Dal tramonto all'alba

Parte II

 

Warning!!! The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

È buio e c’è odore di umido. Sono umide le lenzuola e sono umidi anche i fiammiferi, che si accendono a stento. Ora la luce della candela rischiara un angolo della stanza.

“Come ti senti?”

“Vuota…”

Faccio finta di non sentire. Le tolgo gli stivali e poso le sue gambe sul letto.

Che ti hanno fatto? Non ti riconosco più. Stasera sembri una bambina capricciosa che chiede e si arrabbia quando le viene dato. Che ti ho fatto? Sono lo stupido che per accontentarti ha lasciato che ti facessi del male. Non sono molto migliore di Fersen, in più ho da darti solo un pezzo di cuore… anche tutto se lo vuoi… Mi sembri così piccola nella luce della candela, potrei proteggerti dentro il palmo della mia mano…

“Vuota André…”

André apre l’armadio.

“Qui ci sono delle coperte, le sto poggiando sulla sedia, così puoi usarle se stanotte senti freddo.”

“Che schifo André…”

“Che c’è?”

“Mi viene da vomitare…”

“Prima o poi doveva succedere. Aspetta… dov’è il bacile… ”

Alla ricerca del bacile nella penombra. Lo prende e cade a terra la brocca con un rumore tagliente.

“Aaah…” Oscar si mette le mani sulle orecchie e si allunga sul letto.

“Ecco…” le si avvicina col bacile e le posa una mano sulla fronte.

Lei respira affannosamente.

Se lo fa, che fine faccio fare al vomito? Lo lancio fuori dalla finestra? Se lo lancio controvento mi ritorna in faccia. Io e te abbiamo condiviso sempre momenti poco romantici. O solo non romantici.

“Non ci riesco” e si allontana.

“Oscar ti sentiresti meglio…”

“No, non ci riesco a farlo…preferisco stare male…” e nasconde la testa nel cuscino.

“Dimmi che devo fare?”

Io non lo so più.

“Niente, puoi andare …io però non ho sonno, mi gira la testa, perché mi hai portata qui?”

Sto per perdere la pazienza…

“Forse avresti preferito che ti lasciassi sotto l’acquazzone?! Ma tu all’acqua a quanto pare preferisci l’alcol…”

Già mentre parlo mi pento delle cose che dico.

“GUARDA CHE HAI BEVUTO ANCHE TU! VOLEVI BERE ANCHE TU! SE NO PERCHE’ SEI VENUTO? TI è ANCORA RIMASTA QUALCHE TRACCIA DI SANGUE IN TUTTO L’ALCOL CHE HAI NELLE VENE?”

“PIANTALA! Piantala di urlare! Non me ne frega niente se sei nel tuo periodo mestruale…”

Neanche finisco ed un calcio mi fende le costole. Non riesco più a respirare. Mi duole il fianco. Rimango piegato in due sul letto. Me la sono cercata… quello poi è un argomento che non si può toccare… Aspetto che l’aria ricominci a circolare nei miei polmoni… sperando che lei non decida di uccidermi nel frattempo.

“André… André…” mi urla con le lacrime agli occhi e con una mano mi gira il viso verso il suo. Le parolacce mi muoiono in bocca.

“Sto… sto bene… lasciami respirare… lasciami respirare…” e giro la testa dall’altra parte, perché gli occhi mi si stanno riempiendo di lacrime.

Nella penombra c’è silenzio ed il pianto scivola nel silenzio. Fuori sbatte una persiana. Un neonato vagisce nella camera accanto.

Mentre sono steso e l’aria lentamente mi rianima, la sento appoggiarsi alla mia schiena e posare la sua mano sul mio petto. Che fai? Vuoi metterti nei guai?

“Mi perdoni André?”

Io queste tre parole non le ho mai sentite. Le devo all’ubriacatura. Sicuramente.

“Mi perdoni André? Non volevo farti male!” ripete piano nel mio orecchio.

Poso la mia mano sulla sua e la allontano dal mio petto, altrimenti non rispondo di me.

