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Quando
il 10 giugno scoppia la guerra, l’Italia ha ancora in africa quasi
300.000 soldati in gran parte camicie nere, truppe coloniali (autoctone e
non) e
civili. Il numero è
ancora alto non tanto perché ci si aspettasse un conflitto dall'esterno ma
semplicemente perché la
ribellione interna non s'era mai assopita dal 1936. Inutile dire
che la nostra era una forza poco e male armata e in grave difficoltà per i rifornimenti,
dopo la chiusura del canale di Suez. Era collegata all’Italia solo da
Voli clandestini che sorvolando il Sudan Angloegiziano raggiungevano la
Libia via Oasi di Cufra. Di questa situazione
si era già (pre)occupato il duca d'Aosta quando divenuto viceré nel maggio
1939 presenta un piano per l'autosufficienza. Il costo era di 4,8
miliardi che gli vennero rifiutati. Il duca ritornò sull'argomento con un
piano ridotto a un pò meno di un miliardo e mezzo di lire; furono concessi 900
milioni alla vigilia (2 mesi) dell'entrata in guerra.
Roma si era ora resa conto, della precarietà della situazione e inviò materiali e personale
specializzato ma solo 24 carri medi
M11/39 e 24
leggeri che si aggiungevano ai 15 già presenti, pochi pezzi di artiglieria
(300 tra ufficiali e specialisti) che
si andavano ad aggiungere alle 126 vecchie autoblindo e
"Mezzi di
circostanza" approntati secondo il genio Italico. Il mezzo di circostanza era un camion o un trattore
agricolo civile
foderato con lastre o balestre a prova di fucilate.
L'autosufficienza, avrebbe dovuto essere garantita dall'ammasso di
scorte adeguate, sufficienti a sopravvivere e combattere per un anno. Il 10
giugno 1940 la situazione era ben lontana da questo livello. Gomme,
fabbisogno per un paio di mesi, carburante
6/7 mesi. Minori preoccupazioni destava il settore del vestiario e
del vettovagliamento. Mancavano totalmente le armi contraeree e
controcarro. Tutto l'armamento, dal fucile alla mitragliatrice
all'artiglieria era costituito da residuati della prima guerra mondiale.
Con le forze regolari collaboravano poi con noi bande irregolari che portavano un
prezioso apporto nell'azione di controllo e di repressione sul territorio ma
che si dimostreranno estremamente infide con il procedere degli
eventi tanto da passare al nemico nell'ultima parte della campagna (non le
spingeva il disinteresse verso un nuovo padrone). Sola
eccezione la costituirono gli eritrei che dimostrarono con un generoso
contributo di eroismo e di sangue la loro fedeltà all'Italia e il loro
odio per gli Etiopi (ancora valido). Alla
vigilia della dichiarazione di guerra tutto il potere, civile e militare,
fu accentrato nelle mani del viceré che aveva alla sua dirette
dipendenze, i comandanti generali dei tre scacchieri (Etiopia, Somalia,
Eritrea, praticamente un continente): nord (Frusci), sud (Gazzera), est
(Nasi) e settore autonomo del Giuba (Pesenti). L'aviazione disponeva in teoria di 325 aeroplani ma
in realtà soltanto 183 si alzavano da terra. Si trattava di modelli
assolutamente superati, destinati a soccombere, nonostante l'impegno dei
piloti, negli scontri con quelli della RAF. Gli ordini era difendersi ed
effettuare solo brevi e locali sortite offensive. Lo sviluppo della
situazione generale fra il 10 giugno e la conclusione
dell'armistizio con la Francia, portò a cancellare dalla lista delle
possibili operazioni offensive per la rettifica delle zone di confine
quelle dirette contro Gibuti francese. Gli italiani procedettero allora all'occupazione di Cassala nel Sudan sudorientale per assicurarsi
il possesso di un importante nodo di comunicazioni (di vitale importanza nei riguardi di eventuali progetti d'invasione dell'Eritrea
da parte degli inglesi).
