Gli anni che verranno  (1790-1791)

Parte II

 

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Revisione: Laura Luzi

La casa, piccola ma dignitosa, pareva avere una fisionomia propria, fatta apposta per accoglierli. Sulle scale c'era una finestrella in una nicchia, nella quale Oscar si andò istintivamente a sedere. Tagliato dal declino del tetto di una casa, sorgeva il cielo.

Sparse, inscatolate e avvolte alla meno peggio, c'erano le cose che avevano recuperato. Frutto di  generosi e spericolati sforzi di chissà quale affettuoso inserviente dei Jarjayes, forse transfuga da quella rivoluzione, forse inghiottito nei meandri di quella città.

Ma la cosa che colpì più Oscar fu la presenza di uno scatolone con dei libri: trattati di medicina militare. Se n'era appassionata quando Fersen era partito per l'America e, anche quando l'infatuazione per lui era passata, li aveva trovati utilissimi nel proprio mestiere.

Rosalie aveva portato delle pentole e delle stoviglie, dato che ad Arras usavano quelle della locanda. C'era il tocco delle mani della dolce moglie di Bernard, in quello sforzo di dare ordine alla provvisorietà. Non era solo lacrima, la piccola Rosalie…

La finestra alta e stretta della stanza da letto illuminava il sommo desiderio di chi è stanco: il giaciglio.

Oscar sorrise, corse verso il letto e ci saltò sopra, ma picchiò la spalla e la testa.

- Ahi! Ma questo letto è piccolo!-

- Credo, invece, che sia normale. E comunque devi fartene una ragione, dato che te ne spetta solo metà.-

- Uguaglianza, uguaglianza… e i letti dei nobili continuano ad essere grandi!- ironizzò.

André si tolse la camicia, la posò su una sedia e si coricò, le mani dietro la nuca, stirandosi - Sono distrutto…- disse.

- Domani potrebbe essere una giornata ancora più faticosa…-

- Mh…-

Ci fu un attimo di silenzio. Entrambi guardavano il soffitto.

- Oscar… senti… io non te lo chiedo mai, perché so che preferisci non parlarne… ma la tua salute? Intendo dire: come stai , concretamente?-

- Mi sento davvero bene. Benissimo. Anche se… non tutti i conti tornano. Quindi - disse con fermezza, voltandosi dal lato opposto - sarà bene starci attenti.-

- Ah… capisco...-

- Perché questa voce?- Oscar si strinse al cuscino e girò la testa per intravedere in tralice la fisionomia del corpo di André, scolpita dalla luce pallida della notte di luna.[1]

- Ancora non lo vorresti?…- disse André, pensoso.

- Cosa, scusa?-

- Un… un figlio…- sussurrò, quasi con timore.

- Non che io non lo voglia. Ma neppure posso dire di volerlo… Oh, forse sono egoista, ma per ora, André, mi basti tu… mi sembra di averti trovato da così poco… Io, poi…- Oscar fece cadere un discorso che con quell' "io" si avviava sul complicato. Fece un sospiro, accorato e stanco, e ripiegò di nuovo la testa sul cuscino come per dormire, per cercare quel sonno che tanto di rado e tanto male arrivava…

Dopo qualche minuto André si riscosse, si voltò verso di lei, si avvicinò coprendole la schiena col suo petto. Passandole una mano lungo i fianchi, con dolcezza e passione, sussurrava il suo nome.

- Oscar… Oscar… Dormi? Dormi così sodo? Oscar?- sorrise, rassegnato. - Beh, va bene così… non ti capita quasi mai di dormire tanto profondamente… Dormi, amore, dormi…- le carezzò i capelli, si voltò dall'altra parte e si addormentò anche lui.

Ma Oscar non stava dormendo. Aveva gli occhi aperti, sbarrati, fissava immobile il buio davanti a sé. Respirava piano come se stesse davvero dormendo profondamente, trattenendo con energia il fremito del respiro. Era una corda in tensione. Come in un incubo le passavano davanti immagini, e i pensieri le apparivano nella mente come se fossero scritti, scolpiti nel marmo gelido ed eterno.

