Gli anni che verranno (1790-1791)
Parte III
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Revisione: Laura Luzi
-
Cos'hai, André? Perché mi guardi?-
Oscar
si stava spazzolando energicamente i capelli, ma guardandosi allo specchio non
fissava propri capelli, né il proprio viso, piuttosto guardava con attenzione
chi era dietro di lei.
-
Come fai a sapere che ti sto guardando?-
-
Deformazione professionale: lo specchio è utilissimo per guardarsi alle spalle.
E mi stai guardando molto intensamente.-
Lui
si alzò, si versò un bicchiere d'acqua per prendere tempo e rispondere.
-
E' che sei più bella, Oscar. Da un po' di tempo a questa parte sei più bella.
I capelli, la pelle... sono più luminosi. Sei guarita e io… sono felice…-
-
Non è ancora detta l'ultima parola, sulla mia malattia. Devo fare controlli, lo
sai. Anzi, devo trovare un medico fidato, un medico che possa seguirmi con
costanza. Detesto i medici, le medicine e tutto il circondario ma… non voglio
morire In fondo non mi è mai andato. E poi, non tutti i conti ancora tornano.
Quindi vuol dire che non sono perfettamente sana.-
Cosa
volere di più? Oscar che si volta, sorride, e porta con sé un carico di luce.
Non più quell'alone pallido e a tratti freddo, ma una luminosità scintillante.
-
Non avrai mai più la forza per comandare un esercito, temo. Ma credo che tu sia
sana, sanissima… Non so perché lo penso, ma ne sono sicuro. E questo mi
riempie di gioia: tu, qui, accanto a me…- Abbracciandola le parlava
nell'orecchio con voce calma, ma venata di malinconia. - … secondo me non ti
senti del tutto bene perché salti sempre la colazione…-
-
… io non ho il tuo stomaco dalla capienza portentosa.- scherzò lei.
-
Basta poco, lo sai. Possibile che Saint Just ti abbia fatto così male alla
digestione? Nausea, nausea, sempre nausea. Dovresti citarlo per danni!-
"Nausea…
sì. Nausea?!… Nausea…" un pensiero non chiaro le si delineò nella
mente. Impossibile. No, davvero impossibile. Le serviva un dottore, un dottore
fidato. Subito. Ma con molta discrezione. Senza clamore.
-
Saint Just è terribilmente indigesto. Piuttosto, perché sei così malinconico
questa sera?-
-
Ti sembrerò sciocco, ma ho sognato mia nonna. Non l'ho pensata per tanto tempo,
poi capita un sogno e mi sono ricordato, all'improvviso, tutto di lei… Il
ricordo è una delle cose più belle, peccato che sia anche triste.[1]
E' colpa del tempo, Oscar… guarda.- si avvicinarono alla finestra. A metà di
ottobre c'era un cielo cupo, che pareva destinato a restare così per mesi.
Grigio, compatto, basso e incombente. - … quando c'era questo tempo, nonna mi
diceva che da Notre Dame scendevano i Gargoyles. Io avevo una paura tremenda, e
restavo chiuso in casa. A dire la verità, ha continuato a dirmelo per molti
anni, anche troppi!-
Oscar
rise, e si gettò sul letto, ma non era una risata spensierata: era forzata,
nervosa…
-
E' che tu ti spaventi sempre per nulla! I Gargoyles che scendono da Notre Dame!…
Suvvia, André... come facevi ad averne paura?!-
-
Beh…non lo so…-
-
Di' la verità: - Oscar si fece seria - oggi metteresti la firma per avere di
nuovo paura dei Gargoyles?[2]
Io sì… magari fossero quelle le cose spaventose della vita…- Il tono era
cambiato, era diventato meditabondo, lontano. André la abbracciò in silenzio.
- … a pensarci bene, non ho mai avuto paura di cose del genere, André. Eppure
è normale che i bambini le temano… Io… forse non ho avuto una vera
infanzia. Crescendo come soldato, tua collega e compagna è la morte. Ma tu non
te ne accorgi, la tratti alla pari, come fai con le tue tante armi, e la
consideri scontata. Non le dai il peso che ha… non capisci… davvero, non
capisci…- "E poi… ti senti strano…
Scaccia ogni pensiero, Oscar. Scaccialo ora, con violenza! Ora non puoi fare
nulla, non puoi agire… Non pensare!
