Gli anni che verranno (1790-1791)
Parte II
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Revisione: Laura Luzi
La
casa, piccola ma dignitosa, pareva avere una fisionomia propria, fatta apposta
per accoglierli. Sulle scale c'era una finestrella in una nicchia, nella quale
Oscar si andò istintivamente a sedere. Tagliato dal declino del tetto di una
casa, sorgeva il cielo.
Sparse,
inscatolate e avvolte alla meno peggio, c'erano le cose che avevano recuperato.
Frutto di generosi e spericolati
sforzi di chissà quale affettuoso inserviente dei Jarjayes, forse transfuga da
quella rivoluzione, forse inghiottito nei meandri di quella città.
Ma
la cosa che colpì più Oscar fu la presenza di uno scatolone con dei libri:
trattati di medicina militare. Se n'era appassionata quando Fersen era partito
per l'America e, anche quando l'infatuazione per lui era passata, li aveva
trovati utilissimi nel proprio mestiere.
Rosalie
aveva portato delle pentole e delle stoviglie, dato che ad Arras usavano quelle
della locanda. C'era il tocco delle mani della dolce moglie di Bernard, in
quello sforzo di dare ordine alla provvisorietà. Non era solo lacrima, la
piccola Rosalie…
La
finestra alta e stretta della stanza da letto illuminava il sommo desiderio di
chi è stanco: il giaciglio.
Oscar
sorrise, corse verso il letto e ci saltò sopra, ma picchiò la spalla e la
testa.
-
Ahi! Ma questo letto è piccolo!-
-
Credo, invece, che sia normale. E comunque devi fartene una ragione, dato che te
ne spetta solo metà.-
-
Uguaglianza, uguaglianza… e i letti dei nobili continuano ad essere grandi!-
ironizzò.
André
si tolse la camicia, la posò su una sedia e si coricò, le mani dietro la nuca,
stirandosi - Sono distrutto…- disse.
-
Domani potrebbe essere una giornata ancora più faticosa…-
-
Mh…-
Ci
fu un attimo di silenzio. Entrambi guardavano il soffitto.
-
Oscar… senti… io non te lo chiedo mai, perché so che preferisci non
parlarne… ma la tua salute? Intendo dire: come stai , concretamente?-
-
Mi sento davvero bene. Benissimo. Anche se… non tutti i conti tornano. Quindi
- disse con fermezza, voltandosi dal lato opposto - sarà bene starci attenti.-
-
Ah… capisco...-
-
Perché questa voce?- Oscar si strinse al cuscino e girò la testa per
intravedere in tralice la fisionomia del corpo di André, scolpita dalla luce
pallida della notte di luna.[1]
-
Ancora non lo vorresti?…- disse André,
pensoso.
-
Cosa, scusa?-
-
Un… un figlio…- sussurrò, quasi con timore.
-
Non che io non lo voglia. Ma neppure posso dire di volerlo… Oh, forse sono
egoista, ma per ora, André, mi basti tu… mi sembra di averti trovato da così
poco… Io, poi…- Oscar fece cadere un discorso che con quell' "io" si avviava sul complicato. Fece un sospiro, accorato
e stanco, e ripiegò di nuovo la testa sul cuscino come per dormire, per cercare
quel sonno che tanto di rado e tanto male arrivava…
Dopo
qualche minuto André si riscosse, si voltò verso di lei, si avvicinò
coprendole la schiena col suo petto. Passandole una mano lungo i fianchi, con
dolcezza e passione, sussurrava il suo nome.
- Oscar… Oscar… Dormi? Dormi così sodo? Oscar?- sorrise, rassegnato. - Beh,
va bene così… non ti capita quasi mai di dormire tanto profondamente…
Dormi, amore, dormi…- le carezzò i capelli, si voltò dall'altra parte e si
addormentò anche lui.
Ma
Oscar non stava dormendo. Aveva gli occhi aperti, sbarrati, fissava immobile il
buio davanti a sé. Respirava piano come se stesse davvero dormendo
profondamente, trattenendo con energia il fremito del respiro. Era una corda in
tensione. Come in un incubo le passavano davanti immagini, e i pensieri le
apparivano nella mente come se fossero scritti, scolpiti nel marmo gelido ed
eterno.
