CAPPELLANI
PARTIGIANI E COMBATTENTI PER LA LIBERTA'
QUARTO DI 5 CAPITOLI
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Filippo Gentiloni da "Il Manifesto"
passi….. Ben poco sappiamo, sulla chiesa in quella cerniera della
storia che collegò il primo e il poi: il 1944-45, l'Italia divisa in
due, gli alleati in lenta avanzata, mentre i tedeschi resistono insieme
ai fascisti di Salò, i partigiani combattono e muoiono sulle montagne,
la svolta di Salerno e poi i primi governi romani. Un tempo breve, ma
delicatissimo: vi si determinano gli assetti futuri, anche se, nella
testa e sulle braccia di molti che sparano, con non piena coscienza. E
la chiesa? Che cosa faceva e pensava in quei mesi? Quale ruolo assunse?
In qual modo riuscì a passare il guado senza essere considerata estranea
- tutt'altro - né da una né dall'altra riva? Passò soltanto il guado o
costituì addirittura un ponte - uno dei ponti - su cui gli altri
potessero passare? Un capolavoro di furbizia o semplicemente il
risultato di un equilibrio storico, di un radicamento auspicato e
raggiunto?
……. Qualche generalizzazione, ma con estrema prudenza, è possibile,
sulla base dei documenti d'archivio. Come quella - suggerita da Miccoli
- che legge i documenti ecclesiastici [lettere di vescovi a Roma e
viceversa] in chiave di condanna dura e generalizzata delle barbarie
nazifasciste, ma anche di commento: tali barbarie sono state stimolate e
aizzate dal comportamento dei partigiani. Torna, anche in questo caso,
la ricerca tipicamente cattolica di una via di mezzo……..Così dovette
certamente essere in quella cerniera del 44-45, fra una chiesa più o
meno alleata del fascismo e un'altra chiesa che si poneva come
mediatrice del conflitto e si preparava alla egemonia democristiana. Con
quali carte, più o meno in regola?
Come la chiesa non fu "tutta" fascista prima, così non fu "tutta"
antifascista dopo. Le posizioni di minoranza, più o meno consistenti,
non sono mai mancate, né prima né dopo e hanno avuto un ruolo essenziale
nell'attutire l'urto, favorendo la trasformazione. Inutile fare i nomi
dei preti antifascisti torturati e ammazzati: ne dimenticheremmo
certamente qualcuno. I volti di quelli fascisti rimasti vivi e vegeti
dopo il 25 aprile 1945 sono ancora, in buona parte, sotto i nostri occhi
mentre il Polo delle Libertà pensa a perpetuarne la memoria. Il
trasformismo cattolico ha radici ben lontane: le alimenta un certo
opportunismo, anche - non sempre - di bassa lega; ma anche una certa
abitudine a misurare con calma i tempi lunghi, lunghissimi, della
storia. ….
Sullo sfondo ravvicinato si staglia la figura di Pio XII: una figura di
grande rilievo, di accentuata presenzialità. Si pensi ai suoi interventi
nel quartieri bombardati di Roma, poi alla sua azione per Roma "città
aperta". Le polemiche che seguirono nei decenni del dopoguerra - Poteva
fare di più? Perchè certi silenzi ufficiali nei confronti dei lager?
Perchè le benemerite iniziative cattoliche a favore degli ebrei furono
quasi soltanto private? Pio XII rappresentava una chiesa che era uscita
dal ghetto nel quale il mondo liberale e poi fascista l'aveva , almeno
in parte, relegata e che si poteva permettere di proporsi a "salvatrice
della patria" . Un paio di concetti avallavano, a ragione o a torto,
quella pretesa.
