Gli anni che verranno  (1790-1791)

Parte III

 

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Revisione: Laura Luzi

- Cos'hai, André? Perché mi guardi?-

Oscar si stava spazzolando energicamente i capelli, ma guardandosi allo specchio non fissava propri capelli, né il proprio viso, piuttosto guardava con attenzione chi era dietro di lei.

- Come fai a sapere che ti sto guardando?-

- Deformazione professionale: lo specchio è utilissimo per guardarsi alle spalle. E mi stai guardando molto intensamente.-

Lui si alzò, si versò un bicchiere d'acqua per prendere tempo e rispondere.

- E' che sei più bella, Oscar. Da un po' di tempo a questa parte sei più bella. I capelli, la pelle... sono più luminosi. Sei guarita e io… sono felice…-

- Non è ancora detta l'ultima parola, sulla mia malattia. Devo fare controlli, lo sai. Anzi, devo trovare un medico fidato, un medico che possa seguirmi con costanza. Detesto i medici, le medicine e tutto il circondario ma… non voglio morire In fondo non mi è mai andato. E poi, non tutti i conti ancora tornano. Quindi vuol dire che non sono perfettamente sana.-

Cosa volere di più? Oscar che si volta, sorride, e porta con sé un carico di luce. Non più quell'alone pallido e a tratti freddo, ma una luminosità scintillante.

- Non avrai mai più la forza per comandare un esercito, temo. Ma credo che tu sia sana, sanissima… Non so perché lo penso, ma ne sono sicuro. E questo mi riempie di gioia: tu, qui, accanto a me…- Abbracciandola le parlava nell'orecchio con voce calma, ma venata di malinconia. - … secondo me non ti senti del tutto bene perché salti sempre la colazione…-

- … io non ho il tuo stomaco dalla capienza portentosa.- scherzò lei.

- Basta poco, lo sai. Possibile che Saint Just ti abbia fatto così male alla digestione? Nausea, nausea, sempre nausea. Dovresti citarlo per danni!-

"Nausea… sì. Nausea?!… Nausea…" un pensiero non chiaro le si delineò nella mente. Impossibile. No, davvero impossibile. Le serviva un dottore, un dottore fidato. Subito. Ma con molta discrezione. Senza clamore.

- Saint Just è terribilmente indigesto. Piuttosto, perché sei così malinconico questa sera?-

- Ti sembrerò sciocco, ma ho sognato mia nonna. Non l'ho pensata per tanto tempo, poi capita un sogno e mi sono ricordato, all'improvviso, tutto di lei… Il ricordo è una delle cose più belle, peccato che sia anche triste.[1] E' colpa del tempo, Oscar… guarda.- si avvicinarono alla finestra. A metà di ottobre c'era un cielo cupo, che pareva destinato a restare così per mesi. Grigio, compatto, basso e incombente. - … quando c'era questo tempo, nonna mi diceva che da Notre Dame scendevano i Gargoyles. Io avevo una paura tremenda, e restavo chiuso in casa. A dire la verità, ha continuato a dirmelo per molti anni, anche troppi!-

Oscar rise, e si gettò sul letto, ma non era una risata spensierata: era forzata, nervosa…

- E' che tu ti spaventi sempre per nulla! I Gargoyles che scendono da Notre Dame!… Suvvia, André... come facevi ad averne paura?!-

