Inside -
Essere una donna
IV
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Ispirato a La cosa più semplice di Alessandra e Christine di Laura
Albeggiava, e lei era nel suo letto. Era fra le sue braccia.
Talora gli sembrava che scoprirla lì anche solo a volte potesse bastargli. Non aveva mai sperato tanto. O forse aveva sperato di più, in passato – aveva sperato fin troppo in interminabili sogni ad occhi aperti - ma era sempre stato consapevole della realtà e della sua follia. Non avrebbe mai saputo immaginarsi questo: com’era non poter dormire perché era troppa la stranezza - non si poteva nemmeno chiamare emozione - del sentirla lì, com’era pettinarle i capelli con dita impacciate mentre lei riposava ad occhi chiusi, e avvertire intanto su di sé il calore del suo corpo nudo, e sapere che sarebbe bastato muovere una mano per sfiorare le sue curve, e che poteva toccarle, gli era permesso. Si sentiva quasi in soggezione di fronte al miracolo di averla potuta avere, come fosse un contadino davanti a un’apparizione: non riusciva ancora a crederci, e a volte gli pareva di vivere nel delirio ovattato dato da una febbre acuta: era capace di trascorrere intere giornate in preda ad una sensazione di irrealtà. Eppure non era felice, non davvero: nonostante tutto, ignorava completamente cosa provasse Oscar, come mai lo cercasse, cosa ci fosse dietro i suoi sguardi insondabili. Spesso si scopriva in preda all’ansia e riusciva a tranquillizzarsi solo mentre faceva l’amore con lei: non parlavano molto, ma il piacere di Oscar, quell’unica e totale forma di esclusività e vicinanza, sapeva calmarlo quasi come una rassicurazione verbale.
Avrebbe voluto uscire da quella situazione di stallo. Fare qualcosa per conquistarla, convincerla ad aprirsi, a fidarsi e condividersi con lui. Indurla a considerarlo come un possibile compagno. Pensava che avrebbero saputo… rinascere assieme. Era assurdo, perché andavano a letto e basta: non avrebbe mai creduto di poter finire in una situazione del genere proprio con lei. Vivevano insieme da una vita, in fondo. Com’era possibile avere così tanto e al contempo così poco? Ricordava che c’era stato un tempo – quanto lontano...? – in cui aveva creduto che sarebbe bastato fare l’amore con lei per farle capire che erano fatti per stare assieme. Era stato un illuso? Possibile che si fosse sbagliato, su di lei, su di loro? Non trovava il coraggio per dichiararle i propri sentimenti. Qualcosa lo paralizzava... la sensazione che lei non lo amasse, che amasse ancora lui, Fersen. L’idea di essere un ripiego, uno sfogo, una pazzia improvvisa. Il sapore del suo corpo era dolce quanto l’amarezza che gli riempiva la bocca quando ci pensava.
Si sentiva così vecchio, a volte.
“Quando è stata la tua prima volta, André?” gli chiese lei all’improvviso, stesa a occhi chiusi a pancia in giù mentre si lasciava pettinare i lunghi capelli dalle sue dita.
Supponeva fosse apparso evidente sin da subito che lui non era più vergine, quando avevano iniziato i loro rapporti: Oscar non era così stupida da non trarre le proprie conclusioni, e ora eccola a cercare di soddisfare le sue piccole curiosità da gatta, la voce distaccata e un po’ pigra, nel palese tentativo di rinviare il ritorno ai propri appartamenti attraverso i freddi corridoi del palazzo.
“È stato a diciassette anni,” le rispose con tono sommesso, districandole dolcemente le ciocche aggrovigliate. Adorava poterla coccolare in quei pochi momenti di tenerezza. Avrebbe voluto sfiorarle il viso in una carezza, ma non osò: temeva la sofferenza di sentirsi scostato via, il gesto che avrebbe svelato ciò che era e non era il loro rapporto.
“Parecchio presto,” si stupì Oscar, aprendo un unico occhio per squadrarlo, l’espressione un po’ cattiva. Accusatoria. “Non mi hai mai detto nulla.”
“Non sapevo come fare: non è facile parlare di queste cose.”