Quello di patria - o di nazione - prima di tutto. La chiesa poteva
proporsi come collante di una Italia divisa. Divisa fra fascisti e
partigiani, ma anche fra nord e sud, fra ricchi e poveri, imprenditori e
operai. Scarsi i collanti e quello cattolico poteva avere buon gioco; ma
giovava anche alla chiesa, desiderosa di far dimenticare al più presto
che proprio lei, con lo stato della chiesa, aveva ostacolato per secoli
l'unità d'Italia. Quel passato era ormai lontano e la chiesa - forse lei
soltanto - poteva alzare sul più alto pennone la bandiera di un'Italia
unita dalle Alpi alla Sicilia, nonostante la linea gotica e tutte le
altre spaccature abissali. Le altre possibili bandiere sventolavano, si,
ma con una certa prudenza. Temevano i risvolti negativi , temevano di
giovare alle separazioni. Così le antiche bandiere di un'Italia
liberale, nonostante Benedetto Croce , così le nuove bandiere rosse,
prima e dopo la svolta di Salerno.
Scrive Arturo Carlo Jemolo, uno dei più acuti osservatori del rapporto
fra chiesa e stato, anche al tempo di quel guado: "In realtà, i due
anni circa trascorsi tra l'abbattimento del regime fascista e la
liberazione dell'alta Italia hanno rappresentato il periodo della
maggiore distensione fra clero e cattolici politici da un lato, estrema
sinistra dall'altro. E' stato questo il solo periodo nel quale sia
apparsa attenuata, se non cancellata, incerta se non soppressa, nella
mente dei cattolici quella idea che nel comunismo dovesse sempre
ravvisarsi il nemico numero uno".
Insieme a quella del nazionalismo, il guado cattolico dal fascismo
all'antifascismo
fu aiutato da un'altra intuizione che allora -
molto
più che in seguito - appariva vincente, l'idea di una "terza via" -
cattolica - per la soluzione dei problemi sociali, una via media fra il
capitalismo e il comunismo
(che è poi quella
reinventata dai comunisti, che in seguito si chiameranno cattocomunisti
(per la frequentazione cellula chiesa),
nel momento che si dissociano da Mosca, da
Tito e da Togliatti ed occupano il posto che fu dei socialisti,
eliminandoli fisicamente. In politica è proprio vero non si reinventa
nulla, si ricicla solo).
Questa terza via, anche se non asfaltata, esercitava un certo fascino
sia sui settori fascisti che su quelli antifascisti della società
italiana in mezzo al guado. La terza via permetteva anche di prendere le
distanze dal capitalismo di marca USA. che stava sbarcando sulle nostre
coste, e portava non soltanto le istanze della democrazia contro la
dittatura, ma anche un misto di sigarette, cioccolata e prostituzione. E
così, per questi motivi qui accennati ed altri ancora, il miracolo
avvenne e il cattolicesimo italiano con le sue strutture, i suoi
vescovi, le sue parrocchie e associazioni, la sua stampa, poté passare
quasi indenne quel guado nel quale, invece, altre grandi strutture erano
affondate. Le folle che applaudivano il papa avevano cambiato colore e
vestito, ma gli applausi continuavano, quelli dopo il 25 aprile molto
simili a quelli di prima. All'ombra dei campanili, anche di quelli che
erano stati chiaramente fascisti, cominciavano a sorgere i comitati
elettorali democristiani: il 18 aprile 1948 si avvicinava. |
Ringrazio il dott. Mario Gallotta del
gruppo Alpini di Ferrara per aver curato il recupero di tante
motivazioni al valore che compaiono in questa ed in altre sezioni. |
Medaglia d'oro al valor militare
ACCORSI Padre Ettore
Tenente - - Partigiano combattente, Cappellano
luogo di nascita: San Carlo di S. Agostino (FE)
Motivazione:
All’atto dell’armistizio, benché minorato fisicamente e pur essendo
nelle migliori condizioni per sottrarsi a tragici eventi, con animo
virile, tenendo fede alle insormontabili leggi dell’onore e sorretto
dalla sua alta missione umana e cristiana, assumeva volontariamente
compiti a linee spiccatamente militari organizzando formazioni
partigiane operanti, per sua audace iniziativa, contro il tedesco
aggressore al quale si imponeva con intelligenti ardite azioni
clandestine ed eroici atti palesi affrontando personalmente, con
ammirevole serenità, gravi misure repressive Allorché tutto rovinava e
vana riusciva ogni reazione ed iniziavano le deportazioni in massa, alla
possibile e consigliata fuga preferiva il sacrificio dell’internamento
e, senza esitazione, si univa ai deportati per sostenerli spiritualmente
ed essere strenuo difensore nel tormento.
