Parte quarta
La Mandante
Romanzo modenese
Era trascorso un anno da quella tragica
giornata e Luisa cominciò gradualmente a farsi una ragione della sua nuova
posizione di “vedova”, ancora molto giovane e sempre più affascinante. Aveva
appena compiuto trenta anni e la sua vita ripartiva da una posizione invidiabile
e di grande prestigio. Parenti stretti il conte non ne aveva cosi che, tutte le
ricchezze, le proprietà, dalla fabbrica alle ville, alle tenute, insomma tutto
il patrimonio passò nelle mani della contessa Luisa Bentivoglio Molza Pellacani
Parenti Villani, che prese in mano la situazione con il piglio di una
imprenditrice esperta e navigata; d’altra parte il conte Giovanni, già da tempo,
l’aveva inserita nelle segrete cose dell’amministrazione e dei precisi rapporti
con tutti i personaggi “chiave” della gestione di quell’enorme patrimonio, e lei
seppe organizzarsi al meglio.
Riprese, limitatamente, anche i contatti con la “mondanità’” milanese
lasciandosi convincere da alcune amiche, come la marchesa Mirella Pallavicini,
la contessa Aldina Ercolani e la Signora Elisa Motta Schifani, ad andare a
qualche serata di gala, a frequentare alcuni salotti e a partecipare a poche
importanti manifestazioni teatrali, entrando altresì in una serie di
associazioni con fini altamente benefici ed umanitari, non lesinando mai in
aiuti sostanziosi, anche in forma privata, a chi ne avesse veramente bisogno. Di
conseguenza la vita tornò ad essere quasi “frenetica” come quando la viveva con
l’amato Giovanni.
Ritornò, prepotentemente, anche all’attività sportiva dedicandovisi ancor più di
prima, quasi a volersi “annullare” con la stanchezza fisica, attraverso delle
estenuanti partite a tennis e ad altrettanto massacranti cavalcate con i suoi
cavalli e, quando riusciva a raggiungere i campi di neve, con delle sfibranti
ore sugli sci.
Un giorno le telefonò l’amica Ginevra:
“Sono la tua inquilina, Luisa, come stai? Ti chiedo scusa ma volevo avere
qualche tua notizia. Non ti vedo e non ti sento da più di un anno. Mi dicono che
non esci di casa da molti mesi.”
“Ciao Ginevra,” rispose la contessa, “mi fa piacere questa tua telefonata, te lo
assicuro; effettivamente è così, ho subito una “batosta” non indifferente. Mi
ero veramente molto legata a Giovanni e gli volevo un gran bene, la sua
improvvisa dipartita mi ha lasciato in uno stato di prostrazione dalla quale
“forse”sto uscendo solamente in questo periodo. E’ stato un anno molto pesante
per mè e, ti assicuro, non avevo voglia di incontrarmi con nessuno. Come ti
dicevo sono andata, in questa ultima settimana, ad una serata a casa da amici e
ad un concerto di musica classica, inoltre ho appena ripreso a giocare a tennis
e a montare a cavallo, con alcune delle amiche che mi sono creata nell’ambiente
nel quale mi sono “calata” per merito di Giovanni, anche se è già più tempo che
ho ripreso a curare gli interessi di famiglia. Ma dimmi di te cosa fai? Sei
sempre all’Embassy?”
“Si Luisa, ma limito le mie presenze a poche serate settimanali dato che,
complessivamente, mi trovo in discrete condizioni economiche e non ho più, come
un tempo, urgente bisogno di danaro. Ho trovato anche un tale che vorrebbe
“accompagnarsi” a mè, e si dimostra “innamorato”, mi trovo bene con lui, usciamo
assieme frequentemente, ma preferisco ancora la mia libertà, nel “tuo”
appartamentino in San Babila mi trovo benissimo, e non ho alcuna intenzione di
“legarmi” ad un uomo. Ho incontrato una volta anche i tuoi genitori e mi sono
permessa di fermarmi a fare quattro chiacchiere con loro per avere tue notizie,
sono stati veramente molto gentili e carini. Mi piacerebbe, prima o poi,
rivederti, pensi che possa essere possibile?
“Ginevra, a proposito, sono io che debbo chiederti scusa poiché anni fa ti avevo
chiesto il favore di non presentarti a casa del conte. E la ragione la sai bene,
non avevo troppo piacere che si potesse scoprire, non tanto da Giovanni, ma dal
mondo che ci circonda, la mia “dubbia” provenienza anche attraverso “certe”
frequentazioni. Ma ti assicuro che ho sbagliato, pertanto, al più presto ci
ritelefoneremo, ti inviterò qui a “palazzo” e ti farò anche visitare questa
splendida dimora che forse non merito, come probabilmente non merito le
ricchezze che mi sono piovute addosso, ma nello stesso tempo non merito,
assolutamente, la “disgrazia” che mi ha sconvolto la vita”
Non passarono dieci giorni e Luisa invitò a Palazzo, in Corso Magenta, la
“vecchia” amica bionda con la quale trascorse una piacevolissima giornata, prima
con un delizioso e leggero pranzetto e poi con un cena più abbondante, sempre
servite dalle brave ragazze che prestavano servizio in quella casa guidate dalla
esperta signora Marietta Bongiovanni e dalla cuoca di sempre, la signora Antonia
Cavazzuti, che furono liete nel vedere la “signora contessa” riprendere qualche
contatto con il mondo esterno e la videro, compiaciute, di nuovo sorridente.
Ginevra, non si aspettava tale “magnificenza” e, anche lei come Luisa la prima
volta che entrò in quella casa, rimase a “bocca aperta” meravigliandosi, di
fronte all’arredamento, alla tovaglieria, alla posateria, ai quadri alle pareti,
al servizio “inappuntabile” come nemmeno nei migliori ristoranti, insomma, il
suo “grazioso” appartamentino in San Babila poteva essere contenuto in uno solo
degli splendidi salotti di quel palazzo. Fantastico!
Ginevra, a tavola, durante la passeggiata nel giardino del palazzo o quando
erano sedute a conversare in uno dei salotti, si “mangiava” con gli occhi Luisa,
bellissima in un elegantissimo tailleur nero, era ancora costantemente in lutto,
che la fasciava in modo “sensuale” sottolineandole le ancora splendide forme;
non poteva poi dimenticare che quel corpo lo aveva conosciuto, anni prima, molto
bene in ogni suo “anfratto”, anche quelli più reconditi e che lo aveva baciato,
accarezzato, coccolato, teneramente trattato, insomma lo aveva “profondamente
amato”. Così come se la “godeva” con gli sguardi, cercava di reprimere il
desiderio di dirle parole d’amore e, quanto meno di soffocare, dentro di sé,
l’irresistibile desiderio di abbracciarla e di baciarla. Disse a sé stessa che
era ancora troppo presto per cercare di fare delle “proposte” e che, molto
probabilmente, lasciando passare ancora un po’ di tempo, forse, in quella donna
ancora scombussolata dalla scomparsa dell’amato marito, si sarebbe di nuovo
aperta una “breccia” nella sua sensualità, anche perché le sembrava di aver
intravisto un “lampo” di desiderio d’amore, in quegli splendidi occhi.
Contemporaneamente anche Luisa aveva capito benissimo che l’amica la stava
guardando con un trasporto tale e con una tale intensità, che denotava quanto
ancora fosse innamorata. Veramente l’anno che aveva trascorso dopo la fine di
Giovanni le aveva completamente annullato i sensi, in lei non vi era stato
nessun cenno di desiderio verso chicchessia, tanto meno nei riguardi degli
uomini, anche se aveva notato, da quei pochi che aveva incontrato, la volontà,
da parte loro di non disturbare il “lutto” nel quale si era completamente
“annullata”. Ma ugualmente si era accorta che “loro” la guardavano ancora con
quella “luce” di desiderio che, troppo spesso, nel passato, aveva visto negli
sguardi maschili.
Di tanto in tanto le due amiche si rividero, e logicamente ogni volta che
passeggiavano per Milano le due bellezze “emiliane” richiamavano l’attenzione, e
qualche volta le battute, anche “volgarotte”, dei passanti.
Erano già in clima natalizio e le due amiche stavano passeggiando in Galleria
Vittorio Emanuele II facendo il percorso tra Piazza Duomo e Piazza della Scala,
fermandosi ed entrando in un negozio di abbigliamento, o in un negozio di
scarpe, dato che in quella zona sono concentrati alcuni dei nomi più esclusivi
della moda milanese, quando ferme, davanti ad una vetrina, la contessa si sentì’
toccare delicatamente su di una spalla e sentì una voce che diceva:
“Luisa, ma sei proprio tu?”
Lei si voltò subito, mentre nello stesso istante si materializzava di fianco a
lei e all’uomo che la stava “importunando” una figura massiccia che si mise
subito tra i due, ma Luisa calmò istantaneamente la sua “guardia del corpo” che
era intervenuta con una tempestività incredibile. Aveva riconosciuto nel
“disturbatore”, con tutta certezza, il suo “stupratore-salvatore”.
“Tranquillo Marco”, disse subito Luisa al suo angelo custode che da tempo la
seguiva ad ogni sua uscita, con circospezione e discrezione e sempre a poca
distanza, dopo che, ancora ai tempi di Giovanni ci fù, nei pressi della loro
abitazione un tentativo di aggressione, fallito, che mise in “apprensione” il
conte il quale si rivolse ad una agenzia specializzata per avere sempre, a
protezione “loro”, una o più guardie del corpo.
“La conosco questa persona, anzi”, disse rivolgendosi sia a Marco sia a Ginevra:
“vi prego di lasciarmi sola con lui, rimanete nei paraggi e non allontanatevi
più di tanto”
Contemporaneamente prese per un braccio Romano dicendogli:
“Vieni, andiamoci a prendere un aperitivo seduti a un tavolino del “Biffi”, che
è uno dei locali più “in” della Galleria, ed è frequentato sempre da una
clientela di buon livello”.
Vi fu, difatti, all’interno del locale, chi riconobbe la contessa Luisa
Bentivoglio, e rimase sorpreso nel vedere la vedova del conte sedersi al tavolo
di quel locale assieme ad un “individuo” che aveva tutta l’aria del classico
“barbone”. Sporco lo era, barba incolta, un cappottino liso e sbrindellato, alle
mani due guanti che lasciavano spuntare unghie sporche e ai piedi un paio di
vecchi scarponi militari anche loro con le suole quasi inesistenti.
Luisa ordinò, senza chiedere nulla al “redivivo”, qualche panino e due “Campari
soda”, poi chiese:
“Romano, ma da dove spunti?, sono passati più di dieci anni e malgrado ti veda
ridotto piuttosto male ti ho subito riconosciuto. Ci siamo lasciati a Modena
davanti al convento dove mi avevi portata dopo la fuga da quel casale di
campagna, per lasciarmi da tua sorella suora che, giorni dopo, mi disse che eri
finito in Cecoslovacchia per ragioni politiche, poi non seppi più nulla.”
Romano Bisi, il partigiano “Basco”, uno dei suoi “violentatori”, uno dei suoi
torturatori, uno degli assassini delle sue amiche e dei suoi camerati, ma nello
stesso tempo anche il suo “salvatore”, mentre mangiava con avidità i panini
farciti del Biffi, guardava con occhi “imbabolati”, la magnifica donna seduta
davanti a lui rivestita con una splendida ed elegantissima pelliccia, che si era
aperta e lasciava intravedere un raffinato abito nero a coprire le gambe
accavallate inguainate in calze di seta nera che facevano scorgere due cosce ben
tornite, mentre sul tavolino, a fianco dei panini e delle bibite, aveva
sistemato un paio di lunghi e sottilissimi guanti neri assieme ad una
raffinatissima borsetta di pelle.
Si azzardò, dopo aver fatto “piazza pulita” di quel “ben di Dio” che il
cameriere aveva portato, ad aprire bocca:
“Luisa, come sei bella, ero seduto sui gradini d’ingresso alla Galleria a
chiedere l’elemosina, quando ti ho vista passare con quella tua amica bionda e
ti ho subito riconosciuta; mi sono allora alzato e, ad una certa distanza vi ho
seguite, ho visto che entravate nei negozi dove penso possano entrare solamente
i ricchi, poi quando eravate ferme davanti a quella vetrina di borsette mi sono
fatto coraggio e ti ho dato un colpetto sulla spalla e immediatamente mi sono
sentito prendere il braccio da quell’ “energumeno”, ma chi è? Ho visto che l’hai
trattato come un tuo dipendente. Sei allora una donna ricca e ben protetta come
del resto fa pensare il tuo abbigliamento e il tuo modo di fare. Ti ho lasciata
ausiliaria fascista, trattata come una bestia da mè e dai miei “compagni” pronta
per fare “carne da trifola”, vestita con un sacco di tela e legata al guinzaglio
come una “vacca”, “presa e ripresa” decine di volte da noi “proletari” che, con
la ”rivoluzione comunista” eravamo convinti di creare una nuova e più giusta
società, quale credevamo esistesse nel “paradiso sovietico”, che in seguito io
ho potuto conoscere ma come “inferno”, ed eccoti invece ti trovo, molto ma molto
meglio, e ancora, come allora, vestita di nero, anche se a quei tempi avevi, di
nero, solo la camicia.”
Luisa lo ascoltò con un mezzo sorriso sulle labbra, che avrebbe anche potuto
essere un “ghigno” e che stava a sottolineare i due sentimenti che in quel
momento albergavano nel suo cuore. Il primo, quello della “vendetta”, che da
tempo si era ripromessa di portarla ai suoi carnefici, ma nello stesso tempo,
nel secondo era presente un sentimento di pietà, nel vedere in quali condizioni
si trovava il suo “salvatore”, colui che l’aveva strappata da morte sicura.
La contessa riprese il suo dire:
“Romano, può darsi che possa trovare il tempo, un domani, per narrarti le mie
vicissitudini ma al momento voglio sapere di te. Devi sapere che quei lontani
giorni sono ancora presenti in mè come se li avessi vissuti ieri, e ora che sei
qui voglio conoscere qualche cosa in più di tè e magari dei tuoi ex “compagni”
di violenze. Io ho tempo, come penso che anche tu non debba avere problemi di
questo tipo. Se hai ancora fame chiamo il cameriere e ordinagli pure quello che
vuoi. Ma adesso dimmi da dove vieni.”
A quel punto, dopo aver ordinato altri panini ed anche due fette di torta,
Romano iniziò il suo racconto:
“A Modena, nel lontano 1945, avevo commesso, come tu sai bene, una serie di
omicidi di tuoi camerati, anche di altri oltre a quelli ai quali tu hai
assistito di persona, sulle rive del Secchia, la questura cominciava ad indagare
su alcuni di quelli, pertanto, su consiglio degli organi direttivi del Partito
Comunista Italiano, a mè e ad altri partigiani “indagati” fu “ordinato” di
espatriare per non pregiudicare il “buon nome” del Partito dato che al Governo,
come Ministro di Giustizia si trovava il nostro “grande capo”: Palmiro Togliatti.
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Con la complicità dei compagni titini, con i quali avevamo contribuito a
sconfiggere il nazifascismo, abbiamo avuto estrema facilità a passare i confini,
prima in Jugoslavia e in seguito in Cecoslovacchia. All’inizio ci trattarono
anche bene e ci inserirono in alcune strutture del Partito Comunista Jugoslavo a
svolgere compiti di collegamento e di ricerca, in Istria e in Dalmazia, di
quegli italiani rimasti dopo la “pulizia etnica” delle “foibe” e dell’esodo da
quelle terre. Dovevamo scovare coloro che, probabilmente ancora fascisti, erano
rimasti in quei territori a fare da “quinte colonne” degli americani che stavano
diventando nostri nemici dopo che eravamo stati alleati durante la seconda
guerra mondiale.”
“Scusami Romano,” intervenne Luisa, “ma mi stai parlando come se tu fossi ancora
il comunista convinto dell’immediato dopoguerra, con le stesse frasi fatte di
quel periodo, ma sei ancora quello di quei tempi?”
“No, no, assolutamente, cerco solo di spiegarti quello che è stato il mio
percorso, io da allora ho solamente subito, da coloro che una volta mi avevano
instillato il “credo” comunista, persecuzioni e trattamenti indegni per chi
aveva combattuto, commettendo anche odiosi assassinii, quel nazifascismo nel
quale invece avevi creduto tu. In seguito gli stessi miei “compagni” iugoslavi
prima e cecoslovacchi dopo, mi hanno trattato nello stesso modo di come, noi
comunisti italiani abbiamo perseguitato voi fascisti sconfitti. Devi sapere,
cara Luisa, che il mio peregrinare tra queste due nazioni, prima in Yugoslavia,
poi in Cecoslovacchia, mi ha portato a conoscere più i campi di concentramento,
che la società civile comunista dei due paesi.
I “cari” compagni titini, che inizialmente ci avevano accolto a braccia aperte,
quando cambiò la situazione tra i partiti comunisti, “sovietico” e “Jugoslavo”,
ci accusarono, noi italiani, di essere rimasti legati al comunismo sovietico e
pertanto incriminati di “Cominformismo” cioè legati alle posizioni del
“Cominform” di conseguenza ci cacciarono nei terribili campi di concentramento
yugoslavi dell’alto Adriatico. Io sono stato internato nei campi di “Goli Otok”
o dell’”Isola Calva”, poi in quello di “Stara Gradiska” in Slavonia, che è una
regione della Croazia, da dove mi trasferirono poi all’isola di “Ugljan”, in
Dalmazia, davanti alla città di Zara poi, per ultimo, all’isola di San Gregorio
o Grgur. Come vedi una “Via Crucis” infernale.
Assieme a me sono stati “internati” migliaia di prigionieri politici comunisti e
anche centinaia di italiani, qui abbiamo subito persecuzioni a non finire e
atrocità incredibili, moltissimi che erano andati in quel paese per l’
“edificazione del socialismo” sono morti di stenti e dopo mille sofferenze, in
seguito alle torture subite. Dopo alcuni anni passati in condizioni “subumane”
sono riuscito a fuggire dall’ultimo campo e in seguito, attraverso svariate
peripezie, a rifugiarmi in Cecoslovacchia dove, anche qui, dovetti subire
persecuzioni di vario tipo, compreso l’internamento in un campo di
concentramento nei pressi di Praga.
Ne uscii totalmente distrutto e per un pò di tempo trovai una sistemazione in
una fabbrica di Karlovi Vary, dove ebbi anche una relazione con una ragazza di
quella città che durò oltre un anno, ma poi dovetti allontanarmi da quei
territori e gradualmente riuscii ad avvicinarmi all’Italia passando attraverso
la Germania, da dove sono riuscito a raggiungere Milano. Ho cercato aiuto presso
i miei “ex compagni” ma tutti mi hanno “scaricato”, sono andato alla Federazione
milanese, alla Camera del lavoro, ho cercato contatti anche con gli amici
modenesi e reggiani che mi hanno consigliato di non farmi vedere in quelle zone,
in poche parole sono due mesi che sono ritornato in Italia e sono costretto a
vivere come un “barbone” e ridotto a chiedere l’elemosina.”
La contessa lo ascoltò con attenzione e, mentre lui raccontava le sue
vicissitudini nei territori dominati dal comunismo, pensava che quel “relitto
umano”, forse le sarebbe servito per quel “programmino” che di tanto in tanto le
frullava in capo.
In fondo le doveva qualcosa, anzi, tutto poiché, senza di lui non sarebbe lì ad
ascoltarlo; strano si disse Luisa, tutti i suoi compagni che sono rimasti in
Italia stanno facendo carriere politiche di tutto rispetto, sono inseriti,
specialmente nelle zone di nostra provenienza, in tutti i gangli più importanti
della società, molti di loro si sono dedicati anche all’imprenditoria e stanno
facendo carriere impensabili sino a pochi anni fà, questo, che era andato a
“cercar fortuna” nei paesi del vero comunismo è ritornato a casa con le “ossa
rotte” e, probabilmente, sarà una “ex fascista” a prestargli aiuto.
“Romano”, riprese Luisa, “io, malgrado tutto quello che è successo ad entrambi
in questi dieci anni e passa, non posso dimenticare che sei stato tu, nonostante
tutto quello che di brutto mi hai fatto, a caricarmi sulla motocicletta e a
portarmi via da quegli aguzzini che mi avrebbero fatto la pelle, inoltre non
potrò mai scordarmi quanto sia stata gentile, tua sorella, suor Clotilde che, a
quei giorni, mi fece ritornare in vita dopo tutte le angherie subite da te e dai
tuoi compagni.
Ascoltami bene, cercherò di fare tutto il possibile per venirti in aiuto, vedrò
se vuoi, di trovarti un lavoro, intanto ti lascio un po’ di soldi, trovati un
alberghetto, ripulisciti e cerca di riprendere delle “sembianze umane”. Il mio
“angelo custode”, Marco Campanini, che oltre alla protezione della sottoscritta
è addetto ad espletare svariati compiti, ti accompagnerà e aiuterà a sistemarti
poi, tra alcuni giorni, dopo che avrò considerato bene quello che mi sarà
possibile fare, verrà a prenderti.”
Aprì la borsetta e dal portafoglio tolse alcune fogli da diecimila e, con
discrezione, li mise nelle mani “sporche” dell’ uomo che, le venne in mente in
quel preciso istante, attraverso una “pratica sessuale” per lei a quel tempo
inusuale, le diede la possibilità di salvarsi la vita. Chiamò Marco e Ginevra
che erano seduti ad un tavolo dalla parte opposta del “Biffi”, diede le
indicazioni al suo “guardia spalle” di ciò che avrebbe dovuto fare
nell’immediato poi, assieme a Ginevra si allontanò dopo aver salutato il
“relitto umano” che si limitò a balbettare un triplo “Grazie”.
Marco raccontò alla contessa di aver sistemato il “reduce” presso l’albergo
Centrale, nelle vicinanze della Stazione, dopo aver provveduto a farlo ripulire
e ad comprandogli un cappotto, un vestito e un paio di scarpe decenti, in un
negozietto dove sapeva che, a buon prezzo, ci si poteva procurare il giusto
necessario per mettersi in condizioni di poter stare in mezzo alla gente.
Luisa cominciò a riflettere sul come e dove sistemarlo, poi ne parlò con il
Direttore della Fabbrica di pneumatici, l’ Ing. Anselmo Reggiani di Seregno, che
le propose di inserirlo in quella struttura per poi indirizzarlo nel sindacato
dello stabilimento, visto anche i trascorsi politici del soggetto, e farne un
“informatore” della proprietà, in considerazione delle continue battaglie
sindacali che si verificavano in quel periodo, e l’avere un uomo fidato inserito
nelle file del sindacato rosso avrebbe potuto essere un “operazione”
d’importanza fondamentale per gli interessi dell’azienda.