Il padre… la regina Maria Antonietta, la sua risata… il pianto dei più deboli… Alain… i prati di Arras e i vicoli di Parigi… Robespierre, l'enigma… il passato, il futuro… la rete dei ricordi che li lega in una trama di fittissime maglie… lo slancio e il freno… André…

Ora André dormiva. Era nella sua natura dormire sodo. Perché prima non si era girata? Perché? Per rimanere sola a farsi torturare dai pensieri, tutta la notte?

 

La mattina dopo, Rosalie era affaccendata a battere un tappeto dalla finestra e li vide recarsi verso l'ufficio. Avevano l'aria frustrata e torva, erano silenziosi. Camminavano ad occhi bassi, con passi dello stesso ritmo. "Avranno litigato. Non saranno contenti di qualcosa. E' successo qualcosa. Qualcosa non va."

Oscar sembrava anche stanca, aveva le occhiaie e il volto tirato, ma non erano i segni della malattia. Tuttavia Rosalie si preoccupò e decise che, sbrigate le sue abituali e amate faccende, li avrebbe raggiunti.

 

Una rampa di scale lievemente sconnesse, in un corridoio umido, portava a quello che sarebbe diventato, nelle intenzioni di Bernard, l'ufficio A3.

- Che ne pensi, Oscar?-

- Che dovrei pensarne? Non ho mai fatto commenti sulle camerate, quindi…-

- Forse l'esercito ha un che di più glorioso, ai tuoi occhi.-

- Vernice, tutta vernice. Sono molto più ingloriosi certi posti, rispetto a questa… questa…-

- Stamberga.-

- Più o meno. Andiamo, André. Su queste scale l'aria è umida…-

 

Appena aprirono la porta, che tra l'altro cigolava ("Detesto le porte che cigolano[2]", pensava André "Se solo vedessi bene potrei sistemarla. Le ho sempre detestate, davvero…") si alzò una nuvoletta di polvere, che restava sospesa in un denso sciame di pulviscolo, attraversato dalla luce smorta di ottobre.

- Bene, André, diamoci da fare!-

Ad ogni movimento alzavano polvere e Oscar ebbe due colpi di tosse. André si preoccupò: - Forse è meglio che tu vada a casa, Oscar. E' un lavoro ingrato per la tua salute.-

- Ah, sta' zitto. Non vado da nessuna parte. Devo fare questo e lo faccio.- Altri due colpi di tosse.

- Oscar, gran Dio, ma sei davvero testarda. Avanti, va' a casa!-

- Signor Grandier, io faccio quello che mi pare e non sono tenuta a rendervi conto dei miei colpi di tosse.- rispose lei, acidamente, punta nell'autonomia e nell'orgoglio.

- Ma Oscar!! Ti rendi conto?!-

- Ti fai i fatti tuoi, André?- Tossì forte, e più il corpo si muoveva, più si alzava polvere. André, schiarendosi la voce, le si avvicinò, la prese per le braccia.

- Oscar… per favore, non essere testarda.-

- Io facc… Ectiùùù!!- Oscar starnutì improvvisamente, schivando André per poco.

- Atten… Emh, cioè scusa… è che …eh… eh…- André, dapprima disorientato, scoppiò a ridere. Lo stesso fece Oscar.

- Scusa… ah ah… è la polvere…- più ridevano e si muovevano, più polvere e vecchi fogli si alzavano.

- Oh… no…- il gemito di André era soffocato dal riso. La polvere lo stava facendo lacrimare. E la stessa cosa stava succedendo a Oscar. E questo li faceva sentire dannatamente buffi, teneramente vicini, vivi… e ridevano, lacrimavano, piegandosi sulle ginocchia. Si guardavano in faccia… nasi gonfi, occhi arrossati, guance accaldate a forza di ridere e… lacrime copiose.

