Gli anni che verranno (1790-1791)
Parte VI
Warning!!! The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.
L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.
Revisione: Laura Luzi
febbraio 1791
Oscar
si sentiva veramente felice. Problemi ce n'erano, ma c'erano anche delle priorità.
Cioè se stessa, André, e la creatura che sarebbe a maggio. Oscar si sentiva
molto realizzata, sotto ogni punto di vista. Si sentiva calata in uno stato di
grazia. Dai tempi di Versailles, era sua abitudine stare in silenzio ad
ascoltare, ragionare, cogliere momenti ed espressioni. Per capire, per
riflettere. Così girava per Parigi, si fermava al mercato dei fiori, sotto le
botteghe più fetide e davanti quelle eleganti di Pont du Change,[1]
davanti alle cattedrali, vicino ai clubs. Le piaceva sentire i pareri della
gente, il vero movimento del popolo. Le permetteva di capire molte cose, di
farsi un'idea chiarissima, lucida, disincantata del passato e del presente. Il
futuro era incontrollabile come i parigini. Aveva ritrovato il sorriso. L'amore
di André e per André la rendeva più forte, più completa. Iniziava a pensare
con ottimismo anche alla maternità, e con immenso entusiasmo alla sua
collaborazione con Bernard. A Parigi, per fortuna, nessuno la riconosceva.
Questo la faceva sentire libera. Delle sue scelte rendeva conto solo a se
stessa, e semmai qualcuno l'avesse criticata, era forte più che mai per
difendere le sue posizioni. Potendo gestire la sua giornata, andava spesso da
André. Insieme discutevano delle novità del giorno, ma anche di loro stessi,
del futuro.
Un
giorno andò da lui con gli occhi gelidi e bassi. Aveva tra le mani la copia,
presa chissà da chi, di un ordine firmato da suo padre. Era un ordine molto
duro, necessario. Quella grafia aveva destato in lei una marea di ricordi, di
questioni irrisolte.
-
Mi sono chiesta se lui preferisca vivere nella convinzione che sua figlia sia
morta, pur nel disonore, o che sua figlia sia viva e sana. Io, se fossi in
lui… Alle volte ci penso, André. Penso a nostro figlio, penso a mio padre,
mia madre…-
- In fondo, vorresti rivederlo…-
-
No. Cioè, forse… In un certo senso, sono grata a mio padre. Perché mi ha
dato delle possibilità che, a modo
mio, sfrutto ancora ora e mi rendono una persona umana. D'altro canto, però, so
che lui è orgoglioso, testardo, dannatamente restio a lasciare le sue
convinzioni… Forse a volte mi somiglia…- André avrebbe voluto dirle
"più di qualche volta!" ma non era il momento di scherzare.
-
Il 12 luglio parlò con me, Oscar… Io credo che, in fondo, se sapesse che tu
sei viva e sei con me non se la prenderebbe. Altre cose lo infastidirebbero. Lui
è fortemente monarchico, lo sai. Tu, ora, cosa sei Oscar? Da che parte stai?-
-
Io sono un essere umano. - si fermò un attimo a pensare, poi rispose con la
sicurezza che aveva ritrovato. - Io non posso dimenticare cosa ho visto a
Versailles, nel bene e nel male. I popolani che si dicono per la monarchia o la
repubblica parlano spesso senza cognizione di causa. Io… è duro, per me,
dirlo… Io ho servito la Corona con sincerità, per tanti anni. Se penso a come
deve soffrire ora la regina… quando ascolto cosa dicono di lei, quando vedo
disegni pornografici che la insultano, mi viene voglia di prendere per il collo
chi li vende e chi li compra!! Però, André, bisogna essere obiettivi. Io non
posso dimenticare neppure ciò che ho visto per le strade di Parigi…
Versailles è ingiusta, è contro la natura umana. Ma anche lì vivono uomini…
Forse sono rimasta come il 14 luglio… Comunque, mio padre mi odierà. Una
figlia traditrice. Anche se ascoltai il discorso che ti fece prima che
lasciassimo il palazzo…-
-
Ah, sì? Non ti ho vista…- André lo disse come se fosse la cosa più naturale
del mondo.- Comunque, almeno avrebbe il conforto di saperti viva. Qualsiasi cosa
pensi delle tue scelte e di te. Nessun genitore vuole davvero la morte dei
propri figli. Tuo padre è un uomo tutto d'un pezzo, ma ti ama molto… E poi,
se dovessi vedere che rischia un infarto per la rabbia, puoi dire che… ti ho
sedotta e costretta a vivere con me, per riparare al disonore!- gli venne da
ridere. Oscar rise. Certi concetti scivolavano, su André, assumendo una
sfumatura paradossale.
