Occupazione
Jugoslava
FRONTI MINORI
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Che l'universo
balcanico fosse difficile, non era una novità per nessuno. L'incontro-scontro di
culture diverse, razze e religioni che lo
componevano facevano di questa area un vulcano le cui emissioni non si
erano praticamente mai fermate nei secoli. Le reazioni di questa o
quella parte si erano sempre espresse con violenza e, solo l'asperità
dei luoghi, aveva preservato localmente sprazzi e ritagli di civiltà
(cultura e religione quando queste non si coniugavano con pratiche usanze
brutali). Le
tre principali religioni, l'ortodossa, la cattolica e la mussulmana si
erano territorialmente compenetrate ma mai integrate.
L'obiettivo ciclico di reciproca eliminazione non era mai venuto meno. Solo le
dominazioni venute da fuori, sovraetniche e imperialiste avevano dato uno stop a certe
cattive abitudini. Il crollo
contemporaneo degli Asburgo e degli ottomani (1913-1918) aveva di nuovo innescato
la violenza sobillata dai Francesi, il cui contributo, era
napoleonica inclusa, non era per niente
costruttivo e men che meno disinteressato. L'esportazione del modello
francese e della democrazia è un'altro dei modelli che l'Europa subirà a
lungo e che si tramanderà fino ai giorni nostri (vedi Usa). Le coste dalmate oltre che
appartenenti a vecchie etnie non slave erano meta di emigrati dalla Puglie le cui vicende saranno
accennate successivamente. La guerra e le sue divisioni non potevano che
peggiorare questa situazione portandola ad eccessi che si potevano
equiparare solo al caso
Armeno, il più noto in seguito. Questo sito non
entrerà nello specifico degli eccidi, dei sistemi responsabili e delle
relative immagini per continuare ad essere visibile al più ampio
campione di Internet. Dei fatti e dei momenti saremo comunque testimoni,
quando questi attivamente o passivamente interesseranno gli Italiani. |
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ZARA E I BERSAGLIERI
Zara, già città romana, ricca d'importanti vestigia archeologiche come Spalato e altri centri della Dalmazia, passò dall'impero romano d'occidente a quello d'oriente, nonostante le continue invasioni barbariche dalla steppa russa e dal Nord Europa avvicinando sempre di più gli slavi (Jugoslavi=slavi del sud) alla costa, ne rendessero improbabile nel tempo un collegamento terrestre a Costantinopoli. Con la nascita della repubblica di Venezia (dal 800 circa al 1797), sorta sotto il protettorato dell'impero d'oriente, anche Zara, rimasta in balia dell'ultimo invasore Longobardo entra nella sfera d'influenza dei dogi. La Repubblica di Venezia cesserà di esistere quando Napoleone Bonaparte invaderà l'Italia. Nei porti di Dalmazia si parla veneziano, si costruisce con lo stile Veneziano, e la moneta principale e quella della Serenissima. Convivono nella stessa terra i dalmati originari, i veneziani, gli ebrei, i mori di Maometto, gli slavoni o schiavoni (mercenari di Venezia) dell'interno, gli
uscocchi, i croati etc…. Il dialetto veneto in tutto l'adriatico e mediterraneo orientale era quello che oggi è l'inglese nel mondo di internet e degli affari. Il Leone di Venezia campeggia ancora in centinaia di piazze e palazzi, sui moli dove si commerciava di tutto. Finita l'era napoleonica, il nuovo padrone di Venezia e della dalmazia è l'Austria. L'Austria delle molte genti, in Dalmazia prende le distanze dall'oltre mezzo milione di italiani che vive da Fiume a Ragusa
(Dubrovnik), favorendo sempre di più lo slavo. Bisogna ricordare che il popolo serbo, già indipendente e di religione ortodosso, operò per secoli come guardiano “pagato” dell'occidente contro i mussulmani, costituendo ai confini Austroungarici una cintura di kraine difensive. Craine come si diceva a Venezia quando si organizzava paese per paese una milizia di difesa territoriale. Tale sistema di difesa e parcellizzazione sul territorio avrà conseguenze che vedremo in seguito. Il primo cuneo, contro l'italianità delle terre, venne dai croati cattolici, fedeli servitori di Vienna che avevano in Zagabria la capitale . La Vienna, paladina e garante del Papa ebbe subito dalla sua il clero di campagna non avvezzo alla città, considerata già allora secondo una comune opinione luogo d'ozi, sperperi e peccato. Quei soldati che nel’800 in occasione di qualsiasi rivolta o protesta popolare nei ducati o regnucoli della penisola intervenivano con la repressione e le fortezze (prigionia), erano croati cosi come lo erano quelli sul Carso che avemmo di fronte alternanti agli Honved ungheresi . La politica Austriaca, che si concluderà nella Grande Guerra con una sconfitta, vedrà invece una vittoria de nostri vicini sconfitti. Il Mix, nella Jugoslavia unita da un disegno politico, produrrà una esplosione etnica di cui ancora adesso l'Europa paga le conseguenze. Con il fenomeno dell'inurbamento la percentuale italiana nei comuni costieri si assottiglia sempre più. La rappresentanza del sindaco, che manifesta il potere, finisce per cadere in mani slave. Fino al 20 luglio 1866 (battaglia di
Lissa) ogni slavo che fosse riuscito ad arricchirsi ed istruirsi diventava italiano, dopo anche gli italiani cominciarono a croatizzarsi o
slavizzarsi.