Durante la tragica odissea dei
campi di concentramento di Polonia e Germania, dava diuturna prova di
eccezionale statura morale ergendosi, sprezzante delle reazioni cui si
esponeva e sopportando con stoica fermezza dure vessazioni poste in atto, a difesa degli internati soggetti alla inesorabile legge marziale del
detentore. Contagiato da tbc., per avere con spirito di sacrificio data
sovrumana assistenza ai colpiti dal terribile morbo, rifiutava ogni cura
e ricusava reiterate proposte di rimpatrio condizionate a disonorevole
adesione. Sfinito, persisteva nella nobilissima missione rimpatriando
poi, quale grande invalido, con l’ultimo scaglione. Sacerdote e soldato,
nella sintesi più felice, praticò veramente l’eroismo esponendosi con
serena consapevolezza a rischi mortali attraverso episodi, atti,
contegni, che, oltre ad avere pieno carattere militare perché compiuti
in guerra e contro nemico spietato, ebbero una gigantesca forza di
esempio. Apostolo di sublimi ideali, la sua nobile figura resterà nel
tempo simbolo di assoluta dedizione al dovere. Francia - Polonia -
Germania, settembre 1943 - settembre 1945. |
Medaglia d'oro al valor militare alla
memoria
COSTA Don Antonio
Sacerdote Partigiano combattente
luogo di nascita: Massalombarda (Ravenna)
Motivazione:
Dopo aver reso alla lotta di liberazione servizi veramente eminenti
costituendo, ed in se stesso impersonando, un importante centro di
raccolta, vaglio e trasmissione informazioni e dando, con cristiana
pietà, asilo nel Monastero di Farneta a molti perseguitati dalla furia
tedesca, cadeva, per delazione, nelle mani delle SS. germaniche.
Duramente interrogato e sottoposto a tortura manteneva nobile ed
esemplare contegno, molti salvando col silenzio e dando, con la sua
eroica morte, nobile esempio di fedeltà alla Religione ed alla Patria.
Certosa di Lucca, settembre 1943 - settembre 1944.
Medaglia d'oro al valor
militare alla memoria
FORNASINI Don Giovanni
Sacerdote Partigiano combattente
luogo di nascita: Lizzano Belvedere ( Bologna )
Motivazione:
Nella sua parrocchia di Sperticano, dove gli uomini validi tutti
combattevano sui monti per la libertà della Patria, fu luminoso esempio
di cristiana carità. Pastore di vecchi, di madri, di spose, di bambini
innocenti, più volte fece loro scudo della propria persona contro
efferati massacri condotti dalle SS. germaniche, molte vite sottraendo
all’eccidio e tutti incoraggiando, combattenti e famiglie, ad eroica
resistenza. Arrestato e miracolosamente sfuggito a morte, subito riprese
arditamente il suo posto di pastore e di soldato, prima tra le rovine e
le stragi della sua Sperticano distrutta, poi a San Martino di Caprara
dove, pure, si era abbattuta la furia del nemico. Voce della Fede e
della Patria, osava rinfacciare fieramente al tedesco l’inumana strage
di tanti deboli ed innocenti richiamando anche su di sé le barbarie
dell’invasore e venendo a sua volta abbattuto, lui Pastore, sopra il
gregge che, con estremo coraggio, sempre aveva protetto e guidato con la
pietà e con l’esempio. San Martino di Caprara (Bologna), 13 ottobre
1944. |
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Medaglia d'oro al valor militare
MORETTI Don Aldo
Tenente ( Fanteria , Cappellano, 40° reggimento fanteria )
luogo di nascita: Tarcento (UD)
Motivazione:
Cappellano militare presso un reggimento di fanteria impegnato in aspri
combattimenti, si prodigava al di là di ogni umana possibilità, a capo di
squadre porta feriti, per raccogliere ed assistere numerosi feriti sotto
violento fuoco avversario. Mentre assolveva la sua pietosa missione
riportava gravissime ferite ad una mano e ad una gamba. Pur stremato di
forze rifiutava ogni soccorso fino a quando non si era assicurato che non
vi fossero accanto a lui altri feriti da raccogliere. Catturato quasi
privo di sensi, e trasportato in ospedaletto da campo, appena in grado di
farlo, riprendeva la sua missione a conforto dei compagni connazionali.
