Si sconta vivendo...

 

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Nota: Questa volta non sono stata aderente ai personaggi, ho messo all'opera il lato peggiore di me. E rileggendo quasi mi stupisco della dose di pessimismo. Io, che sono la fan per eccellenza dei sequel… Tuttavia, se la parola più frequente è "illogico", l'unico messaggio di speranza viene proprio dall'insospettabile per eccellenza: il granitico generale Jarjayes.

Il titolo, l'unico possibile per chi sopravvive, è preso da un verso di Ungaretti "la morte si sconta vivendo". Oscar & company sono persone che vivono fino all'estremo, fino all'ultimo (Oscar lo dimostra bene), ma ho voluto cogliere - anzi, i casi contingenti mi hanno fatto cogliere - quel momento, a volte passeggero, in cui non si vede alcuna luce. D’accordo, faccio schifo… Mi sputo in un occhio e vado a vedermi "Una pallottola spuntata" ^____^.

 

Oscar

Davo i comandi, tutto il mio io era concentrato sui comandi… gridavo, indicavo… ma era solo il mio corpo a farlo. La mia volontà, la mia anima era già altrove…

Non aveva più senso esserci.

Se questa è la vita, allora non ha un senso…

Amore, dolore…per me non sono mai stati separati, mai. Ma questo è troppo…

Non puoi morire tenendomi la mano… non puoi farlo!! E' assurdo, è contro ogni logica. Per questo è vero.

La mano è diventata fredda, pesante… e il mio cuore è diventato come quella mano: morto. Batteva, ma non era più vivo…

Se la vita è fatta di sensazioni, di speranze, di emozioni, allora che senso ha questo? Che senso ha inseguire la vita?

Sono morta con la tua morte.[1]

Quando quelle pallottole - una, quattro… non so quante - sono arrivate, solo il mio corpo ha sentito dolore. Io no. Non capivo. Sentivo quelle voci, quei rombi di cannone… qualcuno che mi ha preso in braccio, qualcun altro che piangeva… le palpebre pesanti. Non stavo morendo: era solo il completamento di una morte iniziata già da tempo.

Per una notte mi è sembrato di vivere, ma evidentemente la gioia illude noi esseri umani… solo adesso, che si fa buio, trovo pace… forse ritroverò lui…

Ma devo fare ancora una cosa… Alain, va' ai cannoni: è finita per me, ma non per voi… probabilmente, non finisce mai… la vita…

 

Alain

L'ho presa in braccio.

Un fuscello. Le membra prive di forza, il sangue caldo che mi colava tra le dita.

Volevo piangere. Ma che senso ha? Che senso ha morire, sempre sempre… quando ti sembra di aver ripreso a vivere…

Detesto queste prese in giro. Ho stretto i denti come se mordessi questa vita bastarda, logora e idiota. Come tutte le illusioni che ci porta. Ieri André... presto Oscar. Mi è quasi crollata a terra, mentre la tenevo tra le braccia.

Piangeva, Rosalie. Gridava cose insensate: "André, non portare via il signor Oscar!" Ma che vuoi che c'entri lui? Chi vuoi che te la porti via…? Lei non c'è più, da tanto ormai. Vuoi che la vita continui a prenderla in giro? Le sparerei in petto, per amore. Perché non si può vivere così… Non si può…

Oscar ha mormorato qualche parola… la libertà, i cannoni. Sono andato a combattere al suo posto.

Dopo la battaglia mi hanno detto che sembravo un mostro. Un ossesso. Gridavo come un folle, picchiavo con le mani, sparavo senza sosta. Che, con una spallata, sembrava potessi sfondare il portone della Bastiglia. Io non me ne sono accorto. So solo che, quando è apparsa la bandiera bianca, sono crollato in ginocchio mentre tutti correvano. Sono rimasto fermo, come un povero scemo, senza la forza di capire dov'ero, chi ero. Mi hanno riscosso "Alain, Alain…" Ma chi? E perché? E' tutto così illogico. Così assurdo. Non voglio pensare. Non posso pensare. Non trovo risposta, conforto…

Allora me ne sono andato. Se quella è la libertà, mettetemi le catene. Me ne sono andato lontano, dove si può vedere il mare, e lavoro la mia terra. Ci metto forza, non amore. Massacro le zolle con la vanga. Mi sembra di distruggere qualcosa o qualcuno. Ma è solo un'illusione, come tutte… anche questa…

 

Rosalie

Quando è nato François, nella primavera del '90, mi chiedevo come fosse possibile che una creatura potesse essere concepita in quei giorni di morte. Assurdo. Illogico.