- Beh…non lo so…-

- Di' la verità: - Oscar si fece seria - oggi metteresti la firma per avere di nuovo paura dei Gargoyles?[2] Io sì… magari fossero quelle le cose spaventose della vita…- Il tono era cambiato, era diventato meditabondo, lontano. André la abbracciò in silenzio. - … a pensarci bene, non ho mai avuto paura di cose del genere, André. Eppure è normale che i bambini le temano… Io… forse non ho avuto una vera infanzia. Crescendo come soldato, tua collega e compagna è la morte. Ma tu non te ne accorgi, la tratti alla pari, come fai con le tue tante armi, e la consideri scontata. Non le dai il peso che ha… non capisci… davvero, non capisci…- "E poi… ti senti strano… Scaccia ogni pensiero, Oscar. Scaccialo ora, con violenza! Ora non puoi fare nulla, non puoi agire… Non pensare! Non pensare! Non pensare! … Debole… traditrice… la mia infanzia… la mia vita… mio padre… nausea… oh, dio! Maestà… Morte… spari… soldati… io non sono fuggita, sono rinata… debole?… traditrice…?" I pensieri vorticavano davanti a lei, mentre cercava faticosamente di domarli, di bloccarli, di recintare quei cavalli impazziti che spadroneggiavano nella sua mente. Chiuse gli occhi stringendo forte le palpebre, stringendo i denti, contraendo se stessa. Doveva esser forte. Perché farsi del male, se poi il male ricadeva su chi le voleva bene?

 

Un medico esperto, che la conoscesse. Ce n'era solo uno, ma certo non poteva contattarlo. Come fare? Per una volta, l'odiato ufficio pieno di scartoffie le fu d'aiuto. Quello che era stato il suo dottore, che aveva assistito alla sua nascita, aveva curato le sue ferite e quelle di André, le aveva diagnosticato la tisi, era caduto in disgrazia.

Era stato medico dei nobili, ma dal 14 luglio non era riuscito a fare a meno di dedicarsi a soccorrere tutti: i popolani feriti e i nobili aggrediti. Con quei gesti tanto umani si era attirato il rancore di entrambe le parti. Snobbato a Corte, guardato con sospetto dai poveri, era stato aggredito, denunciato. Alla fine aveva preferito smettere di esercitare la professione e si era ritirato in un piccolo appartamento di Parigi, con i suoi libri e con i suoi strumenti. I colpi della vita l'avevano piegato, i baffi e i capelli si erano ingrigiti rapidamente, e la sua schiena da orso buono si era incurvata. Se qualcuno chiedeva espressamente le sue cure, si prodigava, ma sapeva di non avere più la forza di riprendere il lavoro in maniera ufficiale. Aveva perso l'espressione severa e intransigente che lo caratterizzava, quando lavorava a Versailles. Gli eventi avevano cambiato qualcosa in lui, il vedere tanta sofferenza, tanta indifferenza…

Quando sentì bussare alla porta, quasi trasalì. Non aspettava nessuno ed era immerso nella lettura di un vecchio libro dalle pagine profumate d'antico, un libro regalatogli da suo padre. Stava sorridendo, nel leggere le ingenuità scientifiche di qualche decennio prima, e meditava sulla responsabilità, sul significato di quella professione che esercitava.

 

La scusa che trovò Oscar per raggiungerlo fu tra le più banali "vado a fare una passeggiata". André non replicò, perché, toccandola nell'indipendenza, Oscar diventava quasi feroce, lo aggrediva senza neanche accorgersene. Per questo, neppure si risentiva… solo per un attimo provava stizza e nervosismo, ma passava subito… Sapeva che era così, Oscar… la sua amata Oscar.

Così, tesa e nervosa, Oscar aveva camminato per le vie di Parigi, rumorose e affollate. Una condizione che aveva quasi dimenticato, durante i mesi passati alle porte di Arras. In un certo senso, la confusione aveva un vantaggio: la copriva. La trasportava, non le permetteva di pensare troppo.

Bussò con esitazione alla porta dell'appartamento dove, neppure con certezza, viveva quello che era stato il suo medico.

Lui, invecchiato e stanco, le aprì e restò paralizzato.

