Alain
parte IV
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Scena 4
Gli
alloggi erano semivuoti, perché erano stati svuotati dalla punizione di Oscar,
che non si era fatta attendere. “Gravi disordini”, era la motivazione
ufficiale. Avevano pestato il suo André, questo le diceva il cuore. E
trovarselo lì, per terra, coperto di lividi, a piangere con il pensiero che
forse lei si sarebbe sposata con Girodel… Non era riuscita rimanere
impassibile, anche se Alain si stava ancora allontanando, considerando, un po'
perplesso, di aver capito che André l’amava al punto di rischiare la vita per
lei e ripetendo, scuotendo la testa, “Sì,
altro che spia! Altro che spia!”
Si era inginocchiata vicino ad André, gli aveva stretto la mano. Cosa che non faceva da troppo tempo. Era un contatto di cui aveva bisogno, egoisticamente, in quel momento. Perché se André era a terra, con il corpo ferito, lei aveva l’animo ferito dal dolore che vedeva intorno a sé, ma anche dalla responsabilità, da quel senso del dovere, dalla sua incapacità di essere indifferente davanti all’ingiustizia e alla sofferenza.
L’aveva aiutato a rialzarsi, l’aveva portato in infermeria. Aveva atteso che il medico – al suo occhio critico sembrava un incapace preso da chissà dove- finisse di medicarlo e poi l’aveva riaccompagnato alla camerata.
Tra gli astanti, il silenzio. Se qualcuno apriva solo la bocca per accennare a un commento, se c’era solo uno sguardo perplesso, Oscar rispondeva con un’ occhiata gelida e feroce. Eloquente, aggressiva e protettiva. Guai a chi fiata mentre il soldato Grandier viene adagiato in quella specie di letto, guai a chi respira mentre il comandante gira sui tacchi e va a scrivere gli ordini di carcerazione.
Così, la sera, la camerata era spopolata. L’odore opprimente era alleggerito, e tutti dormivano meglio. Si sentiva qualche parola, qualcuno che russava. André, bloccato a letto, non dormiva. Avrebbe voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa per alleviare la sua pena, ma non si poteva muovere. Gli facevano male tutte le ossa. Si era difeso con la rabbia e la disperazione covata per anni, ma contro cinque persone era stato inutile. Ciò che gli faceva più male era il cranio: non sapeva dire da dove partisse il dolore, ma sapeva solo che lo torturava. Però era meglio restare calmi, a letto: un peggioramento l’avrebbe ricondotto a palazzo Jarjayes, dove – di certo- avrebbe incrociato Girodel. Al solo pensiero gli veniva da piangere. Una notte così è un incubo…
Stava, veramente, per piangere, in silenzio, quando si sedette per terra, all’altezza della sua testa, Alain.
- Che c’è…?-
- Mica posso lasciarti in queste condizioni. Ho capito che hai la pelle dura, ma mi sono fatto un’idea… hai la pelle dura, mentre il cuore è il perfetto contrario. E’ catastroficamente tenero. Quindi non posso lasciarti con i tuoi pensieri, ora. Passare una notte come la stai passando tu è un augurio che faccio ai miei nemici. E tu mio nemico non lo sei, sei mio amico e ti devono portare rispetto!.- parlò con serietà, sdrammatizzando il discorso con un sorriso ironico.
- Grazie, Alain…-
- Dove hai male?-
- Che domanda difficile…- scherzò, sottovoce, André. Sorrise. - Ah, non ho dolore alla dita dei piedi!-
Alain si fece serio.
- André… ma lei lo sa? Nel senso, io l’avevo intuito ma tu sei così taciturno che… lei sa che la ami? E, soprattutto, sa quanto? Gliel’hai mai detto?-
André
portò le mani dietro la nuca, guardò in alto, la base del letto sovrastante.
-
Con i gesti, glielo dico da una vita. A parole, l’ho fatto una sola
volta e… sarebbe stato meglio se non l'avessi fatto…-
-
Ah, interessante. Anche il nostro André, di tanto in tanto, perde la
pazienza!- scherzò Alain.
-
Vorrei che non fosse mai accaduto…- mormorò André.
Alain
lo guardò.
