Gli anni che verranno (1790-1791)
Parte IV
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Revisione: Laura Luzi
Tuilieries, la sera stessa
In
pochi giorni Versailles si era trasformata… Quello che era stato un enorme
mostro luminescente, al punto da cancellare l'alone lunare, era ora una sagoma
vuota, silenziosa. Le risate si erano spente, le stanze erano buie… in coloro
che vi avevano vissuto albergava una sottile paura. Che il popolo fosse noioso e
capriccioso, i nobili lo sapevano, ma quella volta pareva essercisi messo di
muso duro. Continuava, continuava… aveva rosicchiato con costanza piccole
fette del potere del Re, e aveva quasi perso del tutto il sacro timore che
avrebbe dovuto nutrire nei confronti della nobiltà. I nobili, rapidamente, si
erano allontanati. Prima scettici, poi decisamente spaventati.
Infine,
il Re non abitava più in quella reggia piena di specchi ma nel palazzo delle
Tuilieries
Nella
sala privata di Luigi XVI, un uomo batteva la mano sul tavolo laccato, lasciando
l'alone del sudore, nonostante l'aria pungente. Doveva essere nervosissimo, il
generale Jarjayes, per sudare. Doveva essere davvero fuori di sé per
gesticolare davanti a Luigi XVI, che lo guardava con una sorta di bonaria
affettuosità.
-
Maestà, dovete consentirmi di dare la possibilità ai miei uomini di sparare,
anche sugli inermi. Ogni ferita inferta alla Corona è una ferita inferta alla
Francia. Se non difendiamo la Corona, perderemo la Francia… Il nostro Stato!
Così facendo, qualcuno morirà, ma molti altri avranno salva la vita, perché
regneranno l'ordine e la pace!-
Il
sorrise del Re fu dimesso e amabile - Generale…?-
-
Sì, Maestà?-
-
Alle volte mi ricordate vostra figlia…-
Il
generale Jarjayes si irrigidì. - Preferirei non toccare questo doloroso
argomento. Un tradimento così plateale mi ha reso lo zimbello della corte
intera. Fortunatamente è stato punito con la morte.- "No, non
fortunatamente… non posso tollerare mia figlia, le sue scelte… ma l'amo, la
vorrei viva… non sono così cieco…"
-
Io non ho intenzione, generale , di destare in voi brutti ricordi… E' che nel
vostro impeto, nella vostra convinzione, a tratti rivedo Oscar… Sua Maestà la
Regina me ne parla spesso. Quanto al tradimento… generale, guardatevi
attorno… Almeno Oscar ha agito con coerenza e alla luce del sole. Ma quanti,
ora, a Versailles ce l'hanno con me? Quanti tramano alle mie spalle, e poi mi
sorridono? E' tutto molto triste questo…-
Il
generale sospirò: era tipico di re Luigi XVI avere quei momento quasi
"elegiaci", che però lo rendevano molto umano.
-
Non sono stato, certo, il più grande Re di Francia… ma sapevo che non ci
sarei mai riuscito… Oscar invece sarebbe stata un generale migliore di voi,
sapete ?-
-
Mh?-
-
Sì. Perché vedeva le cose da un duplice punto di vista: le vedeva come
militare, ma con gli occhi di una donna. Quindi sarebbe stata il miglior
generale che la Francia avesse potuto avere… davvero…-
Il
vecchio Jarjayes si sentì scosso, cerco di glissare. - La cosa che accomuna,
che deve accomunare tutti i militari, è l'odio per il disordine. Infatti, è
bene tornare a parlare dei disordini a Parigi e intorno Versailles.-
-
Va bene, generale. Vi ascolto.-
Parigi, poche ore dopo
Oscar
si voltò. Il disordine, quanto non lo sopportava! Avrebbe preferito tenere per
sé la notizia di un figlio, già solo per evitare il disordine: tutti quei
consigli, quegli auguri, quelle leziose, zuccherose osservazioni, quel caotico e
irrazionale circondario, fastidioso e inutile. Patetico e noioso.
