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Parte I

La notte dei pugnali

 

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Strade buie e fumose, schiamazzi e sussurri in agguato dietro ogni angolo. Un gatto miagolò e fuggì via, un’immagine indistinta che sfrecciava sul baluginio della luna nelle pozzanghere. Uomini parlavano, parlavano, parlavano, bestemmiavano in un odore di urina e carne bruciata che pungeva la gola in zaffate continue. Sentì il suono dei suoi stivali che attraversavano una pozzanghera, forse la suola era leggermente scollata pensò, sentendo l’acqua sulla pelle, ma non si fermò. Schivò un ubriaco che correva cantando al buio. Chinò il viso di fronte a una donna adorna di veli e medaglie che splendevano di leggera luce lunare. Proseguì.

Nella notte il disperato St. Antoine alternava silenzi da sepolcro a strida infernali. Da un mondo di morti scheletriti sulle soglie di abitazioni fatiscenti alla terra dei diavoli dal viso deformato dal bere, dalla rabbia, dalla lussuria disperata senza amore né gioia. Lo sapeva bene. Ma nell’alternarsi d’ombra e lumi oleosi, mischiandosi ad uomini e donne senza speranza, continuò a seguire il lembo di una gonna di pizzo rosso che scivolava fra il fango e la polvere.  La luna riluceva di tanto in tanto sui capelli chiari sparsi su uno scialle nero. Ondeggiavano ad ogni passo. Veloce nel buio come se vedesse, pensò lui che al buio si stava abituando.

Urtò un uomo che gli gridò parole rauche incomprensibili con un alito da carogna e il lembo color fuoco sfuggì rapido in un lampo dietro un angolo. Allungò il passo col cuore in gola e la rivide che percorreva un viottolo segnato solo dalla luna. Un marmocchio in un angolo implorava e suonava un tamburo, strinse i denti e proseguì.

 

“Non cambierò idea” gli aveva detto. “Tu stanotte hai un turno di guardia e ti garantisco che lo rispetterai. Questa è una faccenda che devo sbrigare da sola”.

“Come credi di fare?” le aveva chiesto, pronto a contraddirla, ma lei non aveva voluto rispondere.

“Posso farlo da sola. Non ho voglia di riprendere questo vecchio discorso” aveva detto con la voce leggermente alterata.

“Vuoi usare quel vecchio trucco?” avrebbe voluto chiederle, ma non osò. Fece di peggio: “È troppo pericoloso… tu non ti rendi conto…” disse.

“Basta André. Per favore” lo aveva interrotto seccata, congedandolo. Lui si era trattenuto dallo sbattere i pugni furiosi su quella scrivania piena di scartoffie, sotto quello sguardo così inflessibile che dubitava a volte potesse essere il suo; ma uscendo, mentre si teneva nel petto un tornado di rabbia, aveva sussurrato “Stupida” e si era chiusa la porta alle spalle. “André!” l’aveva sentita gridare, ma non lo aveva raggiunto per fargli ingoiare quella parola.

 

Un uomo allungò la mano e afferrò il braccio sottile che si intravedeva sotto lo scialle nero. “Ehi bella. Bella, vieni da papà! A quanto me la dai?” soffiò nel buio.

“Dipende. Tua madre quanto si fa pagare?” rispose una voce femminile perentoria, che nessuno degli astanti avrebbe immaginato abbinata a una chioma voluttuosa, sparsa sul nero dello scialle, come quella. Un coltello scintillò sotto la gola dell’uomo senza più parole e la baldoria dei compagni si fece più tiepida.

“Vedi di lasciarmi in pace” disse senza espressione la voce di donna. Non prometteva nulla di buono. Tutti tacquero e si allontanò nell’ombra, con la gonna che ondeggiava sulle pozzanghere di pioggia del giorno prima.

“Se continui così ti scambieranno col pazzo omicida…” le sussurrò mentalmente André, tentando di starle dietro mentre si muoveva per i vicoli come un felino in gabbia.