- Madamigella…-

- No, per favore… Oscar. Basta Oscar.-

- Ma voi…?-

- Sì, sì…- entrò sorridente, simulando una sicurezza che stava perdendo, senza fissare gli occhi umidi del medico. - Ho seguito i vostri consigli, dottore. Sono sana, credo. Beh, logico che io dica "credo"… non sarei qui, se potessi esserne sicura.-

- Oh, gran Dio!- il medico la fece sedere e si sedette davanti a lei. Quel giorno la luce era perlacea e fioca, ma uniforme e gradevole. La coltre di nuvole si era assottigliata. - Io… non sapevo niente di voi, mi dicevano che eravate morta sotto la Bastiglia, ma…-

- … in un certo senso non vi hanno mentito.-

- Ah, siete passata dalla parte del popolo… da aspettarselo, conoscendovi… Credetemi, è da quando eravate alta così - si portò una mano al ginocchio - che vi seguo e vedervi sana e viva mi riempie di gioia! E André? Sapete come sta André?-

- Annebbiato, ma felice.-

- Quando lo avete visto l'ultima volta?-

- Venti minuti fa.-

Il medico rimase un attimo in silenzio, poi sorrise, come se avesse intuito che il sodalizio profondo tra Oscar e il suo attendente era cambiato, si era trasformato.

- Bene. Mi fa molto piacere. Cosa posso fare per voi?-

Oscar cercò di riassumere in modo dettagliato e competente le cure ricevute, lo stile di vita, i fastidi affrontati, quelli superati e quelli nuovi. Allora iniziò ad abbassare lo sguardo, a torcersi le dita. Non le era facile parlare di certe cose, usare certi termini appartenenti al mondo delle donne e solo a quello, che evocavano - per lei - spettri, paure e fantasie.

Ma la scelta di parlare con il medico si era rivelata la migliore: meglio un franco discorso con un uomo di scienza che una confidenza con Rosalie… le sembrava così assurdo dover confidare certe cose a Rosalie!

Il vecchio dottore prese i suoi strumenti, i suoi manuali e si decise per "una revisione generale".

- Facciamo finta che io non vi conosca, che non sappia niente di voi. Per essere sicuro della mia diagnosi non darò nulla per scontato. -

Oscar non era affatto una paziente facile. Ma il medico esercitava da anni, e nelle visite sembrava cadere in una sorta di silenzioso stato meditativo, come se fosse assorto ad ascoltare ogni segnale, ogni idea e nel contempo la comparasse con i suo studi.

Ma Oscar scalpitava, fremeva. Voleva sono sentirsi dire: "Siete sana. State bene, andate in pace, amen…" E voleva correre via. Tanto era desiderosa di una diagnosi veritiera, quanto l'avrebbe volentieri rifuggita: la verità è scomoda e ogni dato di fatto ha le sue conseguenze.

Il serissimo medico, incurvato dagli anni e burbero come un orso, iniziò a sorridere vagamente.

- Beh? Che c'è?-

Lui non rispose, e sorrise ancora di più. Assunse un'espressione soddisfatta e gongolante.

- Emh…- sempre più seccata, Oscar stava per arrabbiarsi- Scusate, gradirei sapere…-

- Ah, voi siete sana mad... ehm Oscar François, sanissima: la tisi è del tutto sconfitta!-

- Ma… ma… mi state prendendo in giro? Io vengo qui per un disturbo allo stomaco e voi mi dite che sono guarita da una malattia che non ho più?!-

- Qui sbagliate, Oscar François…- il vecchio medico si gettò su una poltrona, soddisfatto.- Nessuno può dire di essere guarito del tutto dalla tisi. E' una malattia infida che può restare in agguato per anni. Ma voi potete dirlo. C'è un segnale inequivocabile. Vedete, il nostro organismo è una macchina meravigliosa, che curo con rispetto e ammirazione… Il nostro organismo è come un esercito, per usare una terminologia che vi è familiare: se ci sono problemi in qualche zona, lì concentra energie e difese lasciando sguarnite le altre. L'ultima volta che vi vidi, Oscar, ero molto, molto preoccupato: eravate deperita, stressata e ammalata. Ora, invece, mi sento felicissimo come uomo e come medico. Voi siete guarita e, se non farete pazzie come… combattere sotto la neve, della tisi potrete anche dimenticare il nome.-

Oscar continuava a tormentarsi le mani, tutto quel giro di parole era sicuramente la premessa ad un annuncio piuttosto importante.