- Non crederebbe ad una cosa simile neppure se gliela dicesse Sua Maestà
in persona…-
-
Eh, già…- André fece sfumare la risata, distendendosi lungo lo schienale
della sedia. Poi saltò su. - Allora, quando vuoi che ti porti? Anche io vorrei
rivedere mia nonna. Ma per ora è più importante pensare a te. - Tipico di André
dire così.
Il padre
Arrivarono
dall'entrata della servitù. Il cancello era praticamente divelto.
Palazzo
Jarjayes era buio. La fontana senza più acqua. "Evidentemente non c'è più
manutenzione…" pensò André, guardano quello scenario notturno e
trasandato. Come la quotidianità di un uomo che vede la sua ragione di vita
svanire. L'onore dei Jarjayes, la fedeltà alla Corona.
Oscar
scese, ben coperta. Era tesa, ma non faceva trapelare la minima emozione.
Il
padre. Avrebbe rivisto il padre. Sarebbe stato giusto abbracciarsi a lungo,
anche se, probabilmente, non sarebbe successo nulla di simile. Ma quell'uomo per
Oscar era importante. In un modo o nell'altro aveva segnato la sua vita, e le
aveva trasmesso dei valori. Cosa che, a volte, neppure il più amoroso genitore
fa.
Nessuno
all'ingresso. La famiglia in decadenza… ma lei era viva. C'era una sola luce,
e Oscar la seguì. Modulò i passi, che iniziavano a diventarle faticosi, ma mai
lo avrebbe ammesso.
Si
affacciò ad una stanza e vide quello che poteva immaginare. Seduto alla sua
poltrona, con un libro sulle ginocchia, c'era il padre. Aveva una vestaglia
appoggiata sulle spalle, molte rughe sulla fronte, che risaltavano alla luce
calda del fuoco. Non stava leggendo, teneva gli occhi fissi verso un punto
indefinito. Oscar notò solo lui, cercò di dominare ogni emozione, e non si
accorse che su una parete buia era appeso il suo ritratto. Come il dio Marte.
Come Alessandro il Grande che tocca i confini del mondo conosciuto… con il
vento nei capelli biondi e lo sguardo limpido e fiammante.
-
Chi è?- il generale aveva la voce roca. Probabilmente il tabacco era la sua
sola consolazione. Oscar non avrebbe voluto rispondere. Forse era meglio
andarsene, lasciare del tutto il passato alle spalle. Volendo, il padre
l’avrebbe potuta far soffrire immensamente.
Invece
fece un passo avanti, come lui le aveva insegnato, quando portava la divisa
bianca.
- Non è possibile….- Ci fu silenzio, da entrambe le parti. Non erano
molto loquaci, tra di loro.
- Sono viva, padre. Sono sana. - Lui scattò in piedi, fece due passi
avanti, verso di lei, poi si arrestò.
- Oscar… ma che mi hai combinato?- lo disse con una voce
disarmante, quasi rassegnata.
- Come sta Marie? E mia madre?-
-
Tua madre è da una cugina. Ce
l’ho mandata io, perché si rilassasse… Stava impazzendo, in questa casa.
Marie è morta, pensando che tu e André foste morti…-
Oscar
incassò il colpo in silenzio, senza fare una piega. André ne avrebbe sofferto
molto.