Nel 1882 l'unico comune rimasto italiano era Zara.
Per contrapporsi a tale crollo nel 1871 si sviluppò all'interno della comunità italiana il circolo delle " Società dei Bersaglieri" con scopi culturali ricreativi. Con la presenza di molte donne e con una propria sezione musicale costituita da fanfara, il circolo migrò in tutte le altre città della Dalmazia. I membri oltre a vestire la divisa Blu notte, in aperta sfida al governo imperiale, portavano il cappello piumato. La cosa non passò inosservata finendo anche a scontri di piazza con la polizia. Uno degli ultimi provvedimenti prima della messa fuorilegge delle società fu di portare le piume sulla spalla. Con lo scoppio della I guerra Mondiale furono molti gli italiani che si sottrassero alla chiamata di leva, ed altri che passarono dalla divisa austriaca a quella italiana. Per tutti in caso di cattura ci sarà la forca come per Francesco Rismondo da Spalato Bersagliere impiccato a Gorizia il 10 Agosto 1915. Il 4 novembre 1918 queste divise ricomparvero dai fondi dei bauli per affermare nell'attesa dei soldati italiani la loro appartenenza nazionale.
Con la fine delle ostilità e il prevalere del diritto delle nazionalità, secondo l'espressione americana, i perdenti croati, cechi, ungheresi ecc. diventarono i veri primi vincitori, questuanti, postulanti ed unici titolari di diritti politici nazionali. Lo smacco per l'Italia, che aveva avuto oltre 700.000 morti, fu grande e all'indifferenza dei governi non seppe tacere Gabriele D'annunzio che con la spedizione di Fiume cercò di riequilibrare i pesi. La repubblica proclamata ebbe vita breve e si concluse con il Natale di Sangue del 1920 ad opera dei soldati regolari del Regio Esercito.
All'impresa avevano partecipato e simpatizzato oltre ai militari di tutte le armi e corpi, carabinieri e generali ufficiali, molto del mondo intellettuale e politico anche straniero di allora. Il Mussolini apprendista stregone invece ci rimediò solamente una brutta figura, cosa che mantenne l'astio con D’Annunzio fino alla sua morte.