- E allora?-

- Vedete, un organismo malato non può generare, e voi…-

- …. e io?-

- Voi aspettate un figlio!- il dottore fece strisciare la schiena stanca sullo schienale della poltrona, con l'aria soddisfatta di un gattone sazio e trionfante. Oscar invece sentì freddo, le guance le si arrossarono e una goccia di sudore, pesante, le cadde dalla tempia alla spalla. Non era possibile. Sì che era possibile, cosa credeva? Ma lei? Sì, lei.

I pensieri, troppi, tutti contraddittori, le si accalcarono in testa. - Non è possibile…- mormorò, quasi inconsapevolmente.

- Possibilissimo, e segnale di perfetta salute.-

- Ma io… io…-

- Mh, nessuno vi aveva mai preparato a questa eventualità: non ci avevate pensato mai? Proprio mai?-

- Di sfuggita, forse. Ma la priorità era cercare di sopravvivere, guarire in maniera accettabile, non certo… oh… Dio…-

Il dottore si infilò gli occhiali. - Siete ancora con un piede nell'esercito?-

- Uno e mezzo…-

- Forse sono stato poco accorto, Oscar François, a darvi questa notizia. Avete reagito meglio quando vi ho dato sei mesi di vita… Ma per l'educazione che avete ricevuto, c'era da aspettarselo. Rebus sic stantibus, credo che i vostri problemi non saranno fisici, ma interiori. E per questi io non ho una medicina. Nessuno l'ha, purtroppo… Solo il tempo e l'intelligenza possono rimarginare certe ferite. Ma in questo caso il tempo è scandito inflessibile dalla natura, che non può aspettare noi… Dunque…- si alzò e, strizzando gli occhi neri, guardò tra gli scaffali. - Ah, eccolo!- allungò il braccio per prendere un libro, ma non ci arrivava. Con un gesto rapido, senza scomporsi, Oscar glielo porse.

- Ah… grazie... Un'altra cosa su cui madre natura non fa deroghe è l'altezza. Vi regalo questo libro. I vostri di medicina militare, credo proprio che siano solo fuorvianti… Ma questo è un testo particolare, e lo regalo proprio a voi. E' inglese. In Francia non ne circolano di così… spregiudicati. Insomma, è poco convenzionale. -

- Voglio ben sperare che non ci sia quella patetica teoria sulla natura muscolare dell'uomo, che lo rende attivo e intelligente, e la natura uterina della donna, che la rende lenta di corpo e di mente![3]-

- Non sia mai, non sia mai, Oscar François!Dare a voi un libro del genere?! Quello che vi do è all'avanguardia, ma pochi testi sono così, perché non sono testi comodi. O, quantomeno, non sono testi che danno lustro a chi li scrive: è più conveniente occuparsi delle ferite di qualche uomo di Stato, non credete?-

Oscar ricadde a sedere, prendendosi la testa tra le mani. "Ma questo che vuol dire? Debole? Traditrice? Una rivoluzione… una cosa da cui non si torna indietro… E dove porta? E come ti cambia? E poi, questo è problema mio, che fa soffrire me… Ma… André? E… lui? Cosa c'entrano? Davvero, avevo reagito meglio quando mi hanno dato sei mesi di vita…Sono un paradosso vivente…"

- Mad… ehm, Oscar François… siate allegra e forte! Io posso immaginare la vostra incertezza, la vostra confusione: vi conosco da quando siete nata. Ho seguito con cura "l'esperimento" di vostro padre. Un medico non dovrebbe, ma non potevo fare a meno di affezionarmi. Se volete una rassicurazione, il vostro sguardo non è cambiato. Non ha perso un grammo di fierezza… E poi… pensate… non per farmi gli affari vostri, ma pensate alla gioia di André: è orfano da quando era piccolo e... insomma, ho detto che i fatti vostri non li farei mai, ma…-

- Sì, dottore- di nuovo il piglio fiero, un tono quasi marziale in quel "sì", un tono appena più profondo, meno argentino di quello che pronunciava in tempo.

