15 luglio
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Parigi
In
tre si trovavano nella chiesa. Il silenzio del luogo riportava alla memoria
voci, suoni, immagini del giorno precedente. Quel silenzio inquietava Alain,
invece, Rosalie sembrava avervi trovato un rifugio.
- Ora sono… finalmente in pace, l’una accanto
all’altro…- sussurrò lei, con un filo di voce arrochita.
Alain
sbuffò, disapprovando, profondamente, tutto. Non vedeva serenità nella morte,
tantomeno amore.
Il
viso di Oscar era di un pallore innaturale, i lineamenti non avevano nulla della
serenità che raramente avevano mostrato. Piuttosto sembrava che una mano
pesante le avesse chiuso gli occhi. Quegli occhi così belli, per il contrasto
tra il calore che sapevano sprigionare e l’azzurro ghiaccio delle iridi.
André
invece… non riusciva a guardarlo. Un dolore in più: non avere la forza di
guardare il viso del proprio migliore amico: forse perché in lui vedeva un
fratello. Avrebbe trovato la forza di farlo. Doveva.
Rosalie guardò Alain, quasi per trovare conferma, appiglio, alle proprie parole. Uno sguardo che aveva qualcosa di innocente, quasi di implorante.
Aveva bisogno di attaccarsi a qualche certezza... l’amore oltre la vita… Ma ad Alain sembravano discorsi beffardi, tuttavia comprese lo stato d’animo di Rosalie, e non potendo assecondarlo preferì abbassare il capo, guardare altrove.
Bernard cinse le spalle della moglie, senza dir nulla. Per tutta la notte, più di una volta, era uscito frettolosamente dalla chiesa, per raggiungere i suoi colleghi, ma poi era rientrato.
-
Forse è meglio uscire. Sta albeggiando.-
Di
nuovo, Bernard corse a raggiungere i suoi colleghi, chiedendo a Rosalie e ad
Alain di attenderlo.
In
quel momento si avvertiva tutto il contrasto con la calura del giorno che
sarebbe venuto. La nebbia offuscava cielo, terra e case, in un unico grigiore,
ma lasciava intuire la forza
crudele del sole che sarebbe sorto comunque.
Diversi soldati erano seduti l’uno vicino
all’altro, in piccoli gruppi, sui gradini della chiesa. Sembravano dormire ad
occhi aperti: l’aria tramortita, i dolori sparsi per il corpo, la
confusione… l’unica sensazione chiara erano le divise attaccate alla pelle,
per il sudore e il sangue rappreso, per il giorno precedente, per l’umidità
della notte passata.
A
Rosalie, dapprima, sembrarono un’indistinta massa blu. Era terribilmente
stanca, si sentiva stordita. Forse anche per quello, pensò, si era trovata a
dire certe parole. Per una questione di affetto, per quel legame quasi filiale,
per i ricordi e i sentimenti, non riusciva a dire che Oscar era morta, che André
era morto. Ammettere che tutto era davvero finito per sempre sarebbe stato
troppo doloroso, in quel momento.
L’umidità
la faceva tremare, i ricordi la facevano tremare, la rapida presa di coscienza,
la fatica accumulata bloccarono i suoi passi sul primo gradino.
-
Rosalie, che succede?-
Alain la guardò. Lui era sceso tra i suoi compagni. Qualcuno di loro stava piangendo. Lui era a metà tra il vano incoraggiamento e la silenziosa comprensione.
-
Nulla…-
-
Siediti, aspettiamo Bernard.
Insieme decideremo cosa fare…-
Rosalie scese qualche gradino e si sedette. Sembrava minuscola, stretta in se stessa.
-
Tu… cosa credi sia meglio, Alain?- sussurrò quella frase con candore.
- Io?…- Alain rimase spiazzato: non aveva
voglia di parlare.
Davvero qualcuno sbaglia in certe circostanze?