Dopo alcuni giorni il fido Marco andò a prelevare l’ex partigiano comunista e lo
portò a colloquio con la contessa nell’ufficio della fabbrica. Romano accettò
ben volentieri la sistemazione che gli veniva offerta: stipendio dignitoso,
appartamento nei dintorni della cittadina di Seregno pagato dalla proprietà,
possibilità di fare una “carrierina” nel sindacato, con la sola clausola di
rispettare e di ubbidire, come gli disse il capo della fabbrica, a chi gli dava
la possibilità di rifarsi una vita.
“Basco” giurò eterna fedeltà a Luisa promettendole di fare, da quel momento in
poi, tutto quello che lei gli avesse potuto chiedere e sottolineò con forza,
“qualsiasi cosa”. Luisa gli disse che non doveva assolutamente cercarla e solo
lei, in caso di bisogno, tramite Marco, lo avrebbe “contattato”.
L’”ex partigiano” iniziò una nuova vita in quel di Seregno, in fabbrica si
attivò immediatamente e si creò alcune amicizie tra gli operai che lavoravano
con lui che lo misero in contatto, dopo avergli fatto prendere la tessera della
CGIL, con i dirigenti dell’organizzazione sindacale i quali, dopo alcuni mesi,
visto che era sempre presente a tutte le riunioni, gli proposero di entrare a
far parte della commissione interna cosa che fece di buon grado, seguendo così
le direttive che gli erano state date dall’ingegnere capo quel giorno che si era
incontrato con Luisa nei suoi uffici. Partecipava agli incontri con i dirigenti
dell’azienda iniziando ad avere un ruolo importante nel sindacato non solo della
sua industria ma anche nella segreteria provinciale, cosa che gli permetteva di
ottenere permessi e distacchi dal lavoro, di conseguenza aveva la possibilità di
assentarsi dal posto in fabbrica senza sollevare sospetti di sorta per certe sue
assenze, da parte dei “compagni”; spesso si recava anche a Milano, alla
Segreteria della Confederazione Generale Italiana del Lavoro per
l’organizzazione di manifestazioni o scioperi in tutta la Lombardia.
Alla fine dell’estate di quel 1957, anno che l’aveva visto inserirsi nel mondo
del lavoro e del sindacato in posizione ottimale, gli venne a “far visita” Marco
Campanini, il “guardia spalle” di Luisa il quale gli disse che la “contessa”
l’aveva inviato a lui per recapitargli un preciso messaggio e un preciso
incarico.
“Romano,” gli disse l’armadio che cammina, “la contessa mi ha delegato di
comunicarti quanto segue: nei prossimi mesi e usando il tempo che sarà
necessario, dovrai muoverti con discrezione e con intelligenza, prendendoti i
permessi necessari e in fabbrica e con il sindacato. Si complimenta con te per
la “buona riuscita” e come lavoratore e come “sindacalista”. Dovrai recarti
nelle zone di tua provenienza, cioè in Emilia, e precisamente nel modenese in
quelle zone di Carpi e di Cavezzo dove sei nato e cresciuto; ti avviso che
sappiamo tutto di te e di quello che è stato il tuo passato, sia durante il
periodo che hai trascorso come partigiano, sia quello che hai passato nei paesi
dell’est europeo, pertanto ti consiglio di eseguire a puntino gli ordini della
signora Luisa.
Dovrai cercare di prendere contatto, vedere dove vivono e che lavoro svolgono,
come sono sistemati tutti i personaggi che conosci bene; in questo foglio c’è
l’elenco completo con nome e cognome e il loro pseudonimo da partigiani, sono
quegli individui che sono stati tuoi compagni durante la “resistenza”, e che hai
conosciuto realmente per quello che sono stati e per quello che hanno fatto,
insomma dovrai costruire un vero e proprio “dossier” di ciascuno di loro.
Di tanto in tanto verrò io a cercarti per sapere a che punto sei nelle ricerche.
Mi dovrai presentare anche l’elenco preciso di tutte le spese che andrai a
sostenere e che ti verranno completamente rimborsate, eventuali pernottamenti,
trasferimenti, benzina, pranzi, mance e quant’altro sarà necessario per ottenere
tutte le informazioni che dovrai giustificare con le relative ricevute che il
sottoscritto ti controllerà. Non devi tralasciare nulla e documentare
possibilmente con fotografie e precise indicazioni tutto quello che ti sarà
possibile trovare. Dovrai fare quasi il lavoro di un investigatore, compito che
ti sarà molto facilitato per la conoscenza che hai del territorio e delle
persone “ricercate”, non è un “lavoro” difficile ma lo dovrai fare con
“circospezione” e con tatto. Assolutamente nessuno, dico nessuno, dovrà mai
scoprire chi è la “mandante” di questa operazione. Potresti avere, nel caso,
spiacevoli sorprese.
Ti farò avere anche una macchina, una vecchia topolino “balestra corta”,
ovviamente datata ma perfettamente funzionante e pienamente efficiente che
potrai usare, se lo vorrai, per i tuoi trasferimenti, ma sai bene che c’è anche
il treno e la linea Milano Modena e viceversa è abbastanza comoda.
Potrai presentarti ai tuoi ex compagni di partito con delle ottime referenze
visto che sei bene inserito nella organizzazione sindacale rossa. E, se non
l’hai ancora fatto, consiglio di iscriverti al “Partitone”, la tessera in tasca
potrebbe servirti, nel modenese. Nello stesso tempo tieni presente che il
sottoscritto non ama per niente quel colore e che, tra l’altro, è “al servizio”,
e tu lo sai bene, di una ausiliaria della Repubblica Sociale Italiana, una
“fascista” e io stesso a quei tempi, facevo parte di quella “famiglia”.
Cercherò di presentarmi a te sempre all’ora di cena, e se non ti trovo, lascio
nella cassetta della posta un bigliettino con scritto l’orario esatto
dell’appuntamento successivo al quale non dovrai mancare per nessun motivo. E’
chiaro che tu non “ci” dovrai mai cercare.”
Romano lo ascoltò con molta attenzione e gli rispose:
“stai tranquillo, so come ci si muove e farò in modo di svolgere questo compito
con assoluta precisione, dillo alla “signora”.
Prese il foglio con l’elenco dei nominativi preparato a suo tempo da Luisa dove
trovò ben elencati, tutti i suoi “compagni” degli ultimi mesi della “resistenza”
con i quali continuarono a praticare la “pulizia etnica” nell’immediato
dopoguerra oltre ai nominativi dei fratelli Trebbi che abitavano nel casolare
dove avevano tenuto “custodita”, nella stalla, la “vacca” fascista, che adesso,
era diventata la sua padrona; vi erano anche i nomi dei due bovari che
lavoravano per i fratelli, e che parteciparono, anche loro, ai “festeggiamenti”
riservati a quella povera ausiliaria.
L’elenco, scritto a macchina, riporta le generalità, il nome di battaglia, l’età
di ciascuno a quei giorni, gli studi compiuti, la professione e il luogo di
residenza. Trovò il tutto estremamente preciso e si chiese come Luisa avesse
potuto stilare con tanta precisione la posizione di tutti loro, dato che vi era
anche il suo nominativo e quello dell’unica donna della strana “combriccola” e
cioè Cesira Losi, la moglie del figlio dell’ affittuario di quel casolare
fucilato a Carpi dai fascisti, nel Novembre del 1944.
Si accorse che, di almeno due di quell’elenco, poteva evitare di fare le
ricerche poiché sapeva con certezza che erano morti nei campi di prigionia
jugoslavi, pertanto dei tredici nominativi elencati, tolti il suo e i due
scomparsi in Yugoslavia, ne avrebbe dovuti cercare solamente dieci. Nei giorni
seguenti preparò il piano per prendere i tempi giusti per recarsi nel modenese
ed eventualmente anche da qualche altra parte dato che non poteva sapere se, a
distanza di oltre dieci anni quelle persone fossero ancora residenti in quei
territori. Inoltre non doveva restare in giro per più di tre, quattro giorni
consecutivi per non creare sospetti in fabbrica, almeno con i suoi compagni di
lavoro più vicini e con lo stesso sindacato.
Il suo “controllore” gli consegnò la “Topolino” nera e Romano si rese conto che,
appena era arrivato a Seregno, fortunatamente, aveva provveduto a sistemare la
validità della sua patente presa molti anni addietro, quando, durante la guerra
lavorava nell’officina di Carpi, si disse, come gli aveva suggerito Marco, che
molti viaggi li avrebbe fatti in treno, lasciando magari la macchina in un
garage a Modena e poi usarla per gli spostamenti in zona ma non per fare in
continuazione il tragitto da Seregno a Modena. Si procurò il necessario per
affrontare quel tipo di attività che lo faceva sentire un “investigatore
privato”, un “detective” alla “Mike Spillane”: prese a noleggio, da un fotografo
professionista, che aveva conosciuto in quella cittadina, dicendogli che doveva
usarla per effettuare un “servizio” per il sindacato, una buona “Leica” con
teleobiettivo e un buon numero di “rullini”, 24x36, da usare nelle varie
condizioni di luce che avrebbe potuto trovare nell’espletamento delle sue
“ricerche”.
Furono numerosi i momenti che lo portarono in quelle zone dove non aveva più
voluto tornare una volta “rimpatriato” poiché aveva subito troppe angherie dai
suoi “compagni” dell’est ed era in uno stato di “prostrazione” fisica ed
economica da non volersi far vedere nemmeno dai suoi familiari e tanto meno dai
suoi compagni “guerriglieri”. Adesso, le cose per merito della contessa, erano
decisamente cambiate e poteva presentarsi a sua madre e a sua sorella suora, che
non vedeva dal 1945, mentre suo padre era rimasto in Africa, durante la seconda
guerra mondiale, caduto in Cirenaica. Alcuni di loro li trovò con molta facilità
poiché risiedevano sempre dove erano nati e vissuti, mentre solamente due di
loro si erano trasferiti in altre Provincie: il Comandante “Bill” abitava a
Parma e aveva fatto carriera nelle file del PCI, mentre “Vladimiro” si era
sistemato a Bologna.
La frequentazione nei territori sui quali undici anni prima aveva “scorrazzato”
con la banda di Bill, con la quale facevano il “bello e il cattivo tempo”,
incutendo il timore reverenziale in tutti coloro con i quali venivano a
contatto, gli avevano dato la sensazione di una potenza infinita. Con il mitra
in mano giravano impuniti, con “licenza di uccidere” per le città e per i paesi
della bassa portando il terrore nei confronti delle persone che avevano avuto a
che fare con il regime appena caduto, per il fatto che tutti, in giro, erano a
conoscenza dell’incredibile numero di fascisti o “presunti tali”, “giustiziati”,
come la propaganda comunista dava il nome a quelle esecuzioni, dalla “compagnia
della morte”, che così veniva chiamata dalle popolazioni della bassa modenese,
del terribile Bill. Questa sua “carriera” lo mise nella condizione di essere
sempre ben accolto negli ambienti comunisti.
I primi, con i quali ebbe contatto, furono i fratelli Trebbi, che, assieme al
loro genitore, andò a trovare nel casolare all’ Uccivello da dove, un lontano
giorno del Maggio 1945 aveva “rapito” la contessa Luisa con quella motocicletta
tedesca che aveva “prelevato” a due “tognari” in fuga nelle giornate della
“liberazione”, dopo averli, ovviamente, “fatti fuori” con una precisa scarica
del suo mitra. Quando lo videro arrivare con la “Topolino” gli fecero un “sacco”
di complimenti. Arrivava, in quella fatiscente casa di campagna, che era rimasta
esattamente “misera, squallida e desolata” come tanti anni prima. Gli abitanti
vivevano ancora in una miseria endemica, in un fabbricato dove non arrivava
ancora l’energia elettrica. L’acqua veniva “tirata su” col secchio, dal pozzo
artesiano al centro dell’aia, e i servizi igienici si trovavano in un
“gabbiotto” puzzolente con un gabinetto, o “cesso”, alla turca che raccoglieva
le “necessità corporali” degli abitanti del casale, “bisogni” che, di tanto in
tanto, venivano spostati nella “massa” dove si raccoglievano anche gli
escrementi degli animali della stalla poi, il tutto, veniva distribuito nei
campi per la “concimazione”.
Svolgevano, quei contadini e bovari, un lavoro durissimo e massacrante. I
Trebbi, che erano su quel podere da molti anni e lo conducevano a mezzadria, si
“spaccavano” letteralmente la schiena per tutto il lavoro che quotidianamente
dovevano svolgere e per tutti i dodici mesi dell’anno, senza interruzioni e
senza la possibilità di festeggiare qualsivoglia ricorrenza. Naturalmente si
“abbruttivano” in fretta. Il vecchio nonno, che Romano aveva conosciuto a “quei
tempi” era morto da alcuni anni. Il padre dei due fratelli, l’accolse in casa
“stappando” per la circostanza una bottiglia di lambrusco, “un pò rancido”, che
il reduce dai paesi dell’est, finse di gradire. Gli sembrò completamente
“suonato”; così come i suoi due figli, che trovò molto invecchiati e quasi non
li riconobbe.
Il più vecchio dei fratelli, Arturo, aveva compiuto trentasei anni, si era
sposato con una vecchia amica di Romano, che allora era anche carina. Avevano
avuto un bimbo, attualmente di otto anni, che girava per casa scalzo e tutto
sporco; il ragazzino, quando vide arrivare Romano in macchina corse, assieme a
due suoi “amichetti”, straccioni come lui con i quali giocava nell’aia, a
curiosare su quel nuovo arrivo.
Il più giovane, Manlio, aveva trentatré anni ed era ancora celibe, era un tipo
scontroso e di poche parole che difficilmente legava con gli altri. La famiglia
non aveva partecipato alla lotta partigiana, se non il giovane marito di Cesira
ucciso a Carpi dai fascisti dopo che questi l’avevano catturato durante un
rastrellamento e poi fucilato assieme ad altri tre in seguito ad una
rappresaglia, ma pur sempre erano stati, e lo erano ancora, antifascisti e in
modo particolare contrari alla Repubblica Sociale e a coloro che avevano
combattuto per essa.
Il capo famiglia era decisamente una brava persona, gran lavoratore corretto e
onesto come pochi, e spesso si trovava in contrasto con i suoi figli quando
questi si mettevano a far “la cresta” sulle parti che dovevano toccare al
proprietario del fondo, il conte Ferruccio Pignatti Codeluppi, il quale
raramente lo si vedeva in zona, dato che i suoi interessi venivano curati da un
“fattore”, certo Franco Manicardi di Carpi, che non andava molto d’accordo con
quella famiglia di contadini con i quali spesso, aveva dei litigi. Purtroppo
negli ultimi tempi si era ammalato, un artrosi pesante, gli procurava fortissimi
dolori in varie parti del corpo e pertanto non riusciva a dare il giusto
contributo al figlio maggiore che, assieme alla moglie, si era praticamente
trovato addosso tutto il lavoro dei campi.
Quel giorno, in casa Trebbi, Romano non trovò la mamma del bambino che era
rimasto senza padre nel ’45, era andata a Modena e i due fratelli raccontarono
molte cose di Lei, con una certa acredine e con una buona dose di cattiveria,
rincarata anche dalle parole della moglie di Arturo, la Marianna Sala di Cavezzo,
con la quale Cesira, era evidente, non andava molto d’accordo e senz’altro, tra
le due, non “correva buon sangue”.
Chi difendeva la Cesira era la moglie del vecchio Trebbi la signora Antonia
Parenti, la buona “samaritana” che in quei lontani giorni di Maggio aveva
“sfamato” la “moritura” Luisa durante la sua prigionia nella stalla.
Pur non avendo partecipato alla resistenza, vi avevano dato ugualmente un buon
contributo poiché, quella casa e quel fondo furono, per molti mesi, un base
importante per i partigiani della zona e sede di tanti loro incontri, oltre che
“prigione” per alcune “prigioniere” come la Luisa. Erano pertanto a conoscenza
di molti episodi e dei comportamenti della “banda” di Bill, inoltre, in quelle
campagne, furono “sepolti”, sotto metri di terra, numerosi fascisti.
Romano si rese conto che quella sarebbe stata sicuramente, in seguito, la base
di partenza per la sua “inchiesta”, senza dare tanto nell’occhio poteva avere
moltissime informazioni su tutti gli ex componenti del gruppo di Bill.
Precedentemente, prima di arrivare a casa Trebbi, si era recato a Carpi a
trovare la vecchia madre che rimase completamente allibita, o così gli sembrò,
nel rivedere dopo tanti anni il figlio; inizialmente ebbe difficoltà a
riconoscerlo poichè, da qualche tempo, era andata “giù di testa”. Di salute era
al posto, ma spesso “sragionava”. Frequentemente l’andava ad accudire la figlia
suora che dal convento delle carmelitane di Modena si recava nella loro casa di
Carpi dove la donna aveva sempre vissuto.
Il “milanese” rimase con la vecchia madre non più di un ora in quanto, viste le
condizioni della donna, non vi era la possibilità di instaurare una
conversazione decente dato che questa non riusciva a fare un discorso corretto e
comprensibile. Si ripromise di tornare un'altra volta, glielo disse, ma non ebbe
alcuna risposta.
Nei numerosi incontri che ebbe al casolare, Romano riuscì ad ottenere dai
fratelli Trebbi e dalle vecchia amica Marianna che era diventata la moglie di
Arturo, molte notizie relative alla maggior parte dei suoi ex compagni. Andò,
alcune volte, alla cooperativa del Cantone, dove erano soliti ritrovarsi, per
una partita a carte e a bere alcuni bicchieri di buon lambrusco, tutti i
contadini, braccianti e lavoratori delle campagne di quel territorio e dove vi
era anche la sezione locale del Pci.
In qualità di rappresentante della Cgil milanese e di uomo di apparato della
nomenclatura sindacale, ebbe la possibilità di essere ascoltato e “preso in
grande considerazione”; venne anche invitato a tenere alcune “conversazioni” ai
“compagni” della sezione sui temi delle lotte dei lavoratori e sulle conquiste
ottenute dal socialismo nei paesi dove erano andati al potere i partiti
comunisti. Ovviamente non raccontò il suo percorso nei campi di concentramento e
le persecuzioni subite, disse un sacco di bugie sulla falsariga di quello che
raccontavano i “capoccioni” del comunismo nostrano, d’altra parte era lì per
svolgere ben altro compito e doveva mantenere fede al giuramento fatto a Luisa;
gli stessi dirigenti provinciali del Pci, quando seppero della presenza in zona
dell’ex partigiano “Basco”, che aveva un passato di “tutto rispetto”, in quanto
era stato “esecutore di giustizia” per tanti fascisti, oltre all’aver trascorso
tanti anni nei “paradisi” del comunismo europeo, si motivarono per averlo in
vari incontri di vertice delle segreterie a Modena e a Carpi, oltre a fargli
tenere alcune conferenze nella sede di Via Ganaceto, in quella che era chiamata
“le Botteghe Oscure”, del partito comunista modenese.
In una di queste riunioni si trovò al cospetto del suo comandante di allora, dei
tempi della partigianeria, il “feroce” Bill che aveva fatto carriera nel Partito
e attualmente era un “pezzo grosso” in quel di Parma e a livello nazionale, era
anche diventato deputato e molto spesso si recava a Roma.
Il loro incontro fu cordiale e nello stesso tempo, da parte dell’”onorevole”,
molto sospettoso in quanto, trovandosi a contatto con il suo “braccio destro”
dei tempi “dell’odio e della violenza” e vedendolo in un ruolo di tutto rispetto
all’interno del partito, senza averne avuto conoscenza, dopo la sua “fuga”
all’est, si chiedeva quale fosse realmente la posizione di quel “fantasma”
riapparso dopo tanti anni.
Ebbero modo di ricordare i tempi in cui “operavano”, mitra alla mano, ma nessuno
dei due ebbe il coraggio di fare riferimento alle tante “esecuzioni” che avevano
effettuato. Naturalmente il “feroce” Bill aveva assunto un aspetto completamente
diverso da quello dei suoi “accoliti”, rimasti a fare i contadini o i bovari
nelle campagne del carpigiano, che usavano ancora i modi duri, violenti, rozzi e
prepotenti con i quali erano nati, mentre il “capoccione” frequentando i
“salotti” romani si era ingentilito nei modi e nell’aspetto e non si degnava più
di frequentare le “compagnie” di un tempo.
Romano, con la sua “Topolino balestra corta”, in quei giorni passati nelle
campagne modenesi conquistò il cuore e ovviamente il corpo della “super
contestata vedovella” di casa Trebbi: il fatto successe in uno degli ultimi
periodi delle “indagini” che il milanese andava svolgendo, quando la donna gli
chiese un passaggio per farsi portare a Modena. Lui si prestò gentilmente e
durante il viaggio imparò alcune cose sui personaggi della sua inchiesta, visto
che la ragazza ne aveva “frequentati” alcuni. Ma rimase sorpreso quando la
Cesira si rivolse a lui in modo molto “equivoco” facendogli delle chiare
proposte:
“sai Romano”, gli disse a un certo punto, “sono passati molti anni da quando
frequentavi casa Trebbi, io avevo avuto da poco tempo un bambino e avevo perso
il marito, ero ancora molto giovane e mi capitò un giorno, che di nascosto ero
entrata nella stalla, vederti compiere “certe cose” con quell’ausiliaria che
tenevate prigioniera tanto che mi eccitai e mi masturbai, in quanto, da molto
tempo non avevo più avuto rapporti sessuali, dopo la morte di mio marito. Quella
scena mi colpì moltissimo e mi rimase impressa per tantissimo tempo, ora sei qui
con mè, ferma la macchina in un punto isolato perché vorrei farti io quello che
ti fece allora l’ausiliaria che avrei voluto uccidere, ma che un giorno,
improvvisamente, scomparve.”
Romano, che in quel periodo non aveva frequenze femminili di nessun tipo,
accostò in una piazzola deserta dove fecero “all’amore” compresa “l’azione” alla
quale teneva tanto la Cesira, che dimostrò di “saperci fare”.
I due cominciarono a frequentarsi; spesso il “milanese” l’andava a prendere
quando usciva dalla casa di Corso Canalgrande a Modena, dove la ragazza faceva
la domestica, e qui, alcune volte, quando i padroni non erano presenti, lei fece
entrare il suo “ganzo” per continuare quello che avevano fatto in macchina, in
modo più comodo, e a volte anche sul letto dell’ ’’avvocato”, con il quale, se
lui avesse voluto, ci “sarebbe stata subito” ma “lui” aveva una moglie talmente
bella che difficilmente l’avrebbe tradita, tanto meno con la “servetta” che,
alcune volte, si era “goduta”, dal buco della serratura della camera da letto,
gli incontri amorosi dei suoi “datori di lavoro”.