 

Il canto sull'acqua

 

Sulle rive della Senna c'era molta gente. Il freddo iniziava a farsi pungente e i pescatori, sulle loro chiatte, cantavano. Canzoni popolari, patriottiche, ma anche arie accorate o ritornelli pieni di malinconia. E stonavano. Il loro canto sgraziato e sincero si perdeva nell'aria tra i versi dei gabbiani. Oscar si sentiva strana, stonata anche lei, fuori posto. Come se uno di quei pescatori fosse stato messo sul palco dell' Opéra. Probabilmente avrebbe fatto inorridire o ridere molti, ma qualcuno si sarebbe sentito scosso nel profondo, si sarebbe commosso.

La genuina prepotenza della vita, che non ti lascia il tempo di crogiolarti nei dubbi, che ti obbliga a guardarti dentro, che ti priva delle egoistiche manie…

"Non ci posso credere… eppure lo sospettavo… Lo temevo? Forse. Eppure, avrei dovuto temere la tisi, la morte… Ma ho più paura di vivere diventando un'altra, io non voglio… non posso… non lo farò, ma… è possibile che tutto questo stia accadendo a me? Sì… è possibile… e improrogabile… Non puoi chiuderti nelle tue stanze, come dice André… Già, André… con che parole dirlo? Possibile che io mi vergogni?! Assurdo. Assurdo: eppure, plausibile… L'orfano…"

Ricordò di tanti anni prima. Stava dando sfogo alla sua passione proibita: camminare sui cornicioni del palazzo di famiglia. Si scoprivano tante cose interessanti, così facendo! Ed era così bello vedersi faccia a faccia con i rami degli alberi… In quei giorni era dannatamente incuriosita dal nuovo compagno di giochi. Un bambino di nome André, tranquillo e taciturno. Quasi le sembrava poco sveglio. E così, in una notte d'estate, aveva costeggiato il muro fino ad arrivare alla finestra della sua stanza. Dicevano che aveva perso tutti i parenti… Si affacciò e rabbrividì. Il suo compagno di giochi "poco sveglio" era sdraiato, con la faccia sul cuscino. Singhiozzava. Un lamento che straziava il cuore: aveva perso tutto a soli otto anni. Urla e strepiti ne aveva sentiti, in vita sua, con cinque sorelle… ma quello era qualcosa di diverso. Era disperazione. Si vergognò della propria spavalderia, della propria curiosità, tornò nella propria stanza. Si sentì in colpa La bambina nobile, sveglia e felice, aveva intravisto la lunga ombra della morte… la sua scia umida di lacrime e sorda ad ogni invocazione… il suo sfortunato compagno di giochi "poco sveglio"…

Quel ricordo interruppe il corso degli interrogativi, dei pensieri angoscianti, che come la marea le toglievano il fiato. Si aggrappò a quel ricordo infantile, così vivido… "E se a tuo figlio venisse in mente di camminare sui cornicioni, che faresti? Mh… basta che non sia faccia vedere…"[4] rise, poi tornò a preoccuparsi. Poi ripresero le onde di pensieri inquieti, come correnti opposte che agitano la sabbia, sul fondo del mare.

 

Rosalie era seduta vicino al fuoco e allontanò per un attimo il suo lavoro dagli occhi. Lo fissò. Stava venendo bene. Era un fazzoletto decorato. Vi stava ricamando con pazienza una rosa bianca. Voleva regalarlo ad Oscar, a madamigella Oscar, nella speranza di riprendere un dialogo che sembrava troncato del tutto. Semmai l'avrebbe chiamata, le avrebbe mostrato il ricamo: Oscar avrebbe detto qualcosa tipo "Che noia" oppure un distratto commento sull'interesse che le destava quel lavoretto… ma lei le avrebbe ricordato che proprio durante la sua permanenza a palazzo Jarjayes Oscar in persona aveva insistito perché Rosalie - la piccola Rosalie - imparasse anche a ricamare.