Il padre… la regina Maria Antonietta, la sua
risata… il pianto dei più deboli… Alain… i prati di Arras e i vicoli di
Parigi… Robespierre, l'enigma… il passato, il futuro… la rete dei ricordi
che li lega in una trama di fittissime maglie… lo slancio e il freno… André…
Ora
André dormiva. Era nella sua natura dormire sodo. Perché prima non si era
girata? Perché? Per rimanere sola a farsi torturare dai pensieri, tutta la
notte?
La
mattina dopo, Rosalie era affaccendata a battere un tappeto dalla finestra e li
vide recarsi verso l'ufficio. Avevano l'aria frustrata e torva, erano
silenziosi. Camminavano ad occhi bassi, con passi dello stesso ritmo.
"Avranno litigato. Non saranno contenti di qualcosa. E' successo qualcosa.
Qualcosa non va."
Oscar
sembrava anche stanca, aveva le occhiaie e il volto tirato, ma non erano i segni
della malattia. Tuttavia Rosalie si preoccupò e decise che, sbrigate le sue
abituali e amate faccende, li avrebbe raggiunti.
Una
rampa di scale lievemente sconnesse, in un corridoio umido, portava a quello che
sarebbe diventato, nelle intenzioni di Bernard, l'ufficio A3.
-
Che ne pensi, Oscar?-
-
Che dovrei pensarne? Non ho mai fatto commenti sulle camerate, quindi…-
-
Forse l'esercito ha un che di più glorioso, ai tuoi occhi.-
-
Vernice, tutta vernice. Sono molto più ingloriosi certi posti, rispetto a
questa… questa…-
-
Stamberga.-
-
Più o meno. Andiamo, André. Su queste scale l'aria è umida…-
Appena
aprirono la porta, che tra l'altro cigolava ("Detesto le porte che cigolano[2]",
pensava André "Se solo vedessi bene potrei sistemarla. Le ho sempre
detestate, davvero…") si alzò una nuvoletta di polvere, che restava
sospesa in un denso sciame di pulviscolo, attraversato dalla luce smorta di
ottobre.
-
Bene, André, diamoci da fare!-
Ad
ogni movimento alzavano polvere e Oscar ebbe due colpi di tosse. André si
preoccupò: - Forse è meglio che tu vada a casa, Oscar. E' un lavoro ingrato
per la tua salute.-
-
Ah, sta' zitto. Non vado da nessuna parte. Devo fare questo e lo faccio.- Altri
due colpi di tosse.
-
Oscar, gran Dio, ma sei davvero testarda. Avanti, va' a casa!-
- Signor
Grandier,
io faccio quello che mi pare e non sono tenuta a rendervi conto dei miei colpi
di tosse.- rispose lei, acidamente, punta nell'autonomia e nell'orgoglio.
-
Ma Oscar!! Ti rendi conto?!-
-
Ti fai i fatti tuoi, André?- Tossì forte, e più il corpo si muoveva, più si
alzava polvere. André, schiarendosi la voce, le si avvicinò, la prese per le
braccia.
-
Oscar… per favore, non essere testarda.-
-
Io facc… Ectiùùù!!- Oscar starnutì improvvisamente, schivando André per
poco.
-
Atten… Emh, cioè scusa… è che …eh… eh…- André, dapprima
disorientato, scoppiò a ridere. Lo stesso fece Oscar.
-
Scusa… ah ah… è la polvere…- più ridevano e si muovevano, più polvere e
vecchi fogli si alzavano.
-
Oh… no…- il gemito di André era soffocato dal riso. La polvere lo stava
facendo lacrimare. E la stessa cosa stava succedendo a Oscar. E questo li faceva
sentire dannatamente buffi, teneramente vicini, vivi… e ridevano, lacrimavano,
piegandosi sulle ginocchia. Si guardavano in faccia… nasi gonfi, occhi
arrossati, guance accaldate a forza di ridere e… lacrime copiose.