Nei loro “convegni” Cesira raccontava tante cose a Romano, dopo aver fatto
all’amore, a partire dalle relazioni che aveva avuto, con molti degli indagati;
anni prima, “l’aveva fatto” nella stalla con entrambi i fratelli Trebbi che per
lei ebbero anche dei litigi violenti, poiché l’uno accusava l’altro di avere
approfittato della vedova del loro fratello ucciso dai fascisti, ma in realtà
era stata lei a volersi concedere ad entrambi, poi la storia con questi finì
dopo mille discussioni.
In seguito ci fu una relazione abbastanza lunga con il partigiano “Vladimiro”,
l’intellettuale della “banda Bill” che poi se ne andò a Bologna e del quale
rimase anche “incinta”, situazione risolta da una “mammana” a Modena, dato che
entrambi erano d’accordo che, assolutamente, un figlio non era il caso di
metterlo al mondo. Successivamente, a Modena, la “vedovella” andava spesso a
ballare al “Settimo Cielo”, dove conobbe, in quel locale, un tipo molto
interessante ed alquanto originale con il quale aveva ancora un rapporto, anche
se non costante.
Questo tizio, che si chiama Manlio, la fece entrare in contatto con ambienti
molto “particolari”, ma Cesira non ha voluto entrare nei dettagli, precisando al
suo amante solamente di avere incontrato gente che pratica “certi riti”, si
interessa di “esoterismo”, di cerimonie singolari, e che difficilmente si fanno
riconoscere; lei ha partecipato, sino ad oggi, a pochi incontri assieme al “suo
uomo”, dove tutti erano incappucciati e, nello stesso tempo era rimasta molto
colpita ed “interessata”, da quell’ambiente “cosi’ strano” che, in verità, le
“piaceva moltissimo”.
Romano cercò di sapere qualche cosa di più dalla ragazza, di quel mondo che
stava frequentando, ma lei era restia a “sbottonarsi”:
“ma Cesira”, disse lui, “non c’è niente di male se mi racconti quello che fate,
o che avete fatto in quegli incontri, io so bene come mantenere un segreto se tu
vuoi che resti tale, e poi anch’io sono molto interessato a conoscere quegli
“ambienti particolari” e ti dirò che mi piacerebbe prendere parte a una di
quelle riunioni. Non devi imbarazzarti nel raccontarmi se avete fatto “cose
particolari” o “riti” di un certo tipo che io posso ben immaginare e dei quali
non devi assolutamente vergognarti se hai preso parte o solamente assistito a
questi.”
La donna rimase perplessa dalla richiesta di Romano e gli rispose:
“mi hanno categoricamente imposto di non parlare assolutamente con nessuno di
queste riunioni, pena conseguenze pesanti, se poi qualcuno chiede di entrare a
far parte della “setta”, prima lo si deve presentare, tramite uno o due dei
responsabili che vaglieranno la posizione del “novizio” il quale, in un secondo
tempo potrà essere introdotto alla “cerimonia di iniziazione”, poi da allora
potrà prendere parte a tutti i “riti” come vero membro della “società segreta”.
Io sono entrata, gradualmente, a farne parte, innanzitutto come “compagna” di
uno dei “sacerdoti” principali e come “strumento volontario” alla realizzazione
di alcune pratiche. Posso solo dirti che ci stanno indirizzando ad un certo
numero di “conoscenze”, che vanno dall’ apprendimento dell’astrologia, della
cabala, per arrivare anche alla geometria sacra e rituale, oltre ad altri
elementi del sapere esoterico attraverso, qualche volta, a rituali di conoscenza
”corporea” tra i due sessi che comportano, e questo penso a te possa
interessare, rapporti di vario tipo, con particolari riferimenti a come uscire
da certe repressioni e da inibizioni che, attraverso un indubbia forma di
educazione “sessuofobica”, hanno creato malesseri nella psiche di molte persone
e alle quali cerchiamo di portare il nostro aiuto.
Ci insegnano come liberarci dai “tabù” e tra questi, due tra i più radicati
nell’uomo e cioè il “sesso” e la “morte”. Bisogna che ciascuno di noi impari e
diventi consapevole che questi due fondamentali aspetti della vita dell’uomo
sono in completa sinergia, in quanto la vita esiste solamente tra le due
polarità, del sesso e della morte.
Quando attraverso il sesso raggiungiamo l’apice dell’amore ci accorgiamo di una
realtà ineluttabile, e cioè l’abisso profondo che ci circonda. In verità, il
sesso è la porta attraverso cui la vita fa il suo ingresso nel mondo, il mio
“sacerdote” mi dice sempre e lo comunica a tutti i membri della nostra
associazione, quanto il sesso sia una completa esperienza cosmica, un ritorno
alla nostra realtà suprema, una vera liberazione ed è inoltre, una forma di
meditazione eccezionale.
Nella nostra società si fa “all’amore” in modo sbagliato, o per dimostrare la
propria potenza, per dare soddisfazione al proprio ego, per avere una conferma
del proprio fascino, mentre invece bisogna imparare a fondersi con la natura in
modo totale, la donna e l’uomo scompaiono per raggiungere vertici sopra
naturali, onde arrivare, attraverso il sesso che non è altro che il corpo
dell’amore, mentre l’amore è il corpo dell’anima e di conseguenza l’anima è il
corpo dello spirito, per arrivare appunto alla sublimazione dell’individuo. In
conclusione, attraverso le pratiche che mettiamo in atto, troverai la chiave per
mobilitare l’energia necessaria a conoscere te stesso e coloro che ti stanno
vicini. Questi e tanti altri, sono i segreti che mi ha insegnato il mio
maestro.”
Romano rimase sbalordito, ma chi è riuscito a mettere in testa a questa
“servotta contadina”, senza alcuna cultura, cresciuta in un ambiente dove le
motivazioni “esistenziali” sono sempre state una lontana chimera e che adesso si
trova a giustificare “certi pruriti” con ragionamenti pseudo filosofici che,
probabilmente sono solamente la copertura, da parte di questi “sacerdoti”, per
sfruttare la credulità di ragazze e donne insoddisfatte?
“Sento, con piacere,” disse l’ex partigiano “che hai fatto dei progressi
notevoli dai tempi della “guerra civile” e che hai acquisito anche una certa
cultura, ma dimmi ancora, ti piace fare quelle pratiche, in realtà non mi hai
spiegato bene quello che fate; ci sono più uomini o più donne che frequentano le
“riunioni” e il vero ruolo tuo, mi hai detto di essere lo strumento volontario
di questi riti; mi pare di aver capito bene quello che fate nelle cerimonie
dalle quali non è escluso il sesso; questo, forse, ma non ne sono ben certo,
“principalmente” mi attira, ma tutto il resto mi lascia molto perplesso”.
“Caro Romano”, riprese la ragazza, “ti ringrazio per i complimenti,
effettivamente mi sono migliorata rispetto a quei tempi lontani, l’essere venuta
a lavorare a Modena mi ha permesso di frequentare condizioni sociali diverse
rispetto all’osteria del Cantone, mi sono iscritta alle scuole serali e lì ho
preso la Licenza Media, attualmente frequento il corso di Ragioneria e il
prossimo anno, se tutto andrà bene, riuscirò a diplomarmi.
Certamente, per quanto riguarda quell’ ambiente, ai primi tempi ero anch’io
molto perplessa, poi mi sono resa conto di imparare cose che sentivo da tempo
dentro di mè, ma che non riuscivo a spiegarmi, qui ho trovato chi mi ha saputo
dare certi chiarimenti e, relativamente alla “cosa” che interessa
particolarmente voi uomini è così, facciamo quello che tu pensi e io sono
diventata una “sperimentatrice”, oltre ad esser l’assistente corporale del mio
uomo. Come ti sarai reso conto, sono stata, da sempre, molto motivata da certa
vita sessuale, ti ho raccontato di alcuni rapporti con alcuni componenti della
tua banda partigiana e adesso non mi tiro indietro a compiere certi riti e credo
fermamente a quello che facciamo tutti assieme.
Ho cercato di migliorarmi, e cerco di farmi una buona cultura anche su argomenti
esoterici, partecipando ad incontri con esponenti dell’organizzazione dove ho
trovato persone di grande sapere, avvocati, professori, insigni docenti
universitari che mi hanno trasmesso certe conoscenze tanto da aprire le porte
del mondo del sapere, ad una ex contadina illetterata.
Ci sono momenti che mi chiedo se quello che faccio in certe occasioni e in
incontri “ravvicinati” sia similare alle prestazioni che fa una prostituta nelle
case da voi frequentate, ma che adesso, ho sentito, la senatrice socialista
Merlin, vuole chiudere. Poi mi dico che nò, assolutamente quello che facciamo
noi con i nostri corpi non è mercato, non c’è mercimonio, desideriamo conoscerci
realisticamente, e nelle parti più intime, dato che non esiste solamente quell’aspetto
nei nostri incontri, ma cerchiamo di approfondire, attraverso la meditazione
trascendentale e con certe pratiche “tantriche”, la conoscenza della filosofia
yoga, le relazioni alle vie dell’amore e della paura, la ricerca di
approfondimenti psicologici e filosofici per la comprensione del proprio io e
dell’altro da sé.”
Proprio in quel periodo la “scaltra” Cesira pensò bene di recarsi a trovare il
comandante Bill, diventato deputato, onde potesse interessarsi, in qualità di
membro del parlamento, alla pratica relativa alla sua richiesta di pensione, per
cause di guerra, del giovane marito ucciso dai fascisti durante la guerra
civile. Prese un appuntamento con la segreteria dell’onorevole che la ricevette
negli uffici modenesi del partito. L’ascoltò con molta attenzione, ma più che
altro rimase colpito dall’avvenenza di quell’ex contadina e dal suo particolare
modo di fare; dimostrò molto interessamento per quella pratica che, molto
probabilmente giaceva su qualche tavolo dell’ufficio incaricato a seguire le
pensioni di guerra e si trattava, quasi certamente, di una dimenticanza degli
impiegati, visto che non sussistevano difficoltà, dato che, a chi aveva fatto la
lotta partigiana veniva riconosciuto il ruolo di combattente e in più il marito
era stato fucilato dai fascisti: si trattava semplicemente di sollecitare gli
addetti, cosa che avrebbe fatto appena rientrava a Roma.
Nel contempo fece in modo di rivedere Cesira, facendola ritornare tre giorni
dopo nel suo ufficio con la motivazione di avere alcuni altri documenti
importanti da allegare alla sua richiesta Si organizzò per darle appuntamento
durante l’ora della sosta per il pranzo, quando praticamente negli uffici non
rimaneva nessuno, difatti la donna arrivò verso le 12,30 e subito dopo aver
ritirato i documenti, il Renato Carretti, si alzò dalla scrivania avvicinandosi
a Cesira e, usando parole dolci, cercò di abbracciare la donna che gli dimostrò
subito di non volerne sapere reagendo con violenza, ma il vecchio partigiano
insistette e diventò anche molto aggressivo, al chè lei, astutamente, per non
perdere i vantaggi che le poteva portare una relazione con un deputato, cominciò
a lasciarsi andare e gradualmente cedette all’irruenza dell’uomo.
Dopo una serie di “preliminari” si abbandonarono sul divano per fare all’amore.
Entrambi, sinceri o meno, si dichiararono estremamente soddisfatti e lui dopo
averle confidato che in quel periodo era in “rotta di collisione” con la sua
compagna, che era, tra l’altro, impiegata in quegli uffici, le chiese se le
fosse stato possibile uscire a cena con lui. Fissarono l’appuntamento per la
serata successiva. Per fare bella figura, la portò da “Fini”, in Largo San
Francesco, il miglior ristorante della città dove era ben conosciuto e difatti,
al loro arrivo, furono ben accolti dal caposala, il buon Lino, che li fece
accomodare in un tavolo “riservato” e appartato, dove consumarono una cena
deliziosa. Bill si dimostrò molto innamorato e “preso” dalle arti “stregonesche”
di Cesira; andarono a passare la notte nell’appartamento che il deputato aveva
poco lontano, in Via Francesco Selmi e ancor più, nei tre giorni successivi,
rimasero sempre assieme, sino a quando lui dovette partire per Roma e avrebbe
voluto, a tutti costi, che lei lo accompagnasse, cosa che naturalmente non poté
avvenire per gli impegni che la donna aveva in città.
Quando ritornò dalla capitale la rassicurò sulla pensione, la cosa si sarebbe
risolta al massimo nel giro di un mese, in quanto era andato di persona
nell’ufficio apposito, dove l’avevano assicurato del buon esito della pratica
pensionistica. La loro relazione continuò, lei doveva fare i salti mortali
poiché qualche volta arrivava anche il milanese e, di tanto in tanto, si doveva
recare agli incontri della sua “setta”, assieme al “bel tenebroso” Manlio;
inizialmente tenne nascosti questi suoi interessi poi, una sera, durante una
conversazione generica con il deputato, si accorse che lui, a Roma, aveva avuto
o ha ancora “frequentazioni” in ambienti similari, non capì bene se massonici,
spiritistici, rosacruciani o quant’altro, comunque vi erano, nel deputato, le
sue stesse motivazioni per quegli “ambienti particolari”.
Subito non insistette per conoscere qualche cosa di più poi, alcune sere dopo,
ritornarono sull’argomento ed entrambi confidarono, l’uno all’altra, le loro
appartenenze, lui ad una setta massonica di rito egiziano, (della Fratellanza di
Miriam) che frequenta solo a Roma, mentre lei gli rivelò di appartenere alla
setta “Wicca” della neo-stregoneria locale, dove aveva trovato alcuni adepti
che, ultimamente, stavano “convertendosi” al “satanismo”. Si ripromisero di
entrare maggiormente nei particolari delle loro esperienze anche perché il
deputato era molto spesso, impegnato alla “Camera” e, il poco tempo che passava
con lei lo voleva trascorrere a fare “cose” più concrete ed importanti e non a
parlare di problemi “pseudo-filosofici”.
Cesira riuscì, una sera, a convincere il Renato Carretti a partecipare ad una
riunione della sua setta dopo averne parlato con il “sacerdote” Manlio, che
accettò di buon grado la possibilità di fare un nuovo “adepto” di un certo
prestigio; non sempre, a livello locale, personaggi della politica nazionale si
“degnavano” di prendere parte a sette o ad associazioni più o meno segrete,
mentre nella capitale e nelle grandi città come Milano e Torino, questi erano
presenti in buon numero.
Il vecchio comunista ateo, avendo fatto parte negli anni giovanili a Carpi
dell’associazione dei “Senza Dio”, si senti motivato a prendere parte alla prima
riunione, tra l’altro fortemente stimolato dalla donna che lo aveva
“letteralmente conquistato”, e fu decisamente soddisfatto per gli incontri
avuti. Aveva trovato in quell’ambiente stimoli più efficaci, più convincenti ed
ancor più significativi di quelli che aveva incontrato nella setta massonica
romana inoltre, la stessa Cesira, le aveva promesso che nelle sedute successive
si sarebbe trovato a fare anche alcuni tipi di esperienze che avevano a che fare
con il sesso e che a lui non sarebbero assolutamente dispiaciute. Rimase
soddisfatto perché a quegli incontri ci si presentava incappucciati, pertanto
era improbabile esser riconosciuti.
Romano Bisi, che ritornava di tanto in tanto a Modena e nelle zone di Cavezzo
per completare le sue indagini, si accorse che Cesira era un po’ cambiata, non
sempre si faceva trovare agli appuntamenti, al casolare in campagna praticamente
non la si vedeva quasi più, tanto che anche il figlio, custodito dai nonni, si
lamentava per la scarsa presenza della madre. Finalmente una notte andò a
dormire in albergo con Romano e, in seguito alle sue insistenze, gli confidò
della sua relazione con il deputato carpigiano, il suo ex comandante della
“lotta partigiana”.
“Come?, vai a letto con Bill?”, disse il milanese, “ecco perché molte volte non
venivi agli appuntamenti, ma cosa hai trovato in quel “buzzurro” che attualmente
fa il “sofisticato” solamente perché è stato eletto deputato, ma che rimane
sempre uno zoticone, e in questi ultimi tempi, dato che ho dovuto incontrarlo in
alcune occasioni, mi sono reso conto che, malgrado frequenti il Parlamento e i
vertici del Partito Comunista, non è per niente migliorato rispetto ai tempi
della guerra partigiana. Io non sono geloso, noi stiamo assieme qualche volta,
non ho problemi se tu ti “diverti” con degli altri uomini, mi fa solo specie che
tu, come ho potuto constatare in questi tempi, sei diventata molto più “scaltra”
e “scafata” rispetto al passato, anzi devo dirti che mi sembri anche più
intelligente, ma forse lo eri anche prima, ma non “davi a vederlo”, ti sia
lasciata andare con quello”.
“Può essere Romano” precisò la ragazza, “ma devi sapere che quando mi sono
recata da lui, semplicemente per farmi aiutare per la pensione di guerra del mio
ex marito, ha cercato di usarmi violenza, però io ho subito pensato che non era
il caso di resistergli come avevo fatto all’inizio delle sue “avances”, mi sono
detta che poteva esser utile l’”amicizia particolare” con un deputato, e da lì è
iniziata la “relazione.”
Romano si convinse che sì la Cesira Lolli si era comportata saggiamente e che,
probabilmente, quella loro amicizia sarebbe tornata utile anche a lui per il
prosieguo delle indagini; certo è che il primo responsabile della violenza fatta
subire alla “contessa”, nel Maggio del 1945, era stato Bill, poi lui l’aveva
data “in pasto” a tutti i componenti della banda, e adesso si portava a letto e
si “godeva” la “vedovella” scatenata che, a quei tempi, avrebbe voluto “far
fuori” la povera ausiliaria.
Per l’”indagatore” di Seregno però, le personalità più complesse che si trovò ad
esaminare furono quelle dei due “addetti alle stalle”, sospetti di
“omosessualità”, specialmente nel sentire i dubbi delle donne del casolare, ma
anche di qualche chiacchiera ascoltata all’osteria del Cantone, e cioè della
“ambigua” relazione tra Manlio Trebbi e il bovaro Marino Gobbi. Pare inoltre
che, in occasione dell’incidente di caccia dove perse la vita il Plinio Medici,
fosse presente anche il fratello minore dei Trebbi che, sempre si dice, dovrebbe
essere il responsabile diretto e volontario di quello che venne classificato “un
incidente fortuito”, in realtà l’ucciso durante la battuta di caccia, si
divertiva frequentemente a “prendere in giro” i due uomini per la loro “tresca”,
e quasi di sicuro sorprese, un giorno, gli “incriminati”, nella stalla, in una
posizione “inequivocabile”.
L’ unico, sul quale non era riuscito a trovare particolari indizi sul suo
comportamento, era il fratello maggiore dei Trebbi, sposato con un figlio; non
si era mai interessato di politica ed era tutto dedito alla sua attività, in
campagna svolgeva la maggior parte del lavoro, dato che il padre, ormai anziano
e sofferente di grossi dolori artritici era, la maggior parte delle giornate,
sdraiato a letto; il fratello minore non era di grande aiuto e come abbiamo
visto negli ultimi tempi sembrava “perso”; Arturo aveva trovato nella moglie
Marianna la compagna ideale, grande lavoratrice, tutta dedita alla famiglia,
aveva contribuito a mantenere il suo uomo in quell’equilibrio necessario a
svolgere un’attività così impegnativa e in quel particolare ambiente.
Mentre sul “bolognese” qualche sospetto era sorto, ma non riusciva a trovare
prove concrete per documentare la sua posizione. Il ruolo raggiunto
nell’industria dove lavorava, a Casalecchio di Reno, era di una certa
importanza, ma Romano era riuscito a sapere, dai negozianti vicini alla
abitazione di “Vladimiro” che, da parecchio tempo, i rapporti con la moglie, una
bolognese belloccia e piena di “verve”, non erano per niente buoni, spesso lo si
trovava nei vari “night” della città delle due torri, in compagnia di ballerine
con le quali si faceva vedere nei ristoranti più costosi, era anche buon
frequentatore di alcuni circoli privati dove si giocava d’azzardo. Oltre,
l’inchiesta dell’inviato della contessa, non era andata.
Dopo poco più due mesi aveva completato il “dossier”. Per ciascuno dei
nominativi dell’elenco di Luisa aveva preparato una cartellina con dentro tutto
quello che era riuscito a documentare, fotografie, informazioni, dichiarazioni,
e prove scritte; sistemò tutte le schede e alla prima “visita” del controllore
Marco, gli consegnò una busta chiusa e sigillata con “ceralacca”, da consegnare
nelle mani della signora contessa.
Le schede furono compilate con questa impostazione:
Cognome e Nome da civile, nominativo da partigiano, residenza all’epoca e
residenza attuale, età all’epoca, età attuale, titolo di studio, stato civile
attuale:
Cognome e Nome: Aguzzoli Arturo
nominativo da partigiano: Ultimo
residenza all’epoca: Carpi (Modena)
residenza attuale: -----
età all’epoca: 25 età attuale:----
attività all’epoca: artigiano
impiego di oggi: --------
titolo di studio: scuola di avviamento professionale
stato civile: -----------
note caratteristiche: deceduto nel 1949 nel campo di concentramento di Goli Otok
in Yugoslavia, dopo numerose percosse che i partigiani titini infliggevano ai
comunisti italiani che erano rimasti fedeli al comunismo sovietico.
Ha partecipato, assieme a tutti gli altri di quella squadra GAP, alle azioni di
stupro commesse nel Novembre del 1944 su di una ragazza chiamata Irma, sempre
nella stalla e nella porcilaia del casolare Trebbi, oltre allo stupro ripetuto
per circa dieci giorni nei confronti dell’ausiliaria Luisa nel mese di Maggio
del 1945.
Ha preso parte alle uccisioni di massa effettuate nel Maggio 1945 sulle rive del
fiume Secchia dove sono stati uccisi cinque prigionieri fascisti e quattro
ausiliarie, partiti da Mirandola per essere trasportati a Modena al comando del
CLN.
Cognome e Nome: Pini Giuliano
nominativo da partigiano: Poldo
residenza all’epoca: Bomporto (Modena)
residenza attuale: ------
età all’epoca: 28 età attuale: ------
attività all’epoca: ragioniere
impiego di oggi: --------
titolo di studio: Diploma di ragioniere Istituto J. Barozzi Modena
stato civile: -----------------
note caratteristiche: Deceduto nel 1950 nel campo di concentramento di Goli Otok
in Yugoslavia, dopo numerose percosse che i partigiani titini infliggevano ai
comunisti italiani che erano rimasti fedeli al comunismo sovietico.
Ha partecipato, assieme a tutti gli altri della squadra di Bill, alle azioni di
stupro commesse nel Novembre del 1944 su di una ragazza chiamata Irma, sempre
nella stalla e nella porcilaia del casolare Trebbi, oltre allo stupro ripetuto
per circa dieci giorni, nei confronti dell’ausiliaria Luisa nel mese di Maggio
del 1945.
Ha preso parte alle uccisioni di massa effettuate nel Maggio 1945 sulle rive del
fiume Secchia dove sono stati uccisi cinque prigionieri fascisti e quattro
ausiliarie, partiti da Mirandola per essere trasportati a Modena al comando del
CLN.