Non pensare! Non pensare! …
Debole… traditrice… la mia infanzia… la mia vita… mio padre… nausea…
oh, dio! Maestà… Morte… spari… soldati… io non sono fuggita, sono
rinata… debole?… traditrice…?" I pensieri vorticavano
davanti a lei, mentre cercava faticosamente di domarli, di bloccarli, di
recintare quei cavalli impazziti che spadroneggiavano nella sua mente. Chiuse
gli occhi stringendo forte le palpebre, stringendo i denti, contraendo se
stessa. Doveva esser forte. Perché farsi del male, se poi il male ricadeva su
chi le voleva bene?
Un
medico esperto, che la conoscesse. Ce n'era solo uno, ma certo non poteva
contattarlo. Come fare? Per una volta, l'odiato ufficio pieno di scartoffie le
fu d'aiuto. Quello che era stato il suo dottore, che aveva assistito alla sua
nascita, aveva curato le sue ferite e quelle di André, le aveva diagnosticato
la tisi, era caduto in disgrazia.
Era
stato medico dei nobili, ma dal 14 luglio non era riuscito a fare a meno di
dedicarsi a soccorrere tutti: i popolani feriti e i nobili aggrediti. Con quei
gesti tanto umani si era attirato il rancore di entrambe le parti. Snobbato a
Corte, guardato con sospetto dai poveri, era stato aggredito, denunciato. Alla
fine aveva preferito smettere di esercitare la professione e si era ritirato in
un piccolo appartamento di Parigi, con i suoi libri e con i suoi strumenti. I
colpi della vita l'avevano piegato, i baffi e i capelli si erano ingrigiti
rapidamente, e la sua schiena da orso buono si era incurvata. Se qualcuno
chiedeva espressamente le sue cure, si prodigava, ma sapeva di non avere più la
forza di riprendere il lavoro in maniera ufficiale. Aveva perso l'espressione
severa e intransigente che lo caratterizzava, quando lavorava a Versailles. Gli
eventi avevano cambiato qualcosa in lui, il vedere tanta sofferenza, tanta
indifferenza…
Quando
sentì bussare alla porta, quasi trasalì. Non aspettava nessuno ed era immerso
nella lettura di un vecchio libro dalle pagine profumate d'antico, un libro
regalatogli da suo padre. Stava sorridendo, nel leggere le ingenuità
scientifiche di qualche decennio prima, e meditava sulla responsabilità, sul
significato di quella professione che esercitava.
La
scusa che trovò Oscar per raggiungerlo fu tra le più banali "vado a fare
una passeggiata". André non replicò, perché, toccandola
nell'indipendenza, Oscar diventava quasi feroce, lo aggrediva senza neanche
accorgersene. Per questo, neppure si risentiva… solo per un attimo provava
stizza e nervosismo, ma passava subito… Sapeva che era così, Oscar… la sua
amata Oscar.
Così,
tesa e nervosa, Oscar aveva camminato per le vie di Parigi, rumorose e
affollate. Una condizione che aveva quasi dimenticato, durante i mesi passati
alle porte di Arras. In un certo senso, la confusione aveva un vantaggio: la
copriva. La trasportava, non le permetteva di pensare troppo.
Bussò
con esitazione alla porta dell'appartamento dove, neppure con certezza, viveva
quello che era stato il suo medico.
Lui,
invecchiato e stanco, le aprì e restò paralizzato.
