LA SECONDA GUERRA MONDIALE

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L'ITALIA ATTACCA LA FRANCIA

  Il 9 aprile 1940, dopo che Hitler ha comunicato al Duce la sua intenzione di porre fine alla stasi bellica, il Capo di Stato Maggiore Generale (CSM), Maresciallo Pietro Badoglio, riunisce i capi delle tre forze armate Graziani (Esercito) Cavagnari (Marina) Pricolo (Aeronautica). Il bilancio delle nostre forze armate uscito da quella riunione non è dei più  incoraggianti. Negli anni precedenti le divisioni erano passate da tre reggimenti di fanteria (si chiamavano ternarie + l’artiglieria) a due solo per sembrare più numerose. Il calo in organico era stato compensato dalle Camicie Nere, 800.000 uomini (addestramento e capacità belliche misconosciute anche se per l'arruolamento occorreva aver assolto gli obblighi di leva). Delle 74 divisioni ora disponibili (non più di 1 milione di soldati) solo 19 sono complete e su 21 non si può fare affidamento. L'altro milione di soldati fra servizi e milizia conta quindi ben poco.
     

Tre delle tante sequenze della resa del Forte francese di Traversette. Il plotone di italiani che prende possesso del forte si schiera alla porta. I soldati francesi escono dopo la dichiarazione di armistizio  con l'armamento individuale

  La milizia è male armata e con quadri che di militare hanno ben poco (sembrava la vecchia guardia nazionale). Ufficiali in servizio sia nell'Esercito che nella Milizia ma qui per motivi politici hanno gradi superiori (impropri: es un capitano dell'Esercito poteva essere Seniore della Milizia equivalente a Maggiore). Con questi antefatti la nostra strategia non può che stare in difesa su tutti i fronti, e pallida offensiva nelle colonie, in aria e in mare (nel mediterraneo) a seconda delle situazioni. In Libia, la divisione delle forze sul fronte Francese-Tunisino e Inglese-Egiziano (medio oriente compreso) non permetteva alcuna avventura. I successi di Hitler in Norvegia e in Francia, con la fine imminente del conflitto potrebbero quindi escluderci dal gran gioco. L’Italia deve essere pronta ad entrare in guerra entro la fine di maggio, dice Mussolini. Gli appelli alla pace del Papa Pio XII, di Roosevelt e di Churchill cadono nel vuoto. A quest'ultimo noi non si mancò di rinfacciare le sanzioni del '35. Il 26 maggio, quando Mussolini convoca Badoglio per sapere a che punto è la preparazione, il CSM tira fuori la solita storia dei materiali, delle scorte etc..
     

Il Duce “ Lei signor Maresciallo (Badoglio), ha avuto un’esatta visione della situazione in Etiopia nel '35: ora è evidente che le manca la calma….. io ho bisogno di alcune migliaia di morti per sedermi al tavolo della pace quale belligerante”

  Le sue frasi cominciavano sempre con “non abbiamo” e terminavano con “sarebbe un suicidio”. La risposta del Duce a Badoglio è molto diplomatica nonostante i trascorsi burrascosi fra i due. Ricordiamo che Mussolini nel '22 si era anche riproposto di farlo fuori, accettandolo in seguito come favore alla monarchia. In risposta ad una lettera del Fuhrer, Mussolini assicurava che entro il 5 giugno l’Italia entrava in guerra. La nuova riunione con i vertici militari prevista per quel giorno approfondì nuovamente l’impreparazione e la scarsità d’uomini sul fronte africano, e il fatto che 250 navi mercantili erano in giro per il mondo e sarebbero andate perdute. La nostra entrata in guerra slitta quindi ancora (per fortuna col placet di Hitler).
     

