LA SECONDA GUERRA MONDIALE

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AFRICA ORIENTALE - 2a PARTE

1941 - Il contrattacco Inglese da Sud 

Le foto sono state gentilmente concesse dal Sig. Cipriani Renato, figlio di Ercole, Bersagliere combattente in Africa Orientale

 

La sequenza fotografica di Ercole Cipriani continua al capitolo "Prigionia in India"

Sunti dal sito http://www.lasecondaguerramondiale.it/ 

  Per gli inglesi la sola strada transitabile, dal Kenya verso la Somalia, correva attraverso il distretto della frontiera settentrionale. Una regione stepposa, quasi senza strade, calda, ostile e priva d'acqua tranne che nei mesi delle piogge. Dall’ultimo capolinea ferroviario c'erano più di 600 km di piste. Il generale Cunningham, che aveva assunto il comando, aveva calcolato che nessun attacco sarebbe stato possibile prima di maggio, quando le piogge cessavano. A Londra regnava l’impazienza ed il bisogno di forze per Grecia e Libia per controbattere gli italo tedeschi. L'offensiva di febbraio non veniva però considerata con molta fiducia. Ci si attendeva una forte resistenza italiana a Chisimaio sul fiume Giuba. Se non si riusciva a prendere Chisimaio e ad attraversare il Giuba prima che le forze britanniche avessero consumato buona parte dei rifornimenti non sarebbe stato possibile avanzare verso nord. Il 10 febbraio Afmadu fu pesantemente bombardata dall'aviazione sudafricana. L'effetto sul morale della guarnigione italiana fu tale che quando le truppe di testa della 12ª divisione cautamente si avvicinarono, scoprirono che gli italiani erano già fuggiti. Il mattino del 14 febbraio i sudafricani presero Gobuin, 130 km a sud est di Afmadu, sulla frontiera del Giuba, appena 15 km a nord di Chisimaio. Il Duca d'Aosta sopravvalutando la forza dei britannici ordinò l'evacuazione di Chisimaio, la distruzione di tutti i magazzini e anche quella del ponte sul Giuba in piena. Per una settimana furono fatti numerosi tentativi poi alcuni battelli d'assalto inglesi riuscirono ad attraversarlo 11 km a monte. Gli italiani contrattaccarono immediatamente ma la testa di ponte resistette mentre continuava il traghettamento.  Seguirono due giorni di accaniti combattimenti ma il 23 febbraio i sudafricani erano padroni di entrambe le sponde per un'ampiezza di 8 miglia. Si fronteggiavano De Simone che aveva dall’altra parte lo stesso generale Godwin Austen dell’anno precedente. C'è da notare che i mezzi di trasporto italiani erano molto inferiori alle esigenze e privarono il generale de Simone di quella mobilità che è fattore essenziale della manovra.

   La provata abilità delle brigate del generale Godwin Austen a muovere ad alta velocità su un terreno orribile obbligava De Simone ad essere guardingo e lo privava di ogni iniziativa. L'aviazione italiana era inesistente.  La mancanza di una seria resistenza italiana aveva colto di sorpresa gli inglesi, che fino a quel momento ci avevano sopravvalutato. Cunningham ordinò quindi che Mogadiscio, la capitale con un porto importante e buoni servizi, venisse occupata al più presto per rifornire il prossimo attacco all’Etiopia. I nigeriani coprirono i 400 km che li separavano da Mogadiscio in tre giorni !!!. Una enormità in situazione di guerra, grazie anche alle strade che gli italiani avevano diligentemente tracciato in quegli anni. Il prodigo lavoro di costruire carrozzabili (non asfaltate) di larghezza dai 5 agli 8 metri permise qui come in Etiopia e poi in Eritrea una veloce penetrazione avversaria. Gli inglesi democratici costruivano meno strade nelle loro colonie.
     