“Vecchio trucco del travestimento… e questa volta non posso aiutarti. Ma a cosa serve travestirsi da donna di malaffare se non se ne conoscono e non se ne apprezzano le maniere e la classe?”.

Le aggrediva nel buio a St. Antoine. La storia andava avanti da mesi e la guardia metropolitana non poteva più tollerarlo: vantava una teoria di fallimenti che faceva illividire dalla rabbia e dalla vergogna il generale Bouillé.

La vide alzare il passo, leggerissima, sulla punta dei piedi con la gonna tirata sopra le caviglie. Gli fece un effetto stranissimo e si fermò a chiedersi se quell’immagine, nel buio che pian piano lo avvolgeva, non fosse un sogno. Un gruppo di uomini intonò un canto volgare con voce impastata. Pensò che quella notte non avrebbe bevuto per nulla al mondo. Alla luce di una lanterna si trovò di fronte il viso di un ragazzo con una cicatrice rossa, fresca, che gli attraversava il viso e che cantava disperato. Non distolse lo sguardo, anche se gli fece paura perché pensò a se stesso. Si chiese se anche quel ragazzo la mattina si domandasse perché davanti a quell’occhio opaco. Corse più veloce nel tratto illuminato, per fuggire ai pensieri. La raggiunse e le afferrò un polso. In un istante sentì una punta tagliente posata sullo sterno, ma il ferro si fermò là, senza parole. Capì che lo aveva riconosciuto e non fiatava; e che si chiedeva come diamine avesse fatto a saltare il turno di notte per trovarselo di fronte nel labirinto di St. Antoine. Probabilmente nessun altro l’avrebbe mai riconosciuta, vestita così, con una maschera di velluto che le copriva metà del viso, come facevano le cortigiane annoiate in cerca di sesso nei vicoli di Parigi; ed ebbe la pretesa che neanche lui l’avesse riconosciuta. Sarebbe stata una scusa per liberarsene senza necessariamente mandarlo al diavolo, dal momento che la sua presenza lì la innervosiva e la faceva sentire più debole con quegli abiti addosso.

“Dove correte madame?”.

“Non vi deve interessare…” rispose sottovoce, fingendo un accento del sud.

“Cosa cercate madame?” la incalzò, stringendole il polso e spingendola contro un muro, indispettito, intenzionato a farle prendere una paura tale che le facesse passare la voglia di continuare quella farsa. Avrebbe preferito che lo ritenesse uno schifoso, che lo odiasse piuttosto che vederla rischiare la vita in quel modo stupido, sfidando il buon senso per catturare un assassino malato di mente.

“Di certo non voi! Monsieur… aspetto già qualcuno” rispose sfacciata e sentì la mano che le forzava il polso e quasi la bloccava. “Vi ho detto di lasciarmi!” sibilò, senza affondare la lama del pugnale che aveva già riposto, e riuscendo a sfuggirgli quando lui ebbe paura di farle male e allentò la presa. Corse rasente al muro, reggendo la gonna ingombrante e trattenendosi dal gridare “Idiota di un André… ma tornatene a casa!”. Le stava alle costole, non si voltava per non perdere tempo, ma sentiva il suo respiro che la seguiva nella corsa. Imboccò viuzze buie e contorte giurando che gliel’avrebbe fatta pagare, quando pensò di averlo distanziato rallentò per prendere fiato.

“La puttana di prima! Quella che voleva uccidermi!” gridò la voce roca dell’uomo contro cui aveva puntato il coltello. Era con altri uomini che le corsero incontro fra le grida “E se è lei che ammazza le donne? Ehi… prendiamola… prendiamola… scappa! Sta scappando!”.

Li vide neri e sbrindellati come angeli deformi che le correvano incontro sollevandosi dal suolo; non riusciva a correre quanto voleva, perché per lo stupore il fiato le mancava.

Tutto si fermò quando uno sparo violento nel cielo fece tacere ogni suono e cessare la corsa; si sentì prendere per un braccio e trascinare da parte.