  Mussolini per non restare indietro nella campagna delle Ardenne, offre un corpo di Bersaglieri per quel fronte, che questi accetta. La sua risposta del 9 giugno assicura che in cambio avrebbe mandato le provate, ma esperte, truppe di Narvik a dare man forte sulle Alpi. Il problema a chi spettasse il " Comando Supremo " che per legge toccava al Re, venne risolto con una ampia delega al Duce. Alle 18 del 10 giugno 1940, Mussolini si affaccia al balcone di Piazza Venezia per la Dichiarazione di Guerra. La forza stazionante sul fronte alpino da giorni, era il Gruppo Armate Ovest con le sole I e IV Armata. Anche se la nostra disposizione è difensiva, bisognava occupare i punti strategici ed essere pronti a una eventuale reazione francese.
     

  Il fronte, che va dal Monte Bianco al mare, sul versante francese, è molto meno ospitale e più selvaggio di quello italiano. Le Alpi Francesi, a differenza di quelle italiane, s’inoltrano per centinaia di chilometri nell’interno e le valli anziché perpendicolari alla catena alpina come quelle Italiane, corrono prevalentemente parallele. Ogni valle era un ridotto alpino di cui non si vedeva la fine (un po' come sul Carso). Anziché organizzare una linea Maginot qui i francesi avevano costruito piccoli forti raccordati a postazioni di mitragliatrici in casamatte ben mimetizzate. Un ponte saltato con i fiumi in piena per il disgelo era sufficiente ad inchiodare ed esporre al fuoco sulle sponde un qualsiasi avversario per giorni. Saltato questo c'è un'altra catena e cosi via. In risposta ad offensive italiane in Tunisia, la Francia risponde invece con il bombardamento di Genova Vado (dal mare) il 14 giugno e gli Inglesi con raid aerei su Torino, Genova e Venezia, che ci colgono impreparati !!!.
     

per il mortaio da 280  http://www.lignemaginot.com/ligne/schoen/expob3/o280.htm 

per lo Chaberton  http://www.fortificazioni.com/forte/chaberton.htm  - http://www.fortificazioni.com/links.htm 
http://www.lost-least.it/varisello-1.htm  Moncenisio Forte Varisello

http://www.axishistory.com/index.php?id=6467 ordine di battaglia dell’E.I. a Giugno

  Non c’era da stare allegri come inizio. La risposta italiana  per la Francia meridionale e la Corsica non si fa attendere. Il progettato sbarco nella Francia Meridionale viene sospeso. La campagna tedesca al Nord volge al termine e noi siamo ancora agli scontri di pattuglia. Mussolini, dopo che Hitler gli ha detto che la Francia capitola, sollecita Badoglio a muoversi entro il 18. Non ci si può sedere ad un tavolo d’armistizio contro chi non si è combattuto (e vinto). Nell’incontro del 17 giugno, a Monaco, Mussolini chiede la Francia fino al Rodano, la Corsica, la Tunisia, Gibuti, l’Algeria fino ad Orano nonché partecipazioni nella divisione della Flotta e dell’Aeronautica. Hitler sobbalza sulla sedia e fa intendere a Mussolini, in parole povere, che i tedeschi  per arrivare a Parigi, si erano fatti un c... tanto e gli italiani no. Sarebbero stati conclusi due armistizi separati, ma interdipendenti. Mussolini furioso a Badoglio "Bisogna attaccare". Il mattino del 20 giugno il comandante del IV C.d.A, Generale Mercalli, al di fuori di precise direttive muove i suoi nel settore del Monginevro. I messaggi di Petain alla Francia per il deponete le armi, non raggiungono o non vengono ascoltati e presi sul serio dall’Armata delle Alpi. I tedeschi sono già a Lione alle spalle di questa armata e poco che s'aspetti si prenderanno tutto, alpi marittime comprese. Nella notte del 20 tutto il fronte è in movimento. Il 32° battaglione bersaglieri motociclisti ( 9° reggimento Div. Trieste) valica il Piccolo San Bernardo spingendosi sotto alle postazioni di Forte Traversette. Il primo ponte saltato (alto 10 metri) pone fine alla manovra.
     