-
Oscar… così non vedo niente…-
-
Ti… ti porto io… appoggiati a me… usciamo…- e continuavano a ridere.
André cercava sostegno in Oscar che, ridendo di gusto come faceva di rado,
vacillava.
Arrivarono
all'uscio e si appoggiarono, stremati dal riso e ansimanti, agli stipiti. La
gente li guardava perplessa. La sensazione di sfinimento perpetuava il loro
riso, tra scoppi inframmezzati da frasi e sensazioni che si erano lasciati alle
spalle tanti, troppi anni prima.
Loro
trovavano anche quello così buffo e divertente, si guardavano e si asciugavano
a vicenda le lacrime, seguendo la forma dei loro volti.
Arrivò
Rosalie e si tenne in disparte. Si era portata dietro un secchio e degli
strofinacci, perché Bernard aveva dimenticato di avvisare gli interessati delle
condizioni di quello che suo marito definiva "il primo baluardo dell'ordine
cittadino", e aveva portato anche della torta, per un merenda rapida e
nutriente. Da persona previdente, che si preoccupa per chi gli è caro.
"Non
hanno bisogno di noi… non hanno bisogno di nessuno… Dovranno scontrarsi con
tante difficoltà, si scontreranno anche tra loro, ma ce la faranno, sempre…
Io, io credo di non aver mai visto amore più grande…" fatta da sola
quell'ultima considerazione, si commosse e ne pianse, avviandosi con un sorriso
emozionato verso casa, tenendo il pacchetto con la torta.
Incontri[3]…
Il
destino, si sa, è un grande tessitore che alle volte eccede nei suoi
virtuosismi. Comunque, per una settimana tutto sembrò andare più o meno bene.
Il futuro ufficio era pieno di scartoffie molto interessanti, riguardanti
soprattutto l'esercito. Così Oscar aveva saputo che Alain aveva lasciato la
Guardia.
Lei
e André ripensarono al loro più caro amico, alla sua apparente rozzezza e al
suo animo - in realtà - profondamente sensibile… Probabilmente non aveva
retto gli eccessi di violenza di quelli che si definivano i liberatori del
popolo. Forse gli era toccato l'ingrato compito di tirare giù da un lampione
qualche nobile che vi era stato impiccato, nei tanti assalti alle carrozze… e
gli aveva ricordato Diane… forse… forse aveva visto l'ingiusta attuazione
del concetto di giustizia… O forse, chi lo sa….
-
Appena sarà possibile, voglio andare a trovare Alain. Si è trasferito in
Normandia. Ho saputo l'indirizzo esatto da un vicino di casa. Nemmeno mi ha
riconosciuta: ne deve esserne passata d'acqua, sotto i ponti di Parigi…-
-
Già…-
Mentre
Oscar e André lavoravano tranquilli, Bernard si affacciò, discreto, alla
porta. Non fece alcun rumore, merito del tirocinio come Cavaliere Nero, ma bastò
che l'aria più fresca entrasse nella stanza perché Oscar alzasse lo sguardo.
-
Accidenti, Oscar. No ti si può mai cogliere di sorpresa.-
-
E' difficile. Anche perché detesto le sorprese. Cosa vuoi?-
-
Beh, ho portato tutta questo materiale per te…Sono articoli di giornale e
discorsi di Robespierre. Specie per i secondi mi serve il tuo parere. Lui li
sottopone a me, pensando che un giornalista debba per forza avere una magica
dimestichezza con le parole, ma io non mi sento affatto sicuro in questo campo,
e lui nemmeno. Sono discorsi rivolti ai nobili, capisci? Allora, chi meglio di
te può aiutarci a sviscerare le carenze argomentative e gli eventuali
scivoloni?-
-
Bene, la cosa è interessante. Mi chiedo, però, se l'idea sia davvero sua o, piuttosto, tua…-
-
Ehm…- Bernard, imbarazzato, balbettò – Che… che importa “chi”…-
-
Cosa significa? Mi nascondi qualcosa?-
Per
evitare che quelle due cocciute creature iniziassero a beccarsi, André si inserì
nel discorso. - Sentite, io avevo pensato che sarebbe bene fare uno spuntino…
e poi lavorare di nuovo. Vado a prendervi del tè? Del caffè con dei biscotti?-
-
André, piantala di parlare da attendente.- lo seccò Oscar.