   Non fu neppure tentata una qualsiasi difesa di Mogadiscio e il 25 febbraio i primi nigeriani entrarono in città. Trovarono benzina e carburante per aerei in quantità nonché provviste: il porto non era stato nemmeno danneggiato o sabotato. A quel punto non restava che la definitiva invasione dall'Etiopia meridionale, ma l'unica strada transitabile che portava da Mega, nel sud ovest (Confine somalo-etiope da Chisimaio), verso nord si snodava in mezzo alle montagne, mentre l'inattesa e imminente caduta di Mogadiscio in Somalia offriva la possibilità di un percorso molto più agevole. Il Duca d'Aosta tentando di prevenire una probabile avanzata ordinò al generale De Simone, in ritirata da Mogadiscio verso Giggiga, di distaccare una divisione 720 km a sud ovest di Neghelli, a cavallo dell'unica strada transitabile proveniente da Mega, sulla quale si credeva avanzasse il grosso degli Inglesi. La strada che porta da Mogadiscio a Giggiga corre per 640 km attraverso le pianure, quindi, a circa 320 km oltre il confine, in Etiopia, raggiunge i contrafforti montuosi e si arrampica ripida verso Giggiga. Da qui continua, superando i 3.000 m di altitudine attraverso i passi di Marda e Babile. A 80 km da Harrar, pure abbandonata, in direzione nord ovest, si trova Dire Daua sede di una numerosa comunità italiana. Le truppe britanniche si trovavano ancora a grande distanza dalla località, quando incontrarono elementi della polizia civile (P.A.I), latori di un appello urgente rivolto al generale Wetherall affinché accelerasse l'entrata delle sue truppe nella città. Il presidio militare si era ritirato e bande di etiopi, composte in maggioranza di disertori armati, si erano scatenate commettendo saccheggi e stupri, assassinando e mutilando i connazionali. Il presidio che si era ritirato da Dire Daua tentava intanto di aprirsi un varco a sud ovest, attraverso i sentieri di montagna, dirigendosi verso il fiume Auasc, a metà strada da Addis Abeba, dove gli italiani intendevano costruire opere difensive in posizione tatticamente vantaggiosa. La 22ª brigata britannica dell'Africa Orientale raggiunse il fiume prima della guarnigione italiana e prima ancora che fossero state approntate le difese.
     

  A questo punto il Duca d'Aosta deciso a rinunciare alla difesa della capitale, comunicò a Mussolini che la sua unica speranza era di resistere in una o più località inespugnabili, (fino a quando?) abbandonando tutti i settori esposti. Per alleggerire la propria situazione e per il bene della stessa comunità dei connazionali sarebbe stato opportuno che questa passasse al più presto sotto la protezione inglese, soprattutto per evitare che in Addis Abeba si ripetesse quanto era avvenuto a Dire Daua. Il Duca ordinò quindi di sgombrare la strada per non ostacolare l'ingresso delle truppe britanniche e diede disposizioni di lasciare sul posto scorte di viveri e un gruppo di funzionari civili affinché gli occupanti potessero mantenere in efficienza i servizi essenziali Le forze inglesi attestate sul fiume Auasc non erano a conoscenza della decisione presa dal viceré però furono informate che gli italiani in ritirata, anziché ripiegare su Addis Abeba, si stavano dirigendo a sud ovest verso l'inospitale regione di Neghelli, lontano dalla loro direttrice d'avanzata. Il copione di Dire Daua si ripetè fino a che il 6 aprile un nucleo misto formato da reparti delle tre brigate che avevano preso parte all'inseguimento entrò in Addis Abeba. In otto settimane gli inglesi avevano percorso 2.700 km e le loro perdite negli scontri erano state esigue soltanto 501 uomini. Gli italiani avevano perduto buona parte dell'armamento, dell'equipaggiamento e delle scorte di viveri, oltre a un gran numero di prigionieri, però in combattimento anche le loro perdite erano state relativamente leggere. E' da notare che il viceré aveva impartito disposizioni precise affinché in certi punti chiave ad esempio sul Giuba, a Dire Daua, sui due passi montani prima di Harrar, sulle rive dell'Auasc gli italiani opponessero resistenza, ma non uno dei suoi ordini fu eseguito. La condotta generale del Duca, ancorché militarmente inesistente o inefficace, risultò ora e in seguito indirizzata alla chiusura del capitolo Africa nel modo più veloce e indolore possibile. Gli Inglesi, dopo aver rimpatriato il Negus, svilupparono dal Sudan la guerra partigiana e un piccolo reparto di incursori (Gideon Force di Charles Orde Wingate vedi personaggi) per liquidare i presidi italiani minori sulla strada di Addis Abeba.
     