   Ora sotto i colpi dell’artiglieria nemica il genio deve provvedere ad un passaggio di fortuna. La divisione Trieste non era nei reparti della I e IV armata, ma s'era deciso che le divisioni Motorizzate provviste anche di carri armati s'inoltrassero nelle valli alpine per appoggio. Impiego e appoggio quanto mai pericoloso e inutile, come vedremo, per il teatro operativo: la viabilità alpina all’epoca non era quella che conosciamo ora. Nevicava ancora in quei giorni e la visibilità era ridotta al minimo. Il 22 la marcia riprese con in coda i carri L3 del  33° reggimento carri della divisione Littorio. Il carro di testa saltò sulla prima mina bloccando la colonna. Non avendo individuato subito la causa ci si fermò pensando a tiri d'artiglieria. I progressi sul restante fronte andavano avanti, ma di linee francesi di resistenza non c’era ombra. Erano cadute a caro prezzo molte postazioni in ridotta ma non i forti di Traversette e xxx., che continueranno a dirigere il fuoco delle artiglierie francesi arretrate. A queste postazioni dei Francesi si aggiungevano le S.E.S.  Sections Eclaireurs Skieurs (esploratori alpini sciatori) gente del posto, che spariva in un attimo nei boschi e nella nebbia dopo aver colpito (Finlandia e Norvegia docet, si direbbe). Anche la Divisione Trento con i suoi carri e il 4° Bersaglieri si era fatta sotto.
     

Crédits : Centre Régional Résistance et Liberté - Auteur : Matthieu Noucher

  I progressi impercettibili continuavano, ma avevamo già  perso più di 600 uomini e molti congelati. I francesi una manciata. Una loro delegazione arrivò a Roma il 23 giugno per trattare la resa del fronte Alpino. Le nostre rivendicazioni, per facilitare i tedeschi a porre fine alle ostilità, sono molto ridimensionate. 50 Km di profondità dal fronte sarà  smilitarizzato, così come tutte le terre di colonia confinanti con le nostre e disattivazione della flotta del mediterraneo. I francesi tirano un lungo respiro di sollievo: dal 25 cessazione delle ostilità. Ci ricambieranno a fine conflitto con minori richieste di danni di guerra. Il Forte di Traversette è comunque sempre li con la sua piccola guarnigione.  Alle 6,45 del 25 giugno un parlamentare italiano avvisa il comandante del forte che la guerra è finita. Poiché al francese la comunicazione non è ancora giunta, invita anche il seguito del  parlamentare a colazione. A mezzogiorno si aggrega alla compagnia il comandante del 4° alpini e a sera quello del battaglione Aosta. 

Si mangia e si beve in allegria e cordiaità. " .. e cosi abbiamo continuato a convivere in eccellenti rapporti con i nostri guardiani (italiani) finche "finalmente" il capitano Kretz non ci reca l’ordine …gli italiani all’ammaina bandiera ci hanno reso l’onore delle armi”. Dal diario del tenente francese. Nel pomeriggio di venerdì 28 giugno alle 17,30 sui cieli di Tobruk, mentre era in corso un attacco aereo inglese, arrivava Italo Balbo maresciallo dell’Aria, comandante militare e governatore della Libia.  Un colpo di contraerea da 20 mm dalla San Giorgio, definito da molti in Italia "provvidenziale", raggiungeva il suo aereo e non quello del Gen. Porro. Balbo riposa nel cimitero di Orbetello, da dove partivano spesso le sue crociere aeree.  Al suo posto veniva nominato Rodolfo Graziani. Era l’inizio d’una battaglia persa.  

     

“ tra sei ore non si sparerà più…oggi a Costantinopoli tutte le navi francesi hanno alzato bandiera Inglese. La guerra comincia adesso, ne avremo da levarcene la voglia” Dal diario di C. Ciano. 

