombardamento la popolazione abbandonò la città rifugiandosi nelle campagne, nei paesi vicini. Gli uffici anagrafici cessarono di funzionare, all’ Ospedale Provinciale i morti non vennero più registrati. Le salme quando possibile venivano sepolte in fosse comuni. Ed il Capo della provincia, Vincenzo Serrentino, dopo il terzo bombardamento (16 dicembre 1943) poteva riferire soltanto in via di larga approssimazione che i morti sarebbero stati una sessantina. Tenendo presente che i 54 bombardamenti durarono sino al 31 ottobre del 1944, pensando a quanti sono scomparsi in mare proiettati dalle esplosioni, a quelli che morirono nelle località intorno a Zara, alle imbarcazioni mitragliate, a quelle affondate, a quelli che fuggendo dal rogo della città vennero dilaniati dagli spezzonamenti, si può ragionevolmente ritenere che i morti si siano aggirati sulle 2.000 persone. La pulizia etnica della Dalmazia, iniziata con l’esodo di circa diecimila dalmati dopo la firma del Trattato di Rapallo, era stata sanguinosamente completata. A Zara, fra quelle poche migliaia di sopravvissuti su una popolazione, in origine, di 22.000 abitanti, dopo l’ingresso dei titini (31 ottobre 1944) e cessati i bombardamenti aerei, vennero soppresse 180 persone “nominativamente” fra cui due prefetti. Vincenzo Serrentino, nominato Capo della provincia dalla autorità della Repubblica Sociale Italiana il 2 novembre 1943, resse le disperate sorti fino al 30 ottobre 1944, riparando poi a Trieste. Il 5 maggio del 1945 veniva qui catturato dai titini che avevano occupato il capoluogo giuliano. Condotto a Sebenico, dopo due anni di carcere, fu condannato a morte. La fucilazione venne eseguita il 15 maggio 1947.