-
Madamigella…-
-
No, per favore… Oscar. Basta Oscar.-
-
Ma voi…?-
-
Sì, sì…- entrò sorridente, simulando una sicurezza che stava perdendo,
senza fissare gli occhi umidi del medico. - Ho seguito i vostri consigli,
dottore. Sono sana, credo. Beh, logico che io dica "credo"… non
sarei qui, se potessi esserne sicura.-
-
Oh, gran Dio!- il medico la fece sedere e si sedette davanti a lei. Quel giorno
la luce era perlacea e fioca, ma uniforme e gradevole. La coltre di nuvole si
era assottigliata. - Io… non sapevo niente di voi, mi dicevano che eravate
morta sotto la Bastiglia, ma…-
-
… in un certo senso non vi hanno mentito.-
-
Ah, siete passata dalla parte del popolo… da aspettarselo, conoscendovi…
Credetemi, è da quando eravate alta così - si portò una mano al ginocchio -
che vi seguo e vedervi sana e viva mi riempie di gioia! E André? Sapete come
sta André?-
-
Annebbiato, ma felice.-
-
Quando lo avete visto l'ultima volta?-
-
Venti minuti fa.-
Il
medico rimase un attimo in silenzio, poi sorrise, come se avesse intuito che il
sodalizio profondo tra Oscar e il suo attendente era cambiato, si era
trasformato.
-
Bene. Mi fa molto piacere. Cosa posso fare per voi?-
Oscar
cercò di riassumere in modo dettagliato e competente le cure ricevute, lo stile
di vita, i fastidi affrontati, quelli superati e quelli nuovi. Allora iniziò ad
abbassare lo sguardo, a torcersi le dita. Non le era facile parlare di certe
cose, usare certi termini appartenenti al mondo delle donne e solo a quello, che
evocavano - per lei - spettri, paure e fantasie.
Ma
la scelta di parlare con il medico si era rivelata la migliore: meglio un franco
discorso con un uomo di scienza che una confidenza con Rosalie… le sembrava
così assurdo dover confidare certe cose a Rosalie!
Il
vecchio dottore prese i suoi strumenti, i suoi manuali e si decise per "una
revisione generale".
-
Facciamo finta che io non vi conosca, che non sappia niente di voi. Per essere
sicuro della mia diagnosi non darò nulla per scontato. -
Oscar
non era affatto una paziente facile. Ma il medico esercitava da anni, e nelle
visite sembrava cadere in una sorta di silenzioso stato meditativo, come se
fosse assorto ad ascoltare ogni segnale, ogni idea e nel contempo la comparasse
con i suo studi.
Ma
Oscar scalpitava, fremeva. Voleva sono sentirsi dire: "Siete
sana. State bene, andate in pace, amen…" E voleva correre via. Tanto
era desiderosa di una diagnosi veritiera, quanto l'avrebbe volentieri rifuggita:
la verità è scomoda e ogni dato di fatto ha le sue conseguenze.
Il
serissimo medico, incurvato dagli anni e burbero come un orso, iniziò a
sorridere vagamente.
-
Beh? Che c'è?-
Lui
non rispose, e sorrise ancora di più. Assunse un'espressione soddisfatta e
gongolante.
-
Emh…- sempre più seccata, Oscar stava per arrabbiarsi- Scusate, gradirei
sapere…-
-
Ah, voi siete sana mad... ehm Oscar François, sanissima: la tisi è del tutto
sconfitta!-
-
Ma… ma… mi state prendendo in giro? Io vengo qui per un disturbo allo
stomaco e voi mi dite che sono guarita da una malattia che non ho più?!-
-
Qui sbagliate, Oscar François…- il vecchio medico si gettò su una poltrona,
soddisfatto.- Nessuno può dire di essere guarito del tutto dalla tisi. E' una
malattia infida che può restare in agguato per anni. Ma voi potete dirlo. C'è
un segnale inequivocabile. Vedete, il nostro organismo è una macchina
meravigliosa, che curo con rispetto e ammirazione… Il nostro organismo è come
un esercito, per usare una terminologia che vi è familiare: se ci sono problemi
in qualche zona, lì concentra energie e difese lasciando sguarnite le altre.
L'ultima volta che vi vidi, Oscar, ero molto, molto preoccupato: eravate
deperita, stressata e ammalata. Ora, invece, mi sento felicissimo come uomo e
come medico. Voi siete guarita e, se non farete pazzie come… combattere sotto
la neve, della tisi potrete anche dimenticare il nome.-
Oscar
continuava a tormentarsi le mani, tutto quel giro di parole era sicuramente la
premessa ad un annuncio piuttosto importante.
