Il Cavaliere Nero a Napoli

Ovvero… il paladino dei poveri e “l’arte di arrangiarsi”

 

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Nota:

ringrazio Fiammetta per la simpatica idea che ci è balenata passeggiando per villa Borghese in uno splendido venerdì, e la mia amata città di Napoli per l’ispirazione!

 

Dopo la disavventura nella capitale, il cavaliere nero prende una decisione: “Cara Rosalie, qui a Roma è davvero difficile per un onesto ladro fare il proprio lavoro. Ho deciso di fare un tentativo a Napoli. Ma prima di trasferirci là, ci faccio un viaggetto per vedere com’è l’ambiente”.

Bernard decide di partire di sera per avere tutta la giornata successiva a disposizione, ma visti i problemi creati a Roma dal suo fido destriero e saputo che a Napoli corre gli stessi rischi, sceglie di partire in treno.

“Tanto per cominciare – pensa – faccio il biglietto più economico. Ecco, questo diretto delle 8:15 mi sembra ottimo. Magari ci guadagno anche qualcosina”.

Mai considerazione fu più erronea! Il povero Bernard non avrebbe mai pensato di trascorrere tutto il viaggio in piedi, pigiato come una sardina, tra ragazzi che lo guardano con curiosità, signore di mezza età che gli lanciano occhiate languide e il solito venditore ambulante che, con un tempismo straordinario, mentre gli passa puntualmente sui lucidi stivali neri con in mano la sua conca azzurra piena di bibite, gli strilla nell’orecchio “Acqua, coca-cola, panini, acquaaaaaaaa!”.

Dopo l’estenuante viaggio, il poverino arrivato alla stazione cerca di trovarsi un alloggio: sbirciando sulle guide di Napoli in edicola scopre che c’è un Palazzo Reale.

“Ecco, quello è il posto che fa per me – pensa – tanto ormai sarà disabitato!”.

S’informa su come raggiungerlo e sale sull’R2, l’autobus notoriamente più affollato della città partenopea. Bernard sente la gente parlare in un strano idioma e guardarlo in modo ancora più strano, quasi compassionevole.

Chiede ad una signora: “E’ questo il palazzo reale?”

E lei: “Guagliò, ‘o palazzo reale è chisto, ma… puveriello, staje vestito a lutto, t’è morto quaccheduno?”

Subito nell’autobus si sparge la voce e tutti i viaggiatori, dimentichi di scendere, cominciano a consolare il giovane: “Oh maronna, che peccato, che bellu giovane!”

“V’è morta ‘a mugliera? Uh comme me dispiace!”

“Giovanotto, venite con me, vi accompagno a prendere un caffè!”.

Bernard, sempre più frastornato, sta quasi per mettersi a piangere quando –ripresosi- ringrazia tutti per l’interessamento e scende in piazza Trieste e Trento[i].

“Bene, bene – pensa, ancora un po’ scioccato – qui c’è anche un bel teatro come si deve, potrò lavorare un bel po’”.

E, scavalcata la cancellata, si introduce furtivo nel luogo più nascosto e inaccessibile della reggia: l’Ufficio Informazioni Turistiche!!!

Trascorsa la nottata, il nostro eroe esce dalla sua dimora improvvisata (portando con sé saggiamente una piantina della città) e si dirige verso il bar più vicino per fare colazione.

Il cameriere, prima di servirgli il cappuccino, lo squadra dalla testa agli stivali e, ammiccando al suo collega dietro il banco, fa “Scusate, voi siete uno dei cantanti lirici del San Carlo, vero? Che spettacolo date oggi? Ci fate sentire un’anteprima?”

“Ja[ii], per favore – interviene l’altro cameriere incitando tutti gli avventori a richiedere l’esibizione - la colazione gliela offriamo noi!”.

Vistosi all’improvviso circondato, Bernard pensa bene di rifugiarsi nella toilette del bar per poter uscire, indisturbato, dalla finestra!

“Beh, come inizio è un disastro, speriamo che il resto della giornata vada meglio!”

Indeciso sul da farsi, il nostro cavaliere nero ferma un’anziana signora per chiederle quale sia la strada più famosa della città, pensando di trovarci gioiellerie e gente facoltosa a passeggio.

“Eh, la più famosa è via Roma, dovete percorrerla tutta fin giù a piazza Borsa!”

Ringraziatala, Bernard si ritira in un vicoletto ed apre la sua piantina, alla ricerca di via Roma.

Dopo una buona mezz’ora di ricerche (con la piantina resa ormai inutilizzabile dalla pioggerellina proveniente dai panni stesi nel vicolo), ormai sfiduciato, decide di chiedere aiuto a un passante e apprende che via Roma ufficialmente (sulla carta) corrisponde a via Toledo, e piazza Borsa a piazza Bovio. Deluso e anche un po’ incazzato, abbandona la piantina e decide di fare di testa sua.

“Oh, finalmente un po’ di turisti a passeggio! Li seguirò, sicuramente ne uscirà fuori qualcosa!”

Seguendo la folla in una soleggiata domenica di dicembre, Bernard si ritrova in uno strano quartiere dove si vendono solo statuine e casette per il presepe[iii].

Cerca di affiancare qualche gruppo di turisti e riesce a raggranellare qualche euro e qualche collanina, ma a un certo punto la folla è così tanta che non riesce più a divincolarsi e, con i piedi sollevati da terra, è costretto a seguirne il flusso. Si sente toccare, spingere e tirare da tutte le parti, e pensa sconsolato che al rientro a casa Rosalie lo rimprovererà con le (immancabili) lacrime agli occhi di aver sgualcito e sporcato la sua bella tutina, che le toccherà per l’ennesima volta lavare e stirare.

“Beh, questa è la volta che mi compro un paio di jeans!” pensa desolato.

Arrivato in una piazza riesce a farsi largo tra la folla e soddisfatto si guarda nelle tasche: ma quale amara sorpresa quando si accorge di averci soltanto, per un miracolo tipicamente napoletano, pastori e pecorelle di plastica e –ahia!- pure un legionario romano con tanto di gladio, finito chissà come nella biancheria intima!

“Ma insomma, che deve fare un povero ladro politico per campare!” urla Bernard, e disperato si siede su marciapiede a piangere (pensando anche alla cara mogliettina che lo aspetta a casa).

All’improvviso sente un tintinnio di monete davanti a sé ed apre gli occhi: un tipo sulla quarantina, basso e tarchiato, con giubbotto bomber in similpelle e un berretto di lana calato sugli occhi gli fa “Guagliò, io so’ disoccupato e m’arrangio pe’ campà, ma aggia aiutà chi sta chiù peggio ‘e me! Sient’a me, jammece a piglià nu café!”

 

 

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[i] Una delle piazze più belle del centro di Napoli, circondata dal palazzo reale, dalla galleria Umberto e dal teatro San Carlo.

[ii] Per chi non mastica molto il partenopeo: “Ja” è un’abbreviazione di “jamme” ed è un’esortazione, che sta per “suvvia, andiamo!”

[iii] Trattasi di “Spaccanapoli”