  La provincia di Zara era all'epoca difesa da una zona cuscinetto che andava da Zaravecchia (Biograd 40 km ca da Zara a Sud) a Kistanje e Benkovac. A Ovest-nord-nord-est le lagune, i fiordi e il mare la proteggevano naturalmente. Erano dislocati a Sibenik (Sebenico 73 km da Zara) il XXVI btg. dell’4° rgt Bersaglieri, a Tenìn l’11° rgt. Bersaglieri e a Zaravecchia (Biograd na Moru) il btg. “Zara” più una Bac cattolica, una brigata della finanza e una del Dicat.  Erano altresì presenti nel distretto la Div. Zara su 291° Col. Nani a Kistanje e 292° Rgt. Col. Lucchetti a  Benkovac (Bencovazzo). Presidi minori sulle strade secondarie fra i centri e truppe di presidio in città. Il 10 settembre (mattina) il presidio di Benkovac evaporò come neve al sole. Due compagnie rinforzate nei presidi minori sorprese dai partigiani patteggiarono ma furono disarmate. All'atto della adesione alla guerra partigiana, in 349 colsero la prima occasione per "svignarsela". Ma la sorte era la stessa di quelli che venivano catturati dai tedeschi. Il presidio di Kistanje partì sempre il 10 mattina  ma incappò nei partigiani. Il provvidenziale intervento dei tedeschi li salvò ma non dai campi di concentramento. Un Btg del 291° T.Col. Badini, che aveva raggiunto Zara, passò armi e bagagli ai tedeschi.  Il battaglione Bersaglieri Zara che si era pure mosso la mattina del 10, non incontrò partigiani e per la strada costiera raggiunse Zara indisturbato, tanto da prendere posizione nella cinta fortificata. Gli altri da Biograd erano giunti via mare. Il posizionamento dello Zara era coinciso con l'ingresso in città di una delegazione tedesca che trattava la resa. Alle 15 circa 150 uomini delle 114a Jaeger (Cacciatori) del magg. Teissl concordava la resa già autorizzata dal nostro comando. La città era a larghissima maggioranza italiana e nessuna forza avrebbe potuto tenerla se non concordemente. Lo stesso problema della rivendicazione croata era stato accantonato dai tedeschi che lasciarono alle autorità italiane il controllo della città e la sua  amministrazione. La Jaeger poi, come disse qualcuno, non era la "SS Prinz Eugen" (Eugen sta per Eugenio di Savoia, ma era un Savoia a cui loro portavano rispetto). L'accordo prevede il disarmo che viene imposto anche ai bersaglieri non prima di aver fatto firmare il si o il no ai tedeschi. Il no è totalitario, ma la sorpresa giunge quando su iniziativa dei tedeschi il battaglione ancora in armi viene rischierato all'aeroporto di Zemonico. 10 bersaglieri e un tedesco per postazione. Ai tedeschi era chiaro che mancavano gli uomini sia per gli italiani ma ancor di più per i partigiani che erano ovunque (lo si è capito dalle loro mosse del giorno 10. Non avevano neanche bisogno di nascondersi, allora). Zara andava difesa dai Titini se non ci pensavano gli italiani se ne sarebbero occupati gli ustascia, dicevano  tedeschi. Dalla padella alla brace, le alternative non erano molte. Il prefetto Serrentino trova al formula, armati dentro la cinta muraria, nessun impiego isolato fuori o cooperante coi tedeschi. Non erano cooperanti ma dipendevano da loro (cibo) e convivevano con loro. Non erano i soli erano stati arruolati altri 3.000 uomini presi dal III/291° di Badini, un btg dai mitraglieri, il XXII btg Carabinieri, polizia, guardia di Finanza e piccoli reparti presidiari coma la Bac di Finestra e milizia varia. A questi si aggiungono 1.500 operai militarizzati. Molte di queste persone erano dalmate e questa, volenti o nolenti era la loro terra. L'impoverimento e i rimpatrii delle formazioni avrebbero aperto il campo alla vecchia soluzione, ma il redivivo Mussolini aveva fatto un nuovo accordo con Hitler  per salvare l'italianità di Zara. Le defezioni e le imposizioni tedesche cominciarono subito. Appena i treni furono in grado di funzionare e si sentirono più forti, si diceva alla gente che andava in Italia poi si proseguiva per l'Austria. Le 2 cp alpine presidiarie già il 15 settembre erano passate ai Titini. Anche i carabinieri, quasi tutti, vennero regolarmente rimpatriati a  Trieste. Alla fine di settembre 80 bersaglieri si unirono agli alpini. Stava nascendo con le loro armi il battaglione partigiano Mameli. Nelle intenzioni del Cap. Martinelli, che li guidaav avrebbero ripreso Zara a nome dell'Italia e con la benedizione di Tito. Aihmè mai cosa fu più stupida: di Martinelli si persero le tracce. In questa formazione ai primi di ottobre si era aggregato il Ten. Maras che passerà al suo scioglimento alla Brigata Italia. Sempre a fine settembre i fedelissimi di Badini passarono ai partigiani. Il mese dopo i Mitraglieri. Gli unici che restavano era i dalmati di Vigiak e Finestra della compagnia Vukasina. Da Novigrad Obrovac, al nord dalle lagune, veniva la banda di David. La cp Vukasina definita "non grata" dai croati andò a far parte del Btg Repubblicano "Venezia Giulia", operativo nell'Italia del Nord. Quando iniziarono i bombardamenti su Zara, il 2 novembre, i bersaglieri erano ancora in servizio con le stellette. A fine anno erano ancora in 200. Vengono tolti tutti i quadri ufficiali  e alla loro partenza il 5 gennaio 44 viene imposto alla truppa dello Zara il trasferimento a Sebenico  dove si conclude la sua vicenda militare come unità operante del regio esercito in terra Jugoslava.  Chi non finisce in Germania finisce nei battaglioni Lavoro o mansioni diverse. 

LA FINE DEI BATT

Nessuno lo aveva avvisato ?.  (la versione di Ricciardi a fianco l'attribuisce ai bersaglieri che avevano ricevuto conforme comando. E avrei dovuto essere io, inesperto sottotenente (fresco d'accademia).... a dare inizio al previsto sbarramento di fuoco  diversa per il finale la versione Muraca qui sotto). L'11 i tedeschi entrarono in città e col solito rituale chiesero "con o contro di noi ?" Uno solo, coi genitori in Germania, aderì per paura di rappresaglie. La mattina del 14 settembre 1943 i bersaglieri del XXVI battaglione iniziarono la marcia verso l'internamento.