Nell'organigramma di D’Annunzio oltre al 27° e 43° Btg. del 4° reggimento Bersaglieri c’erano il 46° del 5° e i ciclisti dell’VIII. Ai 4 battaglioni di ammutinati s'era aggiunta la compagnia di Renato Ricci che con la Randaccio costituiva la legione mista del
Carnaro, comandata da Giuriati poi dal Bersagliere Corrado
con sede a Zara. Il trattato di pace, alla cui formazione peraltro l'Italia non partecipò, alla fine riconobbe solo Zara e il contado al territorio metropolitano. L'ammiraglio Millo eroe dei Dardanelli ebbe a dire: "La Jugoslavia è una costruzione politica, un castello di
carte"..Iniziò già da allora quell'esodo dalle altre città costiere, che terminerà nel 1946, dopo una gigantesca pulizia etnica attuata coi metodi, diventati tardivamente famosi e replicati in anni recenti, col beneplacito e il silenzio d'ogni parte politica. Su altre isole
(Arbe-Rab e Veglia-Krk), considerate acquisite stazionavano da parte dell’esercito regolare i reparti bersaglieri dell’11° e il 18° btg. del 3°. L’osmosi con Fiume, data la vicinanza era in conto. |
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La posizione della Jugoslavia
nei Balcani era, se ci si permette una similitudine, non molto diversa da
quella italiana dopo l’unità d’Italia. Uno stato aveva avuto la meglio
sugli altri ed ora prevaleva in tutti i sensi (Là il Piemonte qui la
Serbia). Qui però finisce la similitudine, poiché il Piemonte, anche se
con apporti esterni, la supremazia l’aveva esercitata in proprio, a
differenza della Serbia che se l’era vista regalare dopo la dissoluzione
degli Asburgo. Un altro e decisivo fattore di diversità era la
composizione etnica e religiosa che faceva della Jugoslavia un Puzzle a
tutti gli effetti. Di mire espansionistiche non era titolare solo
Mussolini ma anche Belgrado, che per interposta persona, nei macedoni,
sognava la grande Macedonia (aggiungendo quella Greca a spese dei Greci,
ancor oggi si discute) con sbocco sull’Egeo. |
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Dopo il trattato di Rapallo e di Roma a presidiare Zara fu mandato prima il 25° btg. del 3°
BERSAGLIERI
poi dal 1929 il 9° reggimento comandato da Giovanni
Messe (foto sotto). Nel 1936 a tale reparto si sostituisce la Guardia alla Frontiera
(GAF neocostituito: 3 btg mitraglieri) e un
battaglione ciclisti autonomo tratto dal deposito del 9°, senza la tradizionale numerazione romana, denominato "ZARA" con compagnie numerate dalla 10a alla 13° ex del 32° btg del 9°.
Lo comandava ad inizio conflitto il maggiore Testa. La partecipazione di ufficiali della stessa Dalmazia era rilevante poiché l’istruzione superiore generalizzata li favoriva. Completavano i reparti di difesa di Zara, una compagnia carri L3,
CCNN, artiglieria terrestre e DICAT, nonché normali forze logistiche e di presidio. Il 31 marzo 1941 il totale delle truppe Zara ammontava a circa 8.000 persone, 7.000 presenti.. Uno dei primi provvedimenti presi in città, fu lo sgombero di tutto il personale non necessario, anche da altre isole e Spalato per un totale di 15.000 persone. Il loro posto veniva preso da circa 3.000 persone che dal contado si rifugiarono entro le mura. Zara era circondata e assediata. La sera del 12 aprile la divisione Torino del Corpo autotrasportato
(Zingales) della 2a armata italiana con obiettivo Spalato, Sebenico era giunta a Senj a nord di Zara.
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Ai vicini ungheresi, albanesi
, tedeschi e italiani non veniva riservato miglior trattamento. Il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni
(SHS) retto da Pietro I e definito dai trattati di pace del
1919-20, risultava costituito da: Bosnia-Erzegovina, Croazia, Dalmazia, Slovenia (già parte dell’ex impero austro-ungarico); gl’indipendenti Montenegro e Serbia (comprendente la Macedonia); le ex province ungheresi; e la Kosova o Kossovo (di etnia albanese). Nell’ottobre 1929 assunse la denominazione di Regno della Jugoslavia, diviso in nove
banati, senza rispetto per le unità storiche ed etniche, e con l’egemonia della nazione e degli uomini serbi (vedi uffici e posti di potere).
Il 6 dicembre 1929 il monarca serbo, Alessandro, instaurò la dittatura, per superare i dissidi interni di religione e razza. Il sovrano fu assassinato dai Croati a Marsiglia il 9 ottobre 1934, anno che segnò il ritorno al regime costituzionale sotto la reggenza del principe Paolo.
Le mosse, le alleanze europee del 1939 avevano anche qui spiazzato la corona già oberata da problemi interni con un partito comunista (Tito) fuorilegge. Le promesse americane e inglesi di sostegno ad una eventuale minaccia tedesca
latitavano. Con la guerra in corso fra Italia e Grecia la posizione di mediazione, con indubbi
ritorni di prestigio, non era possibile vista la personalità di Mussolini. La posizione antitedesca e storicamente tale dei “Serbi” di Belgrado venne ribadita, ma a breve, dopo l’accordo Molotov
Ribbentrop, non restava altra soluzione che prendere tempo, ma quanto ?.