Cognome e Nome: Arturo Trebbi
nominativo da partigiano: ---------------
residenza all’epoca: Cavezzo (Modena)
residenza attuale: Cavezzo (Modena)
età all’epoca: 25 età attuale: 36
attività all’epoca: contadino
impiego di oggi: contadino
titolo di studio: 5° elementare
stato civile: coniugato con un figlio
note caratteristiche: ha partecipato, assieme a tutti gli altri alle azioni di
stupro commesse nel Novembre del 1944 su di una ragazza chiamata Irma, sempre
nella stalla e nella porcilaia del casolare Trebbi. Ha preso parte allo stupro
ripetuto per circa dieci giorni nei confronti dell’ausiliaria Luisa nel mese di
Maggio del 1945-
Non si è più interessato di politica, conduce attualmente una vita riservata e
tutta dedicata alla famiglia, è lui che segue l’attività del podere dato che il
padre non è più in grado di condurre al meglio la situazione famigliare in
quanto anche il secondo figlio, Manlio non sembra interessato a continuare
l’attività.
Cognome e Nome: Manlio Trebbi
nominativo da partigiano: ----------------
residenza all’epoca: Cavezzo (Modena)
residenza attuale: Cavezzo (Modena)
età all’epoca: 22 età attuale: 33
attività all’epoca: contadino
impiego di oggi: contadino
titolo di studio: 5° elementare
stato civile: celibe
note caratteristiche: ha partecipato, assieme a tutti gli altri, alle azioni di
stupro commesse nel Novembre del 1944 su di una ragazza chiamata Irma, sempre
nella stalla e nella porcilaia del casolare Trebbi. E, seppure con riluttanza,
allo stupro ripetuto per circa dieci giorni nei confronti dell’ausiliaria Luisa
nel mese di Maggio del 1945. Carattere molto scontroso, sempre in contrasto con
il padre e con il fratello, sembra implicato anche in situazioni che lo hanno
visto compromesso in azioni al vaglio della magistratura modenese.
Mantiene, in questo periodo, uno “strano” e forse “equivoco” rapporto con il suo
dipendente, Gobbi Marino. Personalità molto debole, segue sempre colui che lo
riesce a “condurre per mano” ed è capace di compiere qualsiasi azione sempre che
questa gli venga “imposta” dal suo “padrone“ di turno che, in questo periodo
sembra essere il Gobbi, fanno così una coppia molto compromessa e sottoposta ad
indagini da parte della questura modenese sembra per fatti delinquenziali di
vario tipo, dai furti agli omicidi.
Cognome e Nome: Ferrari Giacinto
nominativo da partigiano:------------------
residenza all’epoca: Cavezzo (Modena)
residenza attuale: ------------------
età all’epoca: a. 30 età attuale: --------
attività all’epoca: addetto alle stalle;
impiego di oggi: --------------
titolo di studio: 5° elementare
stato civile:-------------------
note caratteristiche: ha partecipato, assieme a tutti gli altri alle azioni di
stupro commesse nel Novembre del 1944 su di una ragazza chiamata Irma, sempre
nel stalla e nella porcilaia del casolare Trebbi. Ha preso parte allo stupro
ripetuto per circa dieci giorni nei confronti dell’ausiliaria Luisa nel mese di
Maggio del 1945.
Non si era mai interessato di politica. Deceduto nel 1950 per malattia.
Cognome e Nome: Gobbi Marino
nominativo da partigiano:---------------------
residenza all’epoca: Cavezzo (Modena)
residenza attuale: Cavezzo (Modena)
età all’epoca: 30 età attuale: 41
attività all’epoca: addetto alle stalle;
impiego di oggi: addetto alle stalle;
titolo di studio: 5° elementare
stato civile: celibe
note caratteristiche: ha partecipato, assieme a tutti gli altri, alle azioni di
stupro commesse nel Novembre del 1944 su di una ragazza chiamata Irma, sempre
nel stalla e nella porcilaia del casolare Trebbi, così come ha preso parte allo
stupro, ripetuto per circa dieci giorni nei confronti dell’ausiliaria Luisa nel
mese di Maggio del 1945. Non ha mai avuto interessi particolari per la politica,
simpatizzava genericamente per i partigiani.
E’ sospettato di avere da tempo, una relazione omosessuale con il fratello
minore dei Trebbi, ed entrambi sono stati interrogati dalla polizia poiché
ritenuti sospetti e di omicidio e di alcuni furti nella zona di Cavezzo.
Cognome e Nome: Parmeggiani Torquato
nominativo da partigiano: Cartuccia
residenza all’epoca: Bomporto (Modena)
residenza attuale: -----------------
età all’epoca: 23 età attuale:----------
attività all’epoca: contadino
impiego di oggi: -------------
titolo di studio: 5° elementare
stato civile: ---------------
note caratteristiche: Deceduto nel 1949 all’età di 27 anni schiacciato dal
trattore che guidava e rovesciatosi sull’argine del fiume Secchia.
Ha partecipato, assieme a tutti gli altri, alle azioni di stupro commesse nel
Novembre del 1944 su di una ragazza chiamata Irma, sempre nel stalla e nella
porcilaia del casolare Trebbi; oltre allo stupro ripetuto per circa dieci giorni
nei confronti dell’ausiliaria Luisa, nel mese di Maggio del 1945.
Ha preso parte alle uccisioni di massa effettuate nel Maggio 1945 sulle rive del
fiume Secchia, dalla banda di Bill, dove sono stati uccisi cinque prigionieri
fascisti e quattro ausiliarie, partiti da Mirandola per essere trasportati a
Modena al comando del CLN. Ha partecipato anche alle uccisioni, arbitrarie, di
altri fascisti a Mirandola, Cavezzo e San Possidonio, sempre a guerra ultimata.
Cognome e Nome: Siena Gino
nominativo da partigiano: Vladimiro
residenza all’epoca: Albareto (Modena)
residenza attuale: Bologna
età all’epoca: 23 età attuale: 34
attività all’epoca: studente universitario (ingegneria) non terminata;
impiego di oggi: impiegato ditta di cuscinetti a sfera;
titolo di studio: maturità scientifica, tre anni d’ Università;
stato civile: coniugato senza figli;
note caratteristiche:
Ha partecipato, assieme a tutti gli altri della “compagnia della morte”, alle
azioni di stupro commesse nel Novembre del 1944 su di una ragazza chiamata Irma,
sempre nella stalla e nella porcilaia del casolare Trebbi; oltre allo stupro
ripetuto per circa dieci giorni nei confronti dell’ausiliaria Luisa, nel mese di
Maggio del 1945.
Ha preso parte alle uccisioni di massa effettuate nel Maggio 1945 sulle rive del
fiume Secchia dove sono stati uccisi cinque prigionieri fascisti e quattro
ausiliarie, partiti da Mirandola per essere trasportati a Modena al comando del
CLN. Ha partecipato anche alle uccisioni, arbitrarie, di altri fascisti a
Mirandola, Cavezzo e San Possidonio, sempre a guerra ultimata. Aveva
frequentato, per un certo periodo, l’Università degli Studi di Bologna alla
facoltà di Ingegneria, riuscendo a sostenere pochi esami del primo e del secondo
anno, per poi ritirarsi definitivamente. Ha avuto una relazione con la Cesira
Losi.
Si è poi trasferito a Bologna e dopo un periodo di due anni passati alla
Federazione Provinciale del Partito Comunista, per divergenze con i “capoccioni”
del partito, si è allontanato da quella ideologia e, dopo un lungo fidanzamento
si è sposato, contemporaneamente si era impiegato presso la ditta di cuscinetti
a sfera “Pandolfini”, dove ha fatto una discreta carriera diventandone uno dei
principali direttori commerciali. Carattere litigioso, era considerato, durante
la lotta partigiana un cattivo e un “duro”. Non và molto d’accordo con la
moglie, frequenta, con una certa intensità, locali notturni e circoli dove si
gioca d’azzardo e dove, alcune volte. vi ha fatto irruzione la polizia.
Cognome e Nome: Bertoni Mario
nominativo da partigiano: Raffica
residenza all’epoca: Soliera (Modena)
residenza attuale: Soliera (Modena)
età all’epoca: 24 età attuale: 35
attività all’epoca: meccanico
impiego di oggi: meccanico
titolo di studio: 5° elementare
stato civile: celibe
note caratteristiche:
Ha partecipato, assieme a tutti gli altri, alle azioni di stupro commesse nel
Novembre del 1944 su di una ragazza chiamata Irma, sempre nella stalla e nella
porcilaia del casolare Trebbi; oltre allo stupro ripetuto per circa dieci giorni
nei confronti dell’ausiliaria Luisa, nel mese di Maggio del 1945.
Ha preso parte alle uccisioni di massa effettuate nel Maggio 1945 sulle rive del
fiume Secchia dove sono stati uccisi cinque prigionieri fascisti e quattro
ausiliarie, partiti da Mirandola per essere trasportati a Modena al comando del
CLN. Ha partecipato anche alle uccisioni, arbitrarie, di altri fascisti a
Mirandola, Cavezzo e San Possidonio, sempre a guerra ultimata.
Molto ammalato. Sifilitico. Sempre dentro e fuori dagli ospedali.
Ricoverato in questi giorni, presso l’istituto “Malattie Tropicali” del
Policlinico modenese, è deceduto a causa di complicazioni sopravvenute alla sua
“devastante” malattia.
Cognome e Nome: Medici Plinio
nominativo da partigiano: Balilla
residenza all’epoca: Soliera (Modena)
residenza attuale: Soliera (Modena)
età all’epoca: 25 età attuale: 36
attività all’epoca: contadino
impiego di oggi: contadino
titolo di studio: 5° elementare
stato civile: coniugato senza figli
note caratteristiche:
Ha partecipato, assieme a tutti gli altri, alle azioni di stupro commesse nel
Novembre del 1944 su di una ragazza chiamata Irma, sempre nella stalla e nella
porcilaia del casolare Trebbi; oltre allo stupro ripetuto per circa dieci giorni
nei confronti dell’ausiliaria Luisa, nel mese di Maggio del 1945.
Ha preso parte alle uccisioni di massa effettuate nel Maggio 1945 sulle rive del
fiume Secchia dove sono stati uccisi cinque prigionieri fascisti e quattro
ausiliarie, partiti da Mirandola per essere trasportati a Modena al comando del
CLN. Ha partecipato anche alle uccisioni, arbitrarie, di altri fascisti a
Mirandola, Cavezzo e San Possidonio, sempre a guerra ultimata.
E’ rimasto ucciso, ultimamente, in un incidente di caccia molto strano, secondo
gli inquirenti, nella zona del bosco di San Felice; in quella battuta di caccia
era in compagnia con alcuni compagni della “banda di Bill”, Mario Bertoni,
“Raffica” oltre che dai due fratelli Arturo e Manlio Trebbi e dall’altro bovaro,
Marino Gobbi, il Bertoni venne indagato come colpevole per avere
“incidentalmente” sparato il colpo che uccise il Medici.
Cognome e Nome: Carretti Renato
nominativo da partigiano: Bill
residenza all’epoca: Carpi
residenza attuale: Parma
età all’epoca: 35 età attuale: 46
attività all’epoca: dirigente industria meccanica
impiego di oggi: funzionario del Partito Comunista e Deputato dello stesso.
titolo di studio: Perito Industriale: Istituto Ind. Corni Modena
stato civile: accompagnato con certa Elvira Lancellotti, impiegata alla
federazione del Pci di Parma
note caratteristiche:
Ha partecipato, assieme a tutti gli altri alle azioni di stupro, da lui stesso
ordinate e guidate, commesse nel Novembre del 1944 su di una ragazza chiamata
Irma, sempre nella stalla e nella porcilaia del casolare Trebbi; oltre allo
stupro ripetuto per circa dieci giorni nei confronti dell’ausiliaria Luisa, nel
mese di Maggio del 1945. Era il capo indiscusso di quella formazione partigiana
che ha seminato il terrore nella bassa modenese, nell’immediato dopoguerra e che
veniva anche chiamata, “la compagnia della morte”.
Ha preso parte alle uccisioni di massa effettuate nel Maggio 1945 sulle rive del
fiume Secchia dove sono stati uccisi cinque prigionieri fascisti e quattro
ausiliarie, sempre sotto il suo comando, partiti da Mirandola per essere
trasportati a Modena al comando del CLN.
Ha partecipato alle uccisioni, arbitrarie, di altri fascisti a Mirandola,
Cavezzo e San Possidonio, sempre a guerra ultimata.
Negli anni successivi riesce a diventare segretario del Partito comunista
carpigiano che, alle elezioni del 1953 lo candida al parlamento dove viene
eletto deputato. Il suo atteggiamento è rimasto quello dei tempi della guerra
civile, arrogante e prepotente, mitigato dal ruolo politico raggiunto. La sua
resta una delle posizioni più controverse e nello stesso tempo più compromesse
con la giustizia, di tutti i rappresentanti del Pci che hanno raggiunto
posizioni ragguardevoli nell’ambito della politica nazionale.
Cognome e Nome: Bisi Romano
nominativo da partigiano: Basco
residenza all’epoca: Carpi
residenza attuale: Seregno (Milano)
età all’epoca: 24 età attuale: 35
attività all’epoca: artigiano
impiego di oggi: operaio
titolo di studio: scuola di avviamento professionale
stato civile: celibe
note caratteristiche: Ha partecipato, assieme a tutti gli altri, alle azioni di
stupro commesse nel Novembre del 1944 su di una ragazza chiamata Irma, nella
stalla e nella porcilaia del casolare Trebbi; oltre allo stupro ripetuto per
circa dieci giorni nei confronti dell’ausiliaria Luisa, nel mese di Maggio del
1945.
Ha preso parte alle uccisioni di massa effettuate nel Maggio 1945 sulle rive del
fiume Secchia dove sono stati uccisi cinque prigionieri fascisti e quattro
ausiliarie, partiti da Mirandola per essere trasportati a Modena al comando del
CLN. Ha partecipato alle uccisioni, arbitrarie, di altri fascisti a Mirandola,
Cavezzo e San Possidonio, sempre a guerra ultimata.
Espatriato nel 1945 nei paesi dell’Est comunista, Jugoslavia e Cecoslovacchia è
stato a lungo rinchiuso nei campi di concentramento dei paesi comunisti, da
comunista, secondo loro, “stalinista” e “cominformista”; riuscito a fuggire,
dopo molti anni, rientra in Italia e attualmente lavora a Seregno presso la
ditta “Pneumanova” produttrice di pneumatici, fa parte della commissione interna
della Cgil, di quella ditta.
Cognome e Nome: Losi Cesira, Vedova Trebbi
nominativo da partigiano:---------------------
residenza all’epoca: Cavezzo
residenza attuale: Cavezzo
età all’epoca: 21 età attuale: 32
attività all’epoca: contadina
impiego di oggi: contadina e domestica a Modena
titolo di studio: 5° elementare
stato civile: vedova, con un figlio di 11 anni.
note caratteristiche:
era la moglie del figlio dell’affittuario del casolare dei Trebbi, i fascisti,
nel mese di Novembre del 1944, gli uccisero il marito in una rappresaglia, gli
nacque il figlio, che vive ancora con lei e i nonni nel casolare, tre mesi dopo
la morte del marito. Non si è risposata, si dice frequenti molti “fidanzati”:
lavora in campagna durante l’estate, ma ultimamente rimane quasi sempre in città
anche durante il periodo estivo, mentre d’inverno svolge attività di domestica
presso una casa di professionisti a Modena.
La moglie di Arturo Trebbi sostiene che da più di due anni la donna è molto
cambiata, si dà “troppe arie” e nei confronti dei fratelli del suo defunto
marito dimostra molta arroganza e disprezzo, e la Marianna Sala ha sempre avuto
il sospetto, che ci sia stato, tempo prima, qualche tresca tra suo marito, il
fratello, e la “cittadina” Cesira.
Una volta consegnato all’uomo della contessa, Marco Campanini, il dossier
completo, avendo percepito un buon compenso per l’indagine svolta, compresa
l’indennità per tutte le spese sostenute Romano riprese il suo lavoro di operaio
e di attivista della CGIL a Seregno, a tempo pieno e, in questo periodo, dopo
essersi liberato dell’incarico di “investigatore”, lavoro che gli era costato un
impegno non indifferente, ebbe l’opportunità di incontrarsi, in una sola
occasione, con la Cesira, alla quale diede la comunicazione che, da quel giorno
in poi, non avrebbe più avuto molte possibilità di ritornare nel modenese,
pertanto l’avrebbe lasciata “libera” di continuare, senza intoppi, la relazione
con l’onorevole e con il suo “sacerdote”, in considerazione anche del fatto che
gli andava un po’ stretta la posizione di “terzo uomo”. Si lasciarono da buoni
amici con la promessa che, se si fossero incontrati di nuovo, avrebbero potuto
ripetere, “una tantum”, uno dei loro “focosi” incontri d’amore.
Lei era sempre più pressata dalle attenzioni del Renato Carretti che, appena era
libero dagli impegni romani, si precipitava a Modena nella sua abitazione di Via
Francesco Selmi, dove si era “installata” l’amante che, sempre più raramente si
faceva vedere al casolare sperduto nelle campagne del carpigiano, e dove lei
attraverso le arti “amatorie” acquisite in compagnia del suo “bel tenebroso” e
dalle sapienti cure “psico-fisiche” che gli “adepti” della setta sapevano darle,
era riuscita ad avvolgere in una rete, particolarmente vischiosa, l’ex
partigiano che aveva perso letteralmente la testa, per l’ex “contadinotta”.
In quella che era stata la base partigiana della squadra di Bill, la situazione,
tra i due uomini sospettati di “amicizia pericolosa” andava aggravandosi.
Entrambi non frequentavano, da tempo, l'osteria del Cantone dove, spesso e
sempre meno velatamente, venivano “sbeffeggiati” per il loro “anomalo” rapporto,
che portavano avanti nella stalla del casolare.
Riuscivano, di tanto in tanto, a fare una “scappatella” nella vicina città di
Carpi che raggiungevano, in bicicletta, per andare a vedere un film o per fare
un giro sotto i portici della bellissima piazza e a prendere un gelato in uno
dei bar sotto il porticato prospiciente il Castello dei Pio. Il Manlio Trebbi
era sempre più avvilito, non aveva praticamente più voglia di lavorare e spesso
si accendevano diverbi molto forti con il fratello Arturo che lo rimproverava
continuamente per la sua scarsa collaborazione sul lavoro e sul totale
disinteresse nel cercare di portare qualche aiuto al vecchio genitore ammalato.
Già che era sempre stato un carattere introverso e taciturno le “reprimende”
continue del fratello e tante volte anche dell’”amico” Marino, lo mettevano
sempre più di cattivo umore. Un giorno che erano soli nella stalla Manlio
confessò a Marino che fu proprio lui, quella volta che andarono a caccia nel
bosco di San Felice assieme agli altri compagni, a sparare a Plinio Medici
volontariamente, poiché lo prendeva sempre in giro dandogli della “femminuccia”
e facendogli sempre, per “scherno” delle proposte oscene; non fù assolutamente
un incidente di caccia fortuito come dichiararono ai carabinieri che accettarono
quella versione.
A quel punto l’uomo si mise anche a piangere,:
“Cradem Marino”, prese a dire l’uomo, “me angla fag pio’ a tirer avanti. Ogni
volta c’am seint torem per al cul da quelchi d’un e adesà anch dai ragazò, a
vrev sprofunder. Am sambra che tot im guerden ed travers, anch in famia. Ma
perché sunia acs’è, mè a sun ste cun na sola dana, en men mai piasudi. T’arcordet
cla fascesta che Bill as purtè chè. Bè am la sun fata anca mè ma ha io fat na
gran fadiga, le suces perché a ch’ eri tot vueter, ma me an’ in vliva saver.
Puvratà, le steda ciaveda anch da un fnoc.
A sun proprio stoff. A che del volt c’avrev ferla finida”
(Credimi Marino, io non ce la faccio più a tirare avanti. Ogni volta che mi
sento prendere in giro da qualcuno e adesso anche dai ragazzini, vorrei
sprofondare. Mi sembra che tutti mi guardino di traverso, anche in famiglia. Ma
perché sono così?, io sono stato una sola volta con una donna, non mi sono mai
piaciute. Ti ricordi di quella fascista che Bill ci portò qui? Me la sono
“fatta” anch’io ma con uno sforzo enorme, è capitato solamente perché c’eravate
tutti voi, ma io non ne volevo sapere. Poveretta, è stata “scopata” anche da un
“finocchio”.
L’amico Marino cercò di consolarlo assicurandolo che le sue erano solamente
delle fantasie, delle supposizioni, che gli altri non conoscevano la loro
relazione, ma mentre lo diceva sapeva benissimo che non era così, ma lui aveva
un carattere molto forte e se ne “fregava” di quello che pensava o diceva la
gente.
Successe però che un tardo pomeriggio, dopo una giornata tristissima per Manlio,
questi, depresso al massimo si recò nel fienile sopra alla stalla dove, in un
angolo di un trave, ben protette da carta oleata, ben lubrificate, i fratelli
avevano nascosto, dopo la fine della guerra, alcune pistole tedesche Walther
P38, Mauser C96, oltre a tre mitra, due MP40 e un FG 42 e molti proiettili, di
tanto in tanto le andava a pulire: si erano divertiti una notte di alcuni anni
prima, quando era ancora vivo “Raffica”, a tirarle fuori e a sparare contro un
bersaglio, divertendosi anche un ultimo dell’anno a sparare in alto per
festeggiare, ma in seguito non erano più state usate.
Prese un “Walther P38”, mise i proiettili nel caricatore poi, con l’arma in
tasca scese nella stalla dove Marino stava accudendo le bestie, senza profferire
parola puntò alla nuca dell’amico la pistola tirando immediatamente il
grilletto. Il colpo fu violentissimo e il bovaro cadde a terra “stecchito”,
immediatamente dopo si portò la “P38” alla tempia e si sparò. In pochi secondi
le vite dei due “amici” erano stese a terra mentre le mucche legate ai loro box
sembravano impazzite e lanciavano muggiti terrificanti.
Dalla abitazione arrivarono subito il fratello Arturo e la moglie che, appena
sentirono i due colpi di rivoltella si guardarono negli occhi pensando
istantaneamente la stessa cosa. E’ stato Manlio, ma mai si sarebbero aspettati
di trovarsi di fronte ad uno spettacolo così devastante, il sangue scorreva
nella canalina di scolo della stalla assieme al “piscio” delle vacche”.
Si resero conto che sicuramente non c’era più niente da fare ma, mentre
dall’abitazione arrivarono gridando anche i due vecchi genitori, l’Arturo
inforcò la bicicletta per recarsi a telefonare, dal telefono pubblico del
Cantone, e far arrivare una Croce Rossa al casale e, nel contempo, avvisare i
carabinieri, del fatto.