Guardandolo, Bernard ed io abbiamo pianto. E abbiamo scelto il suo nome: prima di vedere i suoi capelli, Bernard voleva chiamarlo Maximilien. Poi, incredibile, è stato lui a cambiare idea. Così si chiama François… Un altro nome, più diretto, ci avrebbe fatto troppo male: solo una Oscar è esistita, solo un André… Ha pianto anche Bernard, pensandoci, ma quei capelli d'oro ci hanno riportato in mente troppe immagini. Immagini che tornano la notte, che tornano davanti a certe strade, di fronte a certi suoni… echi lontani.

Non potevo, però, pensare al passato. Dovevo aiutare mio marito. Finché, un giorno, non mi ha detto: "Rosalie, serve qualcuno che assista Maria Antonietta. Te la senti?" Io sarei voluta scappare, ma dovevo assisterla. Qualsiasi altra donna sarebbe finita tra i sospetti e condannata a morte. Io avevo Bernard a proteggermi.

Andai… Maria Antonietta aveva la muffa sulle scarpe, le occhiaie come abisso. I capelli erano radi, bianchi, il vestito lacero. Di nuovo, davanti ai miei occhi, tante immagini: colori abbaglianti, scintillii, ma anche la fame, il freddo… e poi, sempre lei, la morte. L'unica cosa certa di questa vita. Possiamo solo darle dignità, così mi ha detto madame, consegnandomi una rosa di stoffa. Mi ha detto di metterla sulla tomba di Oscar, dopo averla colorata. Sono corsa a casa: la rosa pareva pungermi le mani, me ne volevo liberare… subito, quanto prima. Non riuscivo a guardarla, ma ho dovuto aspettare.

L'anno dopo, siamo andati da Alain. Disillusa io, disilluso anche Bernard: troppi sbagli… troppo dolore… Ho chiesto ad Alain se sapesse di che colore Oscar preferiva le rose. E lui mi ha risposto che non lo sapeva… ma che André avrebbe certamente detto “le rose bianche”.

E, così, la rosa è rimasta bianca.

Abbiamo guardato verso il mare, che con il suo rumore sembrava ridere - beffardo- delle illusioni di noi uomini.

Libertà, vita, amore… stringevo tutto in una rosa di stoffa.

Alain aveva lo sguardo assente, indurito. Ma forse pensava come me. Anche lui aveva sepolto i suoi cari. Più di me. Più di noi. Ma chi non l'ha fatto, nel nostro tempo? Ogni tempo è ingrato a chi ci vive… o forse è ingrata la vita stessa. Con Bernard sono salita in carrozza. Alain era voltato verso due croci bianche, di un candore vivace, sull'altura. Dietro il cielo turchese. Poi il mare brillante, il verde lucido del prato… e quelle due croci, sembravano mute e rassegnate.

 

Bernard

Vedevo che Rosalie fremeva. Conoscendo la sua storia, posso capirla. Non mi è stato dato di apprezzare in pieno Oscar e André, ma sto male quando penso agli insulti della vita. Eccoci, Arras. Il paese "del tiranno", che, invece, era un mio grande amico.

Arras, una collinetta solitaria e due croci vicine. Una era un po' sbilenca, appoggiata sul braccio corto di quella di destra. L'ho sistemata. Mi faceva troppa pena. Somigliava ad un capo reclinato sulla spalla dell'altro…

Che follia, che illusione. Eppure, noi siamo vivi. Ma sconteremo con la nostra vita il carico di dolore, di orrore a cui la morte ha messo fine. Fai vedere del cibo ad un affamato e poi buttalo dalla finestra. Ecco, così… sfiori il tuo sogno di vita e la morte te lo strappa. Te lo recide: ti disperi, protesti, combatti. E semmai lei ne ride pure. Che senso ha provare un amore immenso, se ora c'è solo la terra scura? Neppure i fiori attecchiscono su questa collina. C'è solo la rosa di stoffa che mia moglie vi ha appena posato.

Ma penso anche all'uomo nato qui: era mio amico, anche se da qualche tempo eravamo distanti. Molto distanti… Io inseguivo il mio sogno, lui il suo. Ognuno di noi dava un significato diverso alla libertà. Lui è morto sulla ghigliottina come morì Maria Antonietta. Ha gridato, scalciato... ma a che serve? Maximilien… sarà servito, poi, a qualcosa? Davvero solo i posteri lo sapranno? Io so solo che, da sopravvissuto, inseguo il mio sogno. Ma ormai controllano i miei articoli, e le righe diminuiscono. E allora penso a Maximilien… E' triste. E' illogico… Sopravviverà mai qualcosa? Usciranno fiori da questa terra nera, oppure a noi sarà vietato vederli?!

 

Fersen

Oggi è il 20 giugno.

Per l'ennesima volta.

Ogni giorno, per me, è il 20 giugno.

Annoto sui miei diari ogni attività finanziaria, ogni lavoro portato a buon fine. Sono scrupoloso, freddo e costante come questo stupido cielo bianco.

