Inside -
Essere una donna
V
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“Non ho cose... Non ho cose particolari da raccontarvi, Oscar. Né cose liete, né cose tristi.”
“Ah, capisco.”
Facevano roteare pigramente il vino rosso nei calici, in intervalli di riposante silenzio, mentre il camino crepitava accanto alle loro sedie foderate di velluto. Oscar fissava il compagno in tralice, sentendosi pervadere da un vago senso di privilegio. Per quanto non frequentassero i medesimi giri (sarebbe stato più corretto dire che Oscar non aveva ‘giri’), lei era ben consapevole del fatto che Fersen fosse dotato di una personalità affascinante, all’occorrenza anche scoppiettante, che lo rendeva un buon intrattenitore salottiero, ricercato animatore di serate e conversazioni; quest’aspetto dell'indole dell’amico, però, la infastidiva e la innervosiva, non perché lo ritenesse frivolo (sapeva bene quale arte richiedesse), quanto perché dimostrava una capacità di falsità in lui che la sgomentava e la faceva sentire minacciata, forse anche ingenua, una ragazzetta di campagna del tutto sprovvista di simili armi. Ma quando era in sua compagnia, e solo quando era in sua compagnia, lui sapeva diventare diverso: lo sguardo gli si faceva malinconico, il suo linguaggio corporeo si rilassava e la sua voce proferiva verità che non avrebbe mai riferito altrove, se non, forse, all’altra... che avrebbe saputo però comprenderle com’era in grado di fare lei?
Era sicura che con nessun altro Fersen si lasciasse essere a tal punto se stesso. Lui si rendeva conto di quanto lei lo capisse, di come si intendessero? Di quanto stessero bene assieme? Non le pareva di illudersi, se a volte le sembrava che con lei il tono gli si facesse vibrante di emozione, quasi dolce…
La voce di Fersen la riscosse dal flusso dei suoi pensieri: “Ah, già! Mi è successa una cosa alquanto strana a un ballo a corte, circa un mese fa: ho conosciuto una donna che vi assomigliava moltissimo! Mi è stato riferito che era una contessa che veniva da un paese straniero e da quella sera non ho più avuto occasione di rivederla alla reggia...”
“E cosa ci sarebbe di strano in questa occorrenza?” lo canzonò, beffarda. “Che voi abbiate collezionato l’ennesima conquista mi sembra una nuova alquanto ordinaria, almeno stando alle voci che decantano i vostri successi.”
Lui si abbandonò a una risata schietta: “Oscar, vi prego, davvero volete costringermi a simulare imbarazzo davanti a voi? Sul serio intendete spingermi ad affermare indignato: ‘Oscar, non vorrete dar credito a certe dicerie’!”
“Si sa che le voci spesso esagerano, ma di rado mentono,” concesse lei, lapidaria ma benevola, sorseggiando un po’ di vino a occhi chiusi.
“E va bene, accuso il colpo. Confesso tuttavia di provare un po’ di vergogna, madamigella: sembra infatti che voi non condividiate nessuna delle debolezze che prostrano noi mortali, e ciò rende scomoda la mia posizione. Comunque, mi auguro vi sia ignoto almeno un tremendo difetto che affligge generalmente la nostra condizione: la propensione a biasimare i vizi altrui! Per quanto, lo riconosco, voi siate forse l’unica persona che potrebbe fregiarsi del legittimo diritto di fare ciò, dal momento che, sul mio onore!, nessuna pietra potrà mai essere lanciata contro di voi.”
“Se così credete, Fersen, non mi affretterò a disilludervi,” commentò senza scoprirsi.
“Ma come, Oscar!” indagò lui, sporgendosi in avanti sulla poltrona, un sorrisino curioso e malevolo sulle labbra. “Avreste forse anche voi qualcosa da nascondere? E cosa sarebbe? Sono trascorsi anni, ma mi rendo conto che ancora so poco di voi, mentre voi, complici la vox populi e forse anche me stesso, ignorate ormai ben poco della mia meschina persona…”
“Mi pare stiate perdendo il filo, conte: come mai dalla vostra sconosciuta siamo arrivati a parlare di me?” lo stornò, tranquilla.
“Non saprei proprio, Oscar,” soggiunse lui, lentamente, studiandola con espressione imperscrutabile. Non è possibile, lui non può... “Non mi avete lasciato concludere, però, altrimenti a quest’ora sapreste che l’ignota dama mi ha rifilato un due di picche!”
Lei rise di cuore, scuotendo il capo: “Che tragedia! Come mai questa calamità inaudita, Fersen? Cosa avete combinato per lasciarvi scappare la dama? Cosa avrete mai detto, o non detto? Suvvia, rincuoratevi: so per certo che le vostre quotazioni non sono calate, molte altre smaniano per le vostre attenzioni...”