Davvero c’è un comportamento giusto? Allora gli venne da piangere. La morte
di Oscar l’aveva sentita sulla pelle. L’aveva sentita quando l’aveva
sollevata, come si sollevano le spose, e l’aveva
portata in un vicolo, al riparo. Non aveva visto il momento esatto della sua
morte… ma aveva sentito la fine di una vita tra le sue braccia. Questo, se da
una parte era sconvolgente e straziante, lo aiutava ad accettare un evento al
quale, paradossalmente, aveva preso parte in modo quasi fisico. Per quanto
crudele fosse quella realtà.
Ma la morte di André… era rimasta nel suo
animo per due giorni, era stata lenta, atroce, beffarda. Sotto i suoi occhi,
nella consapevolezza di tutti,
attimo per attimo. Battito meno battito di quel cuore ferito tante volte. Solo
un proiettile poteva ucciderlo. E con quel ricordo accantonato nella mente aveva
dovuto cercare di convivere per poi combattere ancora un giorno e assistere ad
un’altra morte. Si potevano contare le ore passate, eppure gli sembravano
secoli. L’unico ponte tra gli eventi e i momenti, erano quei due corpi. Ma
voleva vederli il meno possibile… Era stato diverso, alla morte della sorella.
Allora doveva quasi accettare che il corpo morto di Diane fosse lo stesso che,
il giorno prima, era animato dalla gioia, come fosse possibile che lei, proprio
lei, fosse passata dalla pienezza della vita alla fine di tutto. Lei stata parte
di lui per una vita, e se n’era andata senza che lui se ne accorgesse, senza
che potesse dirle nulla, capirla, abbracciarla. Invece, davanti ad Oscar e André,
la presa di coscienza era stata inevitabilmente fin troppo immediata. Sotto i
suoi stessi occhi. Aveva potuto trattenere le lacrime, nasconderle, confortare
André mentre lo portava sul suo cavallo, ma era tutto vano: la fine era
arrivata comunque, e non c’erano più differenze.
Bernard si defilò frettolosamente da un gruppo di sui colleghi, parlava in maniera concitata, serrata, come se avesse fretta di curarsi degli altri pensieri che aveva in mente.
Alain, in quel momento, sopportava a fatica quel modo di fare: una parola per tutti, un ideale per tutti… Rosalie, invece, seduta vicino ai soldati, lo aspettava con aria fiduciosa. Quando lo vide congedarsi rapidamente, e tornare da loro trafelato e teso, scattò in piedi e si fece piccola tra le sue braccia.
Gli
mormorò qualcosa.
Lui le sollevò il viso, la guardò con quell’attenzione dedicata a chi si ama.
Alain, in tralice, li fissava e pensava. Anche Bernard era sconvolto, quanto tutti loro. La giacca spiegazzata, il viso era pallidissimo nonostante l’affanno dalla corsa, trasmetteva una grande stanchezza una tensione logorante.
- Sei tanto stanca, amore… Ti si legge in
viso… Fatti forza… è così per tutti noi…-
-
Insieme ad Alain decideremo come fare per…-
-
Ho capito…-
Si
allontanarono un po’ dal gruppo, cercando
un angolo per riflettere tranquilli.
Un
attimo di silenzio. Un brivido alla prima lama tagliente d’alba.
Bisognava
andare a palazzo Jarjayes, ma anche rispettare le volontà di Oscar. Bisognava
affrontare una situazione complicata, oltre che dolorosa.
E
ognuno, per un motivo diverso, voleva farsi carico di quella responsabilità, ma
a modo proprio.
Rosalie,
Alain, Bernard… tutti e tre, per qualche motivo, avevano legato le loro vite a
quelle di Oscar e di André, e alla loro storia.
I
soldati, discosti, li vedevano come tre sagome scure nella luce dell’alba. I
gesti erano convulsi, tesi, spossati.
La
discussione doveva essere estenuante, nervosa e stanca, ma fu rapida.
Palazzo Jarjayes
Il
generale era rimasto sconvolto, ammutolito, ghiacciato nel caldo di luglio.
Aveva lo sguardo di chi sta per
svenire, eppure aveva avuto la forza di far allontanare la moglie, la
governante. Voleva parlare a tu per tu con quella gente.