“Di’ pure che non è facile parlare di queste cose con me. Scopare non ha mai fatto parte del pacchetto delle mie pertinenze e attività. La vergine guerriera, giusto? Se mio padre sapesse, mi ucciderebbe,” concluse con aria falsamente leggera, sollevando il lenzuolo per coprirsi le spalle in un brivido. Le accarezzò la schiena sopra la stoffa, sfregandola un po’, nel tentativo di scaldarla. Non sapeva cosa dire per consolarla della sua vita plagiata, e in realtà non c’era nulla da dire. Forse per lei aver avviato questa relazione con lui costituiva una specie di premio di consolazione, e come biasimarla?
“Non è questo, Oscar... È che non si tratta di una storia, come dire, propriamente edificante.”
Con questo l’attenzione di lei venne completamente catturata: “Cioè?”
“Devi promettermi che non prenderai provvedimenti disciplinari di nessun tipo.”
“André, mi preoccupi! Ma di che si tratta?”
“Niente di grave,” sbuffò lui, ributtandosi all’indietro fra le coperte e incrociando le mani dietro la nuca. “È qualcosa di molto banale, in realtà. E che non mi fa onore.”
“Sei andato con una prostituta,” ne ricavò incredula.
Lui prese a spiegare, con aria quasi rassegnata: “È una vecchia tradizione della componente maschile della servitù del palazzo: quando un ragazzo qua dentro raggiunge un’età comunque ritenuta conveniente, si fa una colletta e gli si paga la cosiddetta prima esperienza. Io non ne sapevo assolutamente nulla prima di esserne il beneficiario. Puoi immaginare la mia sorpresa una sera in cui Jacques, il vecchio stalliere, ricordi?, lunga barba irsuta e l’aspetto da orco malevolo, uno che diresti, che pregheresti che non abbia mai scopato in vita sua?, ecco, lui, venne a prelevarmi in camera mia per depositarmi con aria solenne direttamente nella stanza della mia… intrattenitrice, in un modesto, ma tutto sommato rispettabile bordello parigino.”
Oscar si sollevò sui gomiti, trasecolando: “Ma stai scherzando? Vorresti dirmi che in casa mia succede questo tipo di traffici e nessuno fa nulla?”
“È una tradizione. Immemorabile, pare.”
“E questa ti pare una giustificazione sufficiente?”
“Non ne vado fiero, Oscar. Lo so, sembro tranquillo, ma... Dio, mi vergogno! Ero un ragazzino... e stupido. Ero... non so come dirtelo. Ero adolescente! Ero... pieno di voglie. Puoi non credermi, ma adesso non lo rifarei,” assicurò, voltandosi verso di lei per subire a viso aperto il suo giudizio. “Tu non sai come mi sentivo… ero umiliato dai bisogni del mio corpo. Mi vergognavo... A volte mi chiedevo perfino se fossi normale. Adesso suppongo che per tutti gli uomini sia così, a quell’età, ma…”
Lei lo scrutava, attenta e assorta. Decisamente stupita. “Veramente?”
“Sì, credo di sì. Non posso giurarlo: non ho parlato con nessuno della questione, come puoi immaginare. Ora possiamo cambiare argomento, per favore?”
“Il fatto che ne avessi voglia non basta a giustificare del sesso mercenario,” rimarcò testarda, vagamente sdegnosa, rituffandosi fra le lenzuola un po’ discosta da lui.
“Sì, lo so…”
Ecco, adesso lo disprezzava. Avrebbe dovuto mentirle? Sarebbe stato accorto. Fersen probabilmente l’avrebbe fatto: chissà quante palle propinavano alle proprie donne, gli uomini perfetti come quello. Ma lui non poteva sopportare che Oscar non lo vedesse per com’era davvero, anche nei lati più sordidi. Non sapeva perché: immaginava fosse un lato del suo modo di amare, o del suo bisogno di essere amato, da perfetto idiota.
“E hai finanziato anche tu simili collette?” indagò ancora lei.
“È inutile mentirti: sì,” rispose rassegnato, senza più saper prevedere dove avrebbe condotto la discussione. “È inconcepibile non farlo, qui: risulteresti un tipo sospetto. E la servitù già mi odia perché faccio finta di vivere come un nobile, anche se non lo sono.”
“Non so cosa pensare di te.”
“Disprezzami, se vuoi.”
“E me lo dici così?” si sbalordì lei, incredula. “Ma non te ne frega niente di quello che penso di te?”