“È strano affrontare argomenti così apparentemente frivoli con voi, Oscar,” osservò lui con un pallido sorriso, portandosi due dita alla fronte in un moto pensoso. “Non avrei mai pensato che sarebbe successo, eppure accade. Ho l’impressione che siate cambiata, madamigella, ma dicendo questo non vorrei sembrarvi indiscreto. E come al solito perfino discorsi simili, assieme a voi, sembrano acquistare profondità... Mi sembra che, senza neanche bisogno che lo dica, voi conosciate le ragioni intime dei miei comportamenti più sordidi, e sappiate bene perché... di quale oblio io vada in cerca in quelle avventure sterili, senza... Ma certo che lo sapete, voi lo sapete bene. Eppure, c’è una cosa che non avete capito,” asserì con rinnovato vigore, e qui risollevò il viso, affondando con intenzione gli occhi nei suoi. “Quella donna... la donna che mi è sfuggita era diversa dalle altre, e mi ha fatto provare qualcosa che non sentivo da tempo.”
Si fissarono per un istante.
Oscar si alzò di scatto, rovesciando la sedia: “Fersen, fermatevi ora, prima di dare inizio a una scena di cui potremmo entrambi pentirci!”
Lui si levò lentamente, invece, senza toglierle lo sguardo di dosso, come se volesse ipnotizzarla per non farla scappare di nuovo. “E ditemi, cosa starei facendo, Oscar?” sussurrò, mortalmente serio. “Sto solo continuando qualcosa che voi stessa avete cominciato. Sto cercando di sfidarvi a dimostrare un coraggio che in altre occasioni non vi è mai mancato.”
“È un errore, Fersen,” replicò Oscar, tremando per l’agitazione e rifiutandosi di incontrare i suoi occhi. “Vi prego, andatevene e non riparliamo più di questo argomento. Non capisco cosa state cercando di dirmi.”
Cosa succede? Non l’ho aspettato, questo momento? Adesso perché mi fa paura? Voglio andare via...
“Che pessima difesa, Oscar,” osservò lui sorridendo amaramente, prima di sporgersi e afferrarle con una certa villania un polso. “Non costringetemi a perdere il rispetto che ho della vostra intelligenza. Ma pare che da un po’ stiamo cercando di dirci che non potevate essere che voi, quella donna. Ci ho ripensato più volte, sapete?, e non ho dubbi.”
Oscar si contorse istintivamente e cercò di fuggire, ma questa volta lui fu lesto ad inseguirla e afferrarla, ancora divincolante, per stringerla fra le braccia contro il petto.
“Smettetela di scappare,” sussurrò fra i suoi capelli, senza lasciarla. “Basta scappare, Oscar...”
“Lasciatemi Fersen, voi non potete... non potete trattarmi così... io non sono una delle vostre conquiste!”
Le cercò gli occhi smarriti quasi con irritazione. “So bene che non sei come le altre, diamine! Perché credi che sia qui?” mormorò punto sul vivo, prima di chinarsi a baciarla con una brutalità che non ammetteva rifiuti.
Mezzanotte: era l’ora.
Infilò gli stivali, agganciò il mantello, prese sottobraccio una coperta e sgusciò furtivamente dalla stanza, col cuore in gola. Si muoveva per i corridoi bui con passo leggero, rasente muro, strizzando gli occhi per provare a strappare delle forme alla tenebra (è così vivere di giorno, adesso, per lui?). Nell’attraversare la galleria dei ritratti di famiglia sentì un rumore indeterminato, come di unghie che grattavano con forza, alle proprie spalle. Si bloccò. Un rivolo di sudore freddo le strisciò lungo la schiena. Un respiro. Due. Nulla. Forse un ramo aveva sbattuto contro il vetro di una finestra, oppure... ma non c’era tempo, doveva sbrigarsi, era già tardi.
Scese lo scalone principale con rapidità, dato che un po’ di chiarore lunare filtrava dalle ampie vetrate dell’ingresso, e poi sgattaiolò lungo i dedali delle cucine, sempre circospetta, ma usando meno precauzioni, per la fretta e perché il luogo a quell’ora avrebbe dovuto essere deserto. Urtò qualcosa, ingoiò un’imprecazione. Se qualcuno mi sorprendesse... Avrebbe potuto inventarsi una scusa plausibile, certo. Se solo fosse stata più calma. O avrebbe potuto tentare di incutere timore, esigere silenzio. Ma le voci chi le ferma, poi?
