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Nel corso degli anni che vanno dal 1939 al 1941 i nazisti attuarono
un programma di "emigrazione forzata" degli ebrei verso
est, che trovò la sua attuazione con l'istituzione dei ghetti.
Il primo ghetto di grandi dimensioni fu quello di Lòdz aperto
nell'aprile-maggio del 1940, che raggiunse i 200.000 abitanti in
un'area di 4,14 chilometri quadrati e una media di circa sei abitanti
per vano. Nel novembre del 1940, venne istituito il ghetto di Varsavia,
il più grande d'Europa, con 470.000-540.000 ebrei rinchiusi
in una superficie di 3,36 chilometri quadrati con una densità
di persone per vano variabile da sette a dodici. Altri ghetti di
minore ampiezza furono quelli di Cracovia, Lublino , Radom, Czestochowa,
Kielce, Lwow, Bialystok e altri di minori dimensioni che vennero
ad aggiungersi negli anni successivi.
Una volta effettuati i trasferimenti, i tedeschi circondavano il
quartiere ebraico con un recinto guardato a vista. In pratica nel
ghetto gli ebrei erano fisicamente prigionieri; continuavano a portare
segni di riconoscimento (la stella gialla o il bracciale bianco
con la stella di David) e la sera, dopo il coprifuoco, dovevano
rimanere chiusi nelle case. Fin dall'inizio il più grave
problema dei ghetti fu la fame; l'altro grave problema erano le
malattie, che seminavano migliaia di vittime.
Prima che cominciassero le deportazioni di massa, dai ghetti ai
campi di sterminio (il ghetto, infatti, fu visto fin da subito come
soluzione provvisoria) molti ebrei erano già morti: 83.000
a Varsavia, 45.000 a Lòdz. Nei ghetti, più ancora
che nei campi di concentramento e sterminio, i bambini e i ragazzi
rappresentavano la popolazione ebraica più esposta alle malattie,
alle torture e alla morte. |
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