Lei
e André avrebbero fatto la loro vita ugualmente, lo sapeva. Lo immaginava…
però, che paura… nella programmatissima vita del soldato entra l'irrazionale.
Che è come una folata d'aria in un ambiente chiuso: ti ridà fiato, ma ti
chiedi da dove venga e cosa porterà…
…
profumo di rose… di foglie bagnate…
C'era
quell'odore la prima volta che aveva trovato il coraggio di evocare una
possibilità volutamente dimenticata: un bambino.[1]
Ma la vita ha le sue priorità, e Oscar ama la concretezza: la priorità era
salvarsi, recuperare se stessi, poi trovare un ruolo a Parigi e poi… poi il
resto. Poi quello che verrà. Per gli anni che verranno. Ma sempre in piedi, a
testa alta.
Guardava
André che dormiva, ma poi lui aprì gli occhi. - Mi inquieta essere scrutato
mentre dormo. - biascicò.
-
Scusa, André. Consolati: evidentemente sei uno spettacolo gradevole…-
Con
i segni del cuscino sulla faccia, le palpebre pesanti e l'aria un po'
strapazzata, cercò di girarsi. - Tu non hai dormito, Oscar… che cosa c'è?-
-
C'è… nulla.-
-
Ho capito. C'è qualcosa.- ripose con aria seraficamente laconica. Oscar si
innervosì.
-
Signor Grandier, io…!!- era partita
con lo slancio adatto per fargli una paternale per quella copia della Dichiarazione
che non si trovava più, ma non poteva mentire a se stessa. Altro era ciò
che le toglieva il sonno. - No… volevo dire… non c'è nessun problema. Per
te, almeno no. Per me, al solito, sì.- Emise un sospiro profondo, doloroso ma
anche consapevole. - Devo ricominciare da capo, fare chiarezza dentro me: sono
bravissima a dami ordini, ma sono anche la prima degli insubordinati. Insubordinata
con me stessa, pensa un po'!! Devo… ricostruire un filo, cercare di… oh,
mi sento anche in colpa di aver paura, di non essere pienamente felice, di non
sapertelo dire!-
-
Che c'è, Oscar…? Parla…- e sussurrò quelle parole con levità, per
lasciare a Oscar lo spazio per aprire il suo cuore, per dare respiro ai suoi
pensieri. Doveva dirgli qualcosa di importante, di grande ma i lacci del passato
la frenavano. Cosa doveva dirgli? Mille novità potevano avvenire, a Parigi…
-
Vedi… tu... tu meriteresti sempre qualcosa di più, una donna che te lo
dicesse festante…- le sue mani si muovevano, come per cercare di afferrare le
parole che le scivolavano via, come gocce gelate che si sciolgono dal rubinetto
di una fontana, alle soglie della primavera. Gli occhi, nel buio e sul lieve
rossore delle guance, sembravano ancora più azzurri. - Ma io sono fatta così!
E, per quanta forza e felicità abbia dentro me, faccio sempre fatica ad
esprimerla… e questo non è giusto, perché noi siamo padroni della nostra
vita, ci siamo scelti e la scegliamo, e ogni passo deve esser una conquista.
Ma... André, solo perché sei tu…-
-
Oscar, cosa devi dirmi? Mi stai facendo preoccupare…-
-
Sciocco…- Aveva davvero l'espressione tesa, spaventata. - … credo che ne
sarai contento, invece. Stai per… diventare... padre…-
André
rimase un istante pietrificato, a bocca aperta. Poi, sul viso, la luce: graduale
e inesorabile come l'alba, splendida come l'arcobaleno di un cielo in festa.
- Oscar… Oscar... Oscar… Vuoi dire che tu? Cioè che noi? Dimmi che non sto
sognando!-
-
No, non stai sognando. E' tutto vero. Ma iniziamo a mettere le cose in chiaro!-
Oscar dette un tono duro alla sua voce, alzò tre dita della mano destra e per
ognuna un argomento da esporre. - Punto primo: io sono sanissima. Punto secondo:
io sono sempre me stessa. Quindi non azzardarti a dire cose tipo "non
strapazzarti" "non gridare troppo" "sta’ a casa",
perché allora io…- André sembrava caduto da una nuvola d'oro, stava per
piangere di gioia, lo vedeva. E faceva fatica a mantenere quell'aria burbera,
cercava di schivare quello sguardo limpidamente felice. - … io uscirò, e
anche correndo!… Io griderò, così per farlo…- La sua corazza stava
cedendo. - io... io… Oh, abbracciami, André!!- Scoppiò a piangere anche lei.