Cos’è successo… perché è successo… L’incredulità ottenebrava il dolore. Il
dolore ottenebrava la mente. Era un uomo distrutto.
Con
che coraggio avrebbe impartito altri ordini?
Eppure
sarebbe uscito di casa, forse, il pomeriggio del quindici luglio, e avrebbe
impartito ordini e firmato documenti, con lo sguardo distrutto e così vuoto da
essere impenetrabile.
Perché
non poteva credere che Oscar non ci fosse più. Troppe cose non dette, altre
accantonate prima di essere pensate. Cosa gli rimaneva, come uomo, come padre?
Solo un ritratto, da cui gli occhi di Oscar rilucevano di vita fittizia, grazie
all’abilità di un pittore.
Qualcuno
avrebbe detto che sua figlia era una traditrice, e lui avrebbe rivolto loro, di
nuovo, uno sguardo vuoto e impenetrabile. E avrebbe ripensato allo scintillio
degli occhi dipinti, allo scintillio vero perso per sempre, spento, e che si era
inciso nel suo cuore senza che lui avesse avuto il coraggio di dirlo alla
figlia.
Ci
era riuscito, il dodici luglio, con André, ma non con Oscar. Perché era una
figlia, sua figlia.
Madame Jarjayes si sarebbe seduta vicino al finestra, a fissare il vuoto, schiacciata da una tragedia troppo grande da essere compresa interamente così all’improvviso, si sarebbe sforzata di piangere, mentre senza saperlo lo stava facendo già.
La
vecchia Nanny si sarebbe chiusa in cucina, con gomiti appoggiati al tavolo di
legno, la fronte poggiata contro le piccole mani ruvide. Sarebbe rimasta così
per un po’, fino a notare una pentola qualsiasi. Ma quella pentola doveva
essere nello scaffale alto, dove André, gentilmente, l’aiutava sempre a
riporla. Allora avrebbe premuto la fronte sulle mani, singhiozzando e mordendosi
le labbra. Da sola.
Fu
Bernard a parlare col generale, a chiedergli di rispettare le volontà della
figlia, ad addurre tutti gli argomenti che potevano convincere un uomo davanti a
quella notizia così drammatica, senza straziarlo.
Rosalie
aspettava alla porta, Alain fuori, vicino al carro.
Quando
Bernard uscì dal portone, fece un cenno di assenso col viso. Oscar aveva
rinnegato la sua famiglia, non poteva comunque essere seppellita tra i Jarjayes,
e dato che lei – ma era questo che stava a cuore a tutti- aveva espresso un
chiaro desiderio, il problema si risolveva, per il momento Perché i pensieri di
una famiglia colpita da un lutto così grande sono improvvisi, forti, incerti
come i passi di un malato. Ma a loro spettava un altro compito, in quel momento,
al galoppo. Tutto resto - fatto di dolore,
vuoto, sconcerto - lo avrebbero affrontato le persone che abitavano in
quel palazzo.
Bernard
montò sul carro. – Forse… avrebbe voluto chiedermi di più, il generale...-
disse. Alain non rispose niente, spronò i cavalli.
Avrebbe
voluto fare e dire di più, quel padre che guardava da dietro i vetri un carro
allontanarsi rapidissimo, e che, poi correva di fronte ad un quadro traboccante
di pura vita e luce, appeso alla parete. Un’immagine che sarebbe stata per
sempre, mentre Oscar non c’era più.
Arras
Non
era necessaria una cerimonia. Erano persone diverse tra loro, ma amavano Oscar e
André, con sincerità. Questo era sufficiente a dare una dignità a quella
morte tanto triste, a quella sepoltura che somigliava a un matrimonio. Misero
due croci per distinguere quel posto sulla collina brulla. Il posto in cui
avrebbero potuto continuare ad amarsi due persone: la vita non aveva concesso
loro si amarsi sotto il cielo, almeno era loro diritto essere vicini per sempre,
protetti dalla terra, custoditi da quel manto così pesante.
