Alain

parte II

 

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Scena 2

La conversazione si chiuse col rumore secco della porta che si chiudeva.

Conversazione che era stata, per Oscar, assolutamente insoddisfacente e frustrante. Non aveva potuto dire quello che pensava, la fine del discorso era stata un seccato, rassegnato “Fa’ come ti pare”. Poi si era lasciata scivolare sulla sedia, aveva portato le mani tra i capelli: non era riuscita neppure ad esprimere i suoi pensieri ad André. Morta la conversazione, rimanevano solo i ma e i se a tormentarla.

Era stata una giornata pesantissima, quella. In fondo, però, era ciò che desiderava. Nulla di meglio della stanchezza, della competizione, per non pensare. Invece i pensieri l’avevano seguita, in modo inequivocabile. Di più: di persona.

 

Aveva chiamato i soldati per nome e cognome, con una lista che il colonnello D’Agout[1] le aveva consegnato sul momento. Scritta, tra l’altro, con una pessima grafia. Lui si era giustificato: non capitava mai che un comandante venisse con un giorno d’anticipo per conoscere i suoi soldati, e aveva compilato il documento con una certa fretta.

Aveva chiamato i suoi uomini, li aveva guardati negli occhi, per capirli e farsi capire. Da parte di molti aveva avvertito una totale chiusura, da parte di altri una specie di curiosità. Comunque non aveva visto sguardi vuoti e rassegnati, come nella Guardia reale. Si era soffermata, incuriosita, su un nome: Alain de Soisson. Un nome così nobile per un colosso dall’aria disincantata.

Al momento dell’appello, lui aveva rettificato – Solo Soisson. -

- Dai documenti risulta de Soisson, e io devo attenermi ai documenti. -

“E io non rispondo agli appelli” dicevano i suoi occhi guizzanti. – Vedete un po’ voi. Io sono Alain Soisson, e basta. –

 

Il colonnello D’Agout le aveva spiegato poi, con aria rassegnata, che quel tipo era una testa calda, riconosciuto come il “capo” dai compagni. Il più rumoroso, il più sfacciato ma, quantomeno, leale, forte e capace di creare spirito di gruppo. “Potenzialmente un valente militare, di famiglia nobile ma decaduta, degradato a soldato semplice per una lunga storia, che… ehm… poi potrete leggere nell’archivio”, aveva glissato, arrossendo lievemente: era un uomo vecchio stampo, molto riservato, e aveva pudore di raccontare ad una donna che il comandante precedente aveva quasi violentato la sorella di Alain.

 

L’ambiente dei soldati incuriosiva Oscar, che, tuttavia, si era presto dimenticata gli occhi spudoratamente ridenti di quel tale dal cognome ambiguo. In ultima fila, inconfondibile, c’era André. Lo sguardo più risoluto che aveva incontrato in quella caserma era proprio il suo.

André lì… dopo quello che era successo! Doveva prenderla come una provocazione, una disobbedienza, un pericolo, il gesto di un folle…?

Non sapeva cosa pensare, per questo l’aveva convocato nel suo ufficio, per fare subito chiarezza di fronte a quel gesto sconsiderato. Arruolarsi…

Aveva cercato di essere dura, ma lui l’aveva battuta in tutto: nello sguardo, nei gesti, nelle parole.

“Qualunque cosa possiate pensare, io resto sempre la persona più indicata a proteggervi. Sempre ai vostri ordini, mio comandante. ” E nonostante lei lo chiamasse, lui se n’era andato lasciandole solo la possibilità di dire “Fa' come ti pare”…

Sosteneva di avere un amico nella Guardia, e di essersi arruolato tramite lui.