Di felicità, per trovarsi lì, vivi, insieme, di paura del futuro e di voglia
di affrontarlo, di indomita energia
-
Oscar… Oscar, io… ma tu non devi preoccuparti… Sei magnifica, non potrei
mai dirti certe cose, lo sai… C'era da aspettarsi un po' di difficoltà, ma
tu… tu sei splendida… io ti starò sempre vicino!-
-
Oh, André… mi fai sentire in colpa, sai?... In colpa perché sono contorta,
nelle mie reazioni, nel mio agire… ma io ti amo così tanto… solo perché
sei tu… solo perché siamo noi. Nessuno ci obbliga a nulla: né dio, né
uomini… André… Tutto questo mi sembra incredibile, e, se non fossi tu, così
come sei, ad essere al mio fianco, ad esserne il padre, mi sembrerebbe
insensato, tremendo… invece... è… magnifico…- sussurrò l'ultima parola.
Quella che finora non aveva mai pensato.
-
Che devo dire, amore mio? Hai detto tutto tu, e mi lasci col cuore gonfio di
gioia… da scoppiare… da scoppiare…-
-
Una cosa, ti prego, però: discrezione, André. Ti scongiuro. Non ammetto
confidenze, chiacchiere e cose simili!-
-
Certo Oscar, certo. Ma, ad un certo punto, la discrezione non servirà più…-
-
Lo so, ma sono nata per combattere, sai…
Il mattino dopo
-
Ah, una copia… meno male! E' già passato del tempo: era il 26 agosto 1789…
André si era appena tolto le bende… Beh, un buon modo per festeggiare il
compleanno…- Oscar prese i fogli, li lesse.
"I
Rappresentanti del Popolo francese, costituiti in Assemblea nazionale,
considerando che l'ignoranza, l'oblio o il disprezzo dei diritti dell'uomo sono
le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione, hanno deciso di
esporre in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e
sacri dell'uomo…"
(…)
"
Art. 4 La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri:
così l'esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo
quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi
stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla Legge"
Oscar
era meditabonda. In quelle parola c'era l'ardore che li aveva guidati sotto la
Bastiglia, lo stesso entusiasmo, la stessa fede… ma si faceva spazio qualcosa
di diverso. Le pareti di quell'ufficio la opprimevano, le davano fastidio. Lei
era vissuta all'aria aperta, sempre in movimento, in azione… ora, invece, non
si poteva più… o meglio, nessuna legge lo diceva, ma dai discorsi si capiva.
Si capiva che una certa visione delle persone sarebbe diventata legge, e che, se
Robespierre era amato dall'elettorato femminile, era perché in alcuni discorsi
indugiava molto sul suo passato di orfano, di uomo triste e solitario, che tanto
amava la donna - madre… l'angelo del focolare… Ma non siamo tutti uguali?
Per
recuperare i tempi di pace e oblio passati ad Arras si era letta, con viva
simpatia, i primi fermenti provocati da una certa Olympe de Gouges.[2]
Avrebbe fatto strada, quella donna. Ma, dalle indiscrezioni che Bernard forniva,
aveva intuito che avrebbe fatto anche una brutta fine. La libertà va
incanalata, altrimenti è follia. Ma se prima non cambia l'educazione delle
gente che deve darle una forma, che libertà sarà? Una libertà vista dai loro
occhi, come aria di montagna imprigionata dentro una bottiglia. E Robespierre,
fondamentalmente, non le sembrava un amante di bottiglie dalle forme insolite.