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XXVI (4° Rgt) XV e XXVII (11° Rgt)

A Sebenico (Porto) col XXVI c'erano, agli ordini del Gen. Grimaldi,  due reparti di Territoriale, 3 batterie Milmart (Milizia artiglieria costiera) e minori reparti per un totale di 3.000 uomini. L'infiltrazione partigiana sia Serba che croata era gia una realtà ed i primi conti si pensava di risolverli con gli Italofili di qualunque confessione fossero che si erano scopertamente dichiarati. Sebenico dopo Spalato e Ragusa era una delle ultime roccaforti di cultura italiana, anche se minoritaria da tempo. Molti italiani, a dir la verità, si nascondevano da 2 e più generazioni sotto cognomi, e politiche croatizzate. Chi s'era scoperto e non rifugiato in caserma venne ucciso nelle immediate ore seguite all'annuncio dell'armistizio (70 persone). I contatti avuti coi partigiani permisero invece il rientro indenne di un reparto isolato del 259°  fanteria. Come in tutte le piazzeforti il 10 pomeriggio venne l'ordine di resa dall'alto comando italiano di zona.  I tedeschi stavano avvicinandosi e il comandante italiano si prese anche l'impegno di avvisare i partigiani e di garantire loro l'anonimato. Questi da "onorevoli " guerrieri samurai lasciarono travestiti la città

Settembre 1943 spunto tratto da La resa di Sebenico e le stragi della “SS Prinz Eugen” di Ilio Muraca apparso su patria indipendente il 23/7/06

Erano certamente due grandi bandiere bianche quelle che vedevo, erette sui fuoristrada tedeschi, in avvicinamento alla piazzaforte di Sebenico, sulla costa dalmata, quel mattino del 10 settembre 1943. Ma altrettanto incerto era, invece, il loro significato, perché l’ordine che avevo ricevuto era di difesa ad oltranza del porto di una città, dal quale si sarebbero potuti imbarcare alcune migliaia di nostri militari, evitando così la cattura. Avvertivo la responsabilità di un ordine che voleva dire “combattere” e della eccezionale posizione del fortino che comandavo, il più avanzato sulla strada di Zara, a cui stava sopraggiungendo la 14ª divisione SS tedesca. E avrei dovuto essere io, inesperto sottotenente, da appena tre mesi uscito da Modena, a dare inizio al previsto sbarramento di fuoco, per impedire la occupazione della città. Al mio segnale, senza alcun altro avviso, sarebbe seguito il tiro di interdizione di decine di bocche da fuoco, concentrate lungo tutto il perimetro di una difesa fra le più salde della costa. Tuttavia, mi sorprendeva che nessuno, dopo gli ordini della sera precedente, si facesse più vivo, malgrado che la situazione fosse sempre più drammatica. Ero solo, coi miei bersaglieri (XXVI btg), ... Alcuni di loro appartenevano a classi anziane, con tre anni di guerra sulle spalle; molti erano siciliani, con la dolorosa notizia che la loro terra era stata già invasa dagli anglo-americani. L’alba ci aveva colti tutti così, dopo una notte insonne, in posizione di massima all’erta. Stavo vivendo quegli attimi di tensione spasmodica come sull’orlo di un precipizio, ma con il cannocchiale ben puntato sulle bandiere bianche che si avvicinavano alla linea di apertura fuoco, 500 metri da noi, con quell’ambigua esposizione di un segnale di pace. Poi, in rapida sequenza l’assalto improvviso di un gruppo di partigiani, che non avevo mai visto così da vicino, sbucati chissà da dove, che si para spavaldamente davanti alla colonna tedesca e inonda le prime macchine con un diluvio di colpi di parabellum; i drappi bianchi che rapidamente si abbassano, mentre alcuni tedeschi si riversano, esamini, sulla strada, fuori dai loro mezzi; e, su tutto, il nostro assordante silenzio di uomini vinti. Quel pomeriggio, venni lasciato ancora solo, coi miei pensieri in subbuglio e le mie domande irrisolte, perché più nessuno rispondeva, dall’altro capo del telefono. ... 

 

(se ne uscirono poco dopo con un assalto a un drappello tedesco con bandiera bianca a trattare e tanto sarebbe bastato secondo il rituale germanico a decimare l'intera guarnigione italiana). Il primo impatto dei tedeschi quindi al posto di blocco dei bersaglieri non fu dei più fortunati, perchè furono presi a fucilate.