Da Mirandola, nel giro di mezz’ora, arrivarono in contemporanea, croce rossa e
carabinieri; fu subito accertata la morte istantanea dei due, pertanto i
rappresentanti della legge procedettero ai rilievi in tutta tranquillità, il
caso si presentava, apparentemente, abbastanza evidente, un omicidio con
successivo suicidio, tutti gli abitanti del casale furono interrogati e dopo
poco più di due ore dalla sparatoria, carabinieri e croce rossa si allontanarono
portando nelle camere mortuarie, i due cadaveri.
Ai funerali civili dei due si presentarono una ventina di persone, i parenti
stretti, alcuni dei frequentatori della trattoria, bar, cellula, del Cantone e
da Modena arrivò anche la “bella” Cesira la quale fece voltare tutti gli uomini
presenti, che si trovarono di fronte ad una “femmina” completamente trasformata,
da “contadinotta” a donna di una “certa classe”.
La cattiveria di un esplicito “pettegolezzo” volgare, non mancò da parte di
alcuni che seguivano i due feretri che vennero tumulati nel cimitero di Cavezzo.
La Cesira, dopo aver salutato il figlio, che da molto tempo non vedeva e che si
limitò a concederle uno modesto sorriso e un cenno con la mano, ritornò
immediatamente a Modena nel bellissimo appartamento in un antico Palazzo di Via
Francesco Selmi che il deputato del Pci era riuscito ad acquistare, per un
prezzo quasi irrisorio, da alcuni “maneggioni” legati al Pci modenese che
trafficavano in immobili e avevano “raggirato” una vecchia marchesa facendole
praticamente svendere l’intero palazzo e, uno degli appartamenti più belli, era
diventato di proprietà del “vecchio” comunista carpigiano.
Qualche volta mangiavano anche in casa, dato che la moglie del partigiano ucciso
dai fascisti a Carpi, la Cesira Lolli avendo fatta una lunga esperienza nella
cucina dei Trebbi al casale, era anche brava nel cucinare i piatti della cucina
tradizionale modenese però, molto spesso, si recavano nei vari ristoranti della
zona, dalla vecchia trattoria “Carducci” in Via Canalino, dai vicini “Fini” e
“Zelmira” alla “Cervetta”, ma frequentemente anche in quelli più lontani, ma
sempre in centro storico che raggiungevano a piedi con la scusante di fare anche
due passi “digestivi” in più, e cioè da “Oreste”, da “Danilo”, alla “Bolognese”
in Via Taglio, e qualche volta raggiungevano anche la Stazione delle Ferrovie
dello Stato dove, da “Armaroli” si trovava pur sempre, un ottima cucina.
Abbastanza di frequente si recavano, dopo cena, alla sede della “setta” situata
anch’essa in un bellissimo palazzo antico, collocato tra Piazzale Boschetti e
Viale Caduti in guerra, con la possibilità di accesso da entrambe le parti,
praticamente a fianco del cinema Italia, il cinema all’aperto più frequentato
dai modenesi.
Alcune serate avevano avuto come tema le conoscenze dei fenomeni magici, dello
spiritismo indoeuropeo, ma quello che ha interessato particolarmente l’
”onorevole” è stato lo “studio” delle teorie di Aleiser Crowley e di Giuliano
Kremmerz sui quattro livelli dei poteri magici, e cioè la magia pratica, la
magia gnostica, la magia evocatoria e la magia della vita.
Non dispiaceva ai due amanti prendere parte a certe “sedute spiritiche” dove si
evocavano defunti, personaggi importanti del passato, che davano “comunicazioni”
ai partecipanti attraverso l’evocazione degli spiriti più diversi tra loro, dai
parenti stretti dei presenti e “richiesti” dal medium di turno, sino alle
“presenze” di uomini politici o di scienza, per arrivare, a volte, all’
intervento, “indesiderato”, del “demonio” o di qualche spirito maligno, che
intervenivano per mettere in difficoltà qualche partecipante che si dimostrava
“incredulo” o “agnostico” a tali “manifestazioni”.
Le sedute più partecipate dagli adepti della setta modenese erano però quelle
dedicate alla “via meditativa tramite il sesso”, dove si cerca di apprendere e
di addentrarsi nelle metodiche che educano ai “misteri” della sessualità e dove
si cerca di imparare le tecniche opportune ad esercitarli. Il “sacerdote” di
turno ti istruisce nel ricercare e nel constatare che il sesso e l’attività ad
esso legata è come una struttura, come un tempio circolare per il quale,
attraverso ad esso, si deve arrivare al centro di questo e cioè all’essenza che
risiede in ogni essere e quello che è il tempio non deve essere ignorato poiché
è il raccoglitore dell’entità spirituale di ciascuno di noi; l’esperienza della
attività sessuale è la norma per lo svolgimento ed anche per il collegamento con
l’essenza spirituale che fà raggiungere l’apice della vita trascendentale
dell’individuo.
Attraverso analisi di questo tipo i partecipanti alle sedute dedicate alla “via
della luce” si convincevano, o meglio erano portati ad “autoconvincersi”, che le
pratiche che andavano a mettere in atto erano semplicemente la ricerca della
perfezione dell’uomo e tutti coloro che vi prendevano parte, erano dei prescelti
a raggiungere, attraverso la conoscenza del corpo proprio e di quello altrui, la
vera essenza della spiritualità.
Cesira ci credeva fermamente, e così si era convinto anche il deputato, e
assieme andavano, attraverso le varie tecniche di preparazione agli
“accoppiamenti” estremi, a cercare di raggiungere, mediante gli “incontri
rituali”, la “quintessenza” della soddisfazione erotico-spirituale”, come viene
chiamata dal “sacerdote” amico, che conduceva la riunione.
Si convincevano, i partecipanti a quella che aveva più le caratteristiche di un
“orgia” mascherata da rito, che il sesso, e quello che volta per volta si andava
ad interpretare in tutte le sue varianti, non era altro che un rituale, una
sorta di “meditazione” che doveva ricollegarci alla natura divina o superiore
che è presente in ogni essere umano, oltre ad essere una forza vitale ed una
fonte inesauribile di energia che porta ciascun individuo a una ricerca di
eterna giovinezza e, “fors’anche”, garanzia d’immortalità.
Bisognava raggiungere, secondo gli avvertimenti dello “stregone” che guidava
quel gruppo di uomini e donne, tra l’altro tutti pienamente coscienti di quello
che andavano facendo e molti di loro erano notevolmente “acculturati”, di
arrivare a conseguire due obbiettivi fondamentali: il controllo dell’orgasmo e
la canalizzazione dell’ “energia orgasmica”. Furono frequenti i “rapporti
ravvicinati” con alcune adepte e il deputato aveva imparato, abbastanza bene, le
tecniche di “autocontrollo”, ma con molti sforzi della mente.
Successe che una notte, mentre “celebravano” il rito la Cesira e il “bel
tenebroso”, e contemporaneamente il deputato eseguiva la sua parte con una bella
signora con un corpo stupendo, l’onorevole, “improvvisamente”, cadde
pesantemente al suolo senza profferire parola. Fu subito soccorso e trasportato
dalla coppia dei “celebranti” in una camera attigua alla sala del rito, dove
venne disteso su di un letto; gli furono tolti il cappuccio, la camicia, mentre
scarpe e pantaloni erano stati “rimossi” prima dello “svolgimento della prova”
e, dato che tra i presenti in sala si sapeva essere presente un medico, questo
fu immediatamente chiamato per controllare lo stato dell’onorevole sdraiato sul
letto, bianco come il lenzuolo sottostante. Contemporaneamente Manlio e la
Cesira comunicavano a tutti i presenti di quella seduta, che la stessa si doveva
considerare terminata e di conseguenza erano invitati a ritornare alle proprie
case e a tenere le “bocche cucite”. Manlio fece cenno a due uomini di restare.
Nel frattempo il medico si era accertato della morte del Renato Carretti,
sopravvenuta all’improvviso per un colpo-apoplettico durante l’atto sessuale
dovuto, molto probabilmente, all’ arresto del flusso del sangue al cervello in
seguito al blocco di un vaso sanguigno aterosclerotico.
I presenti si resero conto della situazione estremamente difficile nella quale
si trovavano, con la prospettiva di una chiusura totale della attività della
loro setta, anche in funzione della notorietà del defunto. Si trovarono, attorno
a quel cadavere, che Cesira cercava di rivestire in modo corretto con l’aiuto
dei due uomini fatti restare da Manlio, oltre a questi tre anche il medico e
appunto “il sacerdote”, in tutto cinque degli adepti della setta, il
responsabile principale si pronunciò immediatamente:
“Signori”, disse, “dobbiamo stare molto attenti a quello che dovremo fare. O
chiamare la polizia e spiegare cos’è successo, con le conseguenze che ci
porteremo addosso, compresi coloro che sono già spariti, denunciando le nostre
pratiche che ci faranno apparire all’opinione pubblica come dei “sadici
pervertiti”; pensiamo poi al fango che potrà essere gettato addosso a tutti noi
dalla stampa, che si butterà “famelica” sul fatto; oltre a tutti i guai che
potrebbero avere i nostri adepti, sposati e con famiglia, alcune tra le più note
della città; sarà uno scandalo di enormi proporzioni. Oppure ci dobbiamo
“disfare” di un cadavere così ingombrante. Ma in che modo? E’ altrettanto
evidente che, se usiamo questo “accorgimento”, tutti un domani, potremmo essere
accusati, nella minore delle ipotesi, di “occultamento di cadavere” con tutte le
conseguenze giudiziarie del caso.”
Il dott. Carmelo Picciuoli, intervenne:
“ricordiamoci che il defunto è un deputato del Parlamento Italiano e per questo
lo strepito che verrà creato dai Partiti di Governo Nazionale e di opposizione
locale, come la Democrazia Cristiana, sarà di un clamore “assordante” e per noi
saranno guai non indifferenti. Non ci resta che trasportarlo fuori di qui e
lasciarlo da qualche parte”
A questo punto intervenne la Cesira che disse:
“io ho un idea, qui nel viale, è parcheggiata la macchina con la quale siamo
arrivati io e Renato: la prendiamo e la portiamo nel cortile, tanto non ci vede
nessuno, vestiamo bene l’onorevole e lo portiamo dentro all’auto, uno di voi ci
porta a casa, in Via Francesco Selmi e, qui giunti, mettiamo la macchina in
garage, poi vado su in casa e chiamo immediatamente il pronto soccorso, ed
eventualmente la polizia che si trova a due passi, dicendo che il “mio uomo”,
tanto tutti sanno che sono la sua amante, si è sentito male in auto e che,
addirittura, a me sembra morto. Cosa ne dice dottore, è lei l’esperto qui in
mezzo a noi, può essere accettata questa versione dalla polizia, senza che
questo fatto crei problemi a tutti?”
Sia il medico, sia il “sacerdote” si dichiararono favorevoli a quella proposta
che venne sostenuta anche dagli altri due appartenenti alla setta.
“Sicuramente”, disse Manlio, “come facenti parte di una società segreta che ha
nello spiritismo e nella stregoneria le sue basi ideologiche fondamentali, siamo
tutti chiamati a “giurare” sulla riservatezza di quello che è successo e di
quello che stiamo facendo, pena la “distruzione fisica” di colui o di coloro che
potranno raccontare, a qualsivoglia persona, questo episodio.
Gli associati che sono tornati a casa verranno resi edotti del fatto che il
“tizio” che si era sentito male durante la cerimonia di questa notte, dopo un
oretta passata nella “stanza del riposo”, si è ripreso normalmente ritornando a
casa da solo, mi pare che qui, a parte noi presenti, non lo conoscesse nessuno e
in verità lui si è sempre dimostrato molto accorto, in tutte le “sedute” alle
quali ha partecipato, a non farsi riconoscere. E’ opportuno che procediamo
velocemente, ma senza fretta eccessiva per non commettere errori. Stiamo attenti
nel trasportarlo e nel sistemarlo dentro l’auto, il dottore guiderà la macchina
con Cesira e l’onorevole, mentre io li seguirò per tenere la situazione sotto
controllo, poi riaccompagnerò il medico alla sua auto, e subito ritornerò in
zona per esser pronto ad intervenire nel caso di bisogno. In fondo Cesira si
accolla la maggiore responsabilità di questa operazione, di conseguenza non
possiamo lasciarla sola. Domani ci potremmo trovare in qualche bar in centro per
sentire come saranno le reazioni della stampa e delle indagini della polizia.
Anzi ci diamo senz’altro appuntamento per le ore 11 al bar Nazionale, sotto al
portico del Collegio. Intanto procediamo.”
L’operazione andò in porto come aveva previsto la Cesira, il medico intervenuto
con la croce rossa constatò il decesso avvenuto per un colpo apoplettico,
intervenne anche la polizia che, verificato il referto del medico e, in
considerazione della personalità del defunto, comunicò la scomparsa del deputato
alla Federazione del Partito Comunista Italiano e funzionari dello stesso
intervennero immediatamente e fecero in modo di trasportare subito il cadavere
in una sala al piano terra della sede di Via Ganaceto dove fu allestita una
camera ardente; parenti stretti l’ex partigiano non ne aveva, la compagna
precedente alla Cesira, che era impiegata del Pci, non volle saperne di
partecipare a quella “dipartita” per il fatto che da molti mesi il compagno
Renato Carretti si era legato ad un'altra donna; per quanto riguardava questioni
legali relative alle proprietà del deputato si sarebbe provveduto in un secondo
tempo e, molto probabilmente, quelle sarebbero passate al Partito ed altre, in
considerazione del fatto che alla donna, tempo prima, il deputato aveva fatto
leggere un documento notarile del suo testamento, dove alcune proprietà, mobili
ed immobili, le lasciava a lei.
Già alla mattina, in città, si parlava del decesso improvviso del deputato
carpigiano del Pci, e in tarda mattinata apparvero sui muri, i manifesti listati
a lutto che annunciavano la scomparsa del "valoroso partigiano Bill” che aveva
partecipato “eroicamente” alla lotta contro il nemico nazifascista.
Il gruppetto degli “occultatori” si trovò all’appuntamento al Bar Nazionale dove
già si sentivano commenti su quella “scomparsa”, ma nessuno sembrava conoscere i
fatti come realmente si erano svolti, i cinque si resero conto che la
situazione, “per loro” poteva ritenersi del tutto tranquilla; due giorni dopo si
svolsero i funerali civili con l’ adesione di tutto il “Ghota” del Pci locale,
regionale e nazionale, con la presenza di una folla considerevole e della
partecipazione in prima fila, subito dopo il feretro, della Cesira Losi, che
ricevette le condoglianze da parte dei maggiori esponenti della “nomeklatura”
comunista.
Passarono pochi giorni e la “combriccola” degli ex partigiani della bassa
modenese, già notevolmente assottigliatasi, subì un ulteriore “perdita”. Al
casolare Trebbi arrivò la notizia, da Casalecchio di Reno, che avevano trovato
ucciso, da un colpo di pistola, in un auto alla periferia della cittadina, il
“compagno” Vladimiro, Gino Siena di trentaquattro anni, assieme ad una ballerina
del “night Club Esedra”, tale Vincenzina Maccaferri di ventotto anni, di
Bagnacavallo. Erano stati uccisi con due colpi, sparati dalla stessa rivoltella,
da distanza ravvicinata. La notizia venne comunicata dall’ Arturo Trebbi alla
Cesira, che si motivò per comunicarla all’altro componente del gruppo di Bill,
Romano Bisi che risiedeva a Seregno e che, da poco tempo, aveva cessato di
frequentare con assiduità quei luoghi che, solamente alcuni mesi addietro,
batteva con una certa assiduità ponendo anche “un sacco” di domande relative al
comportamento di molti di loro che avevano avuto “frequenze” al casale.
La Cesira, in quella occasione, ritornò a casa con la giustificazione di andare
a trovare il figlioletto, e quando si trovò al cospetto di Arturo ci fu, tra
loro, uno sguardo di comprensione immediata, mentre si accomodavano attorno alla
tavola per commentare quello che era accaduto in quei giorni.
“Non ti sembra un po’ strano ciò che è successo in questi ultimi tempi?,”
attaccò la vedova del fratello minore dei Trebbi e attualmente vedova di Bill,
“ci sono state una serie di morti sospette che fanno tutte riferimento a questa
casa. Tuo fratello Manlio e il bovaro Marino che si uccidono, il colpo di fucile
durante la battuta di caccia che uccide Plinio, la morte del Comandante Bill,
quella è certamente la meno sospetta poiché ero presente io, ma che potrebbe
diventare tale per gli altri, adesso la fine di Vladimiro, ucciso a Bologna, e
inoltre non ci dobbiamo dimenticare della strana presenza, prolungatasi nel
tempo, di Romano Bisi, il partigiano Blasco che, per troppo tempo, ha fatto
domande a destra e a manca, comprese alla sottoscritta che si è anche
accompagnata a lui per tutto il periodo che è rimasto nelle nostre zone, non ti
viene il sospetto che ci sia sotto, la manovra di qualche persona o di qualche
gruppo.”
“Hai ragione Cesira”, disse il contadino Trebbi, “quando mi hanno comunicato
della morte di Vladimiro questo sospetto è venuto anche a mè, siamo praticamente
rimasti solamente noi tre, di quella lontana congrega, io, tu e quel Romano, di
conseguenza non è detto, se c’è dietro a tutto questo qualche manovra, che non
siamo in pericolo anche noi.”
In quel periodo la questura di Modena, che indagava sull’omicidio suicidio al
casale dei Trebbi, sapendo che a Bologna era vice commissario un modenese che,
si diceva conoscesse bene il territorio e molti avvenimenti successi in quelle
zone, ritenne opportuno servirsi, per le indagini sul caso nel comune di Cavezzo,
di quel giovane: il questore modenese chiese alla questura bolognese l’invio,
del giovane commissario, Giorgio Campari.
Il dott. Gustavo Giovannoni, papà della moglie di Giorgio, diede immediatamente
l’autorizzazione al trasferimento temporaneo del ragazzo a Modena. Gli fu
assegnata una stanza nella sede della questura modenese, al Palazzo
Bonaccini-San Donnino in Via Saragozza, con le finestre che guardavano, dalla
parte opposta della strada, l’ex Caserma “A. Galluppi” dove, nel 1945, aveva
sede la Brigata Nera modenese e dove Giorgio aveva avuto il suo ufficio stampa
ai comandi del dott. Francesco Bocchi, ucciso durante le giornate roventi del
Marzo 1945.
A trovarsi in quel posto a Giorgio vennero subito alla mente i tanti ricordi di
tutti i mesi passati alla caserma “Arturo Galluppi”, i commilitoni uccisi dai
partigiani in quell’ultimo periodo della Repubblica di Mussolini, il
raggiungimento dei suoi diciotto anni in quel “postribolo” di Via Catecumeno, a
poca distanza dalla Questura, chiuso da qualche anno, ancor prima che venisse
emanata in tutta Italia la “famigerata Legge Merlin” che portò alla chiusura
definitiva delle case di tolleranza; gli sembrava di sentire ancora le voci
delle camerate e dei camerati che cantavano le struggenti, irriverenti,
strafottenti, disperate canzoni dell’epoca, che qualche volta negli ultimi anni
aveva sentito riprendere, nei cortei studenteschi della “Giovane Italia”
l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, quando sfilavano per
le strade del centro, sia a Modena sia a Bologna, inneggiando a “Trieste
Italiana”. Erano trascorsi poco più di dieci anni, ne aveva viste e passate “di
tutti i colori”, il pensiero corse istantaneamente alla cara Luisa che, dopo
tutto quello che aveva passato tra persecuzioni e “abbruttimenti” vari, era
riuscita ad avere il cosidetto “colpo di fortuna” nel conoscere e nello sposare
il conte Giovanni Bentivoglio .
Gli venne assegnato, come collaboratore, il brigadiere Enrico La Manna con il
quale entrò immediatamente in sintonia sebbene fosse di oltre dieci anni più
vecchio, assieme si sistemarono sulle due scrivanie e il giorno dopo si recarono
all’Uccivello di Cavezzo per iniziare le indagini sull’omicidio suicidio
avvenuto qualche tempo prima e di cui avevano avuto sul tavolo la relazione,
stilata dai carabinieri di Mirandola subito dopo il fatto.
Al casale, assieme ai due questurini, si radunarono tutti i Trebbi rimasti, il
vecchio genitore Tonino con la moglie Antonia Parenti, il figlio Arturo con la
moglie Marianna Sala. Il commissario Giorgio Campari prese in mano il dossier
stilato dai carabinieri di Mirandola e lo lesse ai presenti, poi chiese al
brigadiere di prendere nota di quello che avrebbero detto gli interrogati.
“Sì, corrisponde a tutto” disse Arturo,”noi eravamo qui in casa, abbiamo sentito
i due spari e siamo subito corsi nella stalla, dove abbiamo trovato i due corpi;
mio fratello Manlio da tempo era molto depresso, si sentiva perseguitato per la
sua situazione di “diverso” e per la “strana relazione” che aveva con l’amico
Marino, inoltre sono sicuro che è stato il diretto responsabile della morte del
partigiano “Balilla”, Plinio Medici, che spesso lo “prendeva in giro” e che
venne denunciato allora come incidente di caccia.”
“Armi ne avete ancora?”, chiese il commissario, “mi raccomando dite la verità
altrimenti sarò costretto a far perquisire casa, stalla, fienile e quant’altro.”
“Assolutamente no, abbiamo consegnato due mitra e tre pistole, compresa quella
con la quale mio fratello ha ucciso e poi si è sparato, ai carabinieri di
Mirandola. Io ero convinto che fossero state consegnate alla fine della guerra,
invece mio fratello le aveva nascoste nel fienile e, in due occasioni, assieme a
”Raffica” le tirò fuori per festeggiare l’ultimo dell’anno sparando in aria, e
poi le nascose e io gli promisi che non l’avrei detto a nessuno. E feci male.”
Così rispose Arturo alle domande di Giorgio.
“Vede commissario” intervenne la signora Marianna, la moglie di Arturo,
“l’episodio della morte del fratello di mio marito sembra abbastanza evidente,
però le devo dire che in questi ultimi tempi, qui sono successi fatti che a mè
sono sembrati un po’ strani. La vedova dell’altro fratello di Arturo, ucciso dai
fascisti nel novembre del 1944, la Cesira Losi, che è sempre stata qui al casale
e aiutava mia suocera nei campi e in cucina, da quando è andata a servizio a
Modena è molto cambiata e, ultimamente, viene di rado a trovare il figlio che
abita con noi, ha comportamenti strani, fa discorsi a volte incomprensibili, in
poche parole sembra diventata un'altra. In più ha avuto una relazione con Romano
Bisi, il partigiano Basco, il quale, dopo essere scomparso da queste zone per
tanti anni è riapparso alcuni mesi or sono girando in lungo e in largo tutto il
territorio con la sua “Topolino” facendo un “sacco di domande” a tutti,
specialmente a quelli che con lui avevano combattuto con i partigiani, voleva
sapere dove abitavano, cosa fecevano e tanti altri particolari, ma in fondo ne
dovrebbe sapere molto di più la Cesira visto che andavano anche a letto
assieme."