L'obiettivo fu raggiunto il 4 luglio con perdite insignificanti. Rettifiche minori di importanza strettamente locale furono compiute
in corrispondenza della frontiera del Kenya. Soltanto successivamente si
pensò ad organizzare l'operazione, per l'occupazione della Somalia
Britannica che doveva avere inizio a primi di agosto del 40.
La Gran Bretagna quando l'Italia entrò in guerra il 10 giugno
1940, non aveva in Africa Orientale forze capaci di sostenere una
campagna. Le formazioni che era stato possibile mettere insieme o
reclutare sul posto potevano consentire, soltanto all'inizio, di pensare
alla possibilità di difendere il Kenya la Somalia britannica e il Sudan
contro un'invasione italiana e anche questo limitatamente al caso che tale
invasione fosse alquanto blanda. Di attaccare un paese montuoso e privo di
strade come l’Etiopia e l’Eritrea non si parlava. Invasione o no, la
presenza dell'Italia nell'Africa Orientale era un grave problema. Il Corno
d'Africa dominava l'ingresso del Mar Rosso la linea vitale per il Medio
Oriente dopo la chiusura del Mediterraneo. La campagna dell'Africa
Orientale ebbe quindi inizio con l'invasione della Somalia britannica.
Il duca d'Aosta aveva ricevuto ordini da Mussolini di mantenere
atteggiamento difensivo. Ma il viceré temeva che anche la Somalia
francese con il suo importante porto di Gibuti (da li partiva l'unica
ferrovia per la capitale Etiopica) potesse rappresentare una
comoda base per l'invasione britannica dell'Etiopia e benché Gibuti fosse
"ufficialmente" passata a Vichy
il duca d'Aosta non si fidava della sua guarnigione di legionari (fra i
legionari c'erano molti tedeschi, che si distingueranno a tempo debito per
la lotta contro i compatrioti nazisti). Gli Inglesi ai
26 battaglioni di Nasi potevano opporre solo 2 battaglioni. Dopo
aver attraversato, il 3 agosto, la frontiera "completamente incustodita" le forze
italiane si frazionarono. Una colonna si diresse verso la frontiera della
Somalia francese: ed entro due giorni essa aveva raggiunto il suo
obiettivo che era quello di bloccare la guarnigione francese. Sul resto
delle forze al comando del maggior generale De Simone, si appuntò
immediatamente l'attenzione Inglese.
Dopo alcuni tentennamenti sulla reale consistenza del nemico, che
non conoscevamo, il generale De Simone riprese la sua marcia e raggiunse
Tug Argan l'11. I tre giorni
di sosta avevano permesso agli inglesi di ricevere qualche rinforzo e ciò
fece durare la campagna 2 ulteriori giorni. Il 13 agosto i
combattimenti continuarono ancora per tutta la giornata senza che nessuno
dei difensori cedesse terreno. Il 14 agosto quarto giorno di battaglia, i
difensori resistevano ancora ma la minaccia di essere tagliati fuori da un
momento all'altro si faceva sempre più evidente. Il generale ingese Godwin
Austen allora telegrafò al Cairo affermando che, in assenza di ogni
altra posizione atta alla difesa, l'unico modo per salvare le sue forze
era evacuare la Somalia. Il Cairo approvò. La difesa della Somalia
britannica era costata agli inglesi 250 morti contro i nostri 205. Gli italiani avevano pagato cara la conquista e si resero conto
che il prezzo sarebbe stato assai più alto se le forze britanniche
avessero disposto di un adeguato appoggio d'artiglieria. La maggior parte
delle forze evacuate da Berbera andò ad aggiungersi all'organizzazione
che gradualmente si andava predisponendo nel Kenya, e la Somalia fu
lasciata praticamente indisturbata per sette mesi, a parte attacchi occasionali
nel Giuba.
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