Le possibili soluzioni cambiavano giorno per giorno, a seconda del
conflitto implodente o dei successi sul campo di battaglia. Dopo tre mesi
di temporeggiamenti da parte degli jugoslavi la pazienza di Hitler
cominciò ad esaurirsi. Riteneva di aver offerto condizioni generose: la
promessa di Salonicco e una garanzia per i confini in cambio dell'adesione
al patto tripartito e della smobilitazione (militare) della costa
adriatica. Il 14 febbraio Hitler, dopo un colloquio di quattro ore coi
governanti Jugoslavi, sollecitò ad apporre la firma. I due rifiutarono. Ai primi di marzo quando truppe germaniche si attestarono lungo il confine bulgaro iugoslavo, il principe reggente andò
preoccupato nella tana del Lupo a Berchtesgaden . |
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Dopo ore di discussione si convinse che non esisteva altra via d'uscita: o la Iugoslavia firmava il patto oppure doveva affrontare l'invasione e una rapida disfatta.
Il 5 marzo Paolo ritornò a Belgrado col cuore greve, sicuro che il suo paese sarebbe stato sopraffatto in due settimane. Di aiuto inglese non si parlò più e l’unica alternativa consigliata era quella di impadronirsi delle armi e riserve italiane stoccate al confine
Jugoslavo-albanese, (che era diventata la terza linea italiana o
retrovia del fronte Greco). Era come invitare a nozze Hitler. I movimenti
jugoslavi della 3ª armata dell’inizio di marzo non sfuggirono alle spie
dell’asse. I tedeschi non potendo sopportare ulteriori dilazioni, il 19 marzo concessero agli iugoslavi cinque giorni per aderire al patto. Cvetkovic e Cincar Markovic partirono per Vienna con un treno speciale senza aver risolto i loro dubbi e con un governo, e quindi con un paese azzoppato e diviso alle spalle. La Iugoslavia firmò il patto tripartito nella capitale austriaca il 25 marzo. Churchill non si stupì troppo e diede avvio a colloqui con i potenziali gruppi dissidenti serbi in particolarmente con un gruppo di ufficiali dell’aviazione e l’eroe nazionale Mirkovic che gli assicurarono un colpo di Stato per impadronirsi della capitale. Alle 2.20 del 27 marzo Mirkovic
entrò in azione. I carri armati e l'artiglieria avanzarono per occupare
tutti i più importanti incroci stradali di Belgrado. La capitale fu
tagliata fuori da tutto il resto del paese.
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Il generale Simovic scortato da ufficiali dell'aeronautica occupò il ministero della guerra dimissionando il governo. Un proclama lanciato all'alba per radio annunziò la caduta del governo e la fine della reggenza. Il 27 marzo fu una giornata di esultanza per Belgrado una giornata di inni patriottici di sbandieramenti e di slogan di sfida lanciati a gran voce. Ma quello che contava era la reazione di Berlino. Quattro mesi prima, verso la fine di novembre i tedeschi avevano deciso di andare in aiuto degli italiani quando il disgelo primaverile avesse reso transitabili le strade dei
Balcani. Adesso la neve stava sciogliendosi . A mezzogiorno del 27 la seduta per l’esame dell’attacco alla Russia fu interrotta da un'improvvisa convocazione di Hitler. L'inizio dell'" Operazione Marita "(tedeschi dalla Bulgaria in soccorso degli Italiani) sarebbe
coincisa con l'invasione della Iugoslavia da Nord. (Italiani, Tedeschi, Ungheresi di Horthy e Bulgari a tenaglia sui balcani il 6 aprile).
L' "Operazione Barbarossa" doveva essere differita " fino a un massimo di quattro settimane
!". A Belgrado, intanto ci si crogiolava in una pericolosa euforia. L’opinione dei serbi di Belgrado non era però l’opinione dei Croati e di altri. Simovic
desiderava mantenere neutrale la Iugoslavia. Il 30 marzo rifiutò di ricevere il ministro degli esteri britannico Anthony
Eden, per timore che i tedeschi considerassero la visita un atto di
ostilità. Riteneva di poter fare impressione sulla Germania con un trionfo
diplomatico. Il 1° aprile il ministro iugoslavo era a Mosca nella speranza
di arrivare alla conclusione di un patto militare. Il 6 aprile i
rappresentanti dei due paesi firmarono un "trattato di amicizia !! e di
non aggressione" che per il momento non significava nulla. La macchina
tedesca era già in moto. Gli iugoslavi riuscirono a mobilitare soltanto 28
divisioni di fanteria e di cavalleria, ma come in Polonia, se fossero
state pronte a ritirarsi nelle montagne avrebbero potuto infliggere gravi
danni ai tedeschi, invece, il piano difensivo iugoslavo prevedeva la
resistenza su tutti i nodi stradali lungo tutti i confini del regno e
l'esercito fu schierato lungo i 1.630 !!! km di frontiera terrestre. |
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Il 6 aprile era la domenica delle palme, (pasqua il 13) alle cinque del mattino 50 aerei in formazione serrata piombarono sulla stazione ferroviaria, sul palazzo reale e sul campo d'aviazione di Zemun. Le bombe caddero per due giorni sulla città, con brevi intervalli. Già la domenica sera il centro di Belgrado era ridotto a un cumulo di macerie, i morti sotto il bombardamento della capitale furono 17.000. Dal sud venivano solo notizie di disfatte. L'8 aprile, a sera, la 9ª divisione corazzata tedesca aveva superato Nis e gli iugoslavi si stavano ritirando disordinatamente a ovest. Fra Nis e Belgrado erano rimaste soltanto unità isolate e gruppi di riservisti in attesa di ordini.