-
Fai due errori.- Parlò a bassa voce. - Il primo è che tendi a tenerti
tutto dentro. Sei fin troppo comprensivo. E, alla fine, ti riempi per anni fino
a scoppiare. Gli scoppi ritardati fanno sempre feriti. Meglio dire subito quello
che si vuole dire, fare subito quello che si vuole fare, meglio ora che poi. Il
secondo è un errore di valutazione: hai aspettato per anni, pazientemente, e
ora sei nei guai fino al collo… lo so perché ti ho visto mentre bevevi… hai
rotto un equilibrio, ma adesso almeno puoi vivere. A furia di cercare equilibri,
una persona perde il proprio. Esisti anche tu, cerca di ricordarlo! Quindi,
qualsiasi cosa tu abbia fatto, smetti di torturarti.-
André sorrise. Apprezzava i discorsi di Alain, immediati, schietti, genuini. In fondo, ne veniva fuori una forte sensibilità.
-
Che ne sai di come vivevo prima? Semmai era meglio…-
-
Beh, facevi l’attendente. Bello schifo. Voglio dire, non che la vita
del soldato sia bella. Io detesto servire. Detesto dover dar retta alla idiozie
che ci comandano dall’alto. Ho conosciuto le gerarchie… Tu hai fatto la vita
del nobile ma io, anche se fa ridere dirlo, di sangue sarei persino nobile! Però,
almeno, nell’esercito siamo tanti e facciamo qualcosa di utile. Beh, poi
dipende dai gusti…- Alain aprì la mano e indicò la camerata. Da quei letti a
cassettone pendevano, qua e là, un piede, un paio di calzoni, qualcuno che,
intontito dal sonno, cercava di guadagnare il suolo senza sfracellarsi. –
Comunque servire, chinare il capo è la cosa peggiore. Se tieni la testa bassa,
non vedi intorno a te. E’ questo che mi fa paura del popolo, ora… sta
alzando la testa, sta scoprendo all’improvviso in che condizioni si trova. E
non gli farà molto piacere… Ma sto divagando…- Alain aveva preso a parlare
a ruota libera. – … già oggi ne hai prese tante…ti farò venire anche il
mal di testa!-
-
No, Alain… mi fa piacere parlare con qualcuno. E’… da tanto che non
lo faccio…-
-
Idem per me. Intendo un discorso, con un interlocutore… come dire…
”vero”? … e poi mi fai troppa pena, sei tutto un livido e non c’è nulla
di peggio che passare la notte in bianco quando si sta male!-
André annuì, si voltò verso Alain e gli rivolse un sorriso grato. Un sorriso da amico, da fratello. Una sensazione che annullava, in un istante, ogni disquisizione, ogni classificazione. Faceva solo sentire vivi.
-
E, dimmi un po’, com’è il tipo che dovrebbe sposare Oscar? –
-
Lui è… non riesco, ora, a vederlo con obiettività. E’ educato,
pacato. Almeno all’apparenza… Però… lei non sarebbe felice. –
Andrè rimase in silenzio. Oscar e Girodel: non poteva proprio immaginarli come coppia. Come poteva esserci uno scambio? La sua focosa, impulsiva, complicata Oscar con il placido Girodel, e con tutte le convenzioni di un matrimonio scelto da altri…
Alain
rispettò quel silenzio, poi soggiunse, tra il serio e il faceto – Mi ricorda
un po’ il fidanzato di mia sorella. E io, in fondo, non sono contento delle
loro nozze. Chissà perché…-
“Perché anche tu vuoi la felicità della persona che ami, e tu ami profondamente tua sorella. E’ una ragione di vita, per te, come per me lo è Oscar. Vedi, in fondo siamo simili…”
-
Dopo questa chiacchierata… amici,
vero?- Alain tese la mano ad André.
Lui
si sforzò di fare altrettanto, ma i dolori glielo impedivano. Sorrise: Alain lo
aveva sempre chiamato “amico”, ma con un tono diverso, cameratesco, ruvido.
Ora quella parola suonava quasi carezzevole.
-
Non ce la faccio a darti la mano…-
-
Beh, fa lo stesso… certo che è il mio anno fortunato: incontro persone
una più strana dell’altra e finisco per stimarle… sarò strano anche io?
Magari potessi stimare il fidanzato di mia sorella… il più strano di tutti è
lui! Ma se va avanti così, chissà che non ci faccia amicizia!- esclamò, alla
fine, con una convinzione che si era smorzata gradualmente.
Parlarono
ancora un po’, fino a quando André non prese sonno. C’era già il sole a
rischiarare il buio delle stanze.
Continua...
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