André che ha un amico… Oscar non ne aveva avuti mai. Cos’è, davvero, un amico? C’era un tale abisso tra lei e il resto del mondo – diviso, fisicamente, in uomini e donne - che aveva problemi ad instaurare un dialogo umano. Apprezzata per la sua lealtà, per la sua cultura e il suo acume, quando si veniva allo scambio profondo, le persone parevano tirarsi indietro. Troppo generosa, troppo leale, troppo particolare. Eppure lei, quella sera, si sentiva distrutta, confusa, abbattuta come tutti. Forse più degli altri. Non le restava altro da fare che leggere i documenti, e leggerne ancora e ancora…

 

La vita nella Guardia era, potenzialmente, durissima. Ad André non sembrava tale. Lui era lì per un motivo ben preciso, non avvertiva alcuna privazione e, anzi, trovava più autentico quel modo di comportarsi adottato dai suoi commilitoni. Alle volte, anche lui si sentiva spaesato, ma cercava di non darlo a vedere. “Tutto sta a superare i primi giorni senza destare sospetto” si diceva.

Alain, tra una battuta e un attimo di malinconia, diventò subito un suo punto di riferimento. Non certo per inserirsi nel gruppo – sarebbe stato sfruttarlo- ma per il semplice fatto che gli era simpatico.[2] Percepiva nel suo modo di agire, di parlare, qualcosa che gli faceva piacere vedere e ascoltare. Sentiva una sintonia che gli dava conforto, che non aveva bisogno di parole, di rassicurazioni e chiarimenti. Un inizio di amicizia, fatto di gesti e mezze frasi, come i primi passi esitanti di un convalescente.

 

Aveva bisogno, André, di poter contare su qualcuno. Quando i soldati si erano ribellati ad Oscar, lui aveva sentito il sangue pulsargli nelle vene, battergli nelle tempie. Avrebbe voluto aiutarla, si sarebbe gettato su di lei per proteggerla, per prendere su di sé i colpi che la minacciavano. Invece aveva dovuto restare immobile, con l’aria di chi assiste ad una sfida interessante. Uno spettacolo per tutti i suoi commilitoni, per lui una tortura, una sofferenza fisica. Aveva dovuto dominarsi, non lasciar trasparire preoccupazione. Se l’avessero cacciato, non avrebbe potuto esser più d’aiuto ad Oscar. Ma aveva sentito il sudore gelido scorrergli lungo la schiena, un contrazione nervosa del volto, fin sugli zigomi.

 

Non era facile affrontare quella vita da soli. Una vita che era diventata una scommessa chiarissima. André doveva pesare le parole, controllare gli sguardi, per evitare che si capisse che lui non si era arruolato per il rancio, che non odiava Oscar ma, anzi, l’amava da morire. Cosa buona era che, Alain pur nella sua diffidenza, nel suo disincanto, non squadrava Oscar con malignità. Anzi, sembrava quasi ammirato dalla forza della coerenza, dalla purissima, testarda volontà di quella donna dai colori angelici. Quando i soldati si scagliavano contro il comandante, lui cercava di mediare, tra una battuta pesante, una riflessione saggia: Oscar rivoluzionava le idee che si era dovuto fare su un certo tipo di persone. O, quantomeno, gli faceva sperare che le sue idee non fossero sempre vere. Oscar era la guida, la fermezza, la coerenza che non ha bisogno di proclami, ma in questo non c’era freddezza, anzi… a volte pareva aggrapparsi disperatamente alle cose in cui credeva, alla lealtà estrema, alla responsabilità, al tentativo sempre presente di stabilire un rapporto di sincera fiducia con i soldati. Queste caratteristiche facevano nascere in Alain un sentimento di ammirato entusiasmo, quasi di stima. Sempre temperato, però, dalla durezza appresa nella vita, dalla disillusione, dall’asprezza interiore che erano le cicatrici di una vita, incancellabili. Ma forse meno dolenti, se più persone fossero state come il nuovo comandante.

 

 

Continua...

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[1] Nel manga si chiama così. Nell’anime io, che sono anche un po’ ottusina, non sono mai riuscita ad afferrarne il nome.

[2] Non vorrei fare quella che attacca i pistolotti ma intendo questa parola, spesso abusata, nel senso greco di sympatheia (e speriamo di aver scritto giusto, perché gli anni passano), cioè sentire con. Un’affinità che capita, che non vai a cercare, che non scaturisce dagli eventi, ma nasce di per sé, a dispetto di tutto. Insomma, un diverso tipo di amicizia. Non saprei usare un termine per descriverla. Posso solo approfittare di ciò che ha detto Laura a riguardo: “un dono”.