Una volta le aveva messo in mano un ago, Oscar se l'era posto vicino agli occhi e aveva detto, con una smorfia buffissima, "E' come una spada, ma è troppo piccola per i miei gusti". Semmai le avrebbe ricordato quell'episodio e… si sarebbero messe a parlare. E, forse, dal passato in cui erano "la piccola Rosalie" e "madamigella Oscar", avrebbero potuto iniziare un futuro come Rosalie e Oscar. Quanto lo desiderava… Ma Oscar sembrava quasi chiusa in se stessa, nei sui pensieri che poteva intuire, ma non certo capire a fondo… rispettava Oscar, e preferiva tacere e aspettare… D'altronde, Rosalie era molto presa dalla cura del figlio, della casa,[5] era preoccupata per Bernard, per il clima di tensione che cresceva sempre di più, perché quella libertà vista come un sogno prendeva fattezze vaghe prossime all'incubo.

 

Oscar tornò a casa, non passò da André. Voleva stare sola. Aveva bisogno di stare sola. Iniziava a non capirci più nulla, a porsi troppi interrogativi. Quand'è così, di solito, si agisce. Invece ora non poteva far nulla. Lei, il cane della Regina… Camminando stringeva a sé il libro che le aveva dato il medico, ma non si sentiva di aprirlo, come se un tale gesto, destinato a metterla faccia a faccia con la realtà, le potesse far male. O, peggio, far paura. Allora prese i discorsi che gli aveva dato Bernard, li lesse attentamente, dimenticandosi di tutto. Dimenticandosi di Oscar: era così presa, che le pareva di gridare lei quelle parole, si sentiva il cuore trasportato tra le folle. Ma, ogni tanto, si bloccava. Un inciampo logico. C'erano dei punti che, ad Oscar, non quadravano: perché?

Cercò una copia della Dichiarazione dei Diritti dell'uomo e del cittadino. Non la trovò. Molto probabilmente l'aveva dimenticata ad Arras. Anzi, certamente. Colpa di André e del suo disordine cronico. Appena sarebbe tornato, gliene avrebbe dette quattro.

André, povero André, la paziente vittima dei suoi slanci impulsivi, il cielo sereno nella sua mente pronta a lanciare fulmini e a ruggire come tuono. André, più forte di lei perché costante, sicuro, limpido… come il cielo.

André, il padre di suo figlio. Di loro figlio.

L'effetto dei discorsi letti venne vanificato.

Ora André sarebbe tornato, e invece lei voleva stare sola. E voleva evitare - almeno per un po' - di parlargli.

"Che razza di comportamento" si diceva, ma non poteva che aspettarselo. Assurda e contraddittoria, come sempre: Oscar procedeva per strade tutte sue. Anche per questo più affascinanti. Nulla le era imposto, e questo le permetteva di trovare un senso - il senso vero - agli eventi della vita.

Tornò al discorso di Robespierre, al passaggio che le si inceppava nella mente.

"Una contraddizione nascosta, una nota stonata in una partitura quasi perfetta…"

Quando entrò André, era così stanco da farle pena. Con una mano si schermava il viso.

- Non devo essere particolarmente desiderabile - scherzò, con un filo di amarezza, mentre, spostando la mano, scopriva un occhio gonfio e rosso, cerchiato di nero.

- Cos'è successo?-

- A quanto pare, il compagno dell'occhio perso non regge più della metà del lavoro. Quantomeno rispetta le proporzioni matematiche… Non fa niente… credimi, non fa niente. Piuttosto, come stai?-

- Bene…benissimo…- si sentiva così in imbarazzo, come se quell'occhio stanco e ammaccato potesse leggerle dentro. Cosa che, poi, sarebbe stata lecita. "Oh, André… dovrebbero farti santo per l'amore e il rispetto che nutri verso di me… Eppure ho lo stesso l'istinto di prendermela con te, alle volte…"

- Oscar… io vado a riposare. Davvero, non vedo niente, non capisco niente e ho un mal di testa fortissimo… Addirittura non ho fame: vuol dire che sono davvero distrutto.-

 

Oscar fece frusciare tra le dita i fogli dei discorsi di Robespierre, e iniziò a rileggerli. Passarono le ore. Salì la luna. La candela si accorciava e si allargava, come la sua cera dai mille, morbidi ricami - quelle gocce buffe che ti danno la voglia di impastarci le dita -. Si portava una mano tra i capelli, guardava fuori dalla finestra.