Gli avvenimenti a Tenìn e l’11° bersaglieri

L’8 settembre la piazza militare di Tenin (Knin importante snodo ferroviario) era presidiata dall’ 11° rgt. e dal btg. “Cadorna” della D. “Zara”. Dal gr. artiglieria “Chiarle” della stessa divisione e da 2 Btg. di domobrani croati. L’11° del Ten. Col. Renato Lalli era costituito dal XV Btg. (Cap.Corbelli). dal XXVII btg. (Magg. Alessandro Bonamici), dalla cp. comando reggimentale, dalla 111° cp. motociclisti e da 2 pl. cannoni da 47/32.  I 2 btg. croati dipendevano direttamente dal comandante del locale settore, Gen. Francesco Giangrieco, che dipendeva dal comando della D. “Zara” . Da questo dipendevano anche 4-5.000 cetnici fuori  Tenin agli ordini del pope Djujic. Alla difficile situazione operativa che abbiamo già vista in precedenza, si era aggiunta negli ultimi giorni la presenza dei Tedeschi.

Il giorno 6, come ricorda il Ten. Col. Lalli in una sua relazione. il comandante della I 14” Divisione alpina (o “cacciatori” ) germanica giunse in visita amichevole con largo seguito. Il Gen. Giangrieco restituì la visita prima di notte. Il giorno 7 dalle 8.30 alle 13.30 il comandante tedesco con il Gen. Giangrieco assistettero al passaggio dei reparti della 1l4a Divisione diretti verso Dernis. Italiani e tedeschi in teoria non dovevano incontrarsi  perchè, se si esclude i porti la costa era sotto controllo italiano (anche nei porti poi i tedeschi facevano solo transito e tenevano naviglio minore di pattuglia). Lungo tutta la costa (tedeschi assenti) gli italiani avrebbero potuto decidere l'evacuazione o l'appoggio ad uno sbarco americano tenendo aperto teste di ponte. Solo col permesso e la defezione degli italiani i tedeschi si impadroniranno dei porti. Tenin (nodo ferroviario) era comunque fuori dalla fascia costiera italiana e tedeschi e italiani erano li per controbilanciare la guerriglia partigiana che non conosceva le linee di demarcazione politica, ma solo quelle etniche.  L’impressione, come riferisce il Ten. Col. Lalli presente al passaggio dei tedeschi, fu di efficienza e di dovizia di uomini e mezzi. Minori reparti germanici continuarono a passare fino a circa le 17.30. Alcune centinaia di Tedeschi la sera rimasero in città. Il passaggio della 1l4’ Divisione era stato preceduto da una serie di avvenimenti decisamente sconcertanti. Il 2 settembre, alle 11.30, un aereo del quale non si riconobbe subito la nazionalità giunse senza il previsto preavviso sopra il caposaldo n. 6. Il caposaldo aprì il fuoco contro l’aereo, che rispose spezzonando sia il caposaldo che la Caserma Nord, che anch’essa aprì il fuoco. Complessivamente si ebbero 7 morti e 11l feriti. La caserma Nord fu sgomberata da buona parte del personale e dei materiali in previsione di nuovi possibili attacchi aerei. Questi si ripeterono infatti, sempre sugli stessi obiettivi e da parte di 2 bombardieri alle ore 15 ed alle 17,15. Uno degli aerei dell’ultima incursione venne riconosciuto come uno “Stukas”!!! quindi tedesco. Il secondo attacco causò altri 3 morti. All’alba del 9 il Ten. Col. Lalli fu avvertito che truppe tedesche si trovavano schierate davanti al caposaldo sulla via di Dernis.