- Oscar… così non vedo niente…-

- Ti… ti porto io… appoggiati a me… usciamo…- e continuavano a ridere. André cercava sostegno in Oscar che, ridendo di gusto come faceva di rado, vacillava.

Arrivarono all'uscio e si appoggiarono, stremati dal riso e ansimanti, agli stipiti. La gente li guardava perplessa. La sensazione di sfinimento perpetuava il loro riso, tra scoppi inframmezzati da frasi e sensazioni che si erano lasciati alle spalle tanti, troppi anni prima.

Loro trovavano anche quello così buffo e divertente, si guardavano e si asciugavano a vicenda le lacrime, seguendo la forma dei loro volti.

Arrivò Rosalie e si tenne in disparte. Si era portata dietro un secchio e degli strofinacci, perché Bernard aveva dimenticato di avvisare gli interessati delle condizioni di quello che suo marito definiva "il primo baluardo dell'ordine cittadino", e aveva portato anche della torta, per un merenda rapida e nutriente. Da persona previdente, che si preoccupa per chi gli è caro.

"Non hanno bisogno di noi… non hanno bisogno di nessuno… Dovranno scontrarsi con tante difficoltà, si scontreranno anche tra loro, ma ce la faranno, sempre… Io, io credo di non aver mai visto amore più grande…" fatta da sola quell'ultima considerazione, si commosse e ne pianse, avviandosi con un sorriso emozionato verso casa, tenendo il pacchetto con la torta.

 

Incontri[3]

 

Il destino, si sa, è un grande tessitore che alle volte eccede nei suoi virtuosismi. Comunque, per una settimana tutto sembrò andare più o meno bene. Il futuro ufficio era pieno di scartoffie molto interessanti, riguardanti soprattutto l'esercito. Così Oscar aveva saputo che Alain aveva lasciato la Guardia.

Lei e André ripensarono al loro più caro amico, alla sua apparente rozzezza e al suo animo - in realtà - profondamente sensibile… Probabilmente non aveva retto gli eccessi di violenza di quelli che si definivano i liberatori del popolo. Forse gli era toccato l'ingrato compito di tirare giù da un lampione qualche nobile che vi era stato impiccato, nei tanti assalti alle carrozze… e gli aveva ricordato Diane… forse… forse aveva visto l'ingiusta attuazione del concetto di giustizia… O forse, chi lo sa….

- Appena sarà possibile, voglio andare a trovare Alain. Si è trasferito in Normandia. Ho saputo l'indirizzo esatto da un vicino di casa. Nemmeno mi ha riconosciuta: ne deve esserne passata d'acqua, sotto i ponti di Parigi…-

-      Già…-

Mentre Oscar e André lavoravano tranquilli, Bernard si affacciò, discreto, alla porta. Non fece alcun rumore, merito del tirocinio come Cavaliere Nero, ma bastò che l'aria più fresca entrasse nella stanza perché Oscar alzasse lo sguardo.

- Accidenti, Oscar. No ti si può mai cogliere di sorpresa.-

- E' difficile. Anche perché detesto le sorprese. Cosa vuoi?-

- Beh, ho portato tutta questo materiale per te…Sono articoli di giornale e discorsi di Robespierre. Specie per i secondi mi serve il tuo parere. Lui li sottopone a me, pensando che un giornalista debba per forza avere una magica dimestichezza con le parole, ma io non mi sento affatto sicuro in questo campo, e lui nemmeno. Sono discorsi rivolti ai nobili, capisci? Allora, chi meglio di te può aiutarci a sviscerare le carenze argomentative e gli eventuali scivoloni?-

- Bene, la cosa è interessante. Mi chiedo, però, se l'idea sia davvero sua o, piuttosto, tua…-

- Ehm…- Bernard, imbarazzato, balbettò – Che… che importa “chi”…-

- Cosa significa? Mi nascondi qualcosa?-

Per evitare che quelle due cocciute creature iniziassero a beccarsi, André si inserì nel discorso. - Sentite, io avevo pensato che sarebbe bene fare uno spuntino… e poi lavorare di nuovo. Vado a prendervi del tè? Del caffè con dei biscotti?-

- André, piantala di parlare da attendente.- lo seccò Oscar.