Tuttavia Robespierre era migliore di molti: non tutti i rappresentanti del
popolo erano delle cime, non tutti erano veramente motivati, profondamente
convinti che la libertà è il respiro dell'uomo. Oscar tremò. Che futuro le
sarebbe toccato? Allora, forse, sarebbe stato meglio morire sotto la Bastiglia
che venire annientati poco a poco nella personalità. André, molto
probabilmente, aveva calcolato anche questo possibile problema. Probabilmente
l'aveva pensato ma non aveva voluto coinvolgerla subito, per evitare di
confonderla ancora di più. Ma, in fondo, se lo aspettava anche lei.
"Non
cominciare a pensare al peggio, Oscar… Non incominciare a pensare al peggio…
sta’ calma, affronta i problemi uno per uno… Puoi fare ancora molto e vivere
a testa alta… ce la farai!"
<<E' mio figlio. Non l'avrei allevato
come mio erede se fosse uno che si fa uccidere tanto facilmente.>>[3]
Ripensò
al padre. Cosa avrebbe detto il generale se avesse saputo che lei era viva? Se
avesse saputo che era sposata con André e che… stava per diventare nonno?
Questa poi! Lei, proprio lei… a pensarci, quasi si sentiva male. Le pareva di
non capirci nulla. Come se ciò che stava accadendo riguardasse un' altra Oscar,
non quella che, con le braccia conserte, fissava fuori dalla finestra.
-
Oscar… che c'è?- Una mano lieve. Una voce carezzevole. L'unico senso a tutto.
In un certo qual modo André era la libertà, quella vera, quella che porti
dentro e niente e nessuno può sopprimere. In questo, era molto più forte di
lei. Costante, in pace con la sua coscienza, così sicuro dei suoi sentimenti
che infondeva una quiete e una gioia profonde, interiori.
-
Pensavo a mio padre. E a questo ufficio. Io non posso stare qui dentro. Ci
muoio, André. Come non posso stare chiusa dentro una casa. Io devo fare
qualcosa… E pensavo anche che, in
futuro, sarà ancora più difficile: sono un'ex aristocratica, sono una
donna…-
-
Per chi non ti conosce, forse sì. Ma per me sei Oscar. E basta. Sai che
preoccuparti non ti fa bene? Anche il bam…-
-
Cominciamo?!- gli gridò, voltandosi di scatto. Fu allora che si accorse
dell'aria pesta dello sguardo di André. La sua vista non reggeva certi sforzi.
Non era facile neppure per lui affrontare la vita.
-
Beh… mi guardi così spaventata? Mica avrò la faccia da orco?-
-
Stai… bene?-
-
Benissimo, Oscar… benissimo…- sussurrò e tornò al lavoro.
La luce dei piccoli gesti
"Io
posso aiutare André. Devo fare qualcosa per lui. Ma non servirebbe di certo se
mi piazzassi per ore in quell'ufficio: sarei sempre nevrotica e scontenta. E,
ormai lo so, André soffre a vedermi soffrire. Quando ero nobile era tutto
facile, ma insipido. Sacrificare qualcosa, invece, dà un valore a ciò che si
fa." Aprì la tasca della sua vecchia divisa. Se le avessero chiesto di
separarsi dai suoi libri o dalla sua vecchia spada, avrebbe sofferto tantissimo.
Ma quello che teneva nelle mani non aveva valore, per lei. In fondo, non aveva
neppure senso.
Quando
era uscita di casa, il 12 luglio dell'anno precedente, sapeva che non vi sarebbe
più rientrata se non morta. In quel caso, certamente, i popolani affamati
avrebbero controllato anche le tasche dei cadaveri, e quindi l'oggetto che aveva
con se sarebbe stato utile a qualcuno. Essendo viva, quell'oggetto era utile a
lei. Stupidi sassolini colorati, indossati nel tentativo di piacere ad un
distratto conte svedese. Orecchini.[4]
Gocce di luce colorata per le quali le dame di Versailles sapevano andare in
rovina. Belli e freddi, li guardi e non ti rispondono. Non come lo sguardo di
André, così caldo e dolce, così bello… un mare verde fatto di bontà,
riversato nei suoi sfortunati, splendidi occhi. Altro che orecchini! Altro che
il conte Fersen! Senza un attimo di esitazione.