“Certo che mi frega, Oscar! Mi importa tantissimo. Ti ho delusa, e ne soffro, tu non sai quanto. Ma non posso cambiare quello che ho fatto. So cosa pensi: che quella notte avrei dovuto andarmene, lasciare quella donna senza farci nulla. Ma ero giovane e eccitato, e lo volevo. La volevo. Era nel mio corpo, Cristo, era dentro di me... E lei era lì. Tu non sai cos’è avere voglia al punto da stare male nel fisico, Oscar!”
Sì che lo sapeva. E gliel’aveva fatto scoprire lui. Da quando l’aveva scopata, lei si masturbava quasi ogni giorno se non poteva essere sua. Era un segreto che non gli avrebbe di certo rivelato e di cui si vergognava enormemente; non si riconosceva più: quel corpo, quelle fantasie, quei gesti non potevano essere i suoi, del freddo, controllato colonnello Oscar. A volte si riduceva a sentirsi poco meno che un animale, tanto che si riprometteva inorridita che non si sarebbe più toccata, che non l'avrebbe più toccato. Ma poi, puntualmente, non riusciva a resistere. Forse lui aveva provato qualcosa di simile, e allora che senso aveva che lei – proprio lei – lo condannasse?
“E com’era lei?” gli chiese, a voce bassa.
“Non era bella. Era bruna, aveva lunghi capelli neri, una bocca molto carnosa. Non si voleva lasciar baciare, ma alla fine… ecco, lasciamo stare. Era… molto formosa, direi quasi in carne. E più vecchia di me, naturalmente. Mi rendo conto che è blasfemo dirlo, ma... io non ho mai avuto una madre, come tu sai, e lei a volte sapeva diventare quasi… materna...”
“André...” sospirò stupita Oscar, senza sapere cosa aggiungere. Nel suo stomaco si stavano agitando pietà e un senso di ripulsa. E quanta disillusione, incisa nei lineamenti ostinatamente chiusi di lui: si accorse con stupore che André soffriva e si trovava grottesco, se non riprovevole, per questo. “E sei più tornato da lei, dopo quella notte?”
“No.” Una pausa, titubante. Un sospiro. La resa. “Sì, alcune volte. Ma non troppo spesso. No, mento... ci sono tornato, sì. E parecchie volte... C’è stato un periodo, i primi tempi, in cui ci andavo ogni volta che potevo, ogni volta che riuscivo a mettere da parte abbastanza soldi per permettermelo. Era un’ossessione, non riuscivo quasi a pensare ad altro. Aspettavo che andassi a dormire la sera, sgattaiolavo fuori da palazzo e... ci andavo. Non sempre lei era libera, e in quei casi anche le altre andavano bene.”
“Tu la amavi,” constatò lei, ferita suo malgrado, senza sapere perché.
Era più patetico sentirsi inferiori come donna a una puttana o invidiare una caricatura di storia d'amore con una puttana, che almeno però era stata parzialmente vissuta?
Lui diede uno sbuffo agro di risa: “No, Oscar, ti prego, non nobilitarmi… Quello non era amore, era voglia! Lo facevo pure per imparare a fare sesso, anche se suona ridicolo. Volevo che mi insegnasse quel che sapeva, per essere sicuro di saper dare piacere a una donna, quando mi fossi innamorato...” e qui le rivolse una rapida occhiata, per capire – forse sperandolo – se si era esposto troppo. Ma nello sguardo di lei non incontrò comprensione, se non a un livello esteriore e superficiale: banalmente, Oscar stava considerando che poteva condividere un simile sentimento, dato che anche lei faceva la stessa cosa. Andava a letto con André per imparare a fare sesso – sperava – per un altro. La rattristava rendersi conto di quanto squallore si celasse in tutto ciò, e capirlo soltanto ora, per effetto delle parole di lui. “Sì, forse provavo qualcosa, Oscar... Ma era un bisogno indegno di un adulto e di un uomo. Lei non mi derideva, credo che mi compatisse. Dopo un po’ diradai le visite, infine smisi di andarci del tutto. Volevo di più.”
Il silenzio calò su di loro.
“E una relazione con una donna, l’hai avuta?” domandò lei dopo un po’, facendosi forza per spezzare quella calma.
“No, non l’ho mai avuta.”
“Come mai?”
“Credo di non aver incontrato la persona giusta, Oscar,” replicò semplicemente, osando accarezzarle una spalla. Non incontrando resistenze, si riappropriò furtivamente dei suoi capelli, torcendole delicatamente la chioma in un lungo nodo dorato di riccioli.