-
E allora?-
-
Vedete, un organismo malato non può generare, e voi…-
-
…. e io?-
-
Voi aspettate un figlio!- il dottore fece strisciare la schiena stanca sullo
schienale della poltrona, con l'aria soddisfatta di un gattone sazio e
trionfante. Oscar invece sentì freddo, le guance le si arrossarono e una goccia
di sudore, pesante, le cadde dalla tempia alla spalla. Non era possibile. Sì
che era possibile, cosa credeva? Ma lei? Sì, lei.
I
pensieri, troppi, tutti contraddittori, le si accalcarono in testa. - Non è
possibile…- mormorò, quasi inconsapevolmente.
-
Possibilissimo, e segnale di perfetta salute.-
-
Ma io… io…-
-
Mh, nessuno vi aveva mai preparato a questa eventualità: non ci avevate pensato
mai? Proprio mai?-
-
Di sfuggita, forse. Ma la priorità era cercare di sopravvivere, guarire in
maniera accettabile, non certo… oh… Dio…-
Il
dottore si infilò gli occhiali. - Siete ancora con un piede nell'esercito?-
-
Uno e mezzo…-
-
Forse sono stato poco accorto, Oscar François, a darvi questa notizia. Avete
reagito meglio quando vi ho dato sei mesi di vita… Ma per l'educazione che
avete ricevuto, c'era da aspettarselo. Rebus
sic stantibus, credo che i vostri problemi non saranno fisici, ma interiori.
E per questi io non ho una medicina. Nessuno l'ha, purtroppo… Solo il tempo e
l'intelligenza possono rimarginare certe ferite. Ma in questo caso il tempo è
scandito inflessibile dalla natura, che non può aspettare noi… Dunque…- si
alzò e, strizzando gli occhi neri, guardò tra gli scaffali. - Ah, eccolo!-
allungò il braccio per prendere un libro, ma non ci arrivava. Con un gesto
rapido, senza scomporsi, Oscar glielo porse.
-
Ah… grazie... Un'altra cosa su cui madre natura non fa deroghe è l'altezza.
Vi regalo questo libro. I vostri di medicina militare, credo proprio che siano
solo fuorvianti… Ma questo è un testo particolare, e lo regalo proprio a voi.
E' inglese. In Francia non ne circolano di così… spregiudicati. Insomma, è
poco convenzionale. -
-
Voglio ben sperare che non ci sia quella patetica
teoria sulla natura muscolare dell'uomo, che lo rende attivo e intelligente, e
la natura uterina della donna, che la rende lenta di corpo e di mente![3]-
-
Non sia mai, non sia mai, Oscar François!Dare a voi un libro del genere?!
Quello che vi do è all'avanguardia, ma pochi testi sono così, perché non sono
testi comodi. O, quantomeno, non sono testi che danno lustro a chi li scrive: è
più conveniente occuparsi delle ferite di qualche uomo di Stato, non credete?-
Oscar
ricadde a sedere, prendendosi la testa tra le mani. "Ma
questo che vuol dire? Debole? Traditrice? Una rivoluzione… una cosa da cui non
si torna indietro… E dove porta? E come ti cambia? E poi, questo è problema
mio, che fa soffrire me… Ma… André? E… lui? Cosa c'entrano? Davvero,
avevo reagito meglio quando mi hanno dato sei mesi di vita…Sono un paradosso
vivente…"
-
Mad… ehm, Oscar François… siate allegra e forte! Io posso immaginare la
vostra incertezza, la vostra confusione: vi conosco da quando siete nata. Ho
seguito con cura "l'esperimento" di vostro padre. Un medico non
dovrebbe, ma non potevo fare a meno di affezionarmi. Se volete una
rassicurazione, il vostro sguardo non è cambiato. Non ha perso un grammo di
fierezza… E poi… pensate… non per farmi gli affari vostri, ma pensate alla
gioia di André: è orfano da quando era piccolo e... insomma, ho detto che i
fatti vostri non li farei mai, ma…-
-
Sì, dottore- di nuovo il piglio fiero, un tono quasi marziale in quel "sì",
un tono appena più profondo, meno argentino di quello che pronunciava in tempo.