Rimpatriato come mutilato, appena iniziata la lotta di liberazione contro
i germanici nel Friuli, si prodigava, con grave pericolo,
nell’organizzare, guidare ed assistere le formazioni partigiane del Gruppo
Divisioni d’assalto « Osoppo Friuli ». Magnifico esempio di ardente
patriottismo e di sublime carità cristiana. Africa Settentrionale,
novembre 1941; Fronte della Resistenza, 1943-45. |
Medaglia d'oro al valor militare alla
memoria
MOROSINI Don Giuseppe
Cappellano Partigiano combattente
luogo di nascita: Ferentino (FR)
Motivazione:
Sacerdote di alti sensi patriottici, svolgeva, dopo l’armistizio dell’8
settembre 1943, opera di ardente apostolato fra i militari sbandati,
attraendoli nella banda di cui era cappellano. Assolveva delicate missioni
segrete, provvedendo altresì all’acquisto ed alla custodia di armi.
Denunciato ed arrestato, nel corso di lunghi estenuanti interrogatori
respingeva con fierezza le lusinghe e le minacce dirette a fargli rivelare
i segreti della resistenza. Celebrato con calma sublime il divino
sacrificio, offriva il giovane petto alla morte. Luminosa figura di
soldato di Cristo e della Patria. Roma, 8 settembre 1943 -3 aprile 1944.
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Don Giovanni Minzoni
Nato a Ravenna nel 1885 da famiglia
della media borghesia, studia in seminario. Ordinato sacerdote, destinato
alla sede di Argenta (Ferrara) entra in consonanza solidale con la povertà
diffusa del bracciantato agricolo. Cappellano militare volontario nella
prima guerra mondiale, decorato di medaglia d'argento. Attivo promotore di
opere caritatevoli, dà vita a circoli sociali per l'acculturamento delle
classi umili e ai primi nuclei del sindacalismo cattolico nella Bassa
ferrarese. Si oppone alle violenze delle squadre fasciste sostenute dai
proprietari terrieri retrivi, capeggiate da Italo Balbo, ostili alle più
elementari rivendicazioni salariali dei lavoratori agricoli. Nel 1923 i
fascisti di Balbo uccidono ad Argenta il sindacalista socialista Natale
Galba; don Minzoni condanna la violenza squadristica attirandosi ripetute
minacce rifiutando ogni collaborazione col fascismo dilagante. La sera del
23 settembre '23, nei pressi della canonica, è aggredito e ucciso a
manganellate da alcuni squadristi facenti capo a Balbo che, travolto dallo
scandalo e dal vasto moto di indignazione, deve dimettersi da console
della Milizia.
Medaglia d'oro al valor militare alla
memoria
DON PASQUINO BORGHI
Sacerdote partigiano combattente
luogo di nascita: Bibbiano (RE)
ll 21 gennaio 1944 la canonica di don Borghi ospitava una quindicina di
resistenti tra russi, inglesi e italiani e ci fu un breve scontro a fuoco
senza conseguenze con i carabinieri e i militi della Repubblica sociale.