Mentre l'8ª divisione corazzata scendeva lungo la Drava puntando su Belgrado, la 12ª divisione corazzata attraversò la frontiera a Gyékényes e si spinse avanti verso Zagabria. Dopo l'occupazione di Maribor il LI corpo d'armata si frazionò, prendendo due direzioni diverse: una colonna avanzò verso Zagabria, un'altra verso Lubiana, la capitale della Slovenia. Le tensioni razziali latenti nel paese esplosero in numerosi atti di tradimento. I Volksdeutschen di Maribor
ossia la piccola minoranza di lingua tedesca si era impadronita degli
edifici pubblici fin dal 9 aprile. I croati non avevano voglia di
combattere per uno stato iugoslavo nel quale avevano cessato da un pezzo
di credere. Due reggimenti completi passarono ai tedeschi il 10 aprile e
un terzo si consegnò agli ungheresi.
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Il 10 aprile, al calare dell'oscurità, Zagabria era saldamente tenuta dai tedeschi che nella marcia sulla città avevano ricevuto la resa di circa 15.000 uomini.
Al Sud in Montenegro si combatteva già dal 6 fra Italiani e Jugoslavi
nello scutarino. Alla notizia della caduta di Zagabria gli italiani, che
al Nord avevano approntato una armata mobile, non si trattennero più. L'11 aprile (venerdì santo) la 2ª armata, al comando del generale Ambrosio, avanzò verso Lubiana già occupata dai tedeschi
dove arrivarono i primi bersaglieri motociclisti. Altre
piccole unità italiane avanzarono lentamente muovendo dal presidio Zara. La sera di sabato 12 aprile (6 giorni dopo
l'inizio dell’attacco) alle sette precise, il sindaco consegnò ufficialmente
Belgrado nelle mani di un capitano delle SS che aveva preceduto, con la sua compagnia, la colonna principale del XIV Panzerkorps di
Kleist. La mattina seguente, era la domenica di Pasqua, le autorità tedesche assunsero i poteri nella capitale.
La sera del 10 aprile radio Zagabria aveva proclamato l'istituzione di una " Croazia libera e indipendente " sotto la guida di Ante Pavelic capo degli
Ustascia (Vedi nelle Piantine) All'Ungheria fu assegnato il triangolo compreso fra il Danubio e il Tibisco che era già stato invaso dalle sue truppe;
da questo momento la Slovenia fu divisa fra Roma (Lubiana compresa) e
Berlino.
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Le nuove provincie così costituite sono
Lubiana (kmq 46oo popolazione 305 mila città 79.000), Fiume
(1346-79 mila si è aggiunta Sussak), Zara 3719 -180 mila), Spalato
(976-109 mila città 43.721 Sebenico 37.271), Cattaro ( 547-34 mila). Le
aree sono a maggioranza (90%) cattolica (Lubiana) e gli ortodossi si
distribuiscono percentualmente (20%) lungo la costa.
La zona di confine fra Croazia e Italia
venne smilitarizzata per una profondità estesa (100 km) all'interno
della quale le operazioni antipartigiane erano sotto la supervisione
dell'Italia (zone mussulmane o soggette ai movimenti nazionalisti
serbi).
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La Dalmazia costiera andò quindi all’Italia fino a
Spalato con molte isole e l'enclave meridionale di Cattaro, mentre la Macedonia venne
annessa alla Bulgaria (che non proclamò mai però l'annessione formale).