-
Allora non vi prendo niente...- alzò le mani, in segno di resa e stupore per
quella reazione così dura.
-
Come no!! Ma niente biscotti per me: non ho appetito, da un po' di tempo a
questa parte.-
André
si avvivò per le scale, lasciando Oscar e Bernard in tregua armata. Si
appoggiava al muro, perché non vedeva con chiarezza gli scalini, sconnessi e di
per sé tendenti a coprirsi di umidità. Tuttavia il suo problema alla vista
aveva reso più acuti sensi e anche sensazioni, diventate piuttosto forti in
lui, che di natura era un riflessivo osservatore. Sentiva i passi di qualcuno
che si stava avvicinando. Passi rapidi, giovani. Da gatto… Gli venne in mente
l'idea del felino, l'immagine del gatto che si lecca i baffi… del gatto che
cammina agile sui tetti, nella notte nera… dei suoi occhi quasi
luminescenti…
-
Per caso Chatelet è da queste parti?-
L'ombra
prese forma davanti a lui. Le fattezze di un giovane dalle labbra sottili e
femminee, dal viso liscio e dai capelli setosi. Negli occhi chiari, uno
scintillio inquietante e vigile. Un felino… un cucciolo di tigre già
svezzato…
-
Sì, Chatelet è qui.-
-
Devo avervi già visto, da qualche parte… ma non ricordo dove…-
"Già
visto…" pensò André "Sì, l'ho già visto anche io… ma di
sfuggita, da lontano… Devo accompagnarlo all'ufficio... perché devo stare con
Oscar."
Bernard
si portò la mano alla fronte. - Santa pace, mi torturi!! Speravo che fossi
partito, ormai… Non avrei mai immaginato che mi seguissi fino a qui, Saint
Just!-
Il
ragazzo sorrise soddisfatto, facendo acquistare un che di scomposto a quel viso
efebico e puro. - Volevo fare una sortita prima di lasciare Parigi. E poi lo sai
che mi diverto a seguirti. Si impara molto, e poi mi dà una soddisfazione
tremenda… mi sembra di essere un bambino che gioca a moscacieca…-
Oscar
era rimasta inchiodata alla sedia, immobilizzata da quell'incontro.
Come
André sentì il nome del giovane che aveva seguito Bernard, trasalì ma cercò
di mantenere l'apparenza più calma e più neutrale possibile. Solo in quel modo
poteva aiutare Oscar, la sua Oscar… Incontrare una persona di tal fatta in
quel momento così difficile, per lei, era quanto di peggio potesse accadere.
-…
Uh, ma… se non m'inganno… Guarda chi abbiamo qui!!- esclamò trionfante,
sardonico. - Lei è la figlia del fedelissimo!!
Che ci fai, qui?? Sei venuta a fare la spia, a pulirti la coscienza oppure a
tradire qualcuno? Oppure…- si voltò, squadrò André. - Ah, il soldato
ombra!! Ecco! Ora capisco mooolte cose.-
-
Saint Just, sei una serpe di ghiaccio. Ti ho visto ben poco, e la cosa non mi è
mai dispiaciuta.-
-
Oh-oh! Cosa odono le mie orecchie! E' bello sentirtelo dire…- Oscar si era
alzata, Saint Just rideva scompostamente, coprendosi la bocca e voltandosi di
spalle. Bernard cercò di fermarlo con le parole, ma passato il riso Saint Just
mise al suo discorso il vigore di un'età e di un carattere per il quale non
esistono le sfumature, ma solo il bianco e il nero.