“Suvvia monsieurs! È solo una cortigiana che si vuole divertire un po’ per le vie di Parigi… come pretendete di farla contenta senza un po’ di tatto, un minimo di classe… Non è il caso di stupirsi che non sia accondiscendente” osservò pacata una voce maschile a lei nota. Riprese fiato, arrendendosi al braccio che la cingeva e pensò “Me la pagherai… me la pagherai lo stesso André, cosa credi?”. Non disse niente e vide gli angeli sbrindellati ritirarsi titubanti di fronte alla bocca fumante della pistola. Gli avrebbe gridato nei timpani fino a tramortirlo quando vide che lanciò a quei morti di fame delle monete e lo sentì dire, come un damerino qualunque, “Lasciateci in pace. Ci penso io”. Dio, quanto le aveva ricordato Fersen così! Ma non disse nulla e le venne da piangere, perché se lo ricordava, lo ricordava ogni giorno quel giorno. Lì poche svolte più in là a St. Antoine l’aveva capito: aveva capito che lo amava nel terrore più cieco e lo aveva gridato sul viso di Fersen fino a non sentire più, fino a credere che le sanguinasse la gola.

“Via!” le disse e la trascinò con sé reggendola per un braccio, distraendola da quelle immagini. Lo seguì e pensò che erano lì insieme nonostante avesse voluto tenerlo lontano, perché si dava ogni giorno la colpa di quel che gli era successo quando a tutti i costi aveva voluto aiutarla contro il cavaliere nero.

Si trovarono in un viottolo a scale che portava ad uno scantinato e lei riconobbe quel posto ed ebbe di nuovo voglia di piangere, ma stanca si divincolò e si appoggiò al muro.

“E allora…?” le chiese intrappolandola con le mani posate sul muro e prendendo fiato vicino al suo viso. Lei non rispose, ma non lo allontanò. Dal buio delle strade arrivavano, portati dal vento, i rumori della notte brava dei disperati parigini. Monete, veli, medaglie, clangori, gemiti e urla, cigolii di cardini e paura. Polvere da sparo e profumi pesanti.

“Allora…?” chiese di nuovo ingoiando un respiro più profondo. “Chi aspettate?”.

“Non mi piacete. E aspetto un altro” gli gettò in faccia senza saperne il perché, forse per difendersi e ferirlo un po’, ma lui non rispose e lei ebbe il tempo di pentirsene. Appoggiò maldestra le labbra vicino alle sue e poi tentò di fuggire.

“Avete detto che non vi piaccio! Cosa fate?” osservò trattenendola per le braccia, contro il muro. Cercò di divincolarsi, ma più si muoveva più la stringeva e se lo ritrovò addosso che le bloccava le gambe con le sue contro il muro e le labbra sul collo. Trattene il respiro e non si mosse posandogli le mani sulla schiena come se aspettasse quello che avrebbe fatto, stupendosi di se stessa, ma ricordando che portava una maschera. Si lasciò baciare sulla bocca e lo incoraggiò a rendere il bacio più profondo disegnandogli il contorno delle labbra con la lingua. Sentì che le spingeva la mano verso il basso e si vergognò, ma non spostò la mano e continuò a toccarlo e a lasciare che la baciasse. Sentì le mani sotto la gonna, sulla pelle e nella carne e soffocò un grido mordendogli la spalla.

“Non vi piaccio… è il mio giorno fortunato però, non sembra che vi importi di aspettare nessun altro” le disse nell’orecchio con una voce strana.

“Sì…” disse soltanto, con la voce che soffocava, slacciandogli la cintura dei pantaloni. Fu l’ultimo gesto di cui ebbe il controllo e tutti gli altri, incerti e furtivi, seguirono in uno stato di follia di cui comprese solo la sequenza. I pensieri evaporavano, scomparivano. L’ultima cosa che pensò fu che era un bene. Sì era un bene. Ormai la mente accettava sensazioni e basta.