- Allora non vi prendo niente...- alzò le mani, in segno di resa e stupore per quella reazione così dura.

- Come no!! Ma niente biscotti per me: non ho appetito, da un po' di tempo a questa parte.-

 

André si avvivò per le scale, lasciando Oscar e Bernard in tregua armata. Si appoggiava al muro, perché non vedeva con chiarezza gli scalini, sconnessi e di per sé tendenti a coprirsi di umidità. Tuttavia il suo problema alla vista aveva reso più acuti sensi e anche sensazioni, diventate piuttosto forti in lui, che di natura era un riflessivo osservatore. Sentiva i passi di qualcuno che si stava avvicinando. Passi rapidi, giovani. Da gatto… Gli venne in mente l'idea del felino, l'immagine del gatto che si lecca i baffi… del gatto che cammina agile sui tetti, nella notte nera… dei suoi occhi quasi luminescenti…

- Per caso Chatelet è da queste parti?-

L'ombra prese forma davanti a lui. Le fattezze di un giovane dalle labbra sottili e femminee, dal viso liscio e dai capelli setosi. Negli occhi chiari, uno scintillio inquietante e vigile. Un felino… un cucciolo di tigre già svezzato…

- Sì, Chatelet è qui.-

- Devo avervi già visto, da qualche parte… ma non ricordo dove…-

"Già visto…" pensò André "Sì, l'ho già visto anche io… ma di sfuggita, da lontano… Devo accompagnarlo all'ufficio... perché devo stare con Oscar."

 

Bernard si portò la mano alla fronte. - Santa pace, mi torturi!! Speravo che fossi partito, ormai… Non avrei mai immaginato che mi seguissi fino a qui, Saint Just!-

Il ragazzo sorrise soddisfatto, facendo acquistare un che di scomposto a quel viso efebico e puro. - Volevo fare una sortita prima di lasciare Parigi. E poi lo sai che mi diverto a seguirti. Si impara molto, e poi mi dà una soddisfazione tremenda… mi sembra di essere un bambino che gioca a moscacieca…-

Oscar era rimasta inchiodata alla sedia, immobilizzata da quell'incontro.

Come André sentì il nome del giovane che aveva seguito Bernard, trasalì ma cercò di mantenere l'apparenza più calma e più neutrale possibile. Solo in quel modo poteva aiutare Oscar, la sua Oscar… Incontrare una persona di tal fatta in quel momento così difficile, per lei, era quanto di peggio potesse accadere.

-… Uh, ma… se non m'inganno… Guarda chi abbiamo qui!!- esclamò trionfante, sardonico. - Lei è la figlia del fedelissimo!! Che ci fai, qui?? Sei venuta a fare la spia, a pulirti la coscienza oppure a tradire qualcuno? Oppure…- si voltò, squadrò André. - Ah, il soldato ombra!! Ecco! Ora capisco mooolte cose.-

- Saint Just, sei una serpe di ghiaccio. Ti ho visto ben poco, e la cosa non mi è mai dispiaciuta.-

- Oh-oh! Cosa odono le mie orecchie! E' bello sentirtelo dire…- Oscar si era alzata, Saint Just rideva scompostamente, coprendosi la bocca e voltandosi di spalle. Bernard cercò di fermarlo con le parole, ma passato il riso Saint Just mise al suo discorso il vigore di un'età e di un carattere per il quale non esistono le sfumature, ma solo il bianco e il nero.