André
si avvicinò in silenzio… lo sguardo di Oscar… lo conosceva bene: nel cuore
stava già sfoderando la spada contro il sopruso e la meschinità, stava già
gettando il guanto di sfida. Ma era pericoloso. "E' troppo presto, Oscar...
la nostra posizione è precaria… lui può rovinarti l'esistenza, può
denunciarti, cacciarti… lui sa chi sei, ma non sa ancora chi siamo ora. E
forse farà sempre finta di non capirlo…"
-
Eh, già! Il fedelissimo generale
Jarjayes! Un appellativo adatto ad un cane. E infatti mi trovo davanti alla
figlia, al primo e più grande cane della
regina. E sei qui!! Logico… alla fine hai ceduto, hai cercato di
rassegnarti al tuo naturale ruolo di diventare un angelo del focolare, mentre
resti un demone della nobiltà. E per darti uno scopo tradisci la corona… I
Jarjayes, tu in particolare, sono così: o deboli o traditori!!-
Saint
Just amava attaccare le persone con le insinuazioni, convinto che una loro
reazione avrebbe messo in luce le zone d'ombra degli interlocutori. Nel caso di
Oscar, senza volerlo, era andato a toccare le sue più grandi paure. Traditrice.
Debole.
Un
ceffone interruppe i suoi discorsi. Oscar rimase a fissarlo mentre lui,
cacciando un grido acuto, si portava la mano al viso. - Che schifo…- esclamò.
-
Tu?! Tu!!!- Oscar, ferita nell'animo, era già pronta a passare ai fatti.
Bernard
continuava a dire a Saint Just di smetterla, nella pia illusione che il Lume
della ragione funzionasse anche quando due persone fiere litigano, ma tutto era
inutile. Allora André prese Saint Just per le spalle, e lo spinse fuori con
calma risoluta, beccandosi anche lui una buona dose di malignità.
-
Scusa, Oscar… Scusa. Lui non sapeva nulla di te, quindi non eravamo preparati
a fronteggiare le sue reazioni.-
Oscar,
livida in volto, misurava la stanza a grandi passi.
"Debole. Traditrice. Debole.
Traditrice."
-
Oscar…-
-
Io… io non ne posso già più! Queste mura! Questa scartoffie! Queste
mediazioni! Queste ma-li-gni-tà! Mi
ha fatto venire la nausea, quel... ragazzino! Debole, traditrice. Ti rendi
conto, Bernard?! Io non ne posso più! Non ne posso più!! Io… io parto…-
-
Ma, Oscar….- André le si avvicinò, cercando di calmarla.
-
Parto. Per quale motivo mi diresti di no? Perché mi reputi debole? O temete che
vi tradisca, facendo la spia alla regina? Io impazzisco tra queste mura. Io
vado… vado a trovare Alain, vado in Normandia… vado a fare i bagagli!-
-
Oscar. Insomma!- André la fermò alla porta. - Io non ho nulla in contrario se
tu vuoi partire, sono felice se tu vai a trovare Alain ma… dovresti pensare
anche alla tua salute… dovremmo anche pagare il viaggio, non credi?-
Gli
occhi di lei si infuocarono. - Sei un marito, no? Eri un attendente, no? Eri un
soldato, no? Trovalo tu il modo. Io ho deciso che parto…-
Sgusciò
fuori dalla porta, corse via.
Bernard
aveva ancora le mani nei capelli.
-
Comprendila.- gli disse André - La vita di Parigi, il clima di sospetto e di
tensione che c'è sono terribili, lei è abituata a fronteggiarli in un certo
modo. Un nobile si chiude nelle sue stanza, una donna si rassegna. Nei piccoli
paesi, tra le case alle porte di Arras poco importa che tu sia uomo o donna,
povero o ricco: basta che tu sappia lavorare sodo e accettare di buon grado la
vita… Qui a Parigi tutto è umbratile, viscido, sospettoso…- "Come
queste scale" pensò.
-
Raggiungila, André. Va’ da lei. Io i discorsi li lascio qui sulla sua
scrivania. Fa’ che li legga.-
-
Posso girarti la domanda che ti ha fatto Oscar prima?-
-
Intendi dire, come mai Robespierre non chieda di persona collaborazione? Ebbene,
André, meno male che sei intervenuto tu… Avevi intuito qualcosa, vero? Lui
non parlerà mai direttamente, perché la sua idea è che la donna abbia il
ruolo di moglie e madre di cittadini.[4] Come diceva Rousseau.-
-
Anche tu segui le teorie di Rousseau…-
-
Sì, ma il buon Jean Jacques aveva una grande pecca…. Non aveva conosciuto
Oscar. Se si fossero incontrati, credo che Rousseau sarebbe andato in crisi.-
Bernard sorrise, esponendo la sua ironica ma veritiera idea.