Tentò di fermarsi, ma ormai il pensiero si spingeva troppo avanti e il corpo seguiva il pensiero, lo oltrepassava e lei non lo fermava. Si fecero male tutti e due, movendosi maldestri nel buio. Un bacio troppo violento, rabbioso; la schiena di lei e le mani di lui contro il muro umido e tagliente. Le voci rimbalzarono inarticolate sulle pareti fredde dei palazzi e quando si spensero fu come perdere un velo che fasciava il capo caldo e languido.

Una carrozza passò strisciando le ruote contro i paracarri nella via vicina. Sentì il rumore degli zoccoli dei cavalli martellare sulle tempie ed ebbe un brivido di terrore pensando al buio che gli sovrastava le spalle. Con le ginocchia sul lastricato e le mani sulla pelle nuda le si aggrappò come se stesse per ghiacciare ora che era di nuovo silenzio. Lei lo strinse e inaspettatamente sentì che gli accarezzava i capelli. Era incerta anche quella carezza.

“Ti ho fatto male?” le chiese sentendosi sporco, con la colpa pesante come il buio della notte sulle spalle. Lei non rispose nulla, sospirò e gli toccò le labbra con un dito. “Sangue…” fu l’unica parola che riuscì a dire, mostrandogli il dito sporco di una macchia scura. Stupito si leccò il labbro e sentì un liquido caldo, ma non gliene importava molto.

Scoppi di risa e passi pesanti si avvicinavano e con la coscienza sveglia cominciò a temere anche lei. Immaginò i coltelli che nel buio esalano un bagliore sottile e rapido, e si scoprì a temere quello che fino a quel momento aveva cercato nel buio di St. Antoine. Lo immaginò sbrindellato e nero come gli uomini che le erano corsi contro, alto quasi fino a coprire l’immagine della luna in fondo al vicolo. L’uomo che in caserma aveva deciso di inchiodare.

“Andiamocene” ordinò, allentandogli la stretta delle gambe attorno alla vita.

“Sì…” rispose senza osare chiederle dove. “Dove?” le chiese, perché non sapeva dirle altro e le dita premettero sulla carne delle gambe che immaginava bianca. La sentì gemere e sfioragli la fronte con le labbra umide. “Una locanda… andiamo in una locanda? Una stanza…” le chiese e nel sentire il suono della propria voce si chiese come avesse osato.

“Va bene… va bene… andiamo” gli rispose con la maschera di velluto nero sul viso e le mani sotto la camicia.

Le cinse la vita e percorsero le scale fino all’imboccatura del vicolo. Oscar pensò che in quel vicolo tempo addietro era rimasta sola a piangere per lui e lasciò che si appoggiasse a lei, perché sentiva che non poteva vedere bene. Il rumore ora era solo rumore di risa e quando uscirono sulla via principale, con le mani sull’elsa dei pugnali, videro che erano un uomo basso e grasso e due donne che ridevano sguaiatamente. Solo degli ubriachi. Non stavano quasi in piedi.

 

Donne volgari e svestite, uomini disperati in una fila di volti esposti lungo il tragitto nella locanda, nel fumo, nell’odore di vino da quattro soldi. Il volto affilato del ragazzino biondo che seguiva sempre Robespierre. Alcuni volti noti di soldati della guardia reale. Volti conosciuti nel caos, nel chiasso senza allegria. Sprofondò il volto contro il braccio di André, rimanendogli aggrappata, per nascondersi meglio, mentre attraversava la massa di gente della notte. Seguivano l’oste insinuandosi nella folla. Ai piedi delle scale il trambusto si fece meno feroce.

Quando l’oste ebbe chiuso la porta, alla luce di un moccolo quasi del tutto consunto, osservarono il letto: era disfatto e con le lenzuola sporche, nel materasso era rimasta la conca lasciata da un corpo.