Don Borghi era però a Villa Minozzo per un incontro con le giovani di
Azione cattolica. E qui il sacerdote fu arrestato e condotto nel carcere
di Reggio Emilia per essere probabilmente processato. Il 28 gennaio venne
ucciso a Correggio un comandante della Guardia nazionale repubblicana.
Immediatamente scattò la rappresaglia e per don Borghi, con altri 8
detenuti, fu decisa la condanna a morte. Senza processo e quasi certamente
all'insaputa del vescovo. Il 30 gennaio 1944 la fucilazione.
motivo del conferimento
Animatore ardente dei primi nuclei partigiani, trasfuse in essi il sano
entusiasmo che li sostenne nell'azione.
La sua casa fu asilo ad evasi da
prigionia tedesca e scuola di nuovi combattenti della libertà.
Imprigionato dal nemico, sopportò patimenti e sevizie, ma la fede e la
pietà tennero chiuse le labbra in un sublime silenzio che risparmiò ai
compagni di lotta la sofferenza del carcere e lo strazio della tortura.
Affrontò il piombo nemico con la purezza dei martiri e con la fierezza dei
forti e sulla soglia della morte la sua parola di fede e di conforto fu di
estremo viatico ai compagni nel sacrificio per assurgere nel cielo degli
eroi. Reggio Emilia, 30 gennaio 1944.
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Don Elio Monari
Nato a Spilamberto (Modena) il 25 ottobre
1913, trucidato a Firenze nel luglio del 1944:
Di famiglia contadina, era stato ordinato sacerdote nel 1936 (laureato
alla Università Cattolica del Sacro Cuore) ed aveva cominciato ad
insegnare Lettere all’Istituto San Carlo di Modena, facendo
contemporaneamente l’assistente dell’Azione Cattolica modenese (Giac).
Dopo l’armistizio, don Elio fu tra i primi a Modena ad impegnarsi nella
Resistenza, nel ruolo che meglio gli si confaceva: prestare aiuto ai
militari italiani sbandati, agli ex prigionieri alleati, agli ebrei e ai
patrioti che stavano per essere deportati in Germania, nascondendoli nella
sua chiesa di San Biagio a Modena. Ben presto il sacerdote si trovò a capo
di un’organizzazione clandestina, ramificata dalla Svizzera a Roma, che
riuscì a portare in salvo decine e decine di persone. Don Elio riuscì ad
operare, senza destar sospetti, sino al febbraio del 1944, quando, con
l’aiuto di medici ed infermieri, riuscì a far evadere dall’Ospedale civile
di Modena un partigiano ferito che vi era ricoverato: il maestro Alfeo
Martini, con un abito talare portato dal sacerdote, riuscì ad eclissarsi,
ma l’attenzione della polizia fascista finì su don Elio, che qualche mese
dopo dovette lasciare Modena e rifugiarsi in montagna a Farneta di
Montefiorino. Qui don Monari (col nome di Don Luigi) divenne cappellano
partigiano della Brigata "Italia. "Il 26 Giugno 1944 "Don Luigi" (Don Elio
Monari) confortò con i sacramenti quattro sergenti repubblicani che
vennero giustiziati a Pianellino.