Aprì con cautela la porticina che immetteva sul parco, disserrando i chiavistelli e muovendo lentamente la chiave nella serratura arrugginita. Era fuori. Senza più remore prese a correre rapida lungo il prato, il fiato in gola e la paura completamente dimenticata: restava solo l’ansia di vederlo. Sarebbe venuto? Era già lì? Non aveva ancora disertato nessuno dei loro appuntamenti, però lei temeva sempre un impegno improvviso, qualche remora... Eccolo! Intravedeva la sua sagoma scura incombere dietro le grate del cancelletto, il lungo mantello. Un sorriso le schiuse le labbra: senza neanche salutarlo si avventò sulla sua bocca gelida, baciandolo a lungo, con foga, attraverso le sbarre prima di aprire il chiavistello e farlo entrare.
“Aspetti da tanto?” gli chiese in un bisbiglio, il respiro ancora rapido per la corsa, mentre lo afferrava per un braccio e lo strattonava dietro di sé.
“No, sono appena arrivato. Ho lasciato il cavallo nel boschetto come al solito, va bene?”
“Sì. Dai, ora andiamo, si gela!”
“Sì, va bene... No, aspetta. Oscar, io... mi sei mancata.”
“Anche tu. Da morire. Oggi mi sembrava di impazzire, il tempo non passava mai. Non c’eri a corte, dov’eri? Ti prego, andiamo...”
Lui comprendeva benissimo i rischi che correvano: sapeva quale scandalo sarebbe scaturito se la loro relazione fosse stata svelata; nessuno dei due, tuttavia, era in grado di ipotizzare concretamente quale sarebbe stata la reazione della corte e quella, ancor peggio, del padre di lei. Concordavano entrambi che era meglio evitare di scoprirlo, anche perché non erano propensi a interrogarsi seriamente sul futuro, a fare progetti: vivevano il loro rapporto con intensità disperata, ma solo nel presente, come accade ad ogni nuovo logoro avvio di una relazione clandestina.
A volte Oscar si chiedeva chi glielo facesse fare. Ad altri la situazione avrebbe forse potuto sembrare eccitante e avventurosa: incontrarsi in segreto, nel buio della notte, all’insaputa di tutti, per stringersi in amplessi sfrenati dietro le quinte delle vite altrui, sfidare ogni volta il pericolo di essere sorpresi in una sorta di continua prova di amore, che non era detto fosse amore, ma perlomeno grazie a tutti quei sotterfugi pareva acquisirne il sapore. Oh, sì, comprendeva bene come dei donnaioli incalliti avrebbero potuto rimanere incastrati come dei novellini: la fanciulla proibita rinchiusa nella torre... e, per giunta, innamorata! Ma lui no. A lui la circostanza doveva sembrare solo un faticoso dejà-vu di quello che aveva già vissuto, con maggiore intensità e col fascino incantato del primo vero sentimento, con Maria Antonietta.
Qualsiasi uomo sano di mente, nella sua posizione, avrebbe evitato come la morte di impelagarsi di nuovo in una situazione simile: Hans avrebbe dovuto cercare una donna normale, libera, da assaporare e ostentare alla luce del sole. Che solo le situazioni impossibili gli facessero provare qualcosa? Sei fatto per l’infelicità, Fersen? Se anche fosse stato così, nulla gli avrebbe impedito di stancarsi di questo, e di lei: aveva già ampiamente dato, dopotutto.
Le stalle, i ripostigli, le bettole dei sobborghi, i sottoscala di Versailles: ecco le quinte del suo grande amore. Eppure a lei andavano bene, più che bene. La sua unica preoccupazione era che potessero non andare bene a lui.
Lo condusse con circospezione nel capanno degli attrezzi affiancato alle stalle, accertandosi furtiva che non ci fosse nessuno nei paraggi. Una volta dentro, prelevò la lampada ad olio nascosta dentro una vecchia credenza, la accese e la celò dietro un’anta socchiusa, ricoprendola con un telo, per poi spiegare la coperta sopra un cumulo di sacchi ammassati alla rinfusa in un angolo: ecco, la loro reggia era pronta.
Si guardarono per un istante prima di avvinghiarsi.
“Ti voglio... Ti prego, ho bisogno di te...”
“Spogliati, togliti tutto, Oscar: voglio vederti nuda...”
“Oh sì... ho troppa voglia, non ce la faccio... Dio, è già così duro... Ti prego, lasciamelo prendere in bocca...”
“Sei bellissima, Oscar... non avrei mai immaginato che...”