André prese un lembo della coperta che pendeva sul lato e lo ricoprì. “Che schifo…” mormorò sconsolato e le rivolse lo sguardo. L’imbarazzo bloccava le parole. Si chiese come fosse accaduto che le cose fossero precipitate fino a portarli in quella topaia. Ma lei si sedette sulla coperta e gli tese la mano. E lui gliela strinse. E l’abbracciò per proteggere tutti e due dal buio fuori. Si stesero e lei gli si appoggiò sul petto. Rimasero fermi, come se avessero paura di muoversi e non fossero capaci di compiere gli stessi gesti con cui si erano uniti nel buio dei vicoli.

Lui non aveva immaginato che sarebbe successo in quel modo, con un’urgenza che era bruciata in poco tempo. Aveva immaginato di cullarla e parlale del suo amore dolcemente, avrebbe tentato di raccontarglielo nelle sfumature che aveva preso di anno in anno, sperando che questo avrebbe cancellato notti bollenti e insonni. E lei aveva tentato di immaginare e ci aveva rinunciato, pensando solo al desiderio e al suo rovescio. Per sentirsi fuori pericolo. A volte si era lasciata andare irreparabilmente e si era pentita.

La guardò mentre con gli occhi chiusi vicino al suo viso gli accarezzava la schiena; trattenne i respiro ed iniziò a spogliarla.

 

Si accarezzavano nudi con le bocche unite e lente. L’aria della stanza era sempre più rovente. Forse era il respiro che sfiorava la pelle.

La maschera era sempre là. Sul viso.

Un grido, strascicato, agghiacciante dabbasso. Passi convulsi, pesanti per le scale, come un terremoto.

“Aiuto! Aiuto!”.

Altre grida. Continue. Spari.

“È morta! L’ha uccisa! È lui… è lui! Prendetelo!”

“Predetelo! Ammazzatelo!”

Altre grida di donna.

Dalla finestra si vedeva solo un fiume oscuro di persone che fuggivano. Si voltò, in piedi vicino al vetro coprendosi col lenzuolo e vide che la porta della camera era socchiusa. Si era infilati i pantaloni ed era sceso giù a rompicollo. Si diede della stupida per essere al massimo riuscita a arrivare alla finestra mezza nuda. Prese la pistola, si coprì con la camicia di André che era sulla sedia di fianco e corse giù per le scale, caricando la pallottola. Scostò la gente che le ostruiva il passaggio, scese in strada dove era iniziato un linciaggio e tutti urlavano e bestemmiavano, e corse. Corse veloce, coi piedi nudi sulla pietra e sul fango. Gridando alla gente di spostarsi, spingendoli senza cortesia, lasciandosi guidare dalle urla e dalla luce delle fiaccole, perché nel cielo coperto dalle nubi il giorno tardava ad arrivare. Riuscì a farsi avanti brandendo la pistola. Le sembrò che la bolgia fosse incontenibile: un ammasso di stoffe e di corpi che si dimenavano. Alzò la pistola verso  il cielo e sparò a vuoto più volte. “Silenzio! Ordine!” urlò e tutto tacque. Si fermò. Osservò la gente bloccata dal suono dello sparo e si chiese, senza ironia, se fosse carnevale. Abiti e trucchi assurdi. Abiti da ricco, carichi di boria, e da pezzente, su cui si potevano solo immaginare i pidocchi. Trucchi bianchi e rossi, sbavati dalla notte, e volti assurdi, modificati dalla sofferenza. Tutti le bocche spalancate e le dita nervose che chiedevano vendetta. Il groviglio di uomini si allentò. “Fammi luce” intimò a un ragazzo che reggeva una fiaccola, voleva vedere il bersaglio della folla; si strappò la maschera e la gettò a terra. La luce illuminò André che, chino su un corpo, con la pistola puntata tentava di tenere lontana la folla. L’uomo steso per terra tremava convulsamente e aveva il viso sporco di sangue.

“Stavano per massacrarlo” le disse André alzandosi in piedi. “Dicono che abbia ucciso una donna nella locanda…”.