“Sì… ma sta’ calma per favore. Per favore…”

A che servirebbe dirle “Guarda che sto male anch’io?” Ho paura. Ho paura perché ho capito che forse un giorno questa maschera d’amico si spaccherà. Sì spaccherà forse quando sentirò che la mia ultima goccia di sangue sarà rotolata via invano, e ti farai male anche tu. La frantumeresti tu che non esiti mai a colpire. Tu non sai cosa penso a volte… fuggiresti via inorridita. Lo sai cosa pensa un uomo che agonizza per amore anche quando gli spezzi una costola o gli togli il respiro? Attenta perché io non sono Fersen… A volte i miei sogni sono così feroci che dubito del mio stesso amore… ma a volte è quello l’amore. Anche qui, tagliato in due su questo letto umido.

La persiana è rimasta incastrata ed ora non sbatte più. Passi nel corridoio. Le lacrime bagnano la camicia in uno stillicidio lento. Lento…

“Smettila adesso Oscar… sto bene; non è successo nulla” asciugo le lacrime con un lembo della manica e mi giro per tranquillizzarla.

Mi posa la testa sulla spalla, le passo un braccio sotto la schiena.

Non ho nulla da dire. Nulla. Lei ha gli occhi chiusi. Come questo silenzio.

“Non ho quello che hai detto… Non dirmelo più per favore…”

“No, va bene… è una cosa che si dice… Non era per farti male, scusami…”

“… è che è una brutta serata. Le nubi hanno coperto anche la prima stella della sera… non l’ho vista stasera…” dice lei con la voce ancora impastata.

“Perché? L’hai cercata tutte le altre sere?” con la voce incolore.

“Pensavo che fosse la prima stella anche lontano da qui, che fosse la prima anche dall’altra parte del mondo…”

“Non lo so Oscar, non ci capisco nulla di astronomia…”

Credevi di guardare la stessa stella che Fersen guardava la sera in America…

“… ma so che quando qua è sera là è giorno”

Lui l’avrebbe sempre guardata pensando a Maria Antonietta e lo sai…

“E’ vero… Hai ragione. È una scemenza…

E poi Oscar lui è qui e non cambia nulla. Il dolore al fianco non lo sento più, adesso sottovoce mi stai massacrando il cuore.

“No, dai! Non è proprio una scemenza… hai solo trascurato questo piccolo particolare…”

… per illuderti fino alla fine.

“Già…”

“Vedi di dormire. Vedrai che ti sentirai meglio.”

“Non ho sonno. Se mi ubriaco non ho sonno, mi vengono in mente tante idee, tante immagini… anche se mi si chiudono gli occhi…”

“Se non parli vedi che ti addormenti…”

“Sai che vedo?”

“Dimmi.”

“Mi sembra di camminare in equilibrio…” Ha gli occhi chiusi e la voce lontana, come se non fosse qui. Sei piccola e lontana stasera.

“Ti sembra di camminare in equilibrio?” (1)

“Cammino in equilibrio su una fune…”

“Fai l’equilibrista?”

“… ed in alto… si può andare solo in una direzione… vado dritta… solo in una direzione… su un filo si può andare solo in una direzione… con il bilanciere fra le mani… in una sola direzione…”

Ho capito che vuoi dirmi. Ti senti obbligata a seguire un percorso? Perché mi stringi di più adesso?

Ci penso un po’ mentre le guardo le palpebre abbassate ed ho l’impressione che siano trasparenti.

“Non è vero Oscar, non c’è solo una direzione. Ci si può girare ed andare nella direzione opposta. Basta volerlo.”

“No, non si può… se mi giro cado… precipito… tu non hai idea del vuoto!” Sembra che stia sprofondando nel sonno.

“E allora se cadi io ti aspetto di sotto… ti prendo al volo!”

Mi sorride con gli occhi chiusi.

Sei sulla tua fune nel mondo dei sogni? O sei fra le mie braccia? Forse sei fra le braccia di Fersen… sento la tua mano sotto la mia camicia, la fermo anche questa volta, ma la lascio sul mio petto coperta dalla mia. I tuoi capelli ancora umidi sul mento. Lascio scivolare l’altro mano sotto la tua camicia da uomo troppo larga. Se la lascio salire verso l’alto posso toccarti il seno… ho sempre immaginato che potesse stare nella mia mano… piccolo e morbido. Ma la mia mano resta lì, sulla tua vita, a seguire il ritmo del tuo respiro. Il battito del mio cuore è molto più veloce del tuo… un battito il tuo cuore, due battiti il mio… lo so il perché…

Stai dormendo? Dormi Oscar, dormi. Fuori la tempesta è finita, dentro di me no. Ora devo difenderti, non voglio che tu rimanga indifesa in un mondo in cui mi aggiro come un avvoltoio.