- E' bene che mia madre non sappia nulla di me. Lei è ben diversa da
voi, padre.-
-
Dovrei denunciarti, sai? Dovrei ucciderti… Oscar, ho perso tutto! Le tue
sorelle stanno scappando. Ho perso anche la mia più cara figlia. Ti sto
odiando, Oscar. Profondamente. Eppure sono contento che tu sia viva… Perché?-
"Perché
in fondo" pensò "siete sempre mio padre…"
Lei
rispondeva con altre domande, anche perché quelle poste dal padre non potevano
avere una risposta razionale. Lui si avvicinava piano, tendendo la mano destra.
Anche Oscar cercava di mantenersi gelida e immobile, ma dentro sentiva un gran
subbuglio. Tese anche lei la mano, finché la sua e quella del padre non furono
l'una di fronte all'altra, a poca distanza. Bastava un gesto per abbracciarsi.
- Oscar… André è con te, vero?-
- Sì. Ma non è qui.-
-
Almeno questo mi lascia tranquillo… Oscar, tu mi hai disonorato, hai tradito
la Regina a cui eri fedele… però… questa casa è così vuota, piena di
lutto… se tu fossi disposta a chiedere perdono, se io potessi fare qualcosa…
ma non l'accetterei, non cambierebbe, no…-
-
Padre, io resto delle mie idee. Non ho nulla contro Maria Antonietta, ma credo
che la nobiltà sia una menzogna. Che il sangue sia uguale. Io ho preso una
strada nuova, da cui non si torna indietro.-
Lui
sbuffò recuperando una durezza estrema, militaresca. Ritirò la mano. - Allora,
Oscar, mi rifiuto persino di sfiorarti… Va', va' con i tuoi amici pezzenti,
con i tuoi sovversivi plebei! Va' con…- Un insulto ad André? Come poteva? Se
sua figlia era viva e, probabilmente, era felice lo doveva a lui. - Insomma,
va'…va' via!- Tornò a sedersi, coprendosi il viso con le mani. L'orgoglio dei
Jarjayes lo tiranneggiava, l'amore per quella figlia testarda e indipendente lo
lacerava. - Via, ti prego… via… Vivi bene, fa' la tua strada… sta' bene…
ma vattene…-
Oscar
non rispose. D'altronde non si aspettava niente di diverso dal padre Era
addolorata, ma tranquilla. L'aveva riconosciuto: era proprio suo padre, in tutto
e per tutto.
-
Credo che non ci rivedremo più, padre. Peccato… Anche André, di sicuro, vi
saluta. - Si voltò, se ne andò
Il
generale tremava per la rabbia, l'amore, il nervosismo. Aveva alzato, quasi
furente, lo sguardo verso quella figlia così testarda da sembrargli lo specchio
del giovane che era stato. E, facendo ciò, aveva visto ciò che, concentrato
sullo sguardo, prima non aveva notato.
Oscar
aspettava un figlio. Allora aveva scelto di essere donna? Allora tutto il suo
lavoro, le sue pazzie? Ma non si era contraddetto da solo, più di una volta?
No, c'era qualcosa di molto più grande, per lui, anche di più grave. Oscar
quel figlio l'aveva scelto, Oscar combatteva con il popolo. Era la libertà, la
dolorosa, spinosa, splendida libertà che stava cambiando il mondo. Quel figlio
era sicuramente di André. Il sangue che si mescola, le casate che tramontano,
le persone che scelgono, i buoni costumi, il sacro dovere che svaniscono come la
nebbia estiva sulla Senna! Chi, più di Oscar, capiva il valore della libertà?
E, in un certo senso, la colpa era anche sua. Il generale non sapeva se dirsi
sconvolto o terrorizzato: aveva visto la rivoluzione vera,
quella da temere. La rivoluzione che si fa tutti i giorni. Solo quella poteva
davvero cambiare il mondo.
André
era seduto, quasi accovacciato, sul carro. Anzi, si era addormentato.
Addormentato seduto, con tanto di briglie in mano.
"Oscar, ho perso tutto per colpa tua. Le
tue sorelle, tua madre soffrono per colpa tua. Marie è morta."
Quelle
parole le ronzavano in testa. Il suo istinto, vedendo André che dormiva beato,
sentendo le gambe che iniziavano a farle male, fu quello di dargli uno schiaffo.