“Pietà… pietà… pietà…” ripeteva come una litania l’uomo vestito di una livrea rossa, quella dei lacchè. Lo guardò per alcuni istanti steso, senza forze e paralizzato dalla paura. “Innocente… innocente… innocente…” ripeteva, con le mani che premevano fra i capelli, come se tentasse di comprimersi il cranio. Il suo sguardo incontrò quello di André, spettinato e senza fiato, e si accorse che faceva freddo. Era inverno e il lastricato era gelato come neve sotto i piedi nudi.

“Cani! Quei due erano due cani dell’austriaca! Me lo ricordo bene!” gridò una voce. Il ragazzo delicato e biondo che seguiva sempre Robespierre gridò queste parole, mentre una rossa mezza nuda gli si stringeva addosso. Dalla folla si alzò un mormorio malfido. Aveva gli occhi sottili e scintillanti. “Taci! Siamo della guardia metropolitana. Indietro!” rispose lei puntando la pistola su chi aveva osato fare un passo in più a quelle parole di Saint Just.

“Quest’uomo ha ucciso una donna! Dovete arrestarlo Comandante!” ingiunse un uomo tarchiato e rude, col naso a patata. Oscar lo guardò per metterlo a fuoco, tentava di riconoscerlo.

“È il conte Mirabeau” le suggerì André. “Noto puttaniere” aggiunse sottovoce. Sembrava l’uomo ubriaco che avevano incontrato nei vicoli in compagnia di due donne. Aveva al suo fianco due tipe con la maschera, vestite di merletti.

“Lo avete colto sul fatto? Che prove ci sono che sia stato lui?” chiese.

“Era nella stanza il bastardo…” gridarono alcune persone.

“Io… l’ho solo trovata… l’ho trovata!” pianse l’uomo steso per terra.

“Le ha tagliato la gola! Animale!” disse un’altra voce. “La vergogna del mio casato! Non posso tollerarlo. Arrestatelo, giustiziatelo!”. Oscar guardò chi aveva parlato. Certi volti non si dimenticano. André non disse nulla. Fu certo che l’avesse riconosciuto.

“Mi servono le prove” rispose con voce gelida “duca de Germaine”. L’uomo seguitò a guardarla. Disgustoso come era stato in passato pensò Oscar, solo più vecchio e più magro.

“Sempre più arrogante. Era arrogante da mocciosa ed ora è ancora più sgradevole e tracotante” rispose l’uomo, da sotto i baffi da topo di fogna. “Lo farò uccidere io allora. Ne ho il potere. È il mio lacchè”.

“Quando sono entrato là dentro aveva la gola tagliata, ma era ancora viva… non c’entro… non c’entro… io ho chiamato aiuto” gridò disperato l’uomo urtando la fronte sul pavimento.

“Almeno portiamolo in cella… qui lo sventreranno, che sia il colpevole o no” le disse André sottovoce. Vide che aveva dei tagli e delle escoriazioni sul torace. Guardò la folla vorace; gli occhi pieni di odio di Saint Just; i baffi da topo; l’orrendo naso a patata; le donne con la carne in vista, i damerini e gli uomini rozzi. Erano tutti là attorno con le bocche assetate di una vendetta qualsiasi. Ci avrebbe scommesso che alcuni di quei porci lo trovavano un divertente diversivo in una serata uguale alle altre. Quell’era chiedeva solo i suoi capri espiatori, lo stava capendo.

Guardò di nuovo André fra la penombra e la luce delle torce. “Tiralo su” gli disse “e portiamolo via”. Si rivolse alla folla a gridò “Allontanatevi. Non c’è più nulla da vedere. Sparite! È in arresto. Torco il collo a chi lo sfiora. E se non fate largo inizio a sparare alla cieca”.

La gente iniziò ad allontanarsi. Alcuni uomini della Guardia reale che aveva intravisto prima si offrirono di prendere in consegna l’uomo finché loro non avessero controllato che c’era il cadavere di una donna.