  Durante i quindici giorni che seguirono la Gideon Force condusse contro gli italiani una serie di attacchi diurni e notturni che ebbero l'effetto di scompaginarci e di infliggerci gravi perdite. Anche la Gideon Force aveva subito forti perdite specialmente fra gli etiopi. Il 14 marzo l'imperatore Haile Selassié si stabili nella nuova sede di Buriè dove il Generale Nasi tentò un contrattacco con gli Etiopi di Ras Hailù. Con le principali strade del paese occupate la conversione degli italiani alle posizioni del Duca d’Aosta si fece impossibile. La Gideon Force di Wingate (il Lawrence d'Etiopia) era dappertutto. Una parte d’italiani riuscì a raggiungere Addis Derrà, un villaggio fortificato di montagna 145 km a est di Debra Marcos e ad oltre 3.000 m sul livello del mare. Resistettero li sino alla metà di maggio, quando la mancanza di viveri li costrinse a riprendere la ritirata.

Fronte Nord 
Secondo gli inglesi, finché Cassala (Sudan) rimaneva agli italiani, sussisteva il pericolo di una invasione nemica nel Sudan, che non era nei nostri piani e comunque nelle intenzioni del generale Frusci. Stiamo parlando del 1940 e parliamo ancora della sopravvalutazione inglese nei nostri confronti. Per parare il pericolo il generale Wavell fu costretto a rafforzare, a scapito del Medio Oriente, le truppe del generale Platt che presidiavano la regione. Le forze italiane in Eritrea al comando del generale Frusci erano cospicue ed efficienti anche se di diversa estrazione: a Cassala e nella zona circostante dei capisaldi lungo la frontiera si trovavano 17.000 uomini con i nostri carri armati leggeri e artiglierie. Nelle retrovie il generale Frusci disponeva di tre divisioni, tre brigate autonome e poteva inoltre ricevere rinforzi dall'Etiopia settentrionale. L'avanzata del generale Platt su Cassala doveva incominciare il 19 gennaio 1941. Il ripiegamento italiano ebbe inizio il 18 gennaio.  La 4ª divisione indiana (ritirata dal nord Africa) del maggior generale Beresford-Peirse e la 5ª divisione indiana del maggior generale Heath ebbero l'ordine d'inseguire gli italiani in ritirata. Il primo contatto si ebbe a Cherù, 96 km a est di Cassala dove una brigata italiana avrebbe dovuto impegnare gli inglesi con un'azione di retroguardia. Ma le truppe britanniche accerchiarono il villaggio precludendo all'avversario ogni possibilità di ripiegamento; sebbene gli italiani avessero tentato di aprirsi un varco, il comandante e circa 900 uomini furono fatti prigionieri. Caddero in successione Agordat e Barentù. Wavell ordinò a Platt di spingersi verso Cheren e l'Asmara nella convinzione di far cadere tutto il dispositivo difensivo italiano fino al mare.

     

  Ma per l'Asmara mancavano ancora 170 km e Cheren che si trovava circa a metà strada era una delle posizioni difensive naturali più fortemente presidiate.  Cheren, capitale del Senait è situata a metà costa d’un semicerchio di montagne il cui unico punto di ingresso è la gola del fiume Dongolass, attraverso la quale passa la rotabile e la ferrovia per Asmara. Gli ultimi 4 km costituiscono l'unico passaggio attraverso quella che praticamente è una parete rocciosa sovrastata da undici cime alte 600 metri e più sopra il livello della strada. Ogni cima era stata trasformata in una posizione difensiva dominante l'imbocco della gola e la strada che l'attraversa era stata distrutta o ostruita. 
    CHEREN

 

Quella che era indicata come 65a divisione Granatieri di Savoia costituita dal 10° reggimento granatieri con terzo battaglione gli alpini del "Uork Amba" e 11° reggimento con  terzo battaglione i bersaglieri (+ una compagnia mortai) era partita da Addis Abeba sotto continui bombardamenti britannici. Mentre i granatieri presidiavano la gola i Bersaglieri si spostarono sulla pista per Cubub. Il 3 febbraio all'alba l'11ª brigata di fanteria della IV div. Indiana attaccò Sanchill, Brigs Peak e Cameron Ridge le tre cime sulla sinistra più vicine all'accesso alla gola. La battaglia con l'appoggio di un nutrito fuoco d'artiglieria da entrambe le parti infuriò quattro giorni. Gli indiani raggiunsero la sommità delle tre cime ma furono ricacciati dagli italiani del generale Carnimeo che combattevano con una tenacia raramente riscontrata.