Anche i miei capelli stanno diventando bianchi, ma mi chiedo se siano davvero i miei. Guardo allo specchio quell'uomo che sono, e non mi riconosco. Hans Axel von Fersen. Sono davvero io? Mi detestano in molti. Rifuggo le visite di cortesia, e non faccio deroghe sulle tasse. Tutto ciò che gestisco con le mie mani è perfetto. Eppure non ho soddisfazione, non ho riposo, non ho sorriso…

Mi chiedo se io sia vivo.

Ogni giorno è il 20 giugno, da anni… da troppi anni… un labirinto di specchi. Sono passati così tanti anni che, ormai, ho perso la speranza - stupida, come ogni speranza- che la sua anima venga a liberarmi e mi porti con sé, in un cielo luminoso, come nei dipinti sulle volte delle chiese di Roma.

No, anche i ricordi sono assurdi e illogici rispetto al freddo che provo dentro. Come se vivessi prigioniero di una gelida bara di ghiaccio. Eterna condanna per un errore. Sarebbe bastata un'ora, a Varennes, sarebbe bastato un gesto e tutto sarebbe stato diverso. Ci ho messo tutto l'amore, tutto il coraggio di cui ero capace per farla fuggire. Per salvarla… Non ci sono riuscito. Ho fallito. Ha fallito la mia vita. Che senso ha, mi chiedo… che senso ha… E' illogico. Illogico.

Ma oggi uscirò. Anche se è il 20 giugno, un giorno maledetto. C'è un sole pallido come la mia voglia di vivere… Siamo arrivati al 1810.[2]

 

Generale Jarjayes

La schiena mi fa molto male, ma in tanti anni di vita militare è il minimo acciacco. I governi mi hanno allontanato, mi hanno ripreso, mi hanno cacciato ancora e poi di nuovo voluto. Ho obbedito, come sempre. Ma io non mi sono più votato ad un ideale, ad un credo. Io, che ero un fedelissimo della Corona, non credo più né alla Corona né al Dio che la volle. Se fosse stato vero, le persone che ho difeso a rischio della vita, non sarebbero morte. Dio non le avrebbe lasciate morire. Invece… tutta l'impalcatura della mia esistenza è crollata… tutto si è dimostrato un castello di carte.

La mia fibra è resistente e la mia ora non verrà tanto presto. Ma se guardo indietro alla mia vita, mi chiedo che senso abbia avuto. Mi sembra tutto così illogico. Come se il mio giardiniere più bravo potasse fiori appena in boccio. Mi chiedo, davvero, che senso abbia avuto. Avrei tante cose per cui preoccuparmi, tante azioni da fare, ma tutte mi sembrano relative.

Eppure… se devo trovare un senso a ciò che i miei occhi hanno visto… a ciò che il mio cuore ha patito… ai miei errori, ai miei entusiasmi… mi sembra di girare nel vuoto, come fossi polline di maggio… Alla fine mi poso su due occhi azzurri, dipinti dalle mani sapienti di un pittore. Non so che fine abbia fatto quell'uomo. Considerando gli anni del Terrore, posso anche indovinarlo. Eppure lui non ha messo solo abilità, ma qualcosa di più in questo dipinto, l'unica cosa che sono riuscito a salvare del mio patrimonio.

Ero in fuga, avevo fallito. Sono rientrato in casa per raccogliere pochi averi e non tornare mai più. Avevo fretta, da un momento all'altro mi avrebbero arrestato. Ma quando l'ho visto, sono rimasto paralizzato. Quel ritratto mi ha rapito, quegli occhi mi hanno rapito. Con la spada ho tagliato una parte della tela, l'ho presa con me. L'ho incorniciata con dell'ebano, perché l'azzurro risalti di più… E, ora, la sto guardando. Perché in questo sguardo azzurro c'è la vita, le sue assurde contraddizioni, i suoi slanci e le sue asprezze. La sua totale, eroica illogicità. E io che credevo che anche la vita potesse obbedirmi come i miei soldati… Invece, vecchio e stanco che sono, mi pare di aver capito qualcosa… mi pare di vederla, forse è sfuggente, forse è un'effimera illusione… ma mi sembra di vederla negli occhi di Oscar….

Mail to sonia_78@virgilio.it

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[1] Riyoko Ikeda. Dai che tra un po' ve lo leggete tutti!!!

[2] Fersen morì, linciato dalla folla, il 20 giugno 1810. Era l'anniversario del fallimento della fuga a Varennes, di cui egli si sentiva responsabile. La Ikeda vi dedica due pagine dense: “Fersen aveva maledetto il 20 giugno come il giorno del suo peccato, si era raggelato dentro e morì proprio un fatidico 20 giugno, linciato dalla folla che lo odiava. Così il destino legò con la morte i due amanti".