Le parole del padre, quell'abbandono fisico e morale che circondava la sua
famiglia, quell'odio stanco, confuso ma tenace e costante, l'avevano ferita. E André dormiva. Sì,
un bello schiaffo a te che dormi beato. Oscar non riusciva, in quei momenti, ad
essere consapevole dello scorrere rapidissimo dei suoi pensieri, delle sue
sensazioni, ma guardando quel giardino che accusava i primi segni di
trasandatezza, pensando alle parole dette dal padre, capiva di essere dalla
parte giusta. Di vivere in un mondo profondamente diverso, in un mondo
radicalmente nuovo. Ma che schiaffo…? Una carezza!
André
le bloccò la mano - Pensavi che dormissi? -
- Sì.-
-
Accidenti, che alta stima che hai di me… Scommetto che sei arrabbiatissima e
desolata. Ma io ti starò vicino. Anche se, lo so, più di una volta le tue
sfuriate me le dovrò sorbire io…- Angelico, preciso, consapevole. Le aveva
tolto le parole di bocca. In qualche modo, Oscar si doveva pur sfogare.
-
Sei un grandissimo seccatore, signor André
"ci - penso - io"
Grandier. Dammi le redini, e dormi sul serio. Al diavolo: volevi fare il
marito? Allora dormi, e piantala di fare l'attendente premuroso, qualche
volta!!- Gli strappò le redini di mano e spronò i cavalli ad un galoppo
furioso.
- Oscaaar! Ma sei impazzita!!! Ma quanto corri?! E se succede qualcosa
al bam…-
-
Taci, sta' zitto! Sta zitto!- Urlava aspra, imperiosa, mentre il vento le
asciugava tante lacrime. Per suo padre.
marzo 1791
Se
qualcosa di buono aveva prodotto quell'incontro con il generale, era la
consapevolezza, in Oscar, che per quanto le sue scelte fossero dolorose, erano
giuste. O meglio, le migliori da fare. Per se stessa, per la sua natura di
essere umano, per il suo posto nel mondo. Anche se soffriva molto, pensando ai
momenti passati, alle persone che ora stava, indirettamente, avversando -e ciò
la rendeva infelice- .
Un
giorno, mentre camminava per Parigi, trovò una stampa mezza calpestata e quasi
si sentì male. No, si stava sentendo male. Dove andare? Da Rosalie? Sì, lei
avrebbe fatto la cosa migliore: l'avrebbe messa a letto, l'avrebbe fatta
mangiare e calmare. Era proprio quello che non voleva. Non poteva ammettere un
minimo di debolezza, non se lo poteva né voleva perdonare. Così raggiunse André.
In silenzio gli mostrò il foglio. Non era peggiore dei tanti che aveva visto:
Maria Antonietta, con una risata lasciva, alzava la gonna e faceva toccare a La
Fayette la res publica.[2]
Un gioco di parole crudele e astioso, che di solito faceva arrabbiare
Oscar. Invece, questa volta, piangeva.
- Cos' hai, Oscar? Piangi per questo? Solo per questo?-
- Sì… cioè, no…-
- Cosa c'è?-
- Niente, André.-
- Sì, conosco il tuo "niente"… Avanti, sai che di me puoi
fidarti…-
Lei
non rispondeva. Aveva messo addirittura il broncio. Comportamento
inequivocabile: ormai André poteva indovinare il motivo di tanto turbamento con
un buon livello di approssimazione. Dall'adolescenza in poi, Oscar ogni tanto
faceva così.