“Ma csa vot ca ch’interesa al comissari se i andeven a fer l’amor chi du là,
insam”, (Ma cosa vuoi che interessi al commissario se quei due andavano a far
l’amore assieme) disse il marito cercando di far smettere la Marianna sapendo
che questa non nutriva particolare simpatia per la “sgarzettiera”, come la
chiamava lei.
Giorgio, al contrario, intervenne subito “No, no signora continui pure, anzi la
cosa mi interessa molto e mi dica dove posso trovare questa Cesira e cosa fa; e
di quel Romano cosa mi può ancora dire? E tu Enrico”, disse al brigadiere, “mi
raccomando, scrivi tutto quello che ci ha detto e che ci dirà la Signora.”
“Deve sapere, signor dottore, che la Cesira, negli ultimi tempi, dopo la nuova
scomparsa di Romano, si era unita a Modena con un deputato, anzi con il
deputato, visto e considerato che l’onorevole Renato Carretti, frequentava anche
lui questo casale ed era di queste parti, esssendo stato il comandante del
gruppo di partigiani che avevano la base proprio in questa casa, lo avrà saputo
pure lei, è morto qualche tempo fa, e la Cesira abita a Modena nel suo
appartamento, in città. Lei mi chiedeva del partigiano “Basco”, sò solamente che
veniva dal milanese, ma come ho detto, la Cesira potrà darle maggiori ragguagli.
In più, pochi giorni or sono ci è arrivata la notizia di un altro componente la
banda di Bill che era composta da una decina di individui, uno di loro, certo
Gino Siena, chiamato “Vladimiro” quando faceva il partigiano, è stato
assassinato alla periferia di Bologna.
Le dirò che anni addietro, la Cesira ebbe una relazione con questo “Vladimiro” e
ne restò anche incinta, così mi confidò a quei tempi la “donna del deputato”,
quando eravamo ancora molto amiche, in quanto lei era rimasta vedova del
fratello di Arturo che di lì a poco mi avrebbe sposata.”
Arturo Trebbi, seduto accanto al vecchio padre che non aveva ancora aperto
bocca, diede un’occhiata fulminante alla moglie, mentre interveniva la madre, l’
Antonia Parenti che volle anche lei dire la sua:
“Ai tempi della guerra, signor commissario, qui ne sono successe di tutti i
colori, bastava un niente per essere ammazzati, fascisti, tedeschi, partigiani,
bombardamenti, mitragliamenti, ogni giorno si trovavano ovunque cadaveri che
venivano sepolti alla bene e meglio, io stessa ne ho subito le conseguenze
perché il mio figlio più giovane, che si era appana sposato e aveva avuto, da
soli tre mesi, un bambino dalla Cesira, quello che avete visto quà fuori in
cortile, fu fucilato dai fascisti a Carpi ma noi, in verità, non abbiamo mai
fatto politica e non si parteggiava né per gli uni né per gli altri, ma qui, di
casa nostra, i partigiani, contrariamente alla nostra volontà, ne avevano fatto
una loro base, tenendovi anche dei prigionieri fascisti. Colui che è diventato
deputato era il capo di quella formazione partigiana e qui nei dintorni, sono
stati numerosissimi gli uccisi o “giustiziati”, come dicono loro, dalla “banda
della morte” così come la chiamavano a quei tempi.”
Giorgio disse, tra sé e sé,
“ma guarda bene dove sono venuto a capitare, in una “base partigiana”, e se
questi venissero a sapere che ero allora un “brigatista nero”, probabilmente
ancor oggi me la “farebbero pagare” quella appartenenza, meglio far finta di
niente, anzi veramente queste due donne mi hanno detto tantissime cose, che
bisognerà cercare di approfondire poiché, senz’altro, dietro a tutte queste
uccisioni c’è un disegno portato avanti da qualcuno. Sarà quel partigiano
trasferitosi nel milanese o la “vedovella” che si era accompagnata con il
deputato comunista? Ovviamente questi due personaggi saranno i primi ad essere
ascoltati.”
“E lei signor Trebbi, può raccontarmi qualche cosa d’altro? Pur comprendendo che
dovrà avere molto sofferto per la perdita di due suoi figli,” così Giorgio si
rivolse al vecchio che non gli sembrava molto lucido.
“Ma csa volel c’ag degà, mè a g’hò sol un gran mel a i me os, e an m’arcord
quesi piò gninta, am per ancarà ed vader chel danì chis purteven chè in dla
stala per divertires, ma i feven sol di zog.” (Ma cosa vuole che le dica io sò
solo di averci un gran dolore alle mie ossa e non ricordo quasi più niente, mi
pare ancora di vedere quelle donne che ci portavano qua nella stalla per
divertirsi, ma facevano solo dei giochi.)
Al commissario si accese, per un istante, come una lampadina, che però si spense
subito e il pensiero, sempre per un attimo, corse a Luisa.
“Mi raccomando”, disse Giorgio, “non abbandonate il podere e se avete da
raccontarmi cose che oggi non vi sono venute alla mente siete pregati di
chiamarmi in questura a Modena e io tornerò qui, ecco il mio numero di telefono.
L’indagine non è chiusa, anzi è decisamente ancora apertissima e di conseguenza
molto probabilmente ci rivedrete.”
Giorgio e il brigadiere risalirono in macchina e ripresero la strada per Modena:
“Cosa ne pensa”, chiese Giorgio al brigadiere, “non le sembra che, dopo quello
che ci hanno raccontato, questa storia possa avere ulteriori sviluppi? E cosa ne
pensa della storia della base partigiana?”
“Bene commissario, io ancora non le ho detto niente, ma sono a conoscenza della
sua ex appartenenza alla Brigata Nera durante il periodo tremendo della guerra
civile e le devo confidare che pure io facevo parte, a Bologna, della Guardia
Nazionale Repubblicana e ho visto uccidere tanti miei amici e camerati da gente
come quella che abbiamo appena lasciato in quel puzzolente casolare. Ci siamo
trovati in uno di quei posti ai quali davamo la caccia allora, poiché era lì che
tenevano le armi nascoste, che gli americani lanciavano loro con i paracadute,
era lì, ce lo hanno appena raccontato, che tenevano prigionieri e seviziavano i
nostri camerati, era lì che dopo aver commesso agguati e attentati sparandoci
alla spalle, si andavano a rifugiare, e poi si lamentavano se bruciavamo i
fienili o fucilavamo qualcuno di quelli che ci colpivano da dietro ad una siepe,
mi perdoni commissario questo sfogo, ma prima dentro a quella casa, io fremevo
dalla rabbia.”
“Brigadiere, mi fa veramente piacere essermi trovato con Lei, visto che abbiamo
alle spalle un passato identico, la stessa sensazione l’ho avuta anch’io, per un
momento, però quel tempo è passato, hanno vinto loro e ce l’hanno fatta pagare
molto cara, direi troppo cara, in zone come quella dove ci troviamo ad operare,
comandano ancora loro, sono riusciti ad avere la maggioranza alle elezioni anche
con l’aiuto delle intimidazioni portate con i mitra in case come quella che
abbiamo appena lasciato dove imponevano di votare per il Partito Comunista, e
sono, con questi sistemi, diventati padroni di paesi e città con l’accondiscenza
del potere governativo al quale noi, purtroppo, dobbiamo ubbidire volenti o
nolenti. Ma adesso ci troviamo di fronte a delitti comuni e il nostro compito è
quello di indagare, a prescindere dalle nostre opinioni politiche e a
prescindere da quello che siamo stati a quei tempi. Io, per ritornare alle
storie che, in particolare ci hanno raccontato quelle due donne, sono convinto
che ci sia dietro qualcosa di poco chiaro. La prima iniziativa da prendere
domani, sarà quella di cercare e poi di interrogare i due personaggi sospetti,
la Cesira Losi e il Romano Bisi che, a sentire la moglie di Arturo, sembrano
molto “invischiati” in questa storia, anche se ho notato, da parte della signora
Marianna, molta “acredine” nei confronti della “compagna” del deputato,
muoviamoci con circospezione, appunto per la presenza di un membro del
parlamento, seppure ex partigiano e senz’altro coinvolto, a suo tempo, in
esecuzioni sommarie di nostri ex camerati.”
Il giorno dopo, al mattino, due “questurini” si recarono nella casa del deputato
defunto dove trovarono la Cesira che invitarono a presentarsi negli uffici del
commissario Giorgio Campari, per chiarimenti relativi ai fatti avvenuti al
casale; lei, in realtà, non rimase sorpresa più di tanto da quella visita, ma si
aspettava di dover dare, eventualmente, spiegazioni in merito al decesso del
deputato “suo amico”.
Le dissero che avrebbe potuto fare con calma colazione poiché il vice
commissarrio le aveva fissato l’appuntamento per le ore undici, e a quell’ora la
donna si presentò puntuale negli uffici della Questura dove, dopo cinque minuti
di attesa il brigadiere, Enrico La Manna, la introdusse nell'ufficio di Giorgio:
“Commissario, le presento la signora Cesira Losi, che è residente ancora presso
il casale all’Uccivello di Cavezzo dove ieri siamo andati a far visita
Attualmente, abita nell’appartamento del deputato del Partito Comunista
Italiano, Renato Carretti, defunto da pochi giorni; come lei sà, la signorina
“conviveva”, da alcuni mesi, con il sunnominato parlamentare in quel bel palazzo
di Via Francesco Selmi qui, a due passi dai nostri uffici”.
Giorgio si alzò in piedi per salutare la tanto “discussa” Cesira e la fece
accomodare nella sedia davanti alla sua scrivania, presentandosi come il vice
commisario della questura incaricato di svolgere le indagini relative al caso
dell’omicidio-suicidio del casale. La squadrò ben bene e si accorse che vestiva
con una certa eleganza, abiti di sartoria, scarpe e borsetta di coccodrillo, non
aveva per niente l’aria di una contadinotta della bassa come l’avevano descritta
al casale, anzi appariva come una giovane signora della “buona borghesia”. Si
accorse che pure lei lo stava studiando, e da brava “civetta” com’era, appena
seduta accavallò le gambe e mise in mostra le cosce ben tornite che avevano
sempre fatto “impazzire” gli uomini, tirò fuori dalla borsetta uno specchietto
con la cipria per darsi un leggero tocco sulle guance e per controllarsi i
capelli che erano perfettamente in ordine.
“Signora, come saprà, essendo lei a conoscenza di quello che è avvenuto al
casale Trebbi, ed essendo in rapporti di parentela con uno dei due defunti,
risiedendo in quella località da molti anni, ho bisogno che mi dia tutte le
indicazioni e le notizie di cui può essere a conoscenza relativamente a quelle
persone e a quei luoghi; se non le dispiace dovrebbe darmi le sue complete
generalità e descrivermi i suoi movimenti e i suoi rapporti con tutti gli
abitanti di quella casa di campagna. La pregherei di essere precisa nei
dettagli, mentre il brigadiere qui accanto a noi scriverà, per filo e per segno,
tutto quello che vorrà dirmi. Al termine le verrà riletta la dichiarazione che
dovrà controfirmare.”
La signora si diede una riassettata ai lunghi cappelli castano scuri e, con un
malizioso sorriso sulle labbra, si rivolse al commissario guardandolo
direttamente negli occhi, quasi a sfidarlo.
“Mi chiamo Cesira Losi vedova Trebbi, sono nata a Sozzigalli di Sorbara il 22
Marzo 1924, da fu Gervaso Losi e da fu Carmela Sorrentino, ho sposato Battista
Trebbi nel mese di Settembre del 1944, perché ero rimasta incinta e il mese dopo
è nato il bambino che attualmente ha 12 anni e che lavora al casale con i nonni
dove abbiamo la residenza. Io ho preso domicilio qui a Modena in Via Francesco
Selmi. Mio marito, poco dopo la nascita del bambino, fu catturato in un
rastrellamento dei fascisti vicino a Carpi e lì immediatamente fucilato. Quella
è stata la mia prima vera e grande tragedia, vedova con un bambino piccolo,
negli anni bui del secondo conflitto mondiale.
Ho sempre lavorato al casale dove ero andata ad abitare dopo il matrimonio e lì
sono rimasta lavorando i campi e in cucina assieme alla moglie del capofamiglia.
Dopo alcuni mesi dalla fine della guerra tutti gli uomini, giovani e meno
giovani mi facevano in continuazione delle proposte, tutti mi volevano portare a
letto pensandomi una vedova vogliosa e desiderosa di compagnia, ma io li
rifiutavo e per questo non mi sono mai più voluta maritare, anche se dei
"fidanzati” ne ho avuti, in seguito, molti e, come lei saprà, l'ultimo è stato
il deputato Renato Carretti, con il quale ho convissuto parecchi mesi.
Quando lavoravo al casale, ho iniziato, dopo alcuni anni a venire a Modena a
servizio da un avvocato dove ci sono rimasta parecchio tempo e,
contemporaneamente ho frequentato la scuola serale per prendere la licenza media
ed ora mi stò preparando per il diploma di ragioniera. Attualmente ritorno
raramente al casale poichè mi sono accorta che la moglie del fratello del mio ex
marito non mi sopporta ed è sempre pronta a giudicarmi male, oltre che a
rinfacciarmi, in continuazione, la scarsa presenza con mio figlio, al quale, in
verità, vogliono veramente bene e quasi lo ritengono figlio loro e il ragazzino,
me ne sono accorta, resta più volentieri con gli zii, che con mè.
Indubbiamente qualche passo avanti, lavorando in città, l’ho fatto, sono
riuscita a studiare, frequento gente di una certa cultura e di conseguenza non
mi trovo più a mio agio a contatto con quelli del luogo dove sono nata
L’ultimo periodo poi, con la frequentazione in ambienti di un certo livello,
trovandomi ad essere la donna di un deputato, mi ha dato la possibilità di
“emanciparmi” notevolmente.
“Questa, commissario” disse la donna, che frequentemente incrociava le gambe
lasciando intravedere sempre più le sue belle cosce alle quali Giorgio non
disdegnava di buttare sopra l’occhio, “è, brevemente, la mia vita, ma adesso
penso debba raccontarle qualcosa della storia per la quale sono stata convocata.
Al casale era da tempo conosciuta la relazione “omosessuale” tra il Manlio e il
Marino, e lo stesso incidente di caccia, avvenuto tempo fa, come forse avrà
saputo, è stato un omicidio bello e buono. Manlio non sopportava più le continue
battute e le volgarità che gli rivolgeva il Plinio Medici e per questa ragione
gli sparò a bruciapelo con il fucile da caccia.
Sapevamo che da una qualche parte del fienile, Manlio aveva nascosto delle armi
rimaste dal tempo della guerra quando il casale era una base del gruppo di
partigiani comandati da quello che è poi diventato il mio uomo, il
partigiano-deputato Bill.”
“Mi descriva un po’ la personalità di quest’ uomo che, mi dicono sia morto in
macchina vicino a lei mentre rientravate a casa, per un “colpo apoplettico”,
chiese il commissario alla Signora Losi.
“Certamente commissario, è stato per me un colpo durissimo, eravamo molto
innamorati, stavamo attraversando un periodo veramente felice, avevamo trovato
un rapporto perfetto sotto tutti gli aspetti, sia sul piano culturale sia su
quello, molto importante, della fisicità e della sessualità. Malgrado facesse
frequentemente la spola Roma Modena, cercava di stare con me più che poteva e a
volte mi dispiaceva lasciarlo andare solo a Roma, vista anche l’insistenza con
la quale mi chiedeva di trasferirmi nella capitale dove sono andata con lui
alcune volte, è stata la sua esagerata attività, tra partito, camera dei
deputati, incontri con gli elettori ed anche una sfrenata attività sessuale con
la sottoscritta, a stroncarlo, il suo cuore non ha retto ad un ritmo di vita
così intenso, oltretutto beveva e fumava abbondantemente e a tavola era, come si
dice, “una buona forchetta”.
“Ma ai tempi della guerra com’era l’onorevole?”, chiese il commissario; “lei mi
dice che frequentava il casale e che avete tenuto anche dei prigionieri fascisti
in quel luogo? E Bill come si comportava, a quell’ epoca?
“Beh, in verità io so ben poco di quei tempi, avevo il bambino piccolo e mi
avevano appena ucciso il marito”, cercò di defilarsi la Cesira, che aveva
immediatamente “alzato le antenne” a quelle domande, per non dover raccontare
dei fatti atroci che avvennero in quei luoghi a molti dei quali aveva assistito
o partecipato, in prima persona, “e poi mi tenevano praticamente sempre chiusa
in casa a far da mangiare e a fare le pulizie”.
“Ma è vero”, chiese ancora Giorgio che era passato dal lei al tu con un tono
decisamente più inquisitorio e più duro rispetto all’inizio del colloquio, “che
hai avuto rapporti intensi con alcuni degli uomini che appartenevano a quel
gruppo di partigiani. Ho pure saputo che eri rimasta incinta di quel tale
“Vladimiro”, certo Gino Siena che, guarda strano caso, è rimasto ucciso qualche
settimana fa a Bologna? E poi un altro, che ha frequentato questi posti tempo
addietro e che si faceva vedere a bordo di una Topolino nera con il quale, mi si
dice, hai avuto una lunga relazione e che ora non si vede più?. Dov’è scomparso
questo Romano Bisi, il partigiano “Basco”? Sai qualche cosa di questi ultimi due
personaggi che hanno avuto con te legami molto intimi?”
“Insomma, Cesira, non ti sembra singolare che attorno alla tua persona ci siano
stati, in questi ultimi tempi, un po’ troppi “morti?”: l’incidente di caccia con
la fine di Plinio Medici, i cadaveri dei due “amanti”, la fine triste del tuo
“deputato- partigiano”, l’omicidio del tuo ex amante Vladimiro, la scomparsa di
Romano Bisi, qui, in questura abbiamo cercato di accostare i tasselli di questo
mosaico e ci è nata qualche perplessità. Sono solamente circostanze fortuite o
c’è qualche cosa di più?”
La donna era semplicemente sbiancata in volto e rimase muta a lungo, poi disse
confusamente:
“ma commissario, cosa dice, allora sospettate di mè, ma vuole scherzare, cosa le
hanno raccontato, e di che cosa poi sarei ritenuta colpevole, della fine di
tutti quei poveretti? Ma non diciamo sciocchezze.”
“Cesira, non impressionarti più di tanto, siamo qui solamente per precisare dei
fatti, nessuno ti incolpa, vogliamo sapere quelli che sono stati i tuoi rapporti
con queste persone, non credo che tu possa essere implicata in fatti delittuosi
come questi, ma vedi, l’arma che ha ucciso Vladimiro e la ballerina che era con
lui, proviene da quel piccolo arsenale del casolare e noi della polizia dobbiamo
sapere chi, come e perché ha usato quelle armi che risalgono a oltre un
decennio, ai tempi della guerra, sono rispuntate fuori per eliminare persone
che, per un certo periodo, sono state collegate tra di loro per motivi
ideologici e politici. Tu, a quei tempi, che ruolo avevi, eri una “staffetta
partigiana” o partecipavi alle azioni di guerriglia, hai preso parte ad
attentati, agguati o uccisioni di fascisti o tedeschi?
“Ma cosa dice commissario”, la Cesira, tremante, non sapeva più “che pesci
pigliare” riuscì solamente a balbettare, “io non avevo niente a che vedere con i
partigiani, solo mio marito, a mia insaputa, era in contatto con loro è ha
pagato con la vita quell’appartenenza”
“Ripeto, voglio sapere da te semplicemente quello che sai delle due persone che,
a distanza di anni, sono stati tuoi amanti”, riprese, con un tono più affabile,
il commissario, “da quanto tempo non vedi più Vladimiro oppure avevi
riallacciato rapporti con lui? E del partigiano Basco cosa mi puoi dire di più,
dove abita attualmente e che lavoro fà? Vi vedevate ancora, magari di nascosto,
dopo che ti eri messa con l’onorevole? In poche parole vorrei sapere molto di
più rispetto a quello che mi hai sinora raccontato. Accenditi pure una sigaretta
e bevi un bicchier d’acqua, se poi desideri qualche cosa in più mando uno dei
miei uomini qui sotto al bar e facciamo salire qualche caffè, anche per mè e per
il brigadiere”.
Cesira tolse dalla borsetta un portasigarette d’argento e con estrema lentezza
prese una “Macedonia” chiedendo a Giorgio il permesso per poterla accendere, al
chè il commissario si alzò dalla scrivania prendendo l’accendino da tavolo,
regalo della sua cara Franca e, galantemente si avvicinò alla donna per porgerle
il fuoco mentre lei, da distanza ravvicinata e con fare provocante, lo guardo
negli occhi soffiando contemporaneamente una boccata di fumo sull’accendino per
spegnere la fiamma che, al contrario, ricevette Giorgio in pieno volto. Non
disse niente e aspettò che quella “signora”, che si atteggiava a “femme fatale”,
cominciasse a raccontare particolari più interessanti della sua storia con i due
uomini.
Contemporaneamente “l’interrogata” aveva velocemente fatto mente locale alle
cose da dire e a quelle da non dire, certamente sarebbe stata muta sugli stupri
delle ragazze fasciste al casale e ancor più non le sarebbe uscita nemmeno una
parola per le frequentazioni, con il deputato, alle varie “attività” svolte con
la setta esoterica che avevano frequentato assieme nel palazzo di Piazzale
Boschetti.
“Bene commissario, cercherò di ricordarmi qualche particolare in più delle mie
relazioni con i due ex partigiani della banda di Bill: il primo, Vladimiro o
Gino Siena, come in realtà si chiamava e che veniva da Albareto, vicino a
Modena, cominciò a frequentarmi un anno dopo la fine della guerra, quando venne,
assieme agli altri, per delle riunioni di partito al casale, riunioni
organizzate dal futuro deputato che, si era buttato in politica a Carpi, poi a
Parma, con il Pci.
Vladimiro mi fece subito la corte e io, che dopo mio marito non ero più stata
con nessuno, mi sono lasciata andare, quel ragazzo mi attrasse immediatamente,
anche perché aveva una buona cultura, era gentile e non rozzo e volgare come
tutti gli altri, cominciò a portarmi in giro, andavamo a ballare e al cinema, a
Carpi e a Modena, ben presto cedetti alle sue pressanti richieste e, dopo tre
mesi di frequenza restai incinta, ma io avevo un bambino ancora piccolo e lui
frequentava l’Università a Bologna pertanto assieme, decidemmo che la cosa
migliore da farsi era sbarazzarsi del bambino.