  Chaberton oggiNell'estate del 1898 si diede inizio ai lavori per la costruzione della Batteria Chaberton e nell’agosto del 1906 i primi cannoni da 149/35 (il meglio d'allora) salirono in vetta.  Il mese successivo, effettuarono alcuni tiri di esercitazione verso Rochers Charniers e il Colle di Costa Piana. L’interno della fortificazione era improntato alla massima semplicità: su due lunghi corridoi che percorrevano tutto l’edificio si aprivano vari locali, destinati ad ospitare le camerate, i magazzini, l'infermeria, il comando, le cucine. Sul tetto della costruzione, a distanza di sei metri l’una dall’altra, si alzavano otto torri cilindriche (alte 7 metri)  rivestite da blocchetti di calcestruzzo.  Le casematte dell'artiglieria erano formate da una cupola di lamiera (5cm), di forma assai simile a quelle delle batterie marine, ma priva di una vera e propria corazzatura in grado di riparare il personale solo dalle schegge: essa era libera di ruotare su se stessa di 360° per mezzo di una corona dentata fissata all'estremità superiore della torre.  Chaberton com'era

I progettisti del forte lavorarono nella convinzione che non esistesse un’arma a tiro curvo con delle caratteristiche di potenza tali da colpire con efficacia un obiettivo posto a così grande altezza e sul cielo della cupola, come lo Chaberton (m. 3.130). Se il ragionamento era valido agli inizi del secolo, alla sua nascita, solo 20 anni dopo tale certezza sarebbe rapidamente sfumata e il forte avrebbe assunto sempre più l’aspetto, come si scrisse, di “una bella donna sfiorita troppo presto”. D'inverno era sorvegliato da un plotone di trenta alpini al comando di un tenente, tratto a rotazione mensile dai battaglioni del 3° Fenestrelle ed Exilles: nella bella stagione il presidio era costituito in massima parte da artiglieri dei pezzi. Nel 1938 lo Chaberton venne inquadrato nell'8° Reggimento di artiglieria Guardia alla Frontiera (515^ batteria GAF). Nella breve Guerra delle Alpi del giugno 1940, nonostante fosse ormai inadeguato per concezione tecnica, lo Chaberton venne chiamato a sostenere il suo compito.  I Francesi, soppesando la reale minaccia, avevano preparato una adeguata risposta da svelare al momento opportuno. Appena iniziate le ostilità, mascherarono abilmente nel vallone di Cervierès due batterie di potenti mortai da 280 mm, i soli in grado di colpire, grazie alla loro traiettoria fortemente parabolica, un obiettivo posto ad altitudine così elevata

     

Nella polemica sorta a fine conflitto (scaturita dal libro inchiesta di Antonino Trizzino Navi e Poltrone del 1952) riportiamo un passo relativo alla nostra Forza Aerea pag 180 e segg..>>>>

LA VECCHIA CASERMA DEI BERSAGLIERI A VENTIMIGLIA

(ndr per sommi capi trattandosi di dati ufficiali (a fianco) non dovrebbero essere gonfiati, ma per esperienza come già successo, molti velivoli sicuramente erano impossibilitati ad alzarsi in volo) >>>>