“Comandante… abbigliamento consono al vostro ruolo, noto… avevate occupazioni più piacevoli, constato…” sibilo il duca de Germaine, guardando di sottecchi lei e poi André. “Farà piacere a vostro padre” disse. Voltò le spalle e andò via. “Come possiamo attenderci che sia fatta giustizia da gente del genere… Avete modi ben diversi dai miei di trattare i servi, lo vedo bene, per questo vi affannate a tutelare anche un assassino”.

Lei abbassò lo sguardo, tacendo, stringendo il calcio della pistola. “Andiamo a vedere André” disse, dirigendosi verso la locanda. André la seguì.

 

Spalancò la porta della camera da letto e si diresse veloce verso il fondo. Frugò sul mobile e nella foga lasciò cadere il bacile per terra, si piegò in due e vi vomitò dentro. Andrè arrivò un attimo dopo e la vide rannicchiata a terra che tremava, con la sua camicia che le scopriva le gambe quasi fino alla schiena. La raggiunse preoccupato e si inginocchiò di fianco a lei, accarezzandole i capelli.

“Come ti senti? Come va?”. Ma lei non rispose, allora le sollevò il viso. Si premeva ancora la mano sulla bocca e aveva gli occhi fissi, come se continuasse a vedere la stessa cosa.

Quando erano rientrati la locanda era illuminata a giorno e aveva visto i volti delle ragazze che lavoravano lì. Si era sentita a disagio. Le era sembrato che molte fossero poco più che bambine. Ce n’era una piatta e rotonda, con le guance rosse, che non ricordava neanche alla lontana una donna. Quando era entrata in quella camera e aveva visto il disordine e il corpo bianco sporco di rosso si era sentita male. Le gambe l’avevano retta a stento. Aveva sentito che le viscere le si rimescolavano. Si era appoggiata un attimo al braccio di André, senza guardarlo, e si era allontanata chiedendo scusa. Se ci pensava, così con gli occhi chiusi e il capo reclinato all’indietro sulla spalla di André, forse quell’immagine non tornava.

Lui non disse nulla, aspettò che il suo respiro tornasse regolare. Nemmeno lui si era sentito bene, ma aveva retto. “Ora va meglio vero… Va meglio, vero Oscar?” chiese quando la sentì tranquilla e si permise di stringerla di più e di coprirle le gambe coi lembi della camicia. “Sarà meglio andare via da qui. Coraggio… coraggio Oscar…” disse, posandole la mano sulla fronte e guardandosi intorno, cercando di capire che fine avessero fatto gli abiti, sparsi qua e là. Gli sembrò irreale quello che stava succedendo in quella stanza prima del trambusto, eppure ce n’erano le tracce: il letto sfatto che portava l’impronta di due corpi – ne ricordava le lenzuola umide, le volute di ferro battuto a cui aveva visto aggrappata per un attimo la mano di lei, prima che il fracasso riportasse le cose al loro stato naturale; il corsetto, gettato per terra, coi lacci tagliati, perché tutti e due erano troppo imbranati per riuscire a slacciarlo. Si rivide di fronte i volti e le mani della folla. Sapeva bene come ci si sente a stare al posto di quell’uomo: la vittima predestinata della furia. Mentre tentava di afferrarlo e proteggerlo, non si era chiesto per un attimo se fosse colpevole o no.

“André… André… là fuori c’è uno schifo. C’è uno schifo!” disse lei distraendolo dal corso dei suoi pensieri.

Ma io sono con te anche se là fuori c’è uno schifo avrebbe voluto dirle. Per fortuna che ho te nonostante là fuori pensava lei, che ancora tentava di cacciare dai ricordi il taglio cremisi sulla gola bianca.

“Su… dai… non serve a nulla stare qui. Andiamocene” le disse con la bocca vicina all’orecchio, ma nessuno dei due si moveva, se ne stavano per terra a cercare una minima forza. “Dai! Questo non è da te” disse André, tirandola su quasi di peso e provando imbarazzo nel porgerle gli abiti della sera prima.

Era quasi l’alba e se ne andarono.

 

Continua...

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