 

Diamo di seguito, grazie ad un navigatore che ce li ha trasmessi (Andréa Cuna), gli organici del 10° Granatieri per i soli ufficiali superiori, in staff e i comandanti di compagnia. Era allora comandante di Reggimento il Col. Perugini Ilo dal 25 giugno 1938.

Lo avevano preceduto il Col. Muller Giuseppe dal 15 dicembre 1936 e Rizzo Antonio dal 12 ottobre 1936. struttura al 1940 http://www.regioesercito.it/reparti/fanteria/rediv65.htm

10° REGGIMENTO GRANATIERI

Comando Reggimento Aiutante Maggiore Marioni Marino

Dirigente Sanitario Ferrigno Giusepe

Dirigente Religioso Te. Capp. Fidelbo Don Giuseppe

Maestro scherma  S.Ten. Giorgini Nicola

a disposizione T.Col. Barbagallo Filippo

Maggiore Portis Luigi

Cap. Vella G. Battista

Deposito Regg. Cap. Ambrogi Umberto

Cp. Deposito Cap. Liverzani Fernando

Amministrazione Cap. Piatti Adone

 

Il 15 agosto 1937, dopo uno scontro a fuoco fra le guarnigioni cinesi e giapponesi di Shanghai, il governo cinese di Nanjing ordinò la mobilitazione; due giorni dopo fu la volta del Giappone dichiarare la guerra generale. Nell’ottobre 1937 l’armata del Guandong costituì governi autonomi nel Chahar, Suiyuan, Shansi occupando la maggior parte della Cina settentrionale. Shanghai capitolò nel mese di novembre e il 13 dicembre toccò anche alla capitale Nanjing. M. Flores, Il secolo-mondo, Bologna, Il Mulino, 2002, pagg. 270-271. http://www.aicpm.net/paginerivista/pg_14.htm

 

L'Italia a fronte di questa nuova situazione creatasi in Cina decise di rafforzare il presidio della Colonia di Tien Tsin con l'invio del I battaglione dei Granatieri di Savoia di stanza in Etiopia  http://www.granatieridisardegna.it/Granatieri_in_Cina_feb12.pdf

 

I batt. (Shangai) Com. T. Col. Andreini Enrico aiut. magg. Ten. Perroni Pasquale comp. (cp) com. Ten. Meoli Domenico

- 1a cp. Cap. Picco Carlo - 2a cp. Cap. Gioia Michele - 3a cp. Cap. Ciampa Simone - 4 cp. Cap. Paparo Vincenzo

 

II batt. Com. Magg. Grimaldi Carlo aiutante magg. Ten. Rempete Guido

- 5a cp. Cap. Gerometta Mario - 6a cp. Cap. Botti Ernani 7a cp. Cap. Piccirilli Carmine

 

III batt. Com. Magg. Ciaccio Luigi aiutante maggiore Ten. Guarnieri Vito

- 9cp. Cap. Bevilacqua Ugo - 10a cp. Cap. Pecorini Narsete - 11a cp. Cap. Chiappa Aurelio

 

Batt. Mitraglieri Com. Magg. DE Leo Pasqule aiut. maggiore Ten. Nabissi Ovidio

-1a cp. Cap. De Filippis Silvio -2a cp. Cap. Baso Angelo -3a cp. Cap. Pelagatti Vittorio -4a cp. Cap. Rombi Giuseppe

 

Batt. Alpini Uork Amba Com. Magg. Macchia Silvio aiutante maggiore Ten. Morglia Luigi

1a cp. Cap. Bellotti Francesco - 2a cp. Cap. Pesavento Renato  - 3a cp.Garis Vittorio

     

GLI ALPINI DEL "UORK AMBA" 

"Le Aquile rapirono l’oro alla Montagna"

 