A volte si domandava se non si dimostrasse troppo sfrenata, vogliosa, con lui. Hans mostrava di apprezzare i suoi continui slanci sensuali: li ricambiava ogni volta con ardore. Ma talora le pareva stupito, come imbarazzato. Si chiedeva se lui nascostamente non la disprezzasse per la sua smania appassionata, per la quale invece André perdeva ogni volta la testa. Forse Fersen era abituato ad avere a che fare con donne più modeste: certo Maria Antonietta aveva almeno la parvenza di esserlo. Ma le solite voci sussurravano di orge di ogni tipo. Che fosse il contrasto con la sua immagine pubblica a turbarlo? L’aveva immaginata diversa? Più che comprensibile. Ma lei non riusciva, proprio non ce la faceva a frenarsi... e poi sotterraneamente sentiva anche che, a dispetto di qualsiasi sua momentanea riluttanza, il sesso con lei lo seduceva ogni volta, irrimediabilmente.
Aveva bisogno di fare sesso con lui. Non solo perché lo voleva. Certo, lo voleva tantissimo. Lo voleva più di quanto avesse mai voluto André (non pensare a lui), anche se, in fin dei conti, se avesse dovuto fare un bilancio, Fersen la faceva godere molto meno. L’orgasmo con lui non era mai sicuro: la coglieva solo a volte, e soltanto nel ricevere sesso orale. Eppure, lui era attento e prodigo. Forse a frenarla era la tensione che provava per quei momenti rubati e pericolosi, l’apprensione data dal non sapere cosa provasse lui e, al contempo, il voler capire che cosa sarebbe successo, se sarebbe durata, o forse erano i sentimenti troppo forti che nutriva, chissà... non era importante. L’importante era farlo. Per sentirlo suo, solo suo, durante. E per sentire di piacergli: il suo sperma le sembrava l’unica prova incontrovertibile e concreta. Perché, in fondo, parole ancora non ce n’erano state.
Dopo l’amplesso si avvolsero nella coperta, stringendosi per scaldarsi. Le era venuto sul seno e ora il suo seme imbrattava entrambi, ma lui non sembrava curarsene. Era così bello, anche col viso pallido e tirato, palesemente stanco; anche lei era distrutta: solo il freddo li stava tenendo svegli. Fra un po’ avrebbero dovuto lasciarsi, se volevano raggranellare almeno qualche ora di sonno: il turno del giorno successivo sarebbe stato una tortura, altrimenti. Gli accarezzò la bocca, la linea del naso, gli scostò i capelli dalla fronte in una carezza dolce e notò che il suo viso assorto sembrava turbato.
“Posso farvi una domanda personale, Oscar?” le chiese all’improvviso, ma come se avesse in mente la questione da tempo.
“Dipende. Riguardo a cosa?”
“Riguardo ad André. Scusate, io… non riesco a non pensarci.”
Alla menzione di quel nome lei si irrigidì e sfuggì il suo sguardo. Le sembrò di sentire una fitta al fianco, come una coltellata sferrata a tradimento. Cercare di non pensarci non cancellava il male che sapeva di avergli fatto: riemergeva sempre... lui c’era sempre. Era sempre lì dentro di lei, a straziarle il cuore di vergogna e senso di colpa.
“Fersen, è meglio se non...” incominciò, incerta.
Ma lui non si lasciò fermare. Il suo tono di voce era deciso, ma non la guardava: “Cosa pensa André di noi due? Di quello che sta succedendo fra noi due, intendo? Vorrei sapere se mi odia, se... Probabilmente sono indelicato a domandarvi questo: di norma in questi casi è sempre meglio non chiedere, non sapere... Ma mi tormenta essere del tutto all’oscuro di come stanno le cose, Oscar. Non sapere qual è il mio ruolo e cosa prova lui. Perché immagino che sappia tutto, visto quello che c’è fra di voi.”
“Quello che c’è fra di noi? Cosa intendete?”
Era impallidita.
“Parlo del vostro rapporto, Oscar. Della vostra... relazione,” si corresse con una sfumatura dolorosa nella voce. “Ne sono a conoscenza: non serve che fingiate con me.”
Lo sa? E da quanto lo sa?! Come ha fatto a scoprirci, chi... Ci ha visti qualcuno?!
“Come fate a saperlo? Chi ve l’ha detto?!” lo aggredì tempestosa, artigliandogli le braccia con dita ghiacciate. “Parlate!”