La luce lattiginosa dell’alba stava acquistando vigore, si faceva sempre più definita e dispoticamente onnipresente, delineando profili e sfumature cromatiche di superfici. Gli uccelli iniziarono a cinguettare con vigore nel parco. Fra poco lei avrebbe dovuto andarsene, intrecciando e poi sciogliendo a fatica le mani dalle sue, nel saluto degli amanti clandestini che si accomiatano per affrontare un'altra giornata. Non c’era più tempo.
“E tu, Oscar?” mormorò d’impulso prima di aver pensato a cosa chiedere. “Perché vieni a letto con me?”
Continuava ad accarezzarle i capelli, intanto. Lei aveva gli occhi chiusi e stava assaporando gli ultimi attimi di riposo. Non rispose. Il suo costante mutismo su qualunque tema sfiorasse i sentimenti era sempre stato da fare impazzire. Improvvisamente, André ne fu irritato: un’ondata di rancore che non sapeva neppure di poter provare si liberò e gli invase di bile la bocca. Lui le aveva parlato e si era esposto, almeno un po’. Non poteva accettare un altro silenzio, non ora! La mano fra i capelli di lei gli si serrò senza che se ne accorgesse. “Perché vieni a letto con me, Oscar? Ti prego, dimmi almeno questo... dannazione!”
La violenza improvvisa che esplose nella sua voce e nei suoi gesti la spaventò. Ma non poteva rispondergli. Perché voleva costringerla a parlare? Non aveva bisogno di questo. Caparbiamente muta, Oscar si alzò, infilò rapida la camicia da notte e fece per uscire dalla stanza, fuggendo il suo sguardo.
“Oscar, dimmi perché, ti prego...” la richiamò supplichevole, tendendo una mano, mentre una disperazione scura gli incrinava la voce. “Oscar... aspetta un attimo! Io ti amo, ti amo da tanto...” proruppe infine, senza riuscire più a tenerlo dentro.
Non era più divertente giocare a carte coperte, se mai lo era stato. A che serviva godere del suo corpo se non sapeva a chi pensava nella sua testa?
Oscar si fermò per un attimo davanti alla porta chiusa, senza voltarsi. Poi la aprì ed uscì, richiudendola piano alle sue spalle. Sempre in silenzio.
Cavalcava da sola, incitando Cesar a fendere l’aria con impeto.
Non lo sapevo. Non è colpa mia.
Ma ne era proprio sicura? Non c’era stata una parte di lei, magari nascosta, rinnegata, che un qualche sospetto lo aveva avuto?
No. Non è vero. Io non sapevo. Come avrei potuto immaginare...
Che André l’amasse? Certo, non lo aveva palesato. Ma tutte le attenzioni che le aveva sempre riservato, come sembrava ogni volta capire cosa lei sentisse, di cosa avesse bisogno? E, in fondo, non ci aveva forse provato con lui perché era stata sicura, in qualche modo, in qualche parte di sé, che non l’avrebbe rifiutata? E perché ne era stata tanto convinta...?
Non è possibile. Non posso aver sfruttato il suo amore per me per andarci a letto. Sarei una persona orrenda.
E questa sarebbe stata una novità? Da anni concupiva l’amore della vita della sua unica amica, aveva anzi cercato di sedurlo, e ancora stava sperando di riuscirci; tradiva di nascosto – perché le mancava il coraggio di farlo apertamente – le aspettative del padre; da sempre trattava André come un compagno di comodo. Che se lo fosse anche scopato, era soltanto un passo ulteriore, quasi un segno di maturità sopraggiunta. Non aveva forse dato sempre per scontata la sua presenza? Non si era neanche mai accorta che l’amava...
No? O sì? Forse mi faceva comodo non accorgermene...
Ma adesso l’equilibrio dei silenzi era stato spezzato. E lei con le parole non ci aveva mai saputo fare. Quasi lo odiava, per averla stanata dal suo rifugio e spinta nella spianata, sullo slargo del campo di battaglia, a dover prendere decisioni.
E adesso che faccio? Cosa si fa in questi casi? Chiedere di dimenticare tutto, imporre di non vedersi più? Cambiare... Dio, perché, perché cambiare? Non voglio...
La colpa era sua, in fondo: se non avesse fatto quel che aveva fatto, non si sarebbe trovata in questa situazione.
