Dal tramonto all'alba

Parte I

 

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 “Torno fra poco, ma non mi aspettate.”

“Che vuol dire?”

“Quel che ho detto.”

“Se torni fra poco, Oscar, ti aspettiamo, se torni con comodo non ti aspettiamo.”

“……….”

“Dove vuoi andare?”

“Devo portare al conte di Fersen un messaggio della regina.”

“Vai da sola? Ti accompagno.”

“No, non c’è n’è bisogno… ti ho detto che torno presto.”

“Sicura? Ho già il cavallo sellato.”

“Nooo… non è necessario… torno subito! Entra, tua nonna ti aspetta.”

Lo so che qualcosa non va, dove credi di poter scappare? Non vuoi che ti veda piangere… so anche questo.

“Attenta, guarda che pioverà…”

“Faccio in tempo!”

E sei già lontana, mentre tenti di parlarmi con voce sicura. Tanto dopo starò male lo stesso, per me non cambia nulla. Tornerai con gli occhi lucidi e arrossati; anzi starò peggio, perché non sarò lì se tu avrai bisogno di me… e questo non lo sopporto.

No, non sarai più veloce della pioggia….

Le nubi coprono senza pietà il cielo e già l’aria è più fredda. Sembra notte.

No, non sarai più veloce della pioggia… ma io ci sarò!

 

Folate di vento e di pioggia, la strada si percepisce a stento. Là in fondo, dove si addensano le nubi, il palazzo di Fersen. Il cavallo vi si avvicina e i bagliori delle finestre iniziano a farsi più nitidi.

Reggo le briglie con una mano, con l’altra il mantello che ho preso per lei.

L’ho nascosto sotto il mio mantello, sotto la mia giacca, perché il calore del mio corpo per una volta la possa riscaldare un po’.

Un cavallo bianco appare fra le luci sfocate, come se si staccasse da uno sfondo piatto e immobile.

Lei che corre a testa bassa contro vento… è triste.

Rallentiamo… ancora in corsa le lancio il mantello, che ruota nell’aria e si posa sulle sue spalle. Vedo i suoi occhi, sono lucidi, ma mi sorridono. Sei contenta di vedermi? Non dirmi mai più che non devo venire con te…

Si continua a correre.

 

Il cavallo bianco si ferma, la cavallerizza lo volta verso la sua ombra.

“André… portami a bere!”

“Come? C’è la bufera!”

“E che fa!”

“Fa che sei fradicia fino alle ossa…” Ha i capelli incollati al viso e al collo, e le tremano le labbra… per il freddo o per la disperazione? “… vuoi una polmonite?”

“No! Non sta mica piovendo tanto…”

Che gran faccia tosta!

“Ah no?!”

“André, se stasera torno a casa…”

“Cosa?”

“Non voglio tornare a casa! Stasera ho bisogno di sentir parlare, di rumore, voglio fare a botte!”

“Tu vuoi la polmonite ed il setto nasale rotto… lascia stare, torniamo a casa e ti preparo una camomilla e dopo starai meglio.”

Indomito mi aspetto una valanga di parolacce.

“No, no… per favore! Se mi vuoi bene non torniamo a casa, vieni a bere con me!”

Se mi vuoi bene!… Sta per piangere… Penso “Se mi vuoi bene tu torniamocene a casa…” ma non ha senso dirlo.

I cavalli immobili sferzati dalla pioggia. André si morde un labbro e le sue mani sulle briglie sono nervose.

“Va bene, ma se attacchi briga con qualcuno dopo te la vedi con me!”

Sei soddisfatta vero?

“Non è un problema.”

Non è mai un problema, a quanto pare. Mi fermo di nuovo e la guardo.

“Decido io dove però. Le taverne sono lontane e non hanno la stalla per i cavalli; non possiamo lasciarli sotto il diluvio universale. Andiamo in quella locanda sulla strada parallela a questa.”

“Per me va bene, basta che non torno a casa.”

Colpa di quel cretino svedese. Un cretino d’importazione… Ed io… io che farei tutto per te… come adesso… che, lo so, sto sbagliando…

“Andiamo allora.”

Questo tramonto orrendo gocciola le sue lacrime per nascondere le nostre.

 

Nella locanda non c’è molta gente. Alcuni uomini giocano a carte e bevono nella sala principale. Il pavimento di fronte alla porta è bagnato, e tracce di scarpe si diramano dalla pozzanghera verso altre direzioni. I lembi dei due mantelli versano acqua. Oscar si toglie il cappuccio.

“Ma dove vuoi andare in quelle condizioni?”

“Che vuoi?”

“Ti sei inzuppata tutta…”

“Che vuoi dire? Che me lo avevi detto che pioveva e che come al solito ho sbagliato e che come al solito hai ragione tu?”

“Non ho mai detto cose del genere… dico solo che ti devi asciugare! Vuoi sederti al tavolo in queste condizioni?”

Non te la puoi prendere con Fersen e te la prendi con me?

“Che vuoi che faccia?”

“Va’ dalla signora e fatti dare un asciugamano, un cambio… che so… ti devo dire tutto?!”

Un’occhiataccia non me la toglie nessuno, non sei abituata a sentirmi così acido.

Ho sbagliato, so che stai male.

Oscar si allontana guardandolo in tralice. André si siede e punta i gomiti sul tavolo, un’espressione di pentimento sul viso. Fuori piove così tanto che l’acqua scroscia in orizzontale. Si lascia ipnotizzare dalla pioggia per dimenticare i suoi pensieri. C’è un mazzo di carte sul tavolo. Distrattamente estrae una carta.