Fecero allora difetto le forze aeree, complementari di quelle navali nella guerra sul mare? Anche questo si deve escludere, consultando una pubblicazione ufficiale di indubbia attendibilità, in cui la guerra aerea è compendiata mese per mese, in dati e cifre scrupolosissime. In essa si arriva persino a calcolare il consumo delle bombe e dei proiettili in chilogrammi, come s’usa per i generi di prima necessità, e si trova un quadro completo dei reparti, delle loro ore di volo, delle missioni compiute da ciascuno, delle perdite subite, insieme con ogni altro elemento utile alla più fedele ricostruzione degli avvenimenti. Si tratta della Relazione statistica sull’attività operativa dell’aeronautica dall’inizio delle ostilità al 30 settembre 1942. Da essa sappiamo esattamente quanti « velivoli bellici » (secondo la denominazione ufficiale) possedeva l’aeronautica italiana il 10 giugno 1940: erano 3750 esclusi, naturalmente, da questa cifra gli aeroplani destinati alle scuole, alle linee aeree e in genere ai compiti non strettamente attinenti al servizio di guerra. Detratti quelli dislocati in Africa orientale, si ha, dunque, che 3296 aeroplani italiani gravitavano nel bacino del Mediterraneo, distribuiti tra il territorio metropolitano, la Libia, 1’Egeo e l’Albania. Non tutti, naturalmente, erano di « pronto impiego , come non tutti i carri armati, né tutte le mitragliatrici, tutti i fucili, tutte le navi di cui si è in possesso possono essere sempre in attività di servizio, dovendosi tener conto di quelli che si rendono indisponibili, perché in via di essere messi a punto o in corsa di riparazione. mezzi al piccolo S. Bernardo
Ma queste considerazioni valgono per noi come per l’aeronautica inglese, che si e no poteva contare in tutto, in quel momento, nel Mediterraneo, 3/400 aeroplani e forse meno, tra Egitto, Palestina, Malta, Gibilterra, Cipro e navi portaerei. Ne risultava, dunque, un predominio netto dell’aviazione italiana, maggiore circa dieci volte di quella nemica: supremazia, oltre che di numero, anche di qualità. Valga un opportuno confronto tra le forze aeree della Sicilia e quelle di Malta; in Sicilia c’erano una divisione di bombardieri e una di cacciatori, oltre alle squadriglie a disposizione dell’esercito e della marina, vale a dire alcune centinaia di aerei: a Malta, invece, non esistevano che quattro aeroplani Gladiator. Quando si sente attribuire alla mancanza di navi portaerei l’origine di molti nostri guai, non si può fare a meno di domandare: i collegamenti tra le divisioni aeree a terra e la flotta in mare erano quelli che avrebbero potuto e dovuto essere? C’era un comando unico, un unico cervello operante che muovesse contemporaneamente le navi e gli aerei e li dirigesse insieme verso lo stesso fine? C’era chi seguisse miglio per miglio le navi e chilometro per chilometro gli aerei, facendoli convergere nello stesso tempo sullo stesso obiettivo? La risposta è: no. Si va dicendo che la produzione degli aeroplani non fosse nemmeno in grado di colmare i vuoti che si producevano e di sopperire interamente alle perdite, cosi che la consistenza dei reparti dell’aeronautica si sarebbe andata sempre più assottigliando. Ma anche su questo punto la Relazione statistica del ministero aeronautica è esplicita e serve a sfatare alcune erronee opinioni. Riferisce, infatti, che i velivoli bellici subirono una diminuzione totale, dal primo giorno di guerra al 30 settembre 1942 di 4979 unità; ma ricevettero contemporaneamente un apporto, principalmente dovuto alle nuove costruzioni, di ben 6538 unità, di modo che, fatta la differenza, essi aumentarono di 1559 in circa due anni, passando dai 3750 iniziali ai 5309 di fine settembre 1942, tutti concentrati nell’area del Mediterraneo, dopo la perdita dell’A.O.I.
L’ Inghilterra non sperò nemmeno, in verità, di poter mai disporre nel Mediterraneo di una massa aerea di tale entità e si ha per certo che in nessun momento, dal 10 giugno 1940 al settembre del ‘42, si ebbe nel Mediterraneo un numero di aerei nemici non solo superiore, ma nemmeno uguale a quello italiano. La bilancia traboccò in nostro sfavore con l’arrivo degli americani, non solo a causa della massa di aerei che essi portarono nel Mediterraneo, ma dei bombardamenti massicci, che cominciarono a compiere, sui nostri campi di volo e sulle fabbriche. Ma prima di allora passarono due anni almeno di indiscussa supremazia dell’ Italia in mezzi aerei oltreché navali: due anni di tempo in cui indubbiamente la guerra avrebbe potuto avere altro indirizzo e altri risultati. Ma allora, se le navi c’erano e gli aeroplani anche, che cosa mancò? Non certo il coraggio e l’eroismo dei nostri soldati. Mancò prima di tutto un vero capo …….