André si avvicinò in silenzio… lo sguardo di Oscar… lo conosceva bene: nel cuore stava già sfoderando la spada contro il sopruso e la meschinità, stava già gettando il guanto di sfida. Ma era pericoloso. "E' troppo presto, Oscar... la nostra posizione è precaria… lui può rovinarti l'esistenza, può denunciarti, cacciarti… lui sa chi sei, ma non sa ancora chi siamo ora. E forse farà sempre finta di non capirlo…"

- Eh, già! Il fedelissimo generale Jarjayes! Un appellativo adatto ad un cane. E infatti mi trovo davanti alla figlia, al primo e più grande cane della regina. E sei qui!! Logico… alla fine hai ceduto, hai cercato di rassegnarti al tuo naturale ruolo di diventare un angelo del focolare, mentre resti un demone della nobiltà. E per darti uno scopo tradisci la corona… I Jarjayes, tu in particolare, sono così: o deboli o traditori!!-

Saint Just amava attaccare le persone con le insinuazioni, convinto che una loro reazione avrebbe messo in luce le zone d'ombra degli interlocutori. Nel caso di Oscar, senza volerlo, era andato a toccare le sue più grandi paure. Traditrice. Debole.

Un ceffone interruppe i suoi discorsi. Oscar rimase a fissarlo mentre lui, cacciando un grido acuto, si portava la mano al viso. - Che schifo…- esclamò.

- Tu?! Tu!!!- Oscar, ferita nell'animo, era già pronta a passare ai fatti.

Bernard continuava a dire a Saint Just di smetterla, nella pia illusione che il Lume della ragione funzionasse anche quando due persone fiere litigano, ma tutto era inutile. Allora André prese Saint Just per le spalle, e lo spinse fuori con  calma risoluta, beccandosi anche lui una buona dose di malignità.

 

- Scusa, Oscar… Scusa. Lui non sapeva nulla di te, quindi non eravamo preparati a fronteggiare le sue reazioni.-

Oscar, livida in volto, misurava la stanza a grandi passi.

"Debole. Traditrice. Debole. Traditrice."

- Oscar…-

- Io… io non ne posso già più! Queste mura! Questa scartoffie! Queste mediazioni! Queste ma-li-gni-tà! Mi ha fatto venire la nausea, quel... ragazzino! Debole, traditrice. Ti rendi conto, Bernard?! Io non ne posso più! Non ne posso più!! Io… io parto…-

- Ma, Oscar….- André le si avvicinò, cercando di calmarla.

- Parto. Per quale motivo mi diresti di no? Perché mi reputi debole? O temete che vi tradisca, facendo la spia alla regina? Io impazzisco tra queste mura. Io vado… vado a trovare Alain, vado in Normandia… vado a fare i bagagli!-

- Oscar. Insomma!- André la fermò alla porta. - Io non ho nulla in contrario se tu vuoi partire, sono felice se tu vai a trovare Alain ma… dovresti pensare anche alla tua salute… dovremmo anche pagare il viaggio, non credi?-

Gli occhi di lei si infuocarono. - Sei un marito, no? Eri un attendente, no? Eri un soldato, no? Trovalo tu il modo. Io ho deciso che parto…-

Sgusciò fuori dalla porta, corse via.

Bernard aveva ancora le mani nei capelli.

- Comprendila.- gli disse André - La vita di Parigi, il clima di sospetto e di tensione che c'è sono terribili, lei è abituata a fronteggiarli in un certo modo. Un nobile si chiude nelle sue stanza, una donna si rassegna. Nei piccoli paesi, tra le case alle porte di Arras poco importa che tu sia uomo o donna, povero o ricco: basta che tu sappia lavorare sodo e accettare di buon grado la vita… Qui a Parigi tutto è umbratile, viscido, sospettoso…- "Come queste scale" pensò.

- Raggiungila, André. Va’ da lei. Io i discorsi li lascio qui sulla sua scrivania. Fa’ che li legga.-

- Posso girarti la domanda che ti ha fatto Oscar prima?-

- Intendi dire, come mai Robespierre non chieda di persona collaborazione? Ebbene, André, meno male che sei intervenuto tu… Avevi intuito qualcosa, vero? Lui non parlerà mai direttamente, perché la sua idea è che la donna abbia il ruolo di moglie e madre di cittadini.[4] Come diceva Rousseau.-

- Anche tu segui le teorie di Rousseau…-

- Sì, ma il buon Jean Jacques aveva una grande pecca…. Non aveva conosciuto Oscar. Se si fossero incontrati, credo che Rousseau sarebbe andato in crisi.- Bernard sorrise, esponendo la sua ironica ma veritiera idea.