Tramite un amica di Carpi trovammo una di quelle “ostetriche” abusive che, per
un po’ di soldi, procuravano aborti a ragazze sprovvedute come la sottoscritta,
anche quello fu, per me, uno “choc” che, per molto tempo, mi fece tenere
distanti gli uomini. Da allora non l’ho mai più visto, seppi che si era
trasferito a Bologna e che non aveva portato a termine gli studi, nient’altro.
Per quanto riguarda l’arma di cui mi ha parlato lei, sò solamente che qualche
mese dopo la liberazione, i componenti del gruppo di Bill si spartirono
l’arsenale che avevano nascosto al casale e alcune armi toccarono anche al
Vladimiro, gliele ho viste io, anzi fu lui a farmele vedere quando mi portava a
letto a casa sua, ad Albareto. Ma le ripeto, con forza, che non ci fu mai nessun
riavvicinamento.”
“D’accordo Cesira”, proseguì il commissario, “ammettiamo che sia vero quello che
mi dici, ma dovrai dimostrarlo con prove inconfutabili; di quel tizio venuto dal
milanese, cosa ne sai?”
“Non so più niente di lui da quando mi sono messa con il deputato, faceva parte
della squadra comandata da Bill ai tempi della guerra quando, dopo moltissimo
tempo, poco più di un anno orsono, ricomparve al casale con una topolino nera;
girava per tutta la zona facendo domande a destra e a manca, voleva sapere cosa
facevano i suoi ex compagni, cominciò anche a farmi una corte spietata alla
quale subito cedetti, mi accompagnai a lui poiché mi ero follemente innamorata,
anche a me fece moltissime domande. Inoltre scattava fotografie a tutti e a
tanti luoghi, da Carpi a Cavezzo, mi diceva che veniva da Milano, che faceva il
sindacalista della Cgil poi, quando seppe che frequentavo il suo ex comandante,
si arrabbiò e quella fu la ragione del suo allontanamento da me e da questi
luoghi; da allora non ho saputo più niente di lui. Malgrado mi fossi, da subito,
legata molto a Romano, avevo sempre qualche sospetto per il suo strano
comportamento; non mi volle mai dire niente del suo percorso da quando, poco
tempo dopo la fine della guerra se ne andò, per poi farsi rivedere
improvvisamente a distanza di più di dieci anni.
Durante il periodo della “lotta partigiana” veniva spesso, assieme agli altri,
al casale, ma allora non mi degnava di uno sguardo, sapevo che era un tipo
“tosto” e, a parer mio, veniva considerato, il “meno cattivo” di tutto il gruppo
sul quale dimostrava di avere un certo ascendente tanto da esserne diventato il
vice comandante e Bill lo teneva in grande considerazione. Negli ultimi tempi
che rimase in zona partecipò, a Carpi e a Modena, a molte riunioni di partito;
mi dava anche la sensazione di star bene economicamente, andavamo spesso a
pernottare in ottimi alberghi del modenese e qualche volta anche nei migliori
hotel di Bologna, frequentavamo anche buoni ristoranti, a me faceva, di tanto in
tanto, “regalini” di una certa consistenza, insomma, dimostrava di “star bene” e
di avere a disposizione mezzi non indifferenti.
Il commissario, che era rimasto in piedi ad ascoltarla, si dimostrò soddisfatto
dell’interrogatorio, prese dal brigadiere le pagine scritte a macchina e si
rivolse alla Cesira ritornando al lei: “bene signora, per ora è sufficiente, ma
molto probabilmente dovremo puntualizzare alcune cose, si tenga pertanto a
disposizione, adesso se vuole, rileggo quello che ha detto e mi deve fare il
favore di firmare la sua dichiarazione.”
Lei, che si era ripresa dopo le incertezze avute su alcune domande, prese in
mano i fogli ai quali diede uno sguardo complessivo accertandosi che era stato
scritto tutto quello che aveva detto, prese la penna che Giorgio le porgeva e
firmò la sua deposizione.
“Posso andare ora?” disse, alzandosi in piedi mentre si dava una riassettata
alla gonna sgualcita dalla lunga seduta, “certo signora e se le viene alla mente
qualche particolare che non mi ha raccontato, mi telefoni e la riceverò
immediatamente, per ora le porgo i miei ossequi.”
Quando fu uscita, il brigadiere, che sino a quel momento non aveva pronunciato
parola, disse:
“Commisà, mica male chilla guagliona eh!, però a me ha dato la sensazione di
aver taciuto molte cose, probabilmente non sarà responsabile dei delitti, ma
deve saperne molto di più.”
“Certamente” disse Giorgio, “avremo l'obbligo, di interrogarla ancora, ma adesso
dobbiamo cercare quel Romano, vedi di prendere contatti con la questura di
Milano affinchè facciano ricerca in quella Provincia, dell’ex partigiano,
sappiamo che frequenta gli ambienti del sindacalismo rosso, non dovrebbe essere
difficile rintracciarlo”.
Dopo tre giorni venne comunicato a Giorgio che tale Romano Bisi, operaio della
ditta Pneumanova, di Seregno, viveva in quella località e abitava in Via dei
Tessitori 34, era un attivo sindacalista e faceva parte della commissione
interna della fabbrica dove lavorava, non sposato, nulla si sapeva del suo
passato se non che, durante la guerra civile aveva fatto il partigiano nel
modenese.
“Bene brigadiere, domani si parte per Seregno, andiamo direttamente a casa dell’
indagato. Forse è meglio che non ci facciamo vedere sul posto di lavoro,
informiamoci in modo discreto, con una telefonata in fabbrica, dei suoi orari in
modo da arrivare direttamente a casa sua, magari all’ora di pranzo o di cena.”
Così fecero presententadosi a casa di Romano alle ore tredici e l’operaio, il
quale aveva appena finito di mangiare, rimase notevolmente sorpreso sentendo che
i due, apparsi alla porta di casa a quell’ora insolita mentre si preparava per
andare a riposare dopo il turno di lavoro mattutino, erano due agenti della
questura di Modena arrivati appositamente per interrogarlo. Un po’ contrariato
da quell’”improvvisata”, fece ugualmente “accomodare” commissario e brigadiere i
quali, prima di arrivare a Seregno, si erano fermati a mangiare un panino alla
periferia di Monza:
“ci dispiace doverla disturbare a quest’ora,” disse il brigadiere, mentre l’ex
partigiano faceva sedere sulle sedie attorno alla tavola, i due ex appartenenti
alla Repubblica Sociale che si trovavano da “sconfitti” ad indagare e ad
interrogare un “vincitore” che, tra l’altro, aveva sicuramente ucciso non pochi
loro camerati:
“io sono il brigadiere Enrico La Manna e le presento il commissario dott.
Giorgio Campari della questura di Bologna attualmente in forza a quella
modenese, che segue l’inchiesta sulla uccisione di certo Gino Siena, freddato
assieme alla sua amante alle porte di Bologna e col quale lei era in “combutta”
durate gli anni della “resistenza”, oltre ad indagare su di un omicidio suicidio
avvenuto al casale Trebbi in Comune di Cavezzo in Provincia di Modena. Ci
risulta che lei, alcuni mesi or sono, si è intrattenuto a lungo in quel
territorio, che conosceva molto bene per averlo frequentato nel periodo della
guerra civile con il nome di partigiano “Basco”, in qualità di vice del
comandante “Bill”, poi deputato, Romano Carretti anche lui deceduto, sembra per
cause naturali ultimamente, inoltre lei è stato l’amante di tale Cesira Losi, la
quale, negli ultimi tempi, era la “compagna” dell’ onorevole; le risulta giusto
quanto le ho esposto?”
Romano non si era ancora ripreso dalla visita improvvisa dei due poliziotti e a
sentirsi sciorinare quella serie di nomi rimase ancor più perplesso:
“certamente, conosco tutte le persone che mi avete elencato e con tutte ho avuto
rapporti anche abbastanza intensi, però sarà bene che precisi alcune cose”.
“Ecco”, disse il commissario, “siamo qui proprio per questo. La dobbiamo
interrogare relativamente a tutti questi avvenimenti dove la sua presenza è
sempre accertata, in forma diretta o lievemente defilata, ma pur sempre di una
certa fondatezza. La pregherei di non trascurare nessun particolare.”
“La prima cosa che vorrei sottolineare”, ebbe subito a dire l’operaio di Seregno,
“è che il sottoscritto, quel Gino Siena non l’ha mai piu visto dai tempi della
lotta partigiana, e anche in quel periodo non vi è mai stata, tra noi, molta
amicizia, lui non aveva “ben digerito” il fatto che io fossi diventato il
vicecomandante di quella squadra Sap o squadra di azione partigiana come ci
chiamavamo, in quanto si sentiva superiore per il semplice motivo che era uno
studente universitario, mentre io avevo fatto solamente la scuola di avviamento
professionale, anzi in alcune circostanze dovetti fare intervenire “Bill” perché
questo, che si chiamava con il nome di battaglia di “Vladimiro”, si rifiutava di
eseguire i miei ordini.”
“Allora non correva buon sangue tra voi due”, interloquì Giorgio, “questi
rancori sono rimasti anche nel dopoguerra, forse qualche problema di donne,
sucessivamente, è vero che entrambi siete stati amanti della Cesira Losi?”
L’interrogato si accorse che il commissario conosceva molte cose e che
probabilmente aveva avuto le informazioni su di lui dalla Cesira e dagli altri
del casale, e quelle domande che lo cominciavano ad insospettire, cercavano di
incastrarlo e ovviamente, da quel poco che aveva detto, il commissario
dimostrava di avere motivati sospetti su di lui; certamente aveva saputo che era
stato lungo tempo nelle zone del casale a far domande a tanta gente e a
fotografarli; quella sua “indagine” ha messo senz’altro la pulce nell’orecchio:
“come potrò venir fuori da questa situazione”, si disse mentre cercava di
formulare una risposta logica e coerente da fornire ai poliziotti, “le ribadisco
commissario, che quel Vladimiro io non l’ho mai più visto, sapevo che stava a
Bologna, ma nulla di più: nessun problema per quanto riguarda il rapporto che io
ho avuto con quella donna, lui era stato con lei molti anni addietro e lei
rimase anche gravida, mi ha detto, da quel tizio.”
“Ma la Cesira ha rivisto quell’uomo dopo che se ne andò a Bologna? Forse c’è
stato un “ritorno di fiamma? Quest’uomo quando era partigiano, come si
comportava, aveva forse il “grilletto facile”, ha o avete, ucciso i vostri
avversari anche al termine del conflitto?” lo assillò il commissario
rovesciandogli addosso una serie di domande inaspettate.
“Ripeto che con la vedova del partigiano Trebbi, ucciso dai fascisti, io ho
avuto un rapporto intenso a distanza di tanti anni dai tempi in cui ci
scannavamo, commissario anch’io ho avuto una storia diciamo “avventurosa”
contrariamente a tanti miei ex compagni che hanno fatto carriera e che sono
addirrittura diventati deputati al parlamento italiano dove percepiscono
stipendi da “nababbi” senza fare niente. Io non sono più quello di quei tempi,
certo che abbiamo sparato e ucciso, lei mi chiede com’era quel Vladimiro? Era
uno molto cattivo, ne ha uccisi molti, anche senza ragione, gli piaceva fare una
tacca sul manico della pistola per ogni fascista ucciso e le dirò che di pistole
ne teneva più d’una. Non ho nessun rimpianto per la morte di un individuo che
“godeva” quando uccideva e quando vedeva il sangue, ma io con la sua “dipartita”
non c’entro niente”.
“Però le pistole come la sua o le sue, le avevi anche tu”,
“Certo commissario ce le avevamo tutti e quell’arsenale che tenevamo al casale,
se lo sono spartito tutti gli altri, io non ero più in Italia poiché, adesso
glielo posso dire, assieme ad Arturo Aguzzoli, detto “Ultimo”, eravamo andati in
Jugoslavia, e lui è morto là nei campi di concentramento comunisti per
comunisti, dai quali io sono fortunatamete sopravvissuto anche se sono rimasto
in quel paese e poi in Cecoslovacchia per circa dieci anni ritornando in Italia
ferito nel fisico e nel morale. E se attualmente faccio il sindacalista per la
confederazione rossa lo faccio solamente perché l’andazzo in Italia è questo ma
io di comunismo non ne voglio assolutamente sentir parlare.”
“E’ quasi sicuro”, intervenne il commissario ”che la pistola che ha sparato a
Bologna e che ha ucciso quei due, provenga dall’arsenale del casale Trebbi;
abbiamo fatto un indagine e ci siamo accorti che di quella formazione partigiana
siete rimasti solamente tu e il contadino Arturo Trebbi che, in realtà, era più
un fiancheggiatore obbligato che un vero partigiano e se vogliamo, ma anche lei
non era partigiana, la Cesira Losi, tutti gli altri sono morti, e tu, perché
quando sei tornato in quei territori mesi addietro, ti informavi con tanta
insistenza di tutti, e perché fotografavi luoghi e persone? Hai avuto diverbi
con il deputato?, mi hanno detto che andavi alle riunioni di partito con lui a
Modena e a Carpi, avete avuto contrasti politici? Le strade dei componenti la
vostra banda si incrociano in modo incredibile e in continuazione, lotta
politica, donne, a proposito dopo di tè la Cesira si è messa con il deputato,
avete avuto contrasti per questa situazione, ci sei rimasto male perché il
“ricco” ex partigiano “Bill” ti ha “fregato” la donna?”
Romano si rese conto che il commissario l’aveva quasi “incastrato”, lui poteva
negare tutto ma molte tesi del poliziotto avevano la loro validità e per lui non
era possibile portare elementi a discarico della sua posizione. Decise di non
dire più niente. L’unica possibilità di venirne fuori era quella di tirare in
ballo la contessa. Ma aveva giurato e stragiurato che mai l’avrebbe fatto e poi,
quali sarebbero state le reazioni dei suoi “gorilla”, quel tale Marco Campanini
che conosce “vita morte e miracoli” della sua condizione, cosa avrebbe potuto
fargli?
Si rese conto che si trovava in un vicolo cieco e che nell’immediato non
riusciva a trovare una scappatoia tale da trarlo dagli “impicci”.
Il commissario andò a riguardarsi il verbale redatto dal brigadiere al quale si
rivolse dicendogli:
“brigadiere, sulla base di quanto riferitoci dall’ indagato sono costretto a
presentargli il mandato di cattura che abbiamo preparato nel “caso che” e che
abbiamo qui con noi, pertanto invitiamo i suddetto Romano Bisi a seguirci al
commissariato, così evitiamo di far venire il cellulare per trasportarlo in
guardina.”
Gli fecero prepare una valigia con le sue cose personali e dopo avergli fatto
chiudere casa senza mettergli le manette, come aveva proposto il brigadiere, lo
portarono a Milano al commissariato, mentre loro due tornarono immediatamente a
Modena.
Nei giorni successivi il commissario continuò le indagini e ascoltò di nuovo la
Cesira dalla quale non ebbe ulteriori ragguagli relativamente alla sua posizione
circa i rapporti con Romano, ma c’era qualcosa in quella donna che non lo
convinceva specialmente lo strano rapporto avuto con il deputato.
Si ripromise di ritornare al suo ufficio a Bologna onde avere poi la possibilità
di indagare, assieme al collega della questura bolognese, sull’omicidio di Gino
Siena e della sua amante, la ballerina del night, Vincenzina Maccaferri: Di quel
delitto molti sospetti gravavano sulla moglie, ma le indagini erano appunto
state indirizzate su alcuni degli ex componenti della banda del deputato, anche
perché l’arma che aveva sparato, ma che non era ancora stata ritrovata, era
dello stesso tipo di quelle dell’ arsenale di P38, provenienti dal casale di
Cavezzo.
Giorgio e il brigadiere ritornarono a Seregno per cercare di sapere qualcosa di
più delle abitudini e delle frequentazioni di Romano Bisi in quella località, al
sindacato, nei negozi dove faceva la spesa ed ebbero anche un colloquio con il
direttore della fabbrica dove lavorava il carpigiano. Furono ricevuti
nell’ufficio dell’ing. Anselmo Reggianini al quale Giorgio chiese subito:
“mi spiace disturbarla ingegnere, ma stiamo conducendo una serie di indagini su
dei fatti delittuosi avvenuti nel modenese dove potrebbe esservi implicato un
vostro dipendente, tale Romano Bisi: da quanto tempo è qui con voi?, come si
comporta, è vero che fa parte della commissione interna come sindacalista della
Cgil?, vi ha mai creato dei problemi?.”
“Assolutamente no commissario, quell’uomo non ci ha mai dato nessun problema”,
rispose il direttore della fabbrica, “da quando è entrato a far parte di questa
azienda, dietro suggerimento della proprietà, si è sempre comportato bene e
anche come sindacalista è sempre molto corretto, si è fatto anche degli amici in
questa comunità.”
Giorgio, mentre il direttore parlava, aveva cominciato a guardarsi in giro in
quel vasto ufficio quando fu particolarmente colpito da un quadro sulla parete
laterale alla scrivania dell’ingegnere. Una grande fotografia raffigurava la
cara amica Luisa assieme al conte Bentivoglio che aveva conosciuto al matrimonio
sul lago di Como.
“Mi perdoni direttore, ma chi sono i due personaggi di quella fotografia?”,
disse Giorgio interrompendo bruscamente il direttore.
“Sono i proprietari di questa industria, la contessa Luisa e il conte Giovanni
Bentivoglio, scomparso qualche tempo fà in un incidente stradale, attualmente la
contessa è l’unica proprietaria.”
La meraviglia, la sorpresa, la cosa inaspettata era stampata sulla faccia del
commissario che però non fece capire all’ingegnere che conosceva quelle
personalità, ma si limitò a dire: “mi scusi dell’interruzione, continui pure.”
“Certamente, capisco, anche in fotografia la contessa Luisa è una donna che si
fa guardare, non è il primo, seduto in quella sedia, a farmi tale domanda,
purtroppo in questi ultimi tempi, dopo l’incidente del conte uscito di strada
con la sua Ferrari e morto sul colpo, lei si vede qui raramente, in verità, dopo
la disgrazia, la signora si è dimostrata veramente un imprenditrice di grosso
spessore, e nei pochi consigli di amministrazione ai quali ha preso parte si è
rivelata all’altezza della situazione, dando filo da torcere ad imprenditori e
amministratori di grandi aziende con lunga esperienza. Ma torniamo alla sua
indagine, come le dicevo il Bisi è un buon lavoratore e ha raggiunto una buona
posizione in seno al suo sindacato e di tanto in tanto, autorizzato dalla nostra
industria, ottiene dei permessi per recarsi anche a riunioni a carattere
nazionale e, obbiettivamnete, non ha mai creato nessun tipo di problema.”
Giorgio faceva finta di ascoltare, ma ormai il suo pensiero era rivolto
solamente alla Luisa, e non gli fu difficile fare certi accostamenti visto che
conosceva perfettamente i “trascorsi” della contessa. Ormai era talmente chiaro
che i suoi persecutori, dei loro lontani tempi giovanili, erano quelli della
banda di Bill; gli tornò immediatamente alla memoria il racconto di lei in
quell’appartamento a Modena in Via dei Servi dopo l’uscita dalla “casa” di Via
Catecumeno.
Allora, era forse lei “la Mandante?”
Quello che raccontava il direttore della fabbrica di pneumatici non gli
interessava più, la prima urgente cosa da fare era di incontrarsi con la donna
che gli aveva salvato la vita.
Ringraziò il suo interlocutore per le informazioni avute sul conto dell’
operaio, scusandosi per la fretta, ma gli era venuto in mente un impegno
urgentissimo e pertanto dovevano, lui e il brigadiere, scappare il più
velocemente possibile.
“Ma che succede commisà?” fece il brigadiere La Manna, sorpreso
dall’atteggiamento inusuale del suo capo, una volta che furono in macchina.
“Forza Enrico, corriamo a Milano” disse Giorgio al suo brigadiere sempre più
sorpreso dal comportamento del dottore che mai aveva usato con lui un tono così
confidenziale tanto da avergli dato del tu.
La contessa Luisa Bentivoglio Villani, in quei giorni aveva spesso pensato
all’amico Giorgio, ma perché non considerarlo come qualcosa di più? si diceva.
Gli aveva voluto molto bene e sentiva che avrebbe potuto essere ancora
innamorata di lui, ma era felicemente sposato e con un figlio piccolo per cui
meglio tenerlo solamente come amico, anche se si ricordava, con estremo piacere
e frequentemente, i giorni d’amore passati assieme nell’appartamentino in San
Babila e le prendeva, di conseguenza, una grande nostalgia.
Il lutto stretto che aveva portato per oltre un anno in memoria di Giovanni lo
stava superando. Le varie attività, l’industria, qualche ricevimento, il molto
sport, la stavano riportando alla vita con intensità sempre maggiore: le era
tornata vicina l’amica Ginevra, sempre più innamorata di lei e una sera, che era
andata a trovarla nell’appartamentino dove aveva avuto i trascorsi felici con
Giorgio, lasciò che le proposte della bionda amica si facessero sempre più
pressanti; forse un bicchiere di vino in più durante la cenetta che l’amica le
aveva preparato, forse il desiderio di affetto, di contatto umano, di baci e di
carezze, fecero sì di partecipare anche con una certa intensità alla notte
d’amore che passarono assieme. Ginevra non stava più nella pelle, finalmente
Luisa era di nuovo con lei.
Dopo l’ubriacatura di quella notte Luisa ritornò in sé, si accorse però che, da
quel momento, la sua sensualità si stava risvegliando, l’amica l’aveva portata a
ritrovare quelle sensazioni di piacere che, dopo Giorgio e Giovanni aveva
totalmente cancellato; le carezze, il calore che Ginevra le diede anche in
qualche altra occasione non la appagavano completamente, lei non era “lesbica”
lasciava solo fare all’amica, ma quello che desiderava ancora era il “maschio”.
Le capitò, alcune notti, di andare alla ricerca del piacere da sola,
vergognandosi dopo, ma sentendo, nello stesso tempo, la necessità fisiologica
urgente e pressante del dovere trovare la soddisfazione attraverso quel sesso
che, in tempi lontani aveva praticato in eccesso e senza gustarlo mentre, con
Giovanni aveva trovato l’appagamento nel farlo con l’uomo al quale voleva bene e
solamente con lui. Ora però tutto era finito, ma la vita continuava, era ancora
giovane e tutte le volte che allo specchio rimirava il suo bel corpo ancora
integro, come se avesse diciotto anni, si diceva che era un peccato non farsi
accarezzare da un uomo al quale volerci bene, ma dove trovarlo, senza dover
tornare a essere costretta a concedersi al primo o ai primi che ti fanno un
sorriso o una proposta?