Lui scorse il nudo panico nei suoi occhi sbarrati e si affrettò a rassicurarla: “Non temete, la notizia non è di pubblico dominio. Perdonate, non avrei dovuto dirvelo così... Perdonate. Io ne sono a conoscenza, Oscar, ma non credo che molti altri l’abbiano capito. La regina lo sa, certo: fu lei a attirare la mia attenzione sulla cosa, altrimenti probabilmente non vi avrei badato. In fondo, lo ammetterete, si tratta di qualcosa di molto... inusuale. E improbabile, anche. Qualcosa a cui uno non andrebbe a pensare. Per cui, non credo che dovreste preoccuparvi. Quando lei mi confidò i suoi sospetti circa una relazione fra di voi, iniziai a prestarvi attenzione, a guardare. Devo ammettere che la mia situazione personale mi favorisce: ho vissuto a lungo una storia proibita e impossibile... so riconoscere i segni. E non trovo più niente di strano in circostanze che ad altri risulterebbero assurde. Vi ho osservati, Oscar: siete entrambi discreti, certo, ma la complicità, l’affiatamento sono palesi. E lui, beh, è talmente scoperto... vi ama da morire, vive solo per voi, e si vede. Per questo non posso non sentirmi a disagio, capite?”
Le girava la testa e sentiva una specie di ronzio alle orecchie. Era assolutamente sconvolta. Il discorso di Fersen, nella sua lucida e coerente assurdità, la coglieva del tutto impreparata. In lei, assieme allo sgomento, stavano combattendo rabbia e senso di colpa: rabbia di essere stata giudicata e schedata tanto affrettatamente, al di là di ogni discrezione, senza venire consultata, e la colpa di non aver saputo capire cose della sua stessa vita che perfino a degli estranei erano riuscite palesi.
Fersen, ignaro del tumulto che aveva provocato, stava continuando a confidarsi con l’aria affaticata di chi si scaricava la coscienza senza però nutrire concrete speranze di sentirsi meglio dopo: “Non sono amico di André, gli unici rapporti che ho intrattenuto con lui sono sempre avvenuti per tramite vostro. Ma è normale sentirsi a disagio, credo. Non si ruba la donna a un altro uomo. Se devo essere sincero, anche se non mi fa per nulla onore, ho anche… paura. A volte penso che potrebbe uccidermi, e non gli darei torto! Ma in mezzo a tutto questo io non riesco assolutamente a capire. Credevo che foste una coppia stabile e affiatata. Vi pensavo… felici. Vi ho invidiati per questo: almeno loro possono, mi dicevo... certo più di me, più di noi. Per questo a quel ballo mi sconvolsi, quando compresi che eravate voi e che mi stavate rivolgendo delle avances: non riuscivo a capacitarmene! Non capivo perché. Cosa succede, Oscar? Non lo amate più, vi siete lasciati? Capisco che dopo anni un rapporto possa raffreddarsi... capisco anche che voi possiate desiderare una relazione con un futuro, da vivere apertamente. Questo lo capisco, credetemi. Ma ho bisogno che me lo diciate. Devo sapere dove sto. State… tradendo André? Non state più assieme? Lui sa di noi? Ditemelo. Ditemi qualsiasi cosa possa indurmi a pensare che non sono il cane che sono per non avere saputo resistere al desiderio di avervi!”
Le ultime parole avrebbero dovuto lusingarla, ma non aveva la testa per badarvi. Di tutto quel discorso inverosimile e pazzesco continuava a rimbalzarle in testa solo la parola ‘anni’.
“Anni? Come anni...?” balbettò fra sé, smarrita, gli occhi spalancati nel vuoto. “Se la mia storia con André è iniziata poche settimane fa... Non è vero niente di quel che avete detto, Fersen!”
Lui rimase in silenzio alcuni istanti, come a cercare di elaborare le implicazioni di quelle frasi confuse: probabilmente gli aveva solo complicato le idee.
“Quindi c’è una storia fra voi,” concluse a bassa voce, dopo un po’.
“No!” ribatté lei d’impulso per poi smorzare il tono. “No, voglio dire... Abbiamo avuto una relazione, ma è iniziata poco tempo fa ed è finita quando... quando voi e io abbiamo cominciato a...”
Davvero è finita? Non mi sembra di ricordare il momento in cui hai lasciato André. In cui gli hai detto qualcosa. Credo che lui stia ancora là ad aspettare da te una risposta a una domanda che tu hai perfino dimenticato. Col cuore spezzato. Senza un occhio. Per colpa tua. Sicuramente si è accorto di te e Fersen. Cristo, perfino Fersen riesce a capire che tutto questo è sbagliato, e non sa nulla! Meriteresti che André ti prendesse a cinghiate fino a farti svenire, che ti cavasse entrambi gli occhi. Meriteresti...
Lo so! Lo so, Dio, lo so... basta, non voglio pensarci!
“Non crediate che ci sia qualcosa fra me e lui,” si affrettò a chiarire, incerta, andando a tentoni. Non capiva cosa stesse succedendo. Iniziò a pensare che Fersen potesse aver fatto tutto quel discorso per prepararsi a introdurre l’idea di una separazione, per farla finita. Forse si era stancato e voleva lasciarla, ma gli serviva un pretesto. “Non c’è nessun rapporto vecchio di anni fra me e lui, nessun... nessun rapporto,” insistette, testarda.