Il canto sull'acqua
Sulle
rive della Senna c'era molta gente. Il freddo iniziava a farsi pungente e i
pescatori, sulle loro chiatte, cantavano. Canzoni popolari, patriottiche, ma
anche arie accorate o ritornelli pieni di malinconia. E stonavano. Il loro canto
sgraziato e sincero si perdeva nell'aria tra i versi dei gabbiani. Oscar si
sentiva strana, stonata anche lei, fuori posto. Come se uno di quei pescatori
fosse stato messo sul palco dell' Opéra. Probabilmente avrebbe fatto inorridire
o ridere molti, ma qualcuno si sarebbe sentito scosso nel profondo, si sarebbe
commosso.
La
genuina prepotenza della vita, che non ti lascia il tempo di crogiolarti nei
dubbi, che ti obbliga a guardarti dentro, che ti priva delle egoistiche manie…
"Non
ci posso credere… eppure lo sospettavo… Lo temevo? Forse. Eppure, avrei
dovuto temere la tisi, la morte… Ma ho più paura di vivere diventando
un'altra, io non voglio… non posso… non lo farò, ma… è possibile che
tutto questo stia accadendo a me? Sì… è possibile… e improrogabile… Non
puoi chiuderti nelle tue stanze, come dice André… Già, André… con che
parole dirlo? Possibile che io mi vergogni?! Assurdo. Assurdo: eppure,
plausibile… L'orfano…"
Ricordò
di tanti anni prima. Stava dando sfogo alla sua passione proibita: camminare sui
cornicioni del palazzo di famiglia. Si scoprivano tante cose interessanti, così
facendo! Ed era così bello vedersi faccia a faccia con i rami degli alberi…
In quei giorni era dannatamente incuriosita dal nuovo compagno di giochi. Un
bambino di nome André, tranquillo e taciturno. Quasi le sembrava poco sveglio.
E così, in una notte d'estate, aveva costeggiato il muro fino ad arrivare alla
finestra della sua stanza. Dicevano che aveva perso tutti i parenti… Si
affacciò e rabbrividì. Il suo compagno di giochi "poco sveglio" era
sdraiato, con la faccia sul cuscino. Singhiozzava. Un lamento che straziava il
cuore: aveva perso tutto a soli otto anni. Urla e strepiti ne aveva sentiti, in
vita sua, con cinque sorelle… ma quello era qualcosa di diverso. Era
disperazione. Si vergognò della propria spavalderia, della propria curiosità,
tornò nella propria stanza. Si sentì in colpa La bambina nobile, sveglia e
felice, aveva intravisto la lunga ombra della morte… la sua scia umida di
lacrime e sorda ad ogni invocazione… il suo sfortunato compagno di giochi
"poco sveglio"…
Quel
ricordo interruppe il corso degli interrogativi, dei pensieri angoscianti, che
come la marea le toglievano il fiato. Si aggrappò a quel ricordo infantile,
così vivido… "E se a tuo figlio
venisse in mente di camminare sui cornicioni, che faresti? Mh… basta che non
sia faccia vedere…"[4] rise, poi tornò a
preoccuparsi. Poi ripresero le onde di pensieri inquieti, come correnti opposte
che agitano la sabbia, sul fondo del mare.
Rosalie
era seduta vicino al fuoco e allontanò per un attimo il suo lavoro dagli occhi.
Lo fissò. Stava venendo bene. Era un fazzoletto decorato. Vi stava ricamando
con pazienza una rosa bianca. Voleva regalarlo ad Oscar, a madamigella
Oscar, nella speranza di riprendere un dialogo che sembrava troncato del
tutto. Semmai l'avrebbe chiamata, le avrebbe mostrato il ricamo: Oscar avrebbe
detto qualcosa tipo "Che noia" oppure un distratto commento
sull'interesse che le destava quel lavoretto… ma lei le avrebbe ricordato che
proprio durante la sua permanenza a palazzo Jarjayes Oscar in persona aveva
insistito perché Rosalie - la piccola Rosalie - imparasse anche a ricamare.