Il battaglione Alpini "Uork Amba" fu un reparto dalla vita breve ed intensa. Nato nel dicembre del 1935 come VII battaglione complementi della divisione PUSTERIA, viene impiegato subito nella campagna etiopica. In questa guerra, ha modo di mettersi in rilievo nella conquista del monte "Amba Uork" (27 febbraio 1936) che darà il nome al battaglione stesso. Nell’ottobre del 1936, a Feltre viene costituito un altro VII battaglione complementi destinato a rinforzare gli ormai pochi uomini del "Uork Amba". Il battaglione è quindi impiegato nella lotta ai ribelli etiopi e sotto la guida del maggiore Peluselli, diventa un reparto a marcato spirito Alpino; accanto al vestiario coloniale vengono distribuiti vestiti in grigioverde, il cappello con la piuma e il sacco Alpino. Inoltre, nei pressi di Addis Abeba, tra le montagne della zona, viene istituita una "palestra alpina" per l’allenamento alpinistico degli uomini del battaglione. Dopo il rimpatrio, nel 1937,  della divisione PUSTERIA, il Battaglione Speciale "Uork Amba" è l’unico rappresentante degli Alpini a restare in A.O.I.: i suoi componenti sono tutti reduci  o richiamati ( classi 1900-1917) per mobilitazione e provengono da tutte le regioni di arruolamento Alpino . All’inizio della guerra, il "Uork Amba" è inquadrato nel 10° Rgt. Granatieri come terzo battaglione. Tenuto come riserva nella zona della capitale etiope, nel gennaio 1941 è inviato nella zona di Cheren (Keren),  per sbarrare la strada ad alcuni reparti inglesi ed indiani in avanzata verso Asmara. Agordat e Barentù erano state perse, le nostre truppe coloniali, investite dalla superiorità numerica e d’armamento dei Britannici si stavano ritirando: la difesa dei monti attorno Cheren era diventata un fattore chiave per la tenuta dell’intera A.O.I.. Presso cima Forcuta e la gola del Dologodoroc si tennero degli asprissimi combattimenti che videro gli Alpini del "Uork Amba" coprirsi d' atti d'eroismo individuale. Per 56 giorni, attorno a Cheren, gli Alpini lottano duramente contro i mezzi corazzati e le soverchianti truppe britanniche per mantenere le posizioni su cima Forcuta. La resistenza fu così tenace che anche Churchill dovettero ammettere la sua preoccupazione per la lentezza con cui i suoi uomini stavano avanzando in Eritrea. Il 26 marzo, il Comando Superiore italiano è costretto a porre fine alla resistenza nella zona di Cheren. Tre medaglie d’oro, 500 morti e centinaia di feriti attestano il sacrificio del battaglione sulla cima Forcuta e sul Dologorodoc. I resti del "Uork Amba", un centinaio di uomini e due ufficiali, per sottrarsi alla cattura percorsero 100 Km di zona montana per arrivare ad Asmara. Da qui proseguono su Massaua dove combattono l'ultima battaglia.  È aprile 1941. Su una forza complessiva di 1000 uomini, dopo due mesi di combattimenti ne rimasero incolumi solo 130 mentre oltre 300 furono i caduti

     

   Il 10 febbraio Beresford Peirse sferrò un nuovo attacco sulla sinistra e sulla destra della gola: gli obiettivi erano gli stessi degli attacchi precedenti. L'11ª brigata di fanteria indiana s'impossessò un'altra volta di Brigs Peak e ne fu ricacciata di nuovo. Un ennesimo attacco ebbe lo stesso esito.  Altrettanto avveniva per il possesso dell'Aqua Col dove la 5ª brigata di fanteria indiana si meritò per l’azione la Victoria Cross. La battaglia fra precipizi e acacie spinose si spostò su tutte le cime dall’Agget Suga all’Ad Maor, dal Dologorodoc al Work Amba presidiato dagli alpini. A Cheren si distinse anche la 3ª Compagnia Carabinieri e Zaptjé appena giunta in zona. Sei giorni dopo, la Compagnia, rinforzata da un altro plotone di carabinieri, fu dislocata nella posizione critica di quota Forcuta. Preceduto da un vigoroso bombardamento, avanzò un battaglione dello storico reggimento scozzese dei Camerons.
     