A
casa, Oscar aveva già preparato un bagaglio minimo, ma era piegata su una
sedia, stringendo i denti.
-
Cos'hai, Oscar?-
-
Io non sono debole.- mormorò, respirando affannosamente.
-
Lo so. Tu non sei debole, Oscar. E non hai nemmeno la tisi, adesso. Lo vedo…
lo sento… ma non stai completamente bene.-
-
Colpa di Saint Just. Detesto la nausea. E lui mi fa venire la nausea. La
detesto. E' roba da femminucce.-
André
sorrise dolcemente. La sua Oscar debole? No, quanto era forte… ribelle e
inquieta, in cerca di se stessa, pronta anche a soffrire.
-
Vuoi proprio partire? Sei appena arrivata! Se c'è una cosa delle nobiltà che
non potrai più avere, sarà il privilegio di ritirarti nelle tue stanze. A
trovare Alain ci andremo insieme, quando avremo capito l'aria che tira, quando
saremo più sicuri della tua salute, quando saremo più sereni…-
Oscar
non voleva piangere. Proprio non voleva farlo, ma le lacrime scesero lo stesso.
Non fece rumore, non singhiozzò. André se ne accorse solo perché, prendendola
in braccio, si era sentito quelle gocce salate scivolargli sul collo.
"Debole.
Traditrice. Le tue paure. I tuoi terrori… Tieni a tuo padre, alle persone che
hai stimato. Ma tieni anche alla libertà. Pensi, decidi… e mi ami… sono
cose naturali, ma per te sarà sempre tutto più difficile. Io sarò con te…
mia Oscar."
Normandia
Alain
era seduto sulla spiaggia, ad aspettarla. Era entrata nella sua vita nel modo più
bizzarro… Joy,[5] una ragazza che lavorava
all'osteria di Hector. Non ci era andato quasi mai, all'osteria, perché
preferiva stare solo. Un giorno, camminando, l'aveva vista e ne era rimasto
colpito. L'aveva notata perché era vestita da uomo - portava pantaloni larghi
arrotolati sulle caviglie e una giubba di stoffa grezza simile ad uno scialle -
e perché camminava esitante, ma invece di sembrare goffa somigliava ad un
folletto che salta tra invisibili fili d'erba.
Guardava
davanti a sé e non chinava il capo, né pareva accorgersi della presenza di
qualcuno. Quegli abiti maschili, quello sguardo così strano l'avevano
incuriosito.
Joy
veniva dall'Inghilterra e parlava un francese colorito, pieno di motti, giochi
di parole - "le cose che ho imparato prima" diceva, ridendo -,
pasticciato con termini della sua madre lingua. I suoi occhi erano verde chiaro,
come i prati della sua terra, e vedevano poco. I capelli, biondo scuro, erano
sfibrati e arruffati dal vento.
"Il
mondo è tutto sfumato…" diceva a volte, inclinando il capo. Vedeva
sfumato… vestiva da uomo… Alain non poté fare a meno di diventarle amico.
Non riusciva ad innamorarsene, ma le voleva molto bene. Joy… la gioia di
vivere, di affrontare una vita grama col sorriso sulle labbra, senza perdersi
mai d'animo. Joy voleva bene ad Alain, ma non riusciva da amarlo, perché si
sentiva sola… sola dentro… come lui, d'altronde. La solitudine di anni
lascia un'impronta, come il mare sulle scogliere. Ti rode a poco a poco e,
quando se ne va, non sei più quello di prima.
Erano
seduti, era il tramonto e il vento si era fatto umido: non avevano parlato
molto, perché la gente di mare è concisa, ma avevano riso delle loro sventure.