Una
volta le aveva messo in mano un ago, Oscar se l'era posto vicino agli occhi e
aveva detto, con una smorfia buffissima, "E' come una spada, ma è troppo
piccola per i miei gusti". Semmai le avrebbe ricordato quell'episodio e…
si sarebbero messe a parlare. E, forse, dal passato in cui erano "la
piccola Rosalie" e "madamigella Oscar", avrebbero potuto iniziare
un futuro come Rosalie e Oscar. Quanto lo desiderava… Ma Oscar sembrava quasi
chiusa in se stessa, nei sui pensieri che poteva intuire, ma non certo capire a
fondo… rispettava Oscar, e preferiva tacere e aspettare… D'altronde, Rosalie
era molto presa dalla cura del figlio, della casa,[5]
era preoccupata per Bernard, per il clima di tensione che cresceva sempre di
più, perché quella libertà vista come un sogno prendeva fattezze vaghe
prossime all'incubo.
Oscar
tornò a casa, non passò da André. Voleva stare sola. Aveva bisogno di stare
sola. Iniziava a non capirci più nulla, a porsi troppi interrogativi. Quand'è
così, di solito, si agisce. Invece ora non poteva far nulla. Lei, il cane della
Regina… Camminando stringeva a sé il libro che le aveva dato il medico, ma
non si sentiva di aprirlo, come se un tale gesto, destinato a metterla faccia a
faccia con la realtà, le potesse far male. O, peggio, far paura. Allora prese i
discorsi che gli aveva dato Bernard, li lesse attentamente, dimenticandosi di
tutto. Dimenticandosi di Oscar: era così presa, che le pareva di gridare lei
quelle parole, si sentiva il cuore trasportato tra le folle. Ma, ogni tanto, si
bloccava. Un inciampo logico. C'erano dei punti che, ad Oscar, non quadravano:
perché?
Cercò
una copia della Dichiarazione dei Diritti
dell'uomo e del cittadino. Non la trovò. Molto probabilmente l'aveva
dimenticata ad Arras. Anzi, certamente. Colpa di André e del suo disordine
cronico. Appena sarebbe tornato, gliene avrebbe dette quattro.
André,
povero André, la paziente vittima dei suoi slanci impulsivi, il cielo sereno
nella sua mente pronta a lanciare fulmini e a ruggire come tuono. André, più
forte di lei perché costante, sicuro, limpido… come il cielo.
André,
il padre di suo figlio. Di loro figlio.
L'effetto
dei discorsi letti venne vanificato.
Ora
André sarebbe tornato, e invece lei voleva stare sola. E voleva evitare -
almeno per un po' - di parlargli.
"Che razza di comportamento"
si diceva, ma non poteva che aspettarselo. Assurda e contraddittoria, come
sempre: Oscar procedeva per strade tutte sue. Anche per questo più
affascinanti. Nulla le era imposto, e questo le permetteva di trovare un senso -
il senso vero - agli eventi della vita.
Tornò
al discorso di Robespierre, al passaggio che le si inceppava nella mente.
"Una
contraddizione nascosta, una nota stonata in una partitura quasi perfetta…"
Quando
entrò André, era così stanco da farle pena. Con una mano si schermava il
viso.
-
Non devo essere particolarmente desiderabile - scherzò, con un filo di
amarezza, mentre, spostando la mano, scopriva un occhio gonfio e rosso,
cerchiato di nero.
-
Cos'è successo?-
-
A quanto pare, il compagno dell'occhio perso non regge più della metà del
lavoro. Quantomeno rispetta le proporzioni matematiche… Non fa niente…
credimi, non fa niente. Piuttosto, come stai?-
-
Bene…benissimo…- si sentiva così in imbarazzo, come se quell'occhio stanco
e ammaccato potesse leggerle dentro. Cosa che, poi, sarebbe stata lecita. "Oh, André… dovrebbero farti santo per l'amore e il rispetto che
nutri verso di me… Eppure ho lo stesso l'istinto di prendermela con te, alle
volte…"
-
Oscar… io vado a riposare. Davvero, non vedo niente, non capisco niente e ho
un mal di testa fortissimo… Addirittura non ho fame: vuol dire che sono
davvero distrutto.-
Oscar
fece frusciare tra le dita i fogli dei discorsi di Robespierre, e iniziò a
rileggerli. Passarono le ore. Salì la luna. La candela si accorciava e si
allargava, come la sua cera dai mille, morbidi ricami - quelle gocce buffe che
ti danno la voglia di impastarci le dita -. Si portava una mano tra i capelli,
guardava fuori dalla finestra.