La Serbia venne retta da un governo militare tedesco (fantoccio)
presieduto dal generale Nedic. Croazia e Montenegro nominalmente autonome,
ma quest'ultimo sotto protettorato italiano, anche se la dinastia della
Regina Elena non veniva ripristinata; e all’Albania spettarono di diritto
i territori abitati dalla sua gente (Grande Albania): Kosova, il porto di
Ulqin (Dulcigno), zone di Dibër e Strugë (Macedonia).
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- Baia di Cattaro (Bay) Occupazione Italiana dal 3 Mag. 1941 - 10 Sep
1943.
- Kossovo: Occupazione Italiana dal 17 Apr 1941 al 19 Nov 1944 Annesso
all’Albania.
- Coast of Dalmazia: Occupazione Italiana dal 5 Mag. 1941 a settembre
1943. .
- Montenegro: Occupazione Italiana dal 17 Apr 1941 - 10 Sep 1943. Tentativo
insurrezionale di stato indipendente durante il protettorato italiano dal 12 Jul 1941 - 24
Jul 1941
Independence of the Montenegrin state as a constitutional
monarchy declared (under Italian protectorate) exiled King Mihajlo I
(first) refuses the throne, the Montenegrin crown is offered to Prince
Roman Romanov of Russia (b. 1896 - d. 1978) who also refuses. |
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Contro gli
occupanti e gli ustascia croati di Ante Pavelic si schierarono i cetnici del gen. Draza Mihajlovic (monarchici della Serbia occidentale), i partigiani comunisti di Tito (parte orientale e meridionale del Paese), gli autonomisti sloveni
(belagarda) e gruppi islamici. Oltre a combattere i nazi-fascisti, queste formazioni si contrastarono
però reciprocamente: lotte senza quartiere le cui prime vittime furono gl’inermi cittadini di ogni etnia (compresi italiani, ungheresi
etc) – quasi due milioni di morti (compresi 700 mila serbi ortodossi massacrati dagli
ustascia). Il governo iugoslavo in esilio si stabili al Cairo e da qui prima che l'anno finisse, si trasferì a Londra. Circa 15 000 soldati iugoslavi, parecchie navi da guerra di piccolo dislocamento e un gruppo di bombardieri che erano riusciti a mettersi in salvo continuarono a combattere per la causa alleata ma il grosso delle forze armate circa 254.000 uomini era finito nelle mani dei
tedeschi, non gli armamenti. Le perdite degli aggressori durante la campagna erano state modeste. I tedeschi avevano perduto in tutto soltanto 558 uomini, 151 dei quali figuravano nell'elenco dei caduti in battaglia e 15 erano dichiarati dispersi e presumibilmente morti. Nella marcia da Timisoara a Belgrado il XLI corpo lamentava la perdita di un solo ufficiale per mano di un franco tiratore. |
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LI
BASSI GIUSEPPE:
Nato
a Palermo, frequentò il corso allievi ufficiali e nel 1929 venne
assegnato al 10° Bersaglieri. Congedato a fine anno riprese gli
studi universitari, laureandosi in Giurisprudenza. Richiamato nel 36 per
la guerra d'Africa venne messo a disposizione del 215 Btg CC.NN.
Congedato nel 1938 riprese l'attività forense. Nel marzo 1941 fu
richiamato col grado di Tenente ed assegnato al 9° Fanteria in Albania.
Al termine del conflitto per la sua preparazione venne destinato alla
carica di commissario civile per la citta di Savnik in Montenegro. Qui
il 6 agosto 1941 veniva fatto prigioniero da partigiani. Riusciva in
modo avventuroso a segnalare la presenza dei partigiani in paese e a
permettere il conseguente attacco da terra e dal cielo. Scoperto veniva
fucilato sul posto.
KIRN
FRANCESCO
Nato
a Milano
da famiglia fiumana, lavorava nella città di Fiume quando venne
chiamato al servizio militare nei Bersaglieri nel 1927. Nel 1940 chiese
di essere richiamato, nonostante l'età, per essere assegnato al suo
vecchio reggimento. L'11°, allora impegnato come reggimento
d'occupazione nei pressi di Fiume, era spesso impegnato contro bande
comuniste. A Gabrovac, presso Fiume ferito, fece scudo al suo
comandante. Ferito una seconda volta, ebbe la forza di alzarsi e
gridare: “sono sempre un bersagliere”. Ricoverato a Karlovac mioriva due giorni dopo.
2 dicembre 1941
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