 

A casa, Oscar aveva già preparato un bagaglio minimo, ma era piegata su una sedia, stringendo i denti.

- Cos'hai, Oscar?-

- Io non sono debole.- mormorò, respirando affannosamente.

- Lo so. Tu non sei debole, Oscar. E non hai nemmeno la tisi, adesso. Lo vedo… lo sento… ma non stai completamente bene.-

- Colpa di Saint Just. Detesto la nausea. E lui mi fa venire la nausea. La detesto. E' roba da femminucce.-

André sorrise dolcemente. La sua Oscar debole? No, quanto era forte… ribelle e inquieta, in cerca di se stessa, pronta anche a soffrire.

- Vuoi proprio partire? Sei appena arrivata! Se c'è una cosa delle nobiltà che non potrai più avere, sarà il privilegio di ritirarti nelle tue stanze. A trovare Alain ci andremo insieme, quando avremo capito l'aria che tira, quando saremo più sicuri della tua salute, quando saremo più sereni…-

Oscar non voleva piangere. Proprio non voleva farlo, ma le lacrime scesero lo stesso. Non fece rumore, non singhiozzò. André se ne accorse solo perché, prendendola in braccio, si era sentito quelle gocce salate scivolargli sul collo.

"Debole. Traditrice. Le tue paure. I tuoi terrori… Tieni a tuo padre, alle persone che hai stimato. Ma tieni anche alla libertà. Pensi, decidi… e mi ami… sono cose naturali, ma per te sarà sempre tutto più difficile. Io sarò con te… mia Oscar."

 

Normandia

 

Alain era seduto sulla spiaggia, ad aspettarla. Era entrata nella sua vita nel modo più bizzarro… Joy,[5] una ragazza che lavorava all'osteria di Hector. Non ci era andato quasi mai, all'osteria, perché preferiva stare solo. Un giorno, camminando, l'aveva vista e ne era rimasto colpito. L'aveva notata perché era vestita da uomo - portava pantaloni larghi arrotolati sulle caviglie e una giubba di stoffa grezza simile ad uno scialle - e perché camminava esitante, ma invece di sembrare goffa somigliava ad un folletto che salta tra invisibili fili d'erba.

Guardava davanti a sé e non chinava il capo, né pareva accorgersi della presenza di qualcuno. Quegli abiti maschili, quello sguardo così strano l'avevano incuriosito.

Joy veniva dall'Inghilterra e parlava un francese colorito, pieno di motti, giochi di parole - "le cose che ho imparato prima" diceva, ridendo -, pasticciato con termini della sua madre lingua. I suoi occhi erano verde chiaro, come i prati della sua terra, e vedevano poco. I capelli, biondo scuro, erano sfibrati e arruffati dal vento.

"Il mondo è tutto sfumato…" diceva a volte, inclinando il capo. Vedeva sfumato… vestiva da uomo… Alain non poté fare a meno di diventarle amico. Non riusciva ad innamorarsene, ma le voleva molto bene. Joy… la gioia di vivere, di affrontare una vita grama col sorriso sulle labbra, senza perdersi mai d'animo. Joy voleva bene ad Alain, ma non riusciva da amarlo, perché si sentiva sola… sola dentro… come lui, d'altronde. La solitudine di anni lascia un'impronta, come il mare sulle scogliere. Ti rode a poco a poco e, quando se ne va, non sei più quello di prima.

Erano seduti, era il tramonto e il vento si era fatto umido: non avevano parlato molto, perché la gente di mare è concisa, ma avevano riso delle loro sventure.