-
E' meglio che vada. Devo finire di pulire da Hector.-
-
Aspetta, Joy… un avventore mi ha detto che tu sai leggere le carte, è vero?-
-
Sì, Alain. Ma è solo un gioco… Non vorrai mica che ti predica il futuro?! Di
chi si è innamorato il nostro malinconico fusto?!- lei rise, punzecchiandolo
con un gomito.
Alain
fece un sorriso dolce: Joy era immediata nel parlare e nel muoversi, per
rimediare alla carenza di tanti dettagli che sparivano dai suoi occhi deboli,
sempre così stupiti da essere stupendi.
-
Non sono innamorato, Joy… no… Se puoi, così per gioco, leggere le carte per
dei miei amici che abitano a Parigi…-
-
Allora…- Joy si frugò nelle tasche fonde dei pantaloni, estrasse dei tarocchi
logori da un sacchettino di tela spessa.
-
Pensali intensamente, molto, molto intensamente… quando li sentirai vicini,
taglia il mazzo di carte.- gli disse.
-
Va bene…- Alain si sentiva uno stupido, e quasi si pentiva di quello che stava
facendo… un gioco… solo un gioco… ma pensò intensamente ad Oscar e André.
Non fu difficile. La sola cosa che lo facesse sperare era il ricordo di loro. E
la risata scrosciante, ma in fondo disillusa, di Joy. Tagliò il mazzo e Joy
stese tre carte sulle ginocchia, proteggendole dal vento. Poi le avvicinò una
ad una sotto al suo naso.
-
Mamma mia!!- esclamò.
-
Che c'è? - Alain non sapeva se prenderla sul serio o buttarla sul ridere.
-
Zitto: la Morte… Cambiamenti radicali, mutamenti profondi… la Torre: eventi
illuminanti o catastrofici, irreversibili… ma poi c'è Il Mondo: è la piena
felicità. Il senso della vita. La gioia, Alain. I tuoi amici dovranno
affrontare delle prove molto dure, non so di che tipo. Materiali, morali… la
torre indica anche una rivoluzione nelle certezze, una crisi profonda che può
essere salutare o nefasta… Ma il Mondo mi dice che, qualsiasi cosa accadrà
loro, raggiungeranno la felicità. O, almeno, la serenità.
Sei più felice, adesso, Alain?-
Lui
guardò il mare, che si era fatto di creta e d'oro, gli ultimi raggi del sole si
stendevano languidi lungo l'orizzonte, mentre alle sue spalle l'aria scuriva
rapidamente e il vento fiaccava gli arbusti coriacei della costa.
-
Non lo so, Joy... è un gioco. Ma se ti mi dici così, sono sereno… Ciao, Joy…-
Mise
le mani in tasca, e guardando il tramonto con gli occhi umidi, se ne andò con
il suo fardello di ricordi e pensieri.
Continua...
Mail
to
sonia_78@virgilio.it
[1] L'idea mi è venuta da una tavola di LdR. Non sono molto valida in certe descrizioni, ma volevo cercare di sconvolgervi un po' gli ormoni con quello che seguirà. Ma temo di non essere capace…
[2] Dylan Dog, "La porta dell'inferno"
[3] L'istinto era di scrivere "Il rompiscatole", ruolo che il povero SJ si vede costantemente assegnato. A ragion veduta, all'epoca Saint Just aveva altro da fare e da pensare, ma per attenerci a manga ed anime, per l'ennesima volta, gli facciamo fare il rompiscatole…
[4]
J. Michelet, Le donne della
Rivoluzione, Milano, Bompiani,
1978; Bertaud, La vita
quotidiana al tempo della rivoluzione,
Milano, Rizzoli, 1997.
[5] L'idea di Joy mi ronza in mente da molto tempo, è ispirata alla ragazzina che aiuta Abel Buttman, il fratello di Georgie, al suo arrivo al porto di Londra. Il nome mi piace da impazzire Ma l'aspetto, il difetto e alcuni dettagli di Joy sono una "graziosa concezione"… E poi mi sono stufata di vedere un Alain misantropo: anzi, la sua filantropia è direttamente proporzionale al grado di miopia dell'interlocutore di turno.