Camminando
per le strade, pensava al valore del gesto che stava per compiere. Un nobile di
Versailles forse l'avrebbe giudicato patetico. Ma un nobile di Versailles,
forse, il vero amore non immaginava neanche cosa fosse.
La
bottega dell'ottico aveva un'insegna di legno dipinta di verde. Era l'ottico più
caro di Parigi, ma sicuramente il più bravo. Lo conosceva vagamente, e sapeva
di avere a che fare con un affidabile strozzino.[5]
"Credo
che mi divertirò…" pensò.
L'ometto
tarchiato, allo scampanellio della porta, corse al banco esultando. Un cliente.
-
Di questi tempi viene poca gente: nessuno ci vede più dalla fame, ma i miei
prodotti non servono!- disse, con voce melliflua.
"Captatio benevolentiae…" pensò
Oscar. Espose il suo problema all'ometto, che iniziò a fare schizzi a raggiera
su fogli sparsi. La sua mano vergava quei segni minuti e precisi che ricordavano
gli studi di Leonardo.
-
Mica sono nato con la camicia, io! No!- iniziò a parlare, convinto ed enfatico,
mentre preparava schizzi e preventivi. - A dieci anni non avevo nemmeno le
scarpe. Ho studiato l'arte della vista anche in Italia e in Olanda! E quando
lavoravo, all'inizio, continuavo a non avere le scarpe. La gente dice che sono
avido, ma anche questa è falsità… Io chiedo perché do. Sono il migliore, e
non lo nego. Conosco il mio mestiere. Sia la parte tecnica sia, ovviamente,
quella più prettamente commerciale…- un sorriso serafico sul faccione
rotondo. Un foglio con un disegno preciso e, in fondo a destra, una cifra con più
zeri. - Allora? Ma forse chiedo troppo.-
-
Meritereste una denuncia.- Oscar lo gelò prima con la voce, ferma, glaciale,
decisa. Poi con un sorriso inaspettato, tagliente e con lo sguardo lampeggiante.
- Ma ve la cavate, solo perché sono in debito con mio marito. E di cose che non
si possono quantificare. Ecco qui.- Gettò il sacchetto con un orecchino. -
Voglio il lavoro pronto prestissimo. E voglio il resto, altrimenti, vi
garantisco, vi mando la Guardia. E non sono le chiacchiere di una donna
qualsiasi…- quasi ghignò.
L'ottico
impallidì. Una faccia conosciuta. Ma quanti clienti aveva avuto in vita sua? E,
una volta incassati gli introiti, questi diventavano una massa indistinta di
storie e problemi di vista. Eppure, quel volto non gli era nuovo.
-
Per la miseria! Per Mercurio, dio del furto e del commercio! Ma quella è… è….-
si sedette, quasi sconsolato. Il prezzo gli sarebbe toccato arrotondarlo al
ribasso, e non barare sul resto.
Tornando,
Oscar si fermò da Rosalie per lasciarle la copia della Dichiarazione che Bernard le aveva prestato. La guardò,
probabilmente, inorridì in modo visibile, perché Rosalie se ne accorse.
La
"piccola" Rosalie era seduta a ricamare un fazzoletto, cantava una
nenia, e François, gattonava intorno a lei. Ma i libri che le aveva fatto
leggere? E gli esercizi con la spada? Che fine aveva fatto quella ragazzina
caparbia, capace di stancarsi fino a cadere per terra, pur di raggiungere la
vendetta?
-
Oh, Oscar!- esclamò lei. Dapprima entusiasta poi, vedendo quel pallore distante
di Oscar, si smorzò.
-
Ecco la copia di Bernard… grazie…-
-
Di nulla..- quasi facevano fatica a guardarsi in faccia.
-
Bello il tuo lavoro… Rosalie.- Oscar gettò lì la frase, neppure troppo
convinta. In realtà, non sapeva neppure distinguere un ricamo bello veramente
da uno senza infamia e senza lode.