Si vedeva che lui non le credeva: serrava la mascella con nervosismo, stringeva e schiudeva i pugni senza accorgersene, fissando un punto imprecisato nell’oscurità. Come dargli torto? Nemmeno lei si credeva fino in fondo. Cosa stava dicendo? Ne era davvero convinta?
André è sempre stato l’unico rapporto che ho avuto.
“E la relazione a cui mi avete accennato, cos’era allora?”
Esitò, senza sapere cosa rispondere. Qualsiasi cosa avesse detto sarebbe suonata folle oppure squallida. Era il mio amante. Volevo provare a capire se potevo essere una donna. Volevo imparare il sesso da lui per poterlo fare con voi. Poi ci ho preso un po’ troppo gusto. Ancora adesso a volte mi manca…
“Parlate, vi prego. Voglio la verità, penso di averne il diritto! Voi, in fondo, sapete più o meno tutto quel che c’è da sapere di me.”
“È stato qualcosa di fisico,” cacciò fuori precipitosamente, la voce soffocata. Fredda, secca, troppo breve. “Solo fisico. Nulla di più.”
“Ma lui vi ama,” obiettò Fersen, con tono dolente.
“Sì, ma...”
“Lui vi ama,” ripeté, testardo, alzando la voce. “Non è possibile che voi non proviate nulla per lui!”
La direzione inattesa che stava prendendo la conversazione la gettò in una specie di panico. Le pareva che Fersen la odiasse, quei discorsi non facevano che confonderla. Si affrettò a rispondere, cercando di non palesare lo spaesamento: “Sento affetto per lui, certo, è naturale. Siamo cresciuti assieme! Ma non è altro che questo.”
Stava per dire che considerava André un fratello, ma si obbligò a tacere, rendendosi conto che sarebbe stata una menzogna. In un certo senso, meno diceva, meglio era. Meno parlava, meno... meno domande si doveva fare. E meno sarebbe stata costretta a scoprire che neppure lei riusciva a spiegarsi cosa provava, a capire dove disegnare le linee, quali parole scrivere sulle etichette.
Pensare ad André era complicato. Doleva ovunque.
A quel punto lui si alzò e iniziò a vestirsi, rabbuiato, in silenzio.
“Fersen, che avete?”
Non mi credete? E io mi credo? Se le cose non stanno come dico, allora come stanno?
Lui le diede le spalle per un po’ e poi si voltò a guardarla mentre si infilava le calze. Aveva gli occhi freddi e diffidenti e dei movimenti bruschi, rabbiosi. Era meno muscoloso di André, più pallido, più nervoso ed elegante, coi capelli chiari come lino che catturavano ogni minimo bagliore di luce.
“Io penso che voi mi stiate mentendo,” affermò lentamente, ma con sicurezza. “Oppure che mentiate a voi stessa. Non è possibile che abbiate il tipo di rapporto che avete con lui, con quella confidenza, con quella... intimità e vicinanza... che viviate ogni giorno ricevendo il suo amore... senza provare nulla per lui. Mi rifiuto di crederci. Mi dite che siete anche andati a letto assieme. E non lo amate? Dovreste essere di bronzo!”
Quelle parole la colpirono come una scudisciata. Non riuscì a replicare nulla. Rimase immobile, la gola secca, gli occhi sbarrati. Sentì qualcosa accartocciarsi, un dolore inenarrabile, dentro.
Dovreste essere di bronzo.
Era fredda, era un mostro: oh sì, era vero! Dio, come si era comportata con André! Cosa gli aveva fatto! Come poteva non riuscire ad amarlo dopo quello che lui le aveva dato? Dopo tutti gli anni, e l’amore, e il sesso e il sacrificio... Perché non lo amava?! Che razza di persona disgustosa era... e se ne era accorto anche Fersen!
Perdonami, André... perdonami...
Sentì le lacrime pungerle con violenza il naso, invaderle il bordo delle palpebre. Serrò con forza le labbra, cercando di trattenersi, ma era inutile. Non si sarebbe mai aspettata delle parole tanto rudi da Fersen. Scioccamente, aveva confidato nel fatto che non le avrebbe fatto male... credeva di avere raggiunto determinati traguardi con lui. Aveva pensato di piacergli solo perché l’aveva fatto godere a letto? Aveva davvero creduto che non sarebbe stato capace di accorgersi di quanto lei fosse vuota e fredda?