Ci
sono delle occasioni in cui la natura ti mette con le spalle al muro, non puoi
cercare scappatoie, vie alternative: era un contrasto che la straziava. Stava
leggendo i discorsi con un acume che difficilmente avrebbe avuto un uomo, ma il
suo corpo era di donna. Un contrasto con cui aveva fatto i conti già da
bambina, ma che poteva dimenticare a piacimento: bastava concentrasi su altre
cose, ed essere ciò che voleva…Ma ora non poteva farlo sempre… l'aveva
scelto lei, d'altronde. Doveva convivere con il passato e il futuro, la paura e
il coraggio. Gli elementi più positivi erano sempre i più forti. Oscar era
sempre Oscar: grintosa, onesta, chiara, tenace. Ma il lato oscuro, umbratile,
lunare di sé le avrebbe dato filo da torcere, finché non si fosse integrato
con la parte solare del suo animo. Ci sarebbe riuscita. Oscar non fugge.
Affronta la vita come una battaglia.
Era
stanca, pensò di andare a dormire. Ovviamente non chiuse occhio, continuando a
leggere i discorsi di Robespierre, nei quali qualcosa non le quadrava. André
dormiva, parlottava nel sonno.
Lo
sguardo di Oscar corse per la stanza, si perse nei ricordi che al buio
prendevano forma.
Le
sorelle… quanta paura aveva delle sorelle? Così lamentose, così desolanti…
così sole. Sdraiate sui loro divanetti, tra un libro e un pasticcino,
ricevevano una rapida e seccata visita dei loro consorti, alle quali erano state
date come spose quando erano ancora bambine. Non si erano scelti. Loro non
avevano scelto di diventare donne, eppure si trovavano a partorire figli quando
era forte il desiderio di giocare con le bambole. E si lamentavano,
piagnucolavano… e chinavano il capo, come se quei distratti baci sulla mano
fossero la quantificazione dell'amore che c'era tra loro e il marito.
Per
lei e per André era diverso. Si erano scelti, erano cresciuti, avevano dato un
senso ai loro passi. Si erano rispettati, si amavano ed erano diventati parte
l'uno dell'altro… e continuavano a crescere, ogni giorno. Era così diversa la
loro storia, il loro cammino… André non meritava, ora, il suo silenzio.
Almeno per lui, poteva vincere le sue paure. Doveva. Perché se erano lì,
insieme, - e, forse, avrebbero parlato di un figlio - non sarebbe stato perché
qualcuno l'aveva imposto, né perché lui era un semplice uomo, ma perché lui
era André.
Continua...
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to
sonia_78@virgilio.it
[1] Dylan Dog, "Accadde domani".
[2] L'idea mi è nata parlando con un mio amico, sul treno per Roma. Per puro caso io, lui e un altro compagno di classe e di scout, passammo il concorso per Roma 3, pieni di sogni. Sono passati cinque anni, solo io sono arrivata al termine. In III media leggevamo un libro "Dei fatti misteriosi", e quasi ce la facevamo sotto… Dopo questi anni vorremmo di nuovo tremare per quei racconti quasi ridicoli tanto erano inverosimili, e non -invece- per la paura che si possano ripetere gli eventi che ci hanno cambiato e che hanno spezzato i nostri sogni…
[3] Pierre ROUSSEL, Du système phisique et morale de la femme, I ed. 1775, II ed. 1783, in Ariès, Duby , La vita privata,- l'Ottocento, pag. 35 (anche se è sull'Ottocento, il primo capitolo è sulla Rivoluzione francese, mentre nel libro precedente c'è l'illuminismo… per farmi spendere di più…).
[4] Come diceva nonno Giacinto "L'uva non si frega. E se si frega non bisogna farsi vedere!"
[5] In Eroika Rosalie ha un figlio che si chiama François.