-
Vi... piace?-
-
Mh… la spada che usi è troppo piccola per i miei gusti.-
Rosalie
si illuminò. Aveva detto la stessa frase pronunciata, anni prima, a palazzo
Jarjayes. Quasi saltò sulla sedia dalla felicità, ma Oscar salutò, si voltò
e se ne andò.
Già,
era cresciuta la "piccola" Rosalie. Non leggeva più i libri che Oscar
stimava, non curava che le gambe fossero sempre scattanti.
Oscar
le aveva insegnato a camminare, e lei, ora, camminava a modo suo. E al suo
spirito di osservazione non era sfuggita un'ombra negli occhi di Oscar, un'ombra
strana, mista di paura e gioia. Un qualcosa di molto profondo. Con il garbo che
le era innato, con la sensibilità e la sua pazienza, Rosalie era sicura che,
forse, avrebbe potuto aiutare Oscar. Decise che le avrebbe parlato con calma,
che si sarebbe resa disponibile per qualsiasi eventualità, e con profondo
rispetto per Oscar, per la sua storia, le sue inquietudini. Le sembrava così
stonato quel ribaltamento di ruoli, ma bisognava essere concreti: non si vive
solo di oratoria e libertà. Neppure l'algida madamigella Oscar poteva più
farlo.
"Se
chiedessi aiuto a Rosalie, potrei sentirmi dire che devo diventare così, com'è
lei! E io non voglio! Per come sono fatta io mi sentirei una morta vivente!
Eppure, ci sarà chi vorrà che io diventi così!! Sono sfuggita due volte da
una sorte simile… Fersen, Girodel… loro mi avrebbero voluta così. Ma André
no… André… è l'unico senso in questa vita strana. L'unica luce…"
Passando
davanti ad una vetrina, si guardò in tralice. Cosa che non faceva mai:
detestava gli specchi. A seconda dell'umore le sembrava riflettessero se stessa
o un'altra persona.
Tra
la merce esposta si intravedeva la sua figura, ancora così snella, forse
troppo… ricordino della tisi.
"Per
ora sono così: non si vede nulla, meglio, molto meglio così… ma poi? Quando
la discrezione di André non basterà più? Quando la sua delicatezza non basterà
più?"
Perché preoccuparsi? La vita è una battaglia ma Oscar combatte! E poi… com'era strano, assurdo quello che le stava accadendo dentro. Un pensiero che dapprima le era alieno, fastidioso, poi era diventato evanescente e infine - ora- stava addirittura prendendo carne. Non era solo un figlio. Era una scelta. Di persone libere. Non era solo carne e sangue: era, e sarebbe stato, amore e libertà. Tutto quello che Oscar e André avevano imparato a costo di errori, crudeltà, sbagli, sofferenze e anche di bieche meschinità, lui l'avrebbe appreso con il sorriso. Non avrebbe vissuto in un mondo idilliaco, più giusto: avrebbe dovuto combattere anche lui, ma sarebbe stato la persona più amata. Per amore e libertà.
Continua...
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sonia_78@virgilio.it
[1] Ovviamente il riferimento è il finale di "Una piccola chiesa".
[2] Si trattava della figlia illegittima di un marchese. Nel 1791 scrisse una Dichiarazione dei diritti delle donne. Fece verbalmente a pugni con Robespierre, definendolo un animale anfibio (Ranatan!). Finì alla ghigliottina, condannata dal suddetto anfibio, per aver "aver dimenticato di essere una donna". Ma lei sostenne, fino all'ultimo, che avendo pari diritti e doveri anche una donna ha diritto di andare sul patibolo. Gajarda e coerente all'estremo: mi è simpatica! Comunque iniziò a far sentire la sua voce già nel 1788. Su internet, specie sui siti francesi, si trova parecchio. Diciamo che Olympe si è fatta una nuova ammiratrice. ^___^
[3] Lo dice il generale Jarjayes nel manga.
[4] Nell'anime non li indossa, ma nel manga sì. Dato che non si può mettere in tasca una coroncina per capelli…
[5] Si comprende che la Grande Miope - ego- nutre forte amore verso i suoi "disinteressati" aiutanti…