Dopo alcuni istanti, Fersen si chinò al suo fianco e le prese le mani fra le sue. Si era completamente rivestito mentre lei era ancora nuda, coperta soltanto dal manto dei capelli arruffati e dal sipario delle lacrime che, caritatevoli, le impedivano di vedere l’espressione di lui, impietosita o perplessa che fosse. Quando le parlò, però, la sua voce era di nuovo calda e pareva contrita: “Perdonate, Oscar. Sono un bruto. Non volevo darvi l’impressione di giudicarvi... È solo che il pensiero di André mi tormenta. Permettetemi di parlare sinceramente: io credo che, se voi doveste decidere di stare con qualcuno, questo qualcuno dovrebbe essere lui. Lo penso da tanto. Mi sento… inferiore a lui. Ricordate? Mesi fa vi dissi che vi invidiavo perché non avreste mai conosciuto la sofferenza che provo io: pensavo che voi foste felice con André, che viveste una relazione perfetta. Potevate stare in ogni momento della giornata con lui, vivere addirittura assieme a lui, senza che nessuno sospettasse di nulla o potesse dire qualcosa...”
Era assurdo: nonostante le assicurazioni di lei, sembrava che Fersen ci credesse ancora, a quella storia. Che non riuscisse a persuadersi che le cose non stavano così. E sembrava... soffrirne. Ma era invidia per qualcosa che avrebbe voluto avere a sua volta o era altro? Probabilmente la stava lasciando. Era così facile lasciarsi? Non sentiva anche lui, come lei, che ormai non era possibile, non potevano lasciarsi? Per un motivo tanto insensato, poi… no, non lo avrebbe sopportato.
Non capiva nulla, ma doveva controllarsi: non voleva che la umiliasse.
“Fersen, non vi comprendo,” si costrinse a confessare. “Cosa volete da me? Perché mi tormentate con queste domande se non credete alle mie risposte? Non mi piace questo gioco. Mi sembra che mi rimproveriate perché non ho la vita che pensate. Con che diritto? Chi siete voi per me?”
“Oscar, io... voi mi piacete. Da molto. Mi avete affascinato fin da subito, anche quando pensavo foste un uomo... al punto da farmi provare dubbi verso...” a questo punto lui si interruppe, emise una breve risata ironica. “È imbarazzante… ma mi avete fatto dubitare della mia sessualità. Poi scoprii che eravate una donna, in realtà. Ma c’era André. C’era lui, e io non avrei mai osato farmi avanti. Certo, c’eravate anche voi. Ricordate quando vi chiesi se vi sentivate mai sola? Era quando veniste a dirmi che dovevo allontanarmi da Parigi per dar freno alle malelingue, dopo l’incoronazione di Antonietta. Una delle tante volte in cui mi consigliaste di fare qualcosa che avrei dovuto capire da me. Vi ricordate? Vi dissi che mi sembrava inconcepibile che voleste vivere per sempre indossando un’uniforme, come un soldato, un uomo... quando eravate una donna così bella. Fu un tentativo di seduzione davvero maldestro, lo ammetto. Con altre avrei saputo fare di meglio. Ma voi non eravate come le altre: mi inibivate… Probabilmente vi offesi pure, non lo so. Ma mi gelaste. ‘Io non mi sono mai sentita sola o a disagio, la mia unica aspirazione è quella di occupare il posto di mio padre,’ mi rispondeste. Solo dopo capii che erano tutte frottole: in realtà non vi sentivate sola perché il posto al vostro fianco era già occupato. Allora mi rassegnai a considerarvi come un amico... il migliore. Ma ora... ora mi sta crollando tutto addosso,” confessò in una risata tremante, sollevando le loro mani intrecciate per cercare di scaldarle col suo respiro.
“Non sono un uomo,” replicò lei con voce sorda, amara, sciogliendo le mani dalle sue e stringendosi la coperta attorno alle spalle in un brivido. “E non ho una relazione con André. Ma a cosa serve che ve lo ripeta? Voi non mi credete.”
E mi fate pensare che forse è davvero come dite, che dovrebbe essere come dite. E questo mi fa male, mi fa... sentire come se avessi sbagliato tutto, come se stessi diventando pazza.
“Perdonatemi, Oscar. Non volevo farvi arrabbiare…”
“Non ho chiesto io che la vita mi venisse rovinata!” replicò lei, quasi arrogante.
Lui addolcì ancora di più la voce per risponderle: “Vi pentite della vostra vita? Non dovreste. Vi ha reso la persona unica che siete. Non ce n’è nessuna come voi. Chiedete ad André se non siete disposta a credermi. Lo sapete che vi ama, vero?”
“Sì, lo so… Me l’avete già detto. Se questa è la scusa ufficiale di cui intendete servirvi per chiedermi di interrompere i nostri incontri, non tergiversate tanto. Non me ne intendo troppo di queste cose, forse effettivamente è così che si fa, ma dovreste sapere che non sono una persona paziente.”