-
Hai un mal di schiena tremendo. E' inutile che ti ostini a camminare con passo
marziale: nessuno ti dà una medaglia, nessuno pensa male di te…-
Quel
visino imbronciato e severo, occhi azzurri pieni di lacrime… - Guai se fiati
con Rosalie…- Mormorò minacciosa
-
Sta' zitta. Ora ti faccio un massaggio. Sei fortunata, sai? Perché ti lascio
fare… Pensa se impazzissi, se diventassi Girodel…-
- … non fami dare di stomaco…- (questa è cattiva…^^;)
-
… e ti obbligassi a stare riguardatissima, a letto, vincolata tra lenzuola e
materasso come una fetta - di formaggio tra due fette di pane…-
André
sapeva come prenderla, non c'era nulla da dire. Bandiera bianca… Le venne da
ridere. Era ridicola la situazione, l'orgoglio testardo, l'ironia… era
ridicolo anche il modo distorto di esprimere il coraggio. Sotto quel massaggio
caldo, rigenerante e protettivo, si lasciò andare ai pensieri. L'incontro col
padre era stato anche un buon motivo per capire che il suo comportamento
ostinato era controproducente. Lottare a testa alta non vuol dire correre anche
con il mal di schiena, mandare i cavalli a briglia sciolta anche se non c'è
fretta, solo per mostrare a se stesa e al mondo intero -mondo che a tutt'altre
cose ha da pensare- che Oscar resta sempre Oscar, anche con un figlio.
Più
serena, più rilassata, ebbe modo di parlare con Rosalie. Oscar restava un po'
sulle sue, mentre Rosalie faceva passi generosi verso di lei, delicati,
affettuosi.
-
Io so qual è la tua forza fisica, la tua tempra, Oscar. Tra chi ti conosce
nessuno la metterà mai in dubbio. E so com'è la tua educazione. Oscar, io
posso dire di essere tua sorella minore, ma so che tra noi rimarrà sempre
distanza, perché siamo diverse. Dove tu mi superi di dieci passi, io
indietreggio. Ma anche Oscar, alle volte, indietreggia. E io, lì, la supero
di… tre passi. Oscar, Bernard è felicissimo del tuo lavoro, direi che ne è
fiero… Tu vieni a chiedermi consiglio, ma io voglio ringraziarti. Quando
passava tante ore con Robespierre, Bernard era sempre nervoso, inquieto, anche
se diceva di essere felice. Ora la metà del tempo lo passa sui fogli, niente e
nessuno lo possono distrarre. Quando esce dalla sua stanza, io vedo che è
davvero felice. Io credo che la sua vocazione sia quella. La tua forza, Oscar,
l'ha portato a riscoprirla. Ora, mad… ehm, Oscar… devi solo continuare la
tua lotta, cosa che farai anche senza che nessuno te lo dica. Nulla ti può
frenare. Ma devi amarti un po' di più! Per te, per il caro André, per il
figlio che nascerà. Devi amarti tanto quanto ti è mancato l'amore, anche di più.
Tutta la freddezza di palazzo Jarjayes, trasformala in calore. Non è debolezza,
anzi, ci vuole una forza che solo Oscar può avere. Io… non ci riuscirei mai!-
Rosalie chinò gli occhi. Si aspettava una sfuriata imperiosa, oppure qualche
recriminazione o qualche ricordo indomito e dolente. Invece Oscar le rivolse uno
sguardo puro e triste.
- Lo sai che Marie è morta? Non l'ho ancora detto ad André. Gli farei
molto male adesso…-
Rosalie
pianse, ricordando la vecchia Marie, il suo mestolo "rotante", sempre
pronto a scagliare punizioni contro il nipote, a viziare madamigella con ogni
dolcetto, a rimproverare il generale: dal basso del suo metro e con quaranta ne
sfidava, con la spavalderia da vecchia quercia, lo sguardo tremendo. Marie,
Marie…
-
Ho ancora in me l'egoismo della nobiltà. Sì, ho i miei problemi. Soffro,
Rosalie, ma ho ancora in me l'egoismo della nobiltà.-
maggio1791
Olympe[3]
Oscar
aveva deciso di settorializzare il suo lavoro, senza smetterlo, almeno in quel
periodo. Così seguiva tutti i comizi di Bernard. In questo modo dividevano il
lavoro a metà, perché discutevano tra loro e gli impegni erano circoscritti.
Una volta le capitò di incrociare Olympe de Gouges, all'uscita da un club.