Il 29 Giugno altri tredici tra
repubblichini, borghesi e tedeschi furono giustiziati ma non fu avvisato e
lo seppe a esecuzione avvenuta con suo grave dispiacere. Nella predica del
29, festa di San Pietro e Paolo disse parole un pò forti alludendo ai
fatti del mattino."( Ermanno Gorrieri). Il 5 luglio del 1944, durante un
rastrellamento e negli scontri che ne seguirono, un ufficiale tedesco, chi
dice anche un partigiano, era caduto gravemente ferito a poca distanza da
lui nella zona di Monchio. Don Elio uscì allo scoperto e raggiunse il
soldato morente per amministrargli i sacramenti. Mentre è chino su di lui,
il tedesco grida “prete bandito”, vedendo la camicia militare americana
che indossa sotto la tonaca sbottonata (la versione col partigiano ha
naturalmente un andamento diverso con l'arrivo dei tedeschi ma il
risultato è lo stesso). Tradotto da S. Anna Pelago a Firenze, nella
famigerata "Villa Triste", don Monari vi fu torturato per 10 giorni. Si
suppone poi che sia stato eliminato con altri partigiani, dei cui corpi
non è mai stata trovata traccia. L’ultimo indizio su don Elio, oltre al
passaggio da S. Anna, una tonaca, notata da una donna che il 16 luglio era
andata in via Bolognese a Firenze, dove stazionavano i fascisti della
Banda Carità; l’abito talare era stato gettato tra le immondizie.
Medaglia d'oro al valor militare alla
memoria
MONARI Don Elio
Cappellano Partigiano combattente
motivazione: Ministro di
cristiana carità e patriota di sicura fede, subito dopo l’armistizio si
prodigava con solerte e generosa attività nel soccorrere internati
italiani e prigionieri alleati, molti ponendo in salvo ed alcuni
sottraendo a morte sicura. Primo tra i cappellani di unità partigiane
operanti nell’Appennino Modenese era a tutti di indimenticabile esempio,
sia nel santo esercizio della sua missione, sia nei pericoli del
combattimento che sempre affrontava con valore di soldato e pietà di
sacerdote. Per soccorrere un morente presso le linee nemiche e (come aveva
a dire ai compagni prima di uscire dai ripari) per dare la vita allo scopo
di salvare un’anima, veniva catturato dai tedeschi, spogliato delle vesti
sacerdotali, brutalmente percosso ed avviato a lungo martirio nelle
carceri di Firenze. Fra le atroci sevizie, sopportate con la fermezza dei
forti, sempre incoraggiava e confortava i compagni sofferenti e li
benediceva prima di avviarsi all’estremo sacrificio.Firenze, Piazza
Washington, luglio 1944. |
Gesù in camicia nera-Gesù partigiano.
Preti di guerra 1943-45
Da che parte stava Dio durante la seconda guerra mondiale? Se lo chiede
Ulderico Munzi che in questo libro racconta storie di sacerdoti tra
fascismo e antifascismo. L'autore è andato a scovare i sopravvissuti,
ascoltandone i racconti, vincendo le resistenze di chi si era ormai
abituato a tenere per sé le testimonianze scomode che mal si accordavano
alla versione ufficiale della storia. Prefazione di Giulio Andreotti, con
un intervento di Romano Mussolini. Editore Sperling & Kupfer 2005
Note di Copertina
Dio stava con le divisioni partigiane o con le milizie della Repubblica
Sociale? Nell'animo dei sacerdoti prevalse la Patria o la Fede? I preti
non furono certo risparmiati dal clima di odio che avvelenò l'Italia nel
periodo che va dall'armistizio dell'8 settembre 1943 alla Liberazione del
25 aprile 1945. La guerra fu una spietata trappola delle coscienze, in
particolar modo per chi era chiamato a dare assistenza e conforto alle
coscienze altrui. Fu Dio o la fedeltà all'Italia fascista a prevalere
nell'animo dei cappellani che aderirono alla Repubblica di Salò? E fu in
nome di Cristo che altri scelsero di salire in montagna e unirsi ai