“Perdonatemi. È solo che... ho paura.”
“Di cosa?”
“Di fidarmi di voi. Di spingermi troppo oltre. Di mostrare il fianco... e venire ferito...”
Per quanto stesse cercando di recuperare il controllo e ottenere un certo distacco dalle proprie emozioni, non poté evitare che quelle frasi la colpissero fin nell’anima. Al contempo, però, qualcosa nel suo atteggiamento e nelle sue parole di autocommiserazione la fece scattare: “Se voi dite questo cosa dovrei dire io, allora? In tutti i vostri bei discorsi fino a ora non l’avete mai menzionata! Non pretenderete di farmi credere che avete trascorso tutto questo tempo a spasimare per me. Ve l’ho detto, io non sono come le altre: non potete pensare di prendermi in giro come fate con loro!”
“Ho amato molto Maria Antonietta e non ne faccio un mistero,” replicò pacato, e lei non poté evitare di sentirsi pungolata da una rabbia e un dolore frustranti: non era suo, non lo aveva toccato… non avrebbe mai parlato così di lei. “Ma è finita. L’abbiamo deciso di comune accordo: dovevo smettere di danneggiarla. Sapete bene che è sempre stato un amore impossibile.”
“Perché, il nostro rapporto invece sarebbe semplice? E ancora non mi avete detto cosa sono per voi. Vi aspettate che lo faccia io per prima? Non ne ho alcuna intenzione! Fra i due sono io quella che ha qualcosa... tante cose... da perdere! E la regina sa di me? Non credo proprio, giusto?” lo attaccò con ferocia, stufa delle formalità, del tatto, delle tergiversazioni, di essere l’unica sotto accusa.
“No, non lo sa,” si limitò a osservare, quasi neutro.
“Lo immaginavo. Alla fine sono solo un’amante. E neppure delle migliori, immagino. Di certo, non delle più comode,” sussurrò, prima di alzarsi e iniziare a rivestirsi a sua volta. “Non credo sia quello che voglio.”
Ecco, siamo al capolinea, e l’amore per lui è stata l’unica cosa che mi ha fatto andare avanti in tutti questi anni. Cosa farò adesso? Cosa posso fare…
Per qualche istante si udì solo il fruscio degli abiti.
“Oscar, per favore...” sussurrò Fersen, ancora accovacciato a terra. “Mi fa male che parliate così di voi stessa.”
“Fa male anche a me...” bisbigliò lei, immobilizzandosi nella penombra con solo la camicia addosso. “Cosa credete? È la prima volta che...”
Lui era commosso. Si avvicinò a lei e quasi timidamente le circondò le spalle con le braccia, da dietro, prima di confessare: “Oscar, voi mi piacete. Mi piacete tanto. Siete una bella donna, intelligente, forte. E – non lo avrei mai pensato – anche... incredibilmente passionale. A volte mi fate paura, è vero. Mi sembra di non essere alla vostra altezza, o di usurpare un posto che non è stato destinato a me. Come se voi foste troppo speciale per me. È una cosa che non ho mai provato, neppure con Antonietta, e sto parlando della regina di Francia. Ma se voi mi dite che mi posso fidare, che voi volete che ci sia un futuro fra di noi... Io faccio sul serio, Oscar. Ditemi subito se anche per voi è così, altrimenti forse è meglio smettere subito con questa cosa... e tentare di salvare almeno la nostra amicizia, finché siamo in tempo.”
La schiettezza di quelle parole la scosse. Lei non sarebbe mai stata capace di fare un discorso tanto semplice e sincero, di mettersi a nudo così, con dolce franchezza, quasi fosse una questione di affari. Era una vigliacca? O forse, semplicemente, a lei in realtà importava più di quanto importasse a lui, nonostante lui fosse capace di allineare tutte quelle suadenti parole? Dopo qualche esitazione sollevò le mani per posarle sugli avambracci di lui, stringendo un poco.
“Davvero non volete lasciarmi? Non sono un’avventura per voi?”
“No, Oscar, non lo siete. Spero che non lo saremo.”
“Anche io voglio fare sul serio, Hans,” confessò con voce soffocata. Basta reprimermi. Se non mi lascio andare, rischio di perderlo... cosa farebbe una donna, cosa farebbe la regina, ora? Si voltò di scatto, quasi con pudore, e si lasciò stringere dalle sue braccia, mentre affondava il volto nel suo collo. “Vi prego, non fatemi del male, Fersen. Sono così felice, così felice...”
Devo rischiare. Devo mettere da parte i dubbi, e rischiare.
Per