Nessuno,
consciamente, riusciva a pensare. Automaticamente, secondo la forza ed
esperienza, adempivano a quel compito desolante. E in tutta fretta perché
all’alba nascente sarebbe seguito un caldo torrido.
Bernard
si allontanò un attimo. –Rosalie, stai bene?- sussurrò alla figura smarrita.
Un frase inutile, forse, ma necessaria in quel momenti in cui il silenzio e il
caldo pesavano su di loro.
-
Silenzio…- sibilò Alain –…per favore…- aggiunse, mitigando la voce,
quasi scusandosi. Bernard aveva solo cercato un contatto umano, ma capì. Si
capirono.
Il
sedici luglio nacque caldo. Era un momento strano. Lo pensò Rosalie - le mani
giunte in preghiera e uno sguardo d’acciaio che allontanava i curiosi dai
corpi velati- quando vide Alain togliersi il fazzoletto dal collo, per poi
gettarlo in un angolo con la giacca della divisa, e porgere a Bernard la sua
acqua, posargli una mano sulla spalla, quasi per chiedergli scusa degli screzi,
così vani quando in certi momenti ci si scopre disperatamente uguali e si è
disperatamente vicini… un gesto legato a un momento che non si sarebbe
ripetuto, all’addio a quelle persone. Bernard si era fermato, esausto, e pensò
al mondo come diviso in pennellate di colore: il nero, umido e scuro della
terra, e il bagliore caldo della luce spietata, e della vita.
Quando
tutto fu ultimato era pomeriggio. Un albero frondoso allungava la sua ombra,
come un ricamo, sulle due croci.
Rimasero
a guardare in silenzio. Si era alzato un po’ di vento.
-
Chissà se verrà mai nessuno qui…- pensò Bernard.
“Strana
sensazione”, pensava Alain, ripiegando il fazzoletto rosso e mettendolo in
tasca “come se tutto si concluda davvero solo quando è coperto dalla terra.
Confinare la morte in un luogo definito ti libera, ma non ti dà pace,
comunque… mai…” Constatò amaramente quanto quelle due croci fossero
simili ad altre che conosceva, sulle quali aveva indugiato cercando in sé la
forza di riprendere a vivere, smarrendola ogni tanto.
Si
mise la giacca sulle spalle, raccolse il cappello gettato qualche metro più in
là. Rosalie s’inginocchiò, Bernard rimase affianco a lei. Poi si mossero per
andarsene. Era semplicemente finita.
Muti,
sul carro, con il pensiero che vagava tra il ricordo di chi avevano sepolto, e
di Parigi che li aspettava, non avevano il coraggio di parlarsi.
Il
sole stava calando. Per contrasto con il caldo del giorno e per il vento che si
era rinforzato, Bernard ebbe un brivido e tossì. Alain gli gettò la sua giacca
– Tanto sono dietro, al riparo.-
-
Tu ora che farai? Io, lo ammetto, sto già in parte pensando a quando torneremo
a Parigi. E tu?-
-
Bella domanda, Bernard. Non lo so… - “Di certo, non ho un comandante, un…
un amico”, pensò.
-
Succederanno molte cose, molte… -
-
Non sappiamo neppure cos’è successo, nel frattempo.-
-
Già, in questo hai ragione…- “Che sensazione strana”, si trovò a
pensare, “il tempo pare dilatarsi… il dolore cambia qualità…”
Alain
sbuffò, assentendo. Era vero. Stavano tornando alla vita. Perché una sola
volta si vive, e una sola volta si viene seppelliti. A loro era toccato
seppellire, e poi vivere.
Sarebbe
stata più dura, forse, per la gente che era in quella carrozza che incrociarono
verso l’alba - ma forse il sole era già sorto, perché c’erano le nuvole
fitte e pioveva - mentre percorreva la loro stessa strada ma in senso contrario.
Aveva
uno stemma sulla portiera: un leone a due code che corregge una spada.
Ma
questo, solo Rosalie lo notò. Bernard conduceva i cavalli, mentre Alain
sembrava riposare.
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