Bernard teneva un comizio lì vicino, ma era un discorso così privo di
mordente, quella volta, che Oscar preferì fare quattro passi in giro e finì
vicino ad uno dei tanti, troppi club che riunivano i parigini. Era appena finita
una riunione presieduta da Olympe de Gouges. Faceva un gran rumore, quella donna
indomita. Oscar aveva udito voci sul suo conto che la dipingevano come una sorta
di arpia frigida, dalla voce gracchiante. Invece, quando la vide, restò di
stucco. Non che avesse mai dato retta alle voci, ma Olympe era bellissima: le
guance rosse per il caldo, i capelli castano chiaro folti e morbidi, acconciati
secondo la moda più recente. Aveva il collo lungo, elegante, e negli occhi il
luccichio furioso della passione per un'idea. Lo stesso che brillava, sempre,
negli occhi di Oscar. Si lanciarono uno sguardo, come se qualcosa le legasse,
come se nelle loro pupille potessero leggere reciprocamente la propria storia,
le proprie scelte e riconoscersi.
Olympe
stava per andarsene. Rallentò il passo, un po' indecisa, e si fermò- O. F. d.
J.?-
Come
aveva fatto a capirlo? In un anno erano successe così tante cose che
altrettante ne erano state dimenticate. Volti su volti, storie su storie…
tutto si confondeva. Evidentemente Olympe era concentrata più su certi eventi
che su altri.
- Dipende. In caso anche O. G. ma è meglio solo Oscar…. Non ho nome né
titolo.-
-
Ah…- Olympe sorrise, si voltò. Aveva anche una bella voce, stentorea ma
chiara. - Io sono figlia illegittima di un marchese. Conoscevo di fama il
generale d. J., e qualche notizia di sua figlia… bene, a quanto pare voi
seguite a pieno i miei principi, quelli che io proclamo... Oh, se potessi
parlarvi senza mettere in pericolo la vostra vita…- Olympe fece un saluto
militare, goffissimo perché non lo conosceva, e per di più con la mano
sbagliata, ma credeva fosse un gesto gradito e pieno di significato. Oscar
ricambiò con il medesimo saluto, impeccabile questa volta. Si erano capite, in
una scintilla: esseri umani, donne pronte a combattere per quello che credono,
con tanti diritti e doveri, come tutti gli esseri umani… ma non per questo
arpie, mostri invertiti o creature abominevoli.
Il
fazzoletto ricamato [4]
Il
3 maggio Bernard era in piedi su un palco, preso nel comizio. Rosalie era seduta
sulle scale di legno, con il bambino al petto, intenta a ricamare il fazzoletto
dei suoi sogni. La rosa bianca di lino e cotone che voleva donare ad Oscar era
quasi ultimata. Non era semplice creare sfumature sul bianco, dare idea della
corposità alla rosa, darle la maestosità, la leggiadria necessaria. Rosalie
voleva mettere in quei petali ricamati tutta la forza indomita di Oscar. Non
era, per lei, un lavoro qualsiasi. Ci metteva l'impegno e la passione dettati da
un affetto che nasceva come gratitudine ed ammirazione, e fioriva come stima e
rispetto profondo.
Il
sudore le imperlava la fronte. Bernard aveva la faccia intera ridotta ad una
maschera di sudore, il suo sforzo era visibile nella contrazione delle labbra.
Rosalie
si guardò intorno. C'erano parecchie persone, nonostante quel sole dannato. E
la gente era molto agitata. Con gli occhi cercò Oscar, la vide insieme ad André.
Stavano arrivando proprio allora, anche in ritardo. "Strano" pensò.
Oscar preferiva svolgere il suo lavoro in totale solitudine. E con militaresca
puntualità. "Chissà come mai… meglio così, oggi è pericoloso. So che
Oscar finge di non pensarci. Quanto è testard…" Rosalie non fece in
tempo a finire la frase, che due uomini corsero sui gradini, raggiunsero il
palco. Erano popolani monarchici e minacciavano Bernard, chiaramente
repubblicano. Rosalie gridò, ma non si sentì nulla, perché i parigini in quel
periodo non erano affatto razionali. Come impazziti, in molti presero a cercare
di salire sul palco, chi a favore di Bernard chi contro. Erano incontrollabili.
-
Bisogna aiutare Bernard , André!! Presto! Bisogna fare qualcosa!-
-
A Bernard ci penso io. Quanto a te, Oscar, è meglio evitare…-
-
Ma quanto è seccante il signor
Grandier" marito - perfetto"!