Regina di cuori… sarà insaziabile pure questa? Ma che dico? Lei, se mi avesse sentito, mi avrebbe infilzato come un pollo. Non doveva essere coinvolta nella loro storia… sta male da quando è tornato… ora sta anche peggio…

Mio Dio, farle mandare messaggi d’amore…

Oscar si siede al tavolo, ha un altro abito. Da uomo. La camicia è troppo ampia.

André le sorride, come per dire “Lo sapevo!”

“Hai ordinato?”

“No, scegli tu.”

“Ti va del brandy?”

“Sì, ma sarà meglio che ordini anche qualcosa da mangiare, sei a digiuno da stamattina”

“Non mi va, mangia tu se vuoi”

“……”

“André non ho fame che vuoi?”

“……”

“Scusami… ma non ho fame.”

Rumore di stomaco disperato…

Ad André scappa da ridere, si mette una mano sulla bocca e la guarda.

“Che scemo che sei…” lei è rossa “va bene prendiamo dell’arrosto…”

“Perché non vuoi mangiare?”

“Ho detto di sì, che prendiamo l’arrosto…”

“Allora prima perché non volevi mangiare?”

“Perché anche se ho fame qualcosa mi ha tolto l’appetito… ” E distoglie gli occhi pentita di aver iniziato il discorso.

“Lasciamo stare…” Guarda la pioggia che sbatte sul vetro.

“Ho capito.”

Lo so Oscar, lo so…

 

Si sentono solo i rumori della cucina: lo scoppiettio dell’arrosto sul fuoco, le pentole che si urtano. Nell’aria odore di grasso bruciato. Gli uomini che giocano a carte ogni tanto sghignazzano. Due bambini nascosti dietro la porta guardano Oscar. Fingono di dover andare dall’altro capo della sala e tornano indietro. Passano fissandola, poi scappano via, ridendo. Lei beve un altro sorso di brandy. André li fulmina con gli occhi. Se Oscar ora non lo stesse guardando farebbe loro con la mano il gesto della decapitazione.

“Scusami Oscar, questo posto è un mortorio…”

“Andate dalle cafone delle mamme vostre…”

Lei gli sorride piano e gli sfiora leggermente la mano.

“Non preoccuparti André, non preoccuparti… non fa nulla…”

Forse morirò qui, su questa sedia, stasera… Mio Dio… basta un tocco… Ma ti prego amore mio non bere più! Non bere più!

Fuori c’è un putiferio di vento e acqua.

“Almeno l’arrosto è buono, hai scelto bene” e manda giù un boccone.

“Adesso come facciamo a tornare a casa, mio bellissimo scudiero?”

Mio Dio… è veramente ubriaca!

Le blocca il bicchiere con la mano e la guarda negli occhi. Lei riprende a parlare.

“Come Don Chisciotte e Sancho Panza ce ne andiamo per la tormenta…” e si mette a ridere.

Mio Dio…

André si porta disperato l’altra mano alla fronte.

“Non andiamo proprio da nessuna parte… dove vuoi andare tu, così?”

Lo guarda con aria interrogativa. Lui le toglie il bicchiere.

“Basta, per stasera può bastare. Rimaniamo qui. Domani mattina torniamo a casa…”

“Ma no, non si può… la nonna farà un macello… tutta la notte fuori senza avvertire…”

“Come se fosse una novità… Tu non preoccuparti, al massimo se la prende con me, come le altre volte.”

La solleva dalla sedia.

“Ahio! Mi fai male così…”

“Scusami… scusami, non l’ho fatto apposta…”

La regge per la vita. Lei poggia la mano sulla spalliera della sedia.

“André…”

“Eh?!”

“Sta girando un po’ la stanza…”

“Lo so, Oscar, lo so…”

Pur di non dirmi che ti sta girando la testa…!

“Ma perché tu sai sempre tutto…”

“So solo un paio di cose…” che ti amo e che guadarti mentre ti fai del male è come morire dissanguandosi lentamente “… e che tu stasera hai bevuto come una spugna…”

“… spugna…”

“Va bene, basta parlare!”

Le solleva le gambe e con lei in braccio si avvia verso la locandiera.

Oscar ride divertita. Vorrebbe ridere anche lui, ma non ci riesce.

Vorrei poter bere così io per dimenticare tutto questo… ma se perdessi il controllo poi ti vorrei di più.

“Due camere per favore!”

 

 

I due bambini con le candele al naso ridacchiano e confabulano dietro lo stipite di una porta: “Ma quello è una femmina?!” “Che dici, si veste…”

Sguardo d’odio.

Le scale sono ripide ed ingombre di sacchi. Solo un moccolo su un’angoliera zoppa illumina il pianerottolo, poi le scale continuano a salire su nel buio.

È come salire verso… cosa? Un altro gradino, un altro giorno verso cosa?

Da una finestra aperta piove sulle assi di legno. Una tenda spinta dal vento invade il corridoio come un fantasma che voglia dare il suo monito.

Neanche un brivido. A volte la realtà è peggiore.

“André… voglio guardare fuori, fammi guardare fuori.”

Si fermano vicino ad una delle finestre chiuse, ma fuori non si vede nulla.

“Non riesce a vedere nulla…”

“Andiamocene, portami via da questa finestra!”

 

… non ricordo più il momento esatto da cui il mio sangue ha cominciato a scorrere inutilmente verso il tuo cuore…

So solo che non voglio fermarlo.

 

Continua...

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