Non staremo a darvi il dialogo serrato che i tedeschi imposero come lo sgombero dalla piazza, perchè questo fu contemporaneo all'ordine italiano di ritirarsi -abbandonare Tenìn e  prendere posizione sulla strada per Chistagne in prossimità di Raducicco. Il generale tedesco si allontanò senza fare opposizione all’abbandono di Tenìn da parte italiana. Verso le 12.3o del 9 il generale tedesco tornò davanti al comando di Settore. Dai suoi gli venne portato un autocarro italiano carico di munizioni fermato mentre cercava d'uscire da Tenìn. L’autista aveva riferito che le munizioni erano destinate ai cetnici. Il generale tedesco si infuriò dicendo che l’avvenimento gli dava il diritto di dichiarare prigioniero il presidio italiano tutt'ora in loco. I reparti già incolonnati per la partenza non erano più in grado di opporre resistenza e non la opposero. Dei circa 3.000 uomini del presidio di Tenìn due ufficiali passarono con i Tedeschi, circa 2oo uomini con i cetnici e un 60 bersaglieri con i “domobrani” croati.  Ci riuscirono anche 60 che in circostanze non chiarite raggiunsero i partigiani. Gli altri rimasero prigionieri. L’ 11° rgt. bersaglieri aveva fatto tutto ciò che gli avvenimenti gli avevano consentito.

     

 

I DALMATI E GLI UOMINI DELLE BANDE

I Bersaglieri Frane "Francesco" Vigjak, Aimone Finestra e Antonio Vukassina:

Vukassina Antonio, nato a  Zara nel 1920, campione italiano di lancio del giavellotto, universitario a Bologna. Vukassina si arruola volontario e consegue il grado di sottufficiale (ai corsi ufficiali) con incarico alla Div. Trento in Africa Settentrionale. Rimpatriato nel 42 ottiene come destinazione la sua città e il grado di Ufficiale nella Div. Zara.  Vukassina muore in combattimento il 7 giungo 1943.

Vigjak nativo di Spalato (1915) aveva partecipato al conflitto greco- albanese fino alla sua conclusione. Quando iniziò la guerriglia nei Balcani chiese di entrare come ufficiale nel battaglione autonomo bersaglieri “Zara”. Come spesso avveniva per gli ufficiali dalmati, venne ben presto richiamato dal reparto ed inviato a svolgere mansioni più consone alla sua audacia ed alla sua conoscenza della lingua slava. Fu ufficiale di collegamento con una legione “cetnica” forte di 4 battaglioni alla guida della quale partecipò ad operazioni in Bosnia-Erzegovina e Montenegro. Vigjak, dopo la morte di Vukassina, assumeva il comando della compagnia che portava il suo nome. Dopo l’8 settembre 1943 ritornava a Zara ed organizzava il reparto pur circondato dalla ostilità tedesca. L’8 dicembre gli veniva imposto di lasciare la Jugoslavia e riparava alla Spezia dove entrava nelle fila della X flottiglia M.A.S. , in quei giorni in tumultuosa crescita. Se era uscito dalla finestra ora rientrava in Dalmazia  dalla porta con le compagnie della X del distaccamento di Fiume dette anche "D’Annunzio". Dal distaccamento dipendeva quello di Laurana di cui assunse subito il comando e delle due isole Lussino. Il 20 aprile 1945, in circostanze non accertate nei pressi di Fiume, il distaccamento veniva bloccato da una formazione partigiana. La lotta si protraeva per giorni per spegnersi il 1 maggio. I superstiti, ad esclusione di quelli delle isole che erano già stati uccisi, passarono ai campi di concentramento di Tito. Di 130 marinai quasi nessuno tornò. Il corpo di Vigjak, fatto letteralmente a pezzi, veniva recuperato nei giorni seguenti.

 

 

Francesco Fatutta… Ma quei giorni immediatamente successivi all’Armistizio furono soltanto una tragica anticipazione di quanto sarebbe accaduto al termine della guerra. Tutti gli scempi vennero a ripetersi, ampliati per numero e tipo di atrocità. Purtroppo gli eventi relativi alle foibe e alle violenze commesse ai danni della comunità italiana rimangono una pagina oscura e poco conosciuta. Argomento scomodo per i vari Governi in carica, preoccupati di non infastidire troppo lo Stato, poi gli stati confinanti, relegato in secondo piano da troppi storici di parte, cinicamente liquidato come “giustizia tra italiani e italiani” da Palmiro Togliatti, dimentico tra l’altro dei suoi partigiani comunisti scannati dai partigiani slavi. Una somma di opportunismi che ha facilitato l’oblio di queste vicende per così lungo tempo, tanto che ancor oggi stentano a trovare un giusto riconoscimento. Un oblio a dir poco strano in un Paese “angosciosamente” pressato dall‘attivismo umanitario, capace di commuoversi per i profughi bosniaci, ma non per quelli italiani di 50 anni fa, pur se i carnefici sono gli stessi.

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