Io sono libera, sono Oscar, faccio quello che reputo opportuno. E ringrazia Dio
che ti ha fatto come sei, altrimenti ora avevo già la pistola in mano e…- si
avvicinava grandi passi. André le
bloccò la mano, stringendole il polso. Lei non si voltò, non si divincolò.
- Ma sei impazzita?! Non capisci proprio?!-
Invece
di reagire nella maniera usuale, Oscar si volse piano verso André. Era
pallidissima, aveva lo sguardo terrorizzato, annichilito. Peggio che sotto la
Bastiglia: all'epoca, quantomeno, sapeva come fronteggiare il dolore delle
ferite…
- André…- mormorò. - Portami a casa, subito! Mi sento male! Mi sento
male!
Rosalie
guardava sconsolata il suo fazzoletto ricamato. Lo guardava anche contro luce.
Per quanto avesse insistito nel lavarlo, un'ombra di macchia era rimasta. Oh,
non si può regalare un fazzoletto ombrato di sangue, anche se sembrava solo una
sfumatura rosa sulla perfezione candida di una rosa bianca. Così bianca, così
perfetta, da essere lontana. Una sfumatura colorata ci stava anche bene…
peccato che, in realtà, fosse una macchia! Eppure, le donava qualità: forse
Oscar avrebbe apprezzato. Quantomeno lo sforzo, l'affetto…
Non
era colpa di nessuno se quel pomeriggio Bernard si era trovato due monarchici
addosso: essendo agile di natura, era riuscito a sgusciare facilmente ma qualche
pugno se l'era preso. E lei, ovviamente, aveva asciugato il sangue di suo marito
con la prima cosa che le capitava in mano. Quando si era accorta che si trattava
del fazzoletto con la rosa, avrebbe voluto piangere, ma in fondo credeva non
servisse… la vita non è una rosa candida e distante. C'erano gli ideali di
Bernard, ma anche la lotta di chi la pensa diversamente. E poi c'era Oscar,
simile a una rosa bianca, così forte e lontana, eppure profondamente umana,
perché la vita propria degli uomini non è mai di un solo colore.
E
ora si stava recando da Oscar, da "madamigella" Oscar… non l'aveva
potuta aiutare, ma non aveva neppure pensato a cosa potesse esserle accaduto…
Durante il tumulto l'aveva persa di vista, ma poteva benissimo essere scappata:
avrebbe avuto ogni ragione. Lei, Rosalie, sarebbe scappata. Anzi, non si sarebbe
neppure presentata, avrebbe preferito stare nella fresca ombra di casa a cucire
vestitini per il figlio in arrivo. Ma sapeva che, invece, Oscar si sarebbe
presentata lo stesso: era nella sua natura di folgorante rosa essere così: un
cavaliere senza macchia né paura. Invece si era dovuta ritrarre, ma non certo
per paura… semplicemente per umanità. Ma chi li vuole, i cavalieri senza
macchia né paura? A Rosalie piacevano, anni prima, ora capiva quanto fossero,
in realtà, disumani.
E
la sua Oscar non era mai stata disumana. Mai…
Salendo
le scale, Rosalie godeva del fresco. Il sole era appena calato e il cielo si era
velato di nebbia turchina. Nelle mani stringeva il fazzoletto ricamato.
Entrò in punta di piedi, per non disturbare. Le venne quasi da ridere, e nel contempo si commosse:
Oscar e André dormivano appoggiati l'uno a l'altra, i capelli biondi di lei abbracciavano quelli scuri di lui. Non si capiva bene, pensò, chi fosse più stravolto. Conoscendo André, azzardò il sospetto che fosse lui… Oscar aveva un braccio disteso all'esterno del letto, forse si era addormentata mentre cercava di raggiungere, con la mano, la piccola culla… quel particolare le punse il cuore. |
A destra, il figlio dormiva. Aveva pochi capelli, ma innegabilmente color dell'oro.