partigiani? Per trovare le risposte a queste e ulteriori domande Ulderico
Munzi ha compiuto un pellegrinaggio alle origini, dando voce ai
protagonisti di quella stagione violenta. Insofferente alla verità
preconfezionata e sensibile alle omissioni - più o meno consapevoli -
della storia ufficiale, l'autore ha incontrato i superstiti di entrambe le
parti, vincendo le resistenze di chi, per molti anni, ha preferito il
silenzio a una testimonianza per certi versi scomoda, condannata
altrimenti all'oblio. Fra ricordo orgoglioso e voglia di riconciliazione,
la voce dei preti di guerra racconta una pagina ancora poco indagata della
storia d'Italia e, insieme, rievoca toccanti vicende umane. Originale e
coraggioso, arricchito dai contributi di Giulio Andreotti e Romano
Mussolini, questo libro si rivolge a chi ha condiviso quell'esperienza e a
chi, sessant'anni dopo, vuole approfondire il passato del nostro paese. Le
parole dei protagonisti di allora hanno, inoltre, un destinatario
speciale: quei giovani sacerdoti, cappellani e missionari che si trovano a
ripetere scelte analoghe e altrettanto laceranti nelle nuove guerre di
oggi. "Cristo Salvatore è pronto a indossare qualsiasi divisa pur di
essere vicino all'uomo in guerra, che soffre, che è ferito, che muore; pur
di essergli nel cuore anche quando sbaglia, anche quando odia e uccide,
nell'infinita speranza di conservargli una sola, piccola scintilla di
umanità che potrà salvarlo." |
LA PREGHIERA DEL
RIBELLE
Signore che fra gli uomini drizzasti
la Tua croce segno di contraddizione, che predicasti e soffristi la
vittoria dello spirito contro le perfidie e gli interessi dei dominanti,
la sordità inerte della massa, a noi oppressi da un giogo numeroso e
crudele che in noi e prima di noi ha calpestato Te fonte di libere vite,
dà la forza della ribellione.
Dio che sei Verità e Libertà, facci liberi ed intensi: alita nel nostro
proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre forze, vestici
delle Tua armatura. Noi Ti preghiamo, Signore.
Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocefisso,
nell'ora delle tenebre, quando più s'addensa e incupisce l'avversario,
facci limpidi e diritti. Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci,
non lasciarci piegare. Se cadremo, fa che il nostro sangue si unisca al
Tuo innocente e a quello dei nostri Morti a crescere al mondo giustizia e
carità.
Tu che dicesti: "Io sono la resurrezione e la vita", rendi nel dolore
all'Italia una vita generosa e severa. Liberaci dalla tentazione degli
affetti: veglia Tu sulle nostre famiglie.
Sui monti ventosi e nelle catacombe delle città, dal fondo delle prigioni,
noi Ti preghiamo: sia in noi la pace che Tu solo sai dare. Dio della pace
e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la
preghiera di noi ribelli per amore.
Teresio Olivelli:
Arrestato a Milano il 27 aprile 1944 e tradotto alle carceri di San
Vittore, in giugno è trasferito al campo di Fossoli, presso Carpi
(Modena), sotto controllo delle SS. Sfuggito ad una esecuzione con una
azione ardita, una volta ripreso le guardie lo percuotono brutalmente e
viene trasferito al campo di Bolzano. Di qui in settembre l'invio a
Flossemburg e, il primo ottobre a Hersbruck, i lavori forzati,
l'annientamento. Olivelli non mangia per sfamare i compagni di prigionia,
difende i loro diritti contro la prepotenza. Viene picchiato, insultato,
deriso. In dicembre il suo corpo è pieno di piaghe e ferite, pallidissimo,
ha sulle spalle ricurve una vanga ed un piccone. Un giorno, sorpreso
ancora a sostenere la parte dei compagni, riceve un calcio nello stomaco.