- E' meglio che vada. Devo finire di pulire da Hector.-

- Aspetta, Joy… un avventore mi ha detto che tu sai leggere le carte, è vero?-

- Sì, Alain. Ma è solo un gioco… Non vorrai mica che ti predica il futuro?! Di chi si è innamorato il nostro malinconico fusto?!- lei rise, punzecchiandolo con un gomito.

Alain fece un sorriso dolce: Joy era immediata nel parlare e nel muoversi, per rimediare alla carenza di tanti dettagli che sparivano dai suoi occhi deboli, sempre così stupiti da essere stupendi.

- Non sono innamorato, Joy… no… Se puoi, così per gioco, leggere le carte per dei miei amici che abitano a Parigi…-

- Allora…- Joy si frugò nelle tasche fonde dei pantaloni, estrasse dei tarocchi logori da un sacchettino di tela spessa.

- Pensali intensamente, molto, molto intensamente… quando li sentirai vicini, taglia il mazzo di carte.- gli disse.

- Va bene…- Alain si sentiva uno stupido, e quasi si pentiva di quello che stava facendo… un gioco… solo un gioco… ma pensò intensamente ad Oscar e André. Non fu difficile. La sola cosa che lo facesse sperare era il ricordo di loro. E la risata scrosciante, ma in fondo disillusa, di Joy. Tagliò il mazzo e Joy stese tre carte sulle ginocchia, proteggendole dal vento. Poi le avvicinò una ad una sotto al suo naso.

- Mamma mia!!- esclamò.

- Che c'è? - Alain non sapeva se prenderla sul serio o buttarla sul ridere.

- Zitto: la Morte… Cambiamenti radicali, mutamenti profondi… la Torre: eventi illuminanti o catastrofici, irreversibili… ma poi c'è Il Mondo: è la piena felicità. Il senso della vita. La gioia, Alain. I tuoi amici dovranno affrontare delle prove molto dure, non so di che tipo. Materiali, morali… la torre indica anche una rivoluzione nelle certezze, una crisi profonda che può essere salutare o nefasta… Ma il Mondo mi dice che, qualsiasi cosa accadrà loro, raggiungeranno la felicità. O, almeno, la serenità. Sei più felice, adesso, Alain?-

Lui guardò il mare, che si era fatto di creta e d'oro, gli ultimi raggi del sole si stendevano languidi lungo l'orizzonte, mentre alle sue spalle l'aria scuriva rapidamente e il vento fiaccava gli arbusti coriacei della costa.

- Non lo so, Joy... è un gioco. Ma se ti mi dici così, sono sereno… Ciao, Joy…-

Mise le mani in tasca, e guardando il tramonto con gli occhi umidi, se ne andò con il suo fardello di ricordi e pensieri.

 

 

Continua...

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[1] L'idea mi è venuta da una tavola di LdR. Non sono molto valida in certe descrizioni, ma volevo cercare di sconvolgervi un po' gli ormoni con quello che seguirà. Ma temo di non essere capace…

[2] Dylan Dog, "La porta dell'inferno"

[3] L'istinto era di scrivere "Il rompiscatole", ruolo che il povero SJ si vede costantemente assegnato. A ragion veduta, all'epoca Saint Just aveva altro da fare e da pensare, ma per attenerci a manga ed anime, per l'ennesima volta, gli facciamo fare il rompiscatole…

[4] J. Michelet, Le donne della Rivoluzione, Milano, Bompiani, 1978; Bertaud, La vita quotidiana al tempo della rivoluzione, Milano, Rizzoli, 1997.

[5] L'idea di Joy mi ronza in mente da molto tempo, è ispirata alla ragazzina che aiuta Abel Buttman, il fratello di Georgie, al suo arrivo al porto di Londra. Il nome mi piace da impazzire Ma l'aspetto, il difetto e alcuni dettagli di Joy sono una "graziosa concezione"… E poi mi sono stufata di vedere un Alain misantropo: anzi, la sua filantropia è direttamente proporzionale al grado di miopia dell'interlocutore di turno.