Non mi importa dove sei nel sogno, sulla sponda della realtà ti stai stringendo a me.

“Sì, ti prenderei al volo e ti terrei sveglia tutta la notte, ed insieme guarderemmo scolorire l’ultima stella della sera.”

Ma tu dormi e non lo sai.

 

 

Quella notte André non dormì neanche un’ora. Aspettò che la luna facesse il suo giro nel cielo per lasciare il posto ad un luce troppo pallida.

Pensò che in America era giorno e che fuori presto sarebbe scolorita l’ultima stella. Pensò che non l’aveva mai vista, l’ultima stella; e che odiava la prima.

Pensò che Fersen e Maria Antonietta erano soli e disperati quella notte; e che gli innamorati negli altri posti del mondo, e forse nelle altre camere della locanda, gemevano d’amore.

Pensò che forse aveva sbagliato qualcosa, che forse non l’amava abbastanza e lei non se ne accorgeva. Ma una scheggia malefica conficcata nell’anima gli sussurrava, che no, non era così, che lei lo amava piano senza capire. E come togliersela dall’anima e scagliarla lontano quella scheggia ribelle?

Come farlo se, anche quando lei lo chiamava pronunciando il suo nome come un colpo di frusta, gli sembrava che una carezza le scivolasse via dagli occhi?

E le risposte, dannazione, le risposte dove si nascondevano, perché si nascondevano a domande agganciate l’una all’altra come anelli di una catena che serra la gola?

Quando la luce del sole le illuminò il viso pensò che voleva baciarla. La prima volta che aveva avuto questo desiderio lei aveva le labbra arrossate dal freddo e le colava una goccia di sangue, come ora. Forse era stato il primo giorno…

L’alba bussava ai vetri. Prima di alzarsi le passò un dito sulla bocca per asciugarle quella goccia di sangue. Poi andò nella sua stanza, perché lei risvegliandosi non si imbarazzasse trovandolo nel suo letto. Il sonno e l’alcol avrebbero cancellato i ricordi della sera precedente e delle poche carezze rubate.

Nel cielo un’altra giornata, e chissà quante ancora, minacciavano pioggia.

Quando si riavviarono verso casa, André pensò che ormai il suo cuore aveva la forma di una di quelle foglie accartocciate dal gelo che giacevano sul pianerottolo della locanda.

 

 

12 luglio 1789

La notte fonda è luminosa. O sono lucciole o sono fate. Sono lucciole, ma sono così felice che credo siano fate. Posso vederti il viso anche nel profondo della notte, io che non mai visto realmente nulla per trentatré anni.

Ho lanciato via il bilanciere ed ho fatto dietro front sulla fune, e non ho avuto paura di cadere, perché tu in una notte di tanti anni fa mi hai detto che mi avresti presa al volo.

Ti sto stringendo di nuovo, ma più di quella notte, che non ne conoscevo il motivo.

Quando ero piccolina pensavo che il reputarti “mio” fosse un sintomo della mia prepotenza, il ghigno del dannato sangue blu sul mio viso.

L’ho capito piano che tu sei mio perché io ho il tuo sangue. E tu hai il mio.

La battaglia più difficile è quella per comprendere cos’è che ti scorre nelle vene, perché è qualcosa che ti scivola dentro da sempre in silenzio e non capisci che ti dà vita.

L’ho capito piano e mi sono voltata, lassù, sulla fune… e non sono caduta perché ho trovato le tue mani.

Ancora insieme, dal tramonto all’alba.

E spero che stanotte non fermerai le tue mani. Dal tramonto all’alba…

Disperatamente, testardamente, spietatamente mio, in ogni mio gemito. Ed io in ogni tuo.

Che nel cielo l’ultima stella della sera danzi leggera un attimo in più, perché i nostri occhi stupiti la possano sorprendere mentre scolorisce nel sole… ma, amore mio, anche se non so molto di astronomia, so che l’ultima stella della sera… è sempre il Sole!

 

 

 

(1) Oscar mi ricorda la bella funambola di “Neve” di Maxence Fermine.

 

Fine

Mail to sydreana@supereva.it

Back to the Mainpage

Back to the Fanfic's Mainpage