Ci sono delle occasioni in cui la natura ti mette con le spalle al muro, non puoi cercare scappatoie, vie alternative: era un contrasto che la straziava. Stava leggendo i discorsi con un acume che difficilmente avrebbe avuto un uomo, ma il suo corpo era di donna. Un contrasto con cui aveva fatto i conti già da bambina, ma che poteva dimenticare a piacimento: bastava concentrasi su altre cose, ed essere ciò che voleva…Ma ora non poteva farlo sempre… l'aveva scelto lei, d'altronde. Doveva convivere con il passato e il futuro, la paura e il coraggio. Gli elementi più positivi erano sempre i più forti. Oscar era sempre Oscar: grintosa, onesta, chiara, tenace. Ma il lato oscuro, umbratile, lunare di sé le avrebbe dato filo da torcere, finché non si fosse integrato con la parte solare del suo animo. Ci sarebbe riuscita. Oscar non fugge. Affronta la vita come una battaglia.

 

Era stanca, pensò di andare a dormire. Ovviamente non chiuse occhio, continuando a leggere i discorsi di Robespierre, nei quali qualcosa non le quadrava. André dormiva, parlottava nel sonno.

Lo sguardo di Oscar corse per la stanza, si perse nei ricordi che al buio prendevano forma.

Le sorelle… quanta paura aveva delle sorelle? Così lamentose, così desolanti… così sole. Sdraiate sui loro divanetti, tra un libro e un pasticcino, ricevevano una rapida e seccata visita dei loro consorti, alle quali erano state date come spose quando erano ancora bambine. Non si erano scelti. Loro non avevano scelto di diventare donne, eppure si trovavano a partorire figli quando era forte il desiderio di giocare con le bambole. E si lamentavano, piagnucolavano… e chinavano il capo, come se quei distratti baci sulla mano fossero la quantificazione dell'amore che c'era tra loro e il marito.

Per lei e per André era diverso. Si erano scelti, erano cresciuti, avevano dato un senso ai loro passi. Si erano rispettati, si amavano ed erano diventati parte l'uno dell'altro… e continuavano a crescere, ogni giorno. Era così diversa la loro storia, il loro cammino… André non meritava, ora, il suo silenzio. Almeno per lui, poteva vincere le sue paure. Doveva. Perché se erano lì, insieme, - e, forse, avrebbero parlato di un figlio - non sarebbe stato perché qualcuno l'aveva imposto, né perché lui era un semplice uomo, ma perché lui era André.

 

 

Continua...

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[1] Dylan Dog, "Accadde domani".

[2] L'idea mi è nata parlando con un mio amico, sul treno per Roma. Per puro caso io, lui e un altro compagno di classe e di scout, passammo il concorso per Roma 3, pieni di sogni. Sono passati cinque anni, solo io sono arrivata al termine. In III media leggevamo un libro "Dei fatti misteriosi", e quasi ce la facevamo sotto… Dopo questi anni vorremmo di nuovo tremare per quei racconti quasi ridicoli tanto erano inverosimili, e non -invece- per la paura che si possano ripetere gli eventi che ci hanno cambiato e che hanno spezzato i nostri sogni…

[3] Pierre ROUSSEL, Du système phisique et morale de la femme, I ed. 1775, II ed. 1783, in Ariès, Duby , La vita privata,- l'Ottocento, pag. 35 (anche se è sull'Ottocento, il primo capitolo è sulla Rivoluzione francese, mentre nel libro precedente c'è l'illuminismo… per farmi spendere di più…).

[4] Come diceva nonno Giacinto "L'uva non si frega. E se si frega non bisogna farsi vedere!"

[5] In Eroika Rosalie ha un figlio che si chiama François.