E' il crollo. Ai primi di gennaio del 1945, Olivelli è ricoverato in
infermeria. Sente che la sua ora è venuta, si spoglia degli stracci che ha
indosso per darli a un compagno. Affida a un dottore francese il compito
di avvertire i genitori della sua fine. Il 12 gennaio, muore. Teresio
Olivelli è medaglia d'oro della Resistenza. |
LA PRESENZA DEL CLERO: da
"Azionisti cattolici e comunisti nella Resistenza"
di Valiani, Bianchi e Ragionieri Angeli Editore. .. È stato più volte
discusso il problema dell’effettivo e non occasionale atteggiamento del
clero cattolico italiano al prodursi del fenomeno della Resistenza. E ci
si è chiesto se la partecipazione di sacerdoti abbia costituito un fatto
generate, o isolato e contingente. Non si dimentichi infatti che
LA MISSIONE DELLA CHIESA È MISSIONE RELIGIOSA, DI
FRATERNITÀ, DI PACE, E MAI DA QUELLA PARTE POTEVA VENIRE ALLORA, COME NON
VERRÀ IN FUTURO, UN INVITO ALLA VIOLENZA. STUPISCE, MA FINO AD UN CERTO
PUNTO, CHE SI SIA RIMPROVERATO ALLA CHIESA E ALLE GERARCHIE ECCLESIASTICHE
DI AVER CERCATO DI RISPARMIARE DISTRUZIONI ALLE CITTA', CARNEFICINE FRA LE
POPOLAZIONI
Fu nondimeno il clero il tessuto connettivo della nostra organizzazione
militare e politica (cioè dei cattolici: ndr,), fu l’ancora di
salvezza per tanti perseguitati razziali e politici: conventi, case
parrocchiali, istituti religiosi furono asilo e porto sicuro senza
distinzione di fede o di colore politico, per tutti coloro che il nazismo
e il fascismo andò braccando. Le canoniche, le case religiose, oltre ad
essere sicuro asilo di singoli, furono, assai spesso, sedi di riunioni
clandestine di CLN. e di Comandi militari .Moltissimi poi
(decine e decine) furono i sacerdoti Caduti nella Lotta di Liberazione,
vittime della rappresaglia nazifascista. Citiamo alcuni nomi come esempio
non citati sopra: don Giuseppe Treppo di Imponzo (Carnia); don Pietro
Cortula di Ovaro (Udine); don Giuseppe Bernardi e don Mario Ghibaudi da
Boves (Cuneo); padre Girotta (piemontese) morto in un lager nazista; don
Ernesto Cammaci (Monferrato) medaglia d’Oro al V.M.; don Achille Bolis di
Calolziocorte (Bergamo); don Ilario Zazzeroni di Montegranelli; don Felice
Cipparelli, di Corvino di S. Quirino (Pordenone); don Paolo Ghigirii di
Casasco (Alessandria); padre Otto Neurer, impiccato nel campo nazista di
Buchenwald; don Narciso Sordo di Castel Tesino (Trentino); don Luigi Bovo
di Bentipaglia; don Fausto Callegari di Carrara di Galliera Veneta; don
Giuseppe Lago di S. Giustina in Colle (Padova), medaglia d’Oro al V.M.;
don Pietro Zanelli e padre Vinicio Torelli di Pieve di Rivoschio (Forlì);
don G. Battista Pigozzi di Cervarolo (Reggio); don Giuseppe Bonea
(Piacenza); don Caustico (Torino); don Costanzo De Maria (Dronero)
medaglia d’Argento al V.M.; e tanti tanti altri. Se la posizione del «
basso clero » fu dunque di stretto rapporto colle popolazioni (in quanto
vittime di soprusi e di violenze da parte dei nazifascisti) e colla
Resistenza (furono numerosi i preti che presero parte attiva combattendo
fra i partigiani), è pur anche vero che « l’alto clero », non si sottrasse
al bivio fra « attesismo » e « attivismo ». Parecchi furono i Vescovi che
presero posizione contro quello che veniva definito « terrorismo », cioè
atti contro il nemico ritenuti inutili, perché provocavano reazioni di
rappresaglia sulle popolazioni civili |
BRESCIA - LA CHIESA RIBELLE in
costruzione |
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http://www.italia-rsi.org/religiosi/religiosi.htm
I RELIGIOSI NELLA RSI di Bruno
De Padova
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