Rosalie sperò che gli occhi gli diventassero
verdi, perché sarebbe stato un equo compromesso tra due bellezze diverse e
uniche. Non poteva disturbare, e fece per andarsene.
-
Dio… che male al braccio…- un sussurro, una voce roca ma decisa. Rosalie si
voltò. Le venne di nuovo da ridere: la prima cosa di cui si lamentava Oscar era
il braccio che le formicolava. Una frase in perfetto stile militare…
- Oscar! - Rosalie le si avvicinò.
-
Non ti fare strane idee: io combatterò sempre, per la libertà. Sarò anche più
forte… scommettiamo?…- la voce era bassa, lo sguardo dolce, ma nel sorriso
c'erano la sfida e l'orgoglio.
-
Oh, io lo so mad... Oscar… Io… avevo preparato questo regalo per voi… ma
Bernard si è fatto male, e così si è macchiato di sangue… Non è la rosa perfetta che volevo…-
Oscar
rimase un attimo in silenzio, chiuse gli occhi. "Chissà, forse do
fastidio. Ora si addormenta di nuovo…." pensò Rosalie.
-
Rosalie… a dar retta a mio padre, come direbbe Alain, "sai che scocciatura, la perfezione?"…
Lo accetto… Rosalie… E' bellissimo…-
Rosalie
era al settimo cielo. Oscar era più viva e più se stessa che mai, più che con
l'uniforme. Anche se cercava di mantenere un tono tutto suo, e forse le veniva
spontaneo, Oscar era felice.
- Posso fare qualcosa per te… mad… Oscar…-
-
Prima di tutto… non voglio più sentire la parola madamigella… Poi…- Si
guardò intorno, nella stanza disordinata, riempita dal respiro della sera. -
… ecco, sistemami André, che poi gli viene il torcicollo…- Rosalie obbedì,
sorridente. André dormiva , sopraffatto dall'emozione. E continuava a stringere
la mano di Oscar.
-
… Serve qualcos'altro? Ma si deve fare qualcosa! Vuoi bere? Hai bisogno di
mangiare, se vuoi preparo una minestra o …- Rosalie cercava di darsi da fare,
di impegnarsi in qualcosa di logico, in quel frangente… Certo che Oscar aveva
una fibra davvero resistente. Ma, d'altronde, per battere la tisi…
-
Che caos che fai! Lo sai che detesto il disordine… e mi fa anche male la
testa. Sai che devi fare, Rosalie?… Ti ricordi, la prima volta che ci
incontrammo?-
- Certo… il duca di Germain aveva sparato a un bambino, di cui non mi
ricordo più il nome…-
-
Fu la prima volta che vidi davvero la vita… Il bambino si chiamava Pierre.
Come lui.- Indicò la culla.- … Ecco, Rosalie… saluta, saluta Pierre.-
Rosalie
si sentì travolgere da un'ondata di emozioni. Oscar era davvero come quella
rosa ricamata: apparentemente distaccata e padrona, era colma di forti
sentimenti. Le sembrava tutto così bello, così bello, che pianse.
- O-Oh[5]… madamigella
Oscar!!!-
- Per questa volta te la passo, piccola Rosalie…-
Fine
Mail
to
sonia_78@virgilio.it
[1] Ne "Il profumo" di Suskind è dipinto come una specie di affollatissimo Ponte Vecchio. Non so, però, se fosse ancora così all'epoca
[2] L'immagine si trova su Cittadini, di Simon Schama. Un libro enorme che ti sembra di aver letto, poi ti accorgi che hai captato solo qualche frase di tutto ciò che c'era scritto.
[3] So che questo pezzo può apparire di troppo, ma Olympe mi ha davvero colpita. E, detto francamente, ho visto dai ritratti che era ciò che Tomba-Dix definirebbe "una gnocca"
[4] Questo pezzo, che a me piace molto, si discosta abissalmente da ogni ff, perché ognuno è fatto a modo suo e conosce i suoi limiti. Io so scrivere così, non riesco a fare altrimenti. Quindi il pezzo è delicato, accennato, sfumato. Attenzione alla rosa che cuce la Piagnola: è la chiave di tutto.
[5] Questo sarebbe il pianto di Rosalie…