C’era stato un momento qualche mese addietro che, quando il suo fidato "guardiaspalle”
Marco Campanini le aveva consegnato il dossier del reduce dai campi di
concentramento jugoslavi, il Romano Bisi, che aveva fatto un ottimo lavoro, in
quanto la relazione era completa di dati e fotografie, e che l’avevano messa
nella condizione di pensare seriamente all’impegno preso con sé stessa quella
mattina di Maggio del 1945 sull’argine del Secchia e dopo le giornate passate
nella stalla, progetto che aveva sul momento accantonato ma sul quale sarebbe
senz’altro ritornata.
In quei giorni le era balzata in testa l’idea di ricompensarlo, quell’improvvisato
detective, con una notte e anche più, d’amore, in fondo essendo stato lui, uno
dei suoi stupratori prima, poi il suo salvatore da morte sicura, oltre ad averla
avviata ad una “specializzazione” che un tempo la rese famosa. Riuscì, a
sopprimere tale desiderio; altri uomini attorno a lei non ne aveva, il fido
Marco, pure essendo un “pezzo d’uomo” ed anche un bel ragazzo non era in grado
di “ascoltare” le sue esigenze poiché, ne era bene a conoscenza sin da quando
l’aveva assunto, era “impotente”, essendo stato ferito alle “parti basse” da una
raffica di mitra sparatagli, quasi a bruciapelo da un partigiano. Tutti lo
avevano creduto morto, ma una volta trasportato all’ospedale fu salvato con il
ricordo però dell’orrenda mutilazione che gli aveva completamente tolto la
virilità, nel fiore della giovinezza.
C’era anche l’autista che la “squadrava” sempre con occhi vogliosi ma non si era
azzardato a farle la benchè minima proposta e poi, a lei non piaceva. Del
“factotum” della casa nemmeno a parlarne, il Trotti era già in età e non
sembrava il tipo interessato alle cose del sesso.
Si disse: “meglio aspettare, e senz’altro un giorno, l’uomo giusto in mezzo a
tanti che l’avrebbero ripresa a corteggiare, sarebbe “saltato fuori”.
Prima di partire per Milano Giorgio, “pescò” nel suo taccuino il numero di
telefono di Luisa e dal commissariato di Seregno fece immediatamente la chiamata
alla quale rispose lo Jacopo Trotti che gli comunicò che la contessa l’avrebbe
trovata alle scuderie di Monza, dove si era recata in mattinata e dove avrebbe
trascorso, con i cavalli, tutta la giornata. In pochi minuti d’auto raggiunsero
le scuderie dei conti Bentivoglio alla periferia della cittadina, esattamente in
direzione di Seregno: all’ingresso della tenuta il custode disse al commissario
che avrebbe trovato la contessa in ufficio dato che era rientrata da poco dalla
cavalcata mattutina, lo fece entrare mentre comunicava alla contessa l’arrivo
del commissario Giorgio Campari che aveva urgente bisogno di parlare con lei;
percorsero lentamente il lungo viale alberato che conduceva alle scuderie e alla
palazzina degli uffici mentre lei, ancora in divisa da cavallerizza, con una
camicetta beige e un foulard, giallo rosso con tema inerente al contesto, con
due stivali lucidissimi che dentro ai pantaloni da equitazione mettevano in
evidenza le sue splendide curve, con il frustino in mano, si fece trovare sulla
porta dell’ufficio sfoggiando un sorriso accattivante, Giorgio scese
precipitosamente dall’auto e, in contemporanea, si “scaraventarono”
letteralmente l’uno nelle braccia dell’altra:
“Giorgio, Giorgio carissimo” diceva Luisa mentre lo copriva di baci, “ma che
piacevole sorpresa, ti giuro che proprio ieri ti ho pensato a lungo e tu,
adesso, eccoti qua, ma c’è forse tra noi anche la possibilità di comunicazione
telepatica? Avevo una gran voglia di rivederti e non mi hai lasciato il tempo di
scriverti o telefonarti che sei già arrivato.”
“Luisa, quanto tempo è passato, ma tu sei ancora più bella. Io non ti ho mai
telefonato dopo la morte di tuo marito poiché mi avevano detto che tenevi un
lutto strettissimo e che hai sofferto molto”.
“E’ vero Giorgio, da poche settimane mi sto riportando ad una vita normale, mi
dedico molto allo sport, come vedi ho appena terminato la mia cavalcata
quotidiana, e spesso vado anche a giocare a tennis, ma per oltre un anno sono
stata praticamente sempre chiusa in casa, ma accomodiamoci in ufficio poi, spero
che rimarrai a pranzo con mè, andiamo qui, poco lontano, dove c’è un localino
dove si mangia molto bene, dimmi di sì subito, che faccio prenotare un tavolo”.
Contemporaneamente Giorgio fece un cenno al brigadiere, che era rimasto
letteralmente stupito da quella scena, nel vedere il “suo” commissario gettarsi
ed essere accolto, tra le braccia di quella bellissima donna, si ritirò pertanto
in disparte spostando la macchina in una posizione defilata, mentre i due
entravano negli uffici.
Si raccontarono vicendevolmente il periodo trascorso lontani l’uno dall’altra
poiché, dopo che entrambi si erano sposati, non ebbero più occasione
d’incontrarsi e solamente in occasione della morte del conte, Giorgio si limitò
ad inviare a Luisa le condoglianze. Le raccontò, cosa che forse lei non sapeva,
che dopo essersi laureato e poi sposato, era entrato alla questura di Bologna e
che, per ragioni di servizio, era stato nella vicina Seregno dove aveva fatto la
scoperta della sua fotografia negli uffici della ditta di pneumatici, nella
quale si era recato per avere notizie di un tizio che, “probabilmente” aveva
conosciuto anche lei.
“Giorgio, sono già le due, penso che anche tu abbia fame come la sottoscritta,
perciò andiamo al ristorantino e continuiamo là i nostri racconti.”
Salirono in macchina e il brigadiere La Manna fece loro da autista, sempre più
meravigliato di quella conoscenza tra i due che denotava qualche cosa in più
della semplice amicizia, senza dubbio “datata” che faceva pensare, oltre alla
conoscenza profonda di un tempo, anche, con molta ragionevolezza, alla
possibilità di un incontro “ravvicinato”, nell’immediato.
Il ristorantino, molto grazioso, era praticamente pieno, tra addetti alle
scuderie ed appassionati d’equitazione che al mattino venivano a cavalcare, poi
si fermavano a pranzo; era stato riservato un tavolo appartato per la contessa
che, ovviamente, lì si trovava in casa propria. Si tennero, mani nelle mani come
due fidanzatini per parecchi minuti e qualcuno, nei tavoli vicini, “sorrise
sotto i baffi” nel vedere la signora contessa, sino a quel momento molto seriosa
e riservata, allegra, sorridente e pimpante, come ai tempi del conte Giovanni.
Mangiarono tranquillamente il primo terminando i racconti delle loro vite negli
ultimi anni, e lei si complimentò quando Giorgio fece vedere la fotografia del
suo bimbo, sebbene negli occhi apparve, in chi la conosceva, un velo di
tristezza che però fece subito scomparire.
“Allora Giorgio, cosa ti ha portato nella mia fabbrica di Seregno che ti ha
permesso di venirmi a trovare così all’improvviso?”.
“Un certo Romano Bisi”, disse di botto il commissario.
Luisa che sino a quel momento aveva avuto costantemente, dal momento del loro
incontro, il sorriso sulle labbra, divenne improvvisamente seria e Giorgio lo
notò all'istante.
“Dimmi, sei qui in veste di commissario di polizia o in qualità di amico?”
precisò la contessa, entrando immediatamente nel tema con decisione e con quella
freddezza acquisita nelle sue frequentazioni con il mondo imprenditoriale.
“Luisa, sgombriamo subito il terreno da qualsiasi malinteso, è stato solamente
il caso a portarmi qui e sono veramente contento di esserci io e non un
commissario di una altra questura, conosco perfettamente il tuo passato e,
quando a Modena ho avuto l’occasione di interrogare alcuni di quei personaggi,
mi è apparso il quadro che tu mi avevi illustrato, le uccisioni dei nostri
camerati e l’orrore che tu hai dovuto subire, non ne ero certo, ma tutto
corrispondeva, io sono venuto qui, già nei giorni passati e abbiamo arrestato,
per i tanti sospetti, quel Romano; questa mattina siamo venuti per cercare
ulteriori indizi sul suo conto quando, dall’ing. Anselmo Reggianini, ho fatto
quella scoperta e, te lo devo dire sinceramente, ho subito avuto il sospetto che
dietro a tutto ci fosse la tua regia, sei tu Luisa la mandante di questa
operazione?”
“Caro Giorgio, ero veramente felice della tua presenza qui a Monza, adesso
invece “ripiombiamo” in quegli anni maledetti. Sì, il Romano Bisi l’avevo
ingaggiato io quando lo trovai a chiedere l’elemosima, come un pezzente, in
Galleria a Milano. Lui era stato uno dei miei “stupratori” in quel casale della
bassa modenese dove mi hanno “usata” per tanti giorni, ma è stato anche quello
che mi ha salvato la vita portandomi via da quell’inferno. Queste cose le sai,
perché te le ho raccontate per filo e per segno e le hai sapute, sempre e solo
tu.”
“Certamente Luisa, non devi assolutamnete preoccuparti poichè ancora, tutto
questo resterà un segreto tra di noi. Però io devo conoscere cosa hanno fatto
quei “signori” della banda di Bill, anche se sono rimasti solamente in due.”
“Sono stata sì, io, la mandante delle indagini: ho dato incarico, al Romano, di
portarmi una relazione particolareggiata di tutti i miei “seviziatori” e lui lo
ha fatto, il suo lavoro, quasi come un detective professionista. Quel dossier
l’ho a casa mia, a Milano, in cassaforte. A quei tempi, feci a mè stessa un
giuramento, avrei dovuto, assolutamente, vendicare le mie camerate violentate e
uccise, e i camerati brutalmente trucidati sotto i miei occhi, oltre a far pagar
loro le sevizie e gli insulti devastanti subiti in quella stalla.
Poi mi sono accorta, avendo avuto in mano le schede particolareggiate di tutti
loro che, in conclusione, ero stata aiutata dal “fato”, il destino aveva
provveduto alla eliminazione di quasi tutti i componenti della banda, sono
rimasti in vita solamente il figlio più vecchio del capofamiglia dei Trebbi,
quell’Arturo, che già a quei tempi mi sembrava una “pasta d’uomo”. Non era
partigiano e con me ebbe solamente un rapporto dovuto al fatto che tutti gli
altri lo aizzavano. Mi accorsi anche che era a conoscenza del fatto che sua
madre, di nascosto, mi portava da mangiare e da bere e non disse nulla. E'
l’'unico del gruppo che si è fatto una famiglia e che, anche oggi, svolge
correttamente ed onestamente il suo lavoro, pertanto a lui non posso
assolutamente portare rancore. La donna, quella Cesira, che avrebbe voluto
uccidermi, a quei tempi, si è rivelata forse, la meno cattiva e la meno stupida
della “compagnia”, ho letto nella sua scheda, che ha cercato di istruirsi e di
migliorare la sua posizione sociale pur “concedendosi” ad alcuni uomini di
quella “combriccola”.
Ho anche saputo, ma questo me lo devi giurare, non lo dovrà sapere nessuno,
tanto meno voi della polizia, che l’onorevole, che avrei voluto distruggere con
le mie mani, poichè fu il primo a stuprarmi sul fiume Secchia e poi a darmi in
pasto ai suoi scagnozzi, è morto di un colpo secco mentre praticava quello che
fece a me, in un “orgia” o in una “cerimonia esoterica”, come le chiamano i
frequentatori della setta alla quale appartenevano Cesira e il deputato stesso.
E tu adesso, mi dici che l’altro sopravvissuto, il Romano, l’avete arrestato e
si trova in carcere.
Ma, per quanto ne so io, di quello che è successo a Modena e a Bologna,
l’operaio della mia fabbrica di Seregno non è responsabile di nulla. Tu mi
dirai, ma come fai a sapere certe cose? Ti dirò, e tu lo sai bene, che i mezzi
non mi mancano, posso spendere a mio piacimento anche cifre considerevoli, ho
alcuni informatori che mi tengono aggiornata di tantissimi argomenti, il mio
uomo più fidato, che mi fa anche da guardia spalle e che proviene dalle file
dove abbiamo militato noi due da ragazzi, riesce ad avere notizie di prima mano
dagli ambienti più impensati.
Vedi Giorgio, in realtà, sono stata solamente una velleitaria che non ha
assolutamente portato a termine quel solenne giuramento; mi sono permessa, in
una sola circostanza, facendomi appunto accompagnare in auto, con i vetri
oscurati, dal mio fidato Marco Campanini, sull’argine del fiume Secchia nel
punto dove, ritengo, si sia svolto il massacro, a gettare alcuni mazzi di fiori,
precisamente nove, tanti quanti sono stati i miei camerati uccisi. Ho fatto un
giro, circospetto e senza scendere dalla macchina, nei pressi di quel casale ad
osservare, da una certa distanza, quella stalla dove ho subito le sevizie nel
1945.
Avevo fatto interessare, per interposta persona, alcuni rappresentati locali dei
partiti vicini alla destra compresa la signorina Lina Grandi, rappresentante nel
modenese dell’Associazione Nazionale Caduti e Dispersi della Rsi, onde ottenere
le autorizzazioni per erigere un cippo, a ricordo di quei poveri caduti; avrei
provveduto a costruirlo a mie spese, ma mi è stato detto che è impossibile, i
rappresentanti dei partiti che dominano quei territori, i “capoccioni” delle
organizzazioni partigiane, i rappresentanti di quelle sindacali, insomma tutti
coloro che tengono sotto pressione e con un arroganza degna di tutti i regimi
stalinisti e comunisti che imperversano sul nostro pianeta, che mai e poi mai si
dovranno ricordare coloro che si sono schierati a difesa delle idee del
nazifascismo, sconfitto dalle “eroiche forze partigiane”. Questa è stata la mia
responsabilità in tutta quella operazione, mi spiace che Romano sia finito in
carcere per avere eseguito i miei ordini. Così sono andate le cose.
Devo inoltre comunicarti che il dossier che mi aveva presentato Romano è al
momento chiuso nella mia cassforte a Milano, e appena rientro lo distruggerò”
Avevano finito il pranzo, Luisa con un cenno fece capire a Giorgio di non
provare nemmeno a chiedere il conto al cameriere, si alzarono e uscirono dal
locale, l’una sottobraccio dell’altro. Anche il brigadiere quando li vide uscire
si alzò dal suo tavolino, che si trovava dalla parte opposta, per avvicinarsi
alla macchina parcheggiata a pochi metri dal locale onde far capire al
commissario che era giunta l’ora di ripartire.
“Carissima Luisa, sono veramente soddisfatto per queste ore passate in tua
compagnia e anche per la soluzione della tua posizione nell’indagine che il capo
di gabinetto ha messo nelle mie mani, adesso dovrò rivolgermi al magistrato per
ottenere il rilascio immediato del Romano Bisi che, da quasi due mesi, si trova
nel carcere di San Vittore. Devo però partire subito per Modena, ci sentiremo
presto, ma non per parlare di questa storia.” Così il commissario salutò quella
“bella donna” della quale, a suo tempo, era stato, malgrado tutte le
perplessità, veramente innamorato.
Si abbracciarono calorosamente, a Luisa venne il desiderio di baciarlo sulla
bocca, ma riuscì a fare un passo indietro, continuando a mandargli i baci con la
mano mentre lui risaliva in macchina.
Arrivarono in Questura a Modena nel tardo pomeriggio per esaminare le scartoffie
giacenti sulle scrivanie e con il brigadiere decisero di rinviare il loro esame
al giorno successivo che avrebbero dedicato ad esaminare, assieme al magistrato
Aldino Aldobrandini titolare dell’inchiesta sui fatti del casale di Cavezzo, per
cercare di far rilasciare immediatamente l’ex partigiano Romano Bisi,
ingiustamente detenuto a Milano.
La mattina dopo, arrivò in ufficio una telefonata da parte del magistrato Aldino
Aldobrandini, a convocare immediatamente il commissario per comunicazioni
urgenti. Giorgio si dimostrò sorpreso rivolgendosi al brigadiere La Manna:
“Ma come, è già venuto a conoscenza del nostro viaggio a Seregno? chi può averlo
informato con tanta velocità? In ogni caso andiamo pure.”
Il magistrato, cordialissimo, fece entrare immediatamente i due nel suo ufficio:
“Carissimo commissario e caro brigadiere, benvenuti, accomodatevi pure poiché
devo comunicarvi due importanti notizie che praticamente ci mettono nelle
condizioni di chiudere definitivamente l’inchiesta che vi avevo affidata”.
Giorgio e il brigadiere si lanciarono uno sguardo interrogativo.
“Ieri l’altro mi hanno informato, da Milano che, nel carcere di San Vittore,
hanno ucciso il nostro inquisito, Romano Bisi. I fatti sarebbero successi in
questo modo: due mesi orsono ancor prima che il “nostro” venisse condotto in
quel carcere, fu accoltellato, durante una specie di regolamento di conti, nel
braccio dei politici, il noto esponente “neofascista” Enrico Soncini, iscritto
prima ad Ordine Nuovo poi al Msi e, in precedenza appartenente al gruppo facente
capo all’onorevole Domenico Leccisi, il trafugatore della salma di Benito
Mussolini; era spesso al centro di risse sanguinose con i “rossi”, questi si
sono vendicati e come vi dicevo, settimane addietro, in una decina lo hanno
affrontato durante l’ora d’aria colpendolo con una serie di coltellate mentre
gli gridavano, più volte, “sporca carogna fascista”.
Due giorni fa la vendetta dei “neri”, tre di questi, durante la passeggiata in
cortile si sono avvicinati al Bisi che tranquillamente stava passeggiando con un
altro sindacalista suo amico, ma con molti precedenti per risse con gli
avversari politici. Quasi sicuramente il bersaglio era questo Mario Spallanzani,
e con una scusa banale, forse la richiesta di un fiammifero, hanno
impovvisamente sferrato una coltellata al ventre al malcapitato modenese, subito
seguita da altri due colpi mortali al petto mentre gli urlavano: “muori
comunista di merda”.
Giorgio e il brigadiere si guardarono di nuovo esterefatti, poi il commissario,
ex brigatista nero, disse:
“Pensi, signor Giudice, che siamo tornati proprio ieri pomeriggio da Seregno
dove ci eravamo recati per ulteriori indagini su quel poveraccio e avevamo
appurato, tramite anche una testimonianza sicura, che quell’uomo non aveva avuto
responsabilità alcuna in nessuno dei fatti che gli venivano imputati.”
Mentre il magistrato chiudeva la cartella relativa alla banda di Bill, rispose a
Giorgio:
“Oltretutto, commissario, mi hanno comunicato, dalla Questura di Bologna che il
caso di quel Gino Siena, collegato agli episodi di Cavezzo, si è risolto con la
piena confessione della moglie dell’uomo, la quale, “ròsa” dalla gelosia, aveva
seguito per mesi il marito “fedifrago” e con la pistola P38, detenuta
illegalmente e proveniente dall’arsenale del casale, aveva sparato ai due amanti
sorpresi in macchina mentre “facevano all’amore”, alla periferia di Casalecchio,
e subito dopo lei si è liberata dell’arma gettandola nel fiume Reno. Possiamo
ben dire che il caso si è definitivamente chiuso con un improbabile colpo di
scena.”
Ritornato in ufficio Giorgio ritenne opportuno comunicare all’amica Luisa la
scomparsa del suo operaio; prese carta e penna e scrisse:
Cara Luisa,
appena rientrato a Modena, dopo le belle ore trascorse nel maneggio di Monza,
dove abbiamo avuto la possibilità di chiarire la tua posizione a proposito delle
vicende del casale in Comune di Cavezzo, a te tristemente noto, devo nuovamente
mettermi in contatto con chi si è trovata al centro di sospetti ingiustificati.
Innanzitutto per comunicarti che la storia è definitivamente terminata, anche se
la conclusione è avventuta in tragedia: il tuo, come lo chiamavi,
stupratore-salvatore è stato ucciso pochi giorni fà mentre era detenuto nel
carcere di San Vittore.
Indirettamente, la responsabilità di quella tragica fine spetta a noi due: tu
l’hai inviato nel carpigiano per effettuare l’inchiesta sui suoi compagni di
violenze e di uccisioni, il sottoscritto che, dopo gli interrogatori pressanti,
lo ha costretto a non tradirti e di conseguenza a farsi arrestare, è stato il
responsabile della sua carcerazione.
Purtroppo sono gli ultimi sussulti della guerra civile nella quale ci siamo
trovati ad essere protagonisti sfortunati, il Romano Bisi, comunista, che ha
ucciso tanti fascisti a sua volta è stato ucciso dai neri in carcere, il suo
destino era segnato, tanti anni aveva passato nei campi di concentramento dei
paesi comunisti per venire a concludere la sua esistenza in un carcere italiano
e per mano di quegli uomini che aveva perseguitato con estrema violenza nel
dopoguerra.
Spiace solamente prendere atto che, responsabilità nei delitti di questi ultimi
tempi, lui non ne avesse avuta alcuna. Anche il caso del suo compagno partigiano
ucciso alla periferia di Bologna si è risolto proprio in questi giorni: la
moglie di Vladimiro ha pienamente confessato il duplice omicidio dovuto a pura
gelosia.
Luisa, per entrambi si chiude la lunga parentesi della guerra civile, tu hai
avuto per tanti anni il pensiero fisso sul come avresti potuto vendicare i
nostri camerati dopo lo scempio al quale avevi assistito sull’argine del Secchia
e dopo aver subito una devastante violenza, trattata peggio di una bestia.
Quella operazione non hai avuto la possibilità di metterla in atto, ugualmente
la vendetta si è consumata, dei tuoi violentatori, dei tuoi persecutori non
esiste più traccia, qualcuno in qualità di giudice supremo al quale nulla
sfugge, ha voluto provvedere, seppure in un arco di tempo superiore ai dieci
anni, a fare quella giustizia che avevi pensato di mettere in atto in prima
persona.
Io ritorno domani nel mio ufficio di Bologna e avrò così la possibilità di
restare più vicino alla mia famiglia e seguire con sempre maggiore attenzione il
mio piccolino che speriamo possa crescere in un mondo migliore e con meno
cattiveria rispetto a quello che noi abbiamo vissuto, con la speranza che mai
più si possa rivedere una così tragica guerra tra fratelli come quella nella
quale noi siamo stati, volenti o nò, protagonisti.
Cara Luisa, riprenditi dalla scomparsa dell’uomo che ti ha fatto cambiare vita,
riprendi a vivere come puoi farlo solo tù, fallo per Lui e un pochino anche per
mè. Spero veramente di rivederti e riabbracciarti, di tanto in tanto.
La nostra rimarrà, per sempre, un amicizia indistruttibile.
Ciao, Giorgio.
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