The Fall of Keren March 1941.
It was a long hard fight that was summed up in the official History of this campaign in these words. "So Keren fell after 50 days of siege. The British suffered 4,000 casualties and the Italians 3000 dead left in Keren." Lt General Sir Reginald Savory, who commanded Eleven Brigade during this fighting stated that: "No enemy but the Italians would ever have allowed us to take the place, it was practically 'impregnable' and even with Italian defenders we suffered heavily, at times we wondered if we ever would succeed." The Italians, particularly the regular troops such as the
Savoia Grenadiers, Alpini and Bersaglieri were proud of their resistance at Keren. It was one of the few occasions on which they really fought with tenacity and fervour

  Ma non ce la fecero. Soltanto il giorno 26 febbraio, ricevuto l'ordine di ritirata, i superstiti ripiegarono mestamente.  La calma apparente durò fino alla metà di marzo quando sia la 4ª e la 5ª divisione indiana furono pronte. La 4ª doveva attaccare sulla sinistra mentre la 5ª doveva occupare Dologorodoc sulla destra per avanzare quindi verso Falestoh e Zeban. Preceduta da un violento bombardamento aereo e dal tiro d'interdizione di entrambe le divisioni, l'11ª brigata di fanteria indiana il mattino del 15 marzo diede l'assalto a Sanchill, Brigs Peak, Hog's Back e Flat Top mentre la 5ª indiana attaccava Samanna. Tutti gli obiettivi furono raggiunti ma ancora una volta gli italiani ripresero Sanchill, Brigs Peak e Samanna. I genieri inglesi che si erano potuti spingere strisciando fino alla ostruzione stradale, riferirono che se fossero stati sufficientemente coperti l'avrebbero potuta sbloccare in 24 ore. Il compito di coprirli, impadronendosi delle posizioni difensive sovrastanti, fu affidato alla 5ª indiana. Furono cinque giorni di forti perdite dall'una e dall'altra parte. Il 20 marzo gli italiani erano ridotti a un terzo dei loro effettivi. I genieri sebbene esposti al tiro violento dell'artiglieria italiana la sera del giorno successivo avevano aperto una breccia nello sbarramento stradale e la mattina del 27 marzo una squadra del 40 Royal Tank Regiment e 50 veicoli cingolati Brencarrier mossero verso Cheren per la battaglia definitiva. Il generale Frusci intuendo di essere arrivato alla fase critica, ordinò l'immediato ripiegamento:  Cheren fu evacuata e i carri armati britannici vi entrarono la mattina stessa. La battaglia di Cheren era durata 8 settimane. Gli inglesi avevano avuto 536 morti e 3.299 feriti. I caduti italiani erano più di tremila.  Il l° aprile, cinque giorni prima della fine di Addis Abeba, gli inglesi occuparono l'Asmara: il loro prossimo obiettivo ora era il mare in fondo alla scarpata. L'8 aprile tre brigate, appoggiate dalla aviazione,  lanciarono un assalto simultaneo contro il perimetro di Massaua e riuscirono a sfondare le difese in parecchi punti. Sul tardo pomeriggio l'ammiraglio Bonetti capitolò con 9.600 uomini e 127 cannoni. 

Keren was as hard a soldiers' battle as was ever fought, and let it be said that nowhere in the war did the Germans fight more stubbornly than those [Italian] Savoia battalions, Alpini, Bersaglieri and Grenadiers. In the [first] five days' fight the Italians suffered nearly 5,000 casualties - 1,135 of them killed. Lorenzini, the gallant young Italian general, had his head blown off by one of the British guns. He had been a great leader of Eritrean troops. The unfortunate licence of wartime propaganda allowed the British Press to represent the Italians almost as comic warriors; but except for the German parachute division in Italy and the Japanese in Burma no enemy with whom the British and Indian troops were matched put up a finer fight than those Savoia battalions at Keren. Moreover, the Colonial troops, until they cracked at the very end, fought with valour and resolution, and their staunchness was a testimony to the excellence of the Italian administration and military training in Eritrea.

Un quadro verosimile (parziale) di questa campagna si può riscontrare nel film "I Due Nemici" con Alberto Sordi e David Niven (vedi per questo appendice in scheda personaggio Orde Wingate) il cimitero http://dgianni.blogspot.com/2007/11/wer-amba-la-bandiera-werk-amba-le.html