Non è necessario che decida subito. Domani. Domani deciderò.
Poi fu un turbinio.
C’era il Cavaliere nero: André sapeva bene quanto lei ci tenesse e come si facesse un punto d’onore del non lasciar mai interferire le vicende personali negli obblighi da adempiere. L’amava, e amarla per lui significava affiancarla nei suoi compiti a prescindere da tutto, anche dalle parole dette e non dette, che pure pesavano fra loro come macigni.
Così proseguirono ugualmente col piano per catturarlo, seppure in un’intesa muta, nervosa.
Il ferimento, il rapimento e il sacrificio si successero in un vortice di violenza che lasciò Oscar stordita ed attonita: nel giro di poche ore, e senza alcuna preparazione, lei si ritrovò con un uomo che la amava cieco da un occhio per lei.
Smise di andarci a letto. Smise del tutto di cercarlo. Prese a compiere, anzi, ogni consapevole sforzo per evitarlo. Ormai da quando lui si era ripreso abbastanza da insistere per accompagnarla, passavano del tempo assieme solo a Versailles, sul luogo di lavoro, in un posto in cui era facile non potersi o non doversi parlare. Iniziò perfino a farsi scortare a casa da Girodel, a volte, pur di non doverlo abboccare. Oppure lo congedava con la scusa (che tanto scusa non era) che non doveva sforzare troppo la vista in quel momento di transizione.
Si sentiva oppressa. Dilaniata dal senso di colpa. Per non saper ricambiare i suoi sentimenti, per averlo privato di un occhio, per avergli in definitiva funestato tutta la vita. Da quanto la amava? Di certo da prima di quella loro avventura. Ti amo da tanto, le aveva detto. Quanto doveva averlo fatto soffrire! Se ci rifletteva si sentiva aprire dentro ed era una cosa che la sbigottiva: non aveva mai sperimentato un dolore tanto lancinante, non sapeva come gestirlo. Non riusciva più neppure a reggere la sua vista. Sapeva, si rendeva perfettamente conto che André avrebbe avuto bisogno del suo aiuto in un momento tanto difficile, ma non trovava dentro di sé la volontà né il modo di soccorrerlo, e la consapevolezza che stargli vicino sarebbe stata la cosa giusta, che avrebbe dovuto farlo, quasi per obbligo morale, congelava in lei qualsiasi impulso spontaneo di andare al suo capezzale.
André si aspettava che lei lo riamasse? Avvicinandosi a lui, avrebbe incoraggiato i suoi sentimenti? Se si fosse dichiarato di nuovo cosa avrebbe dovuto fare? Sarebbe stato giusto ricambiarlo per ripagarlo di quanto aveva sofferto: aveva perfino perso un occhio per lei... Ma non ci riusciva, non poteva amare per forza, era un’assurdità! Eppure se pensava a tutto quello che avevano fatto assieme... che gli aveva fatto. Dio, come poteva avergli fatto tutto quello che gli aveva fatto! Pazza, crudele e stupida! E come trovare la faccia tosta di andare da lui ora e comportarsi da amica dopo tutto questo?
Non riusciva più ad avere a che fare con lui.
Si allontanava sempre più da André, per quanto si rendesse conto che era vigliaccheria, che era sbagliato. E André, prostrato fisicamente dalle proprie condizioni e moralmente dal suo distacco, non trovava la forza di riavvicinarsi a lei: dopo il ferimento si era chiuso in se stesso, per cercare di scoprire una sua nuova dimensione, per provare a ricostruire la propria fiducia in sé, e... e sì, anche per tentare di soffocare quelle urla di terrore che nessuno avrebbe dovuto sentire (cieco, diventerai cieco, un invalido, un rottame incapace di badare a se stesso, figurarsi a lei, e lei lo sa, non lo vedi, non sa come dirtelo, ti evita, non ti ama, è tutto finito).
In questo modo, le fornì involontariamente lo spazio per innalzare con agio un muro di indifferenza dietro cui trincerarsi e fingere che nulla fosse successo. Un muro di cui Oscar aveva bisogno per difendersi, perché la sofferenza di lui la uccideva più di quanto avesse mai fatto la propria.
Fu in quella fase di stallo che arrivò Fersen.
Continua
Sara, pubblicazione sul sito Little Corner novembre 2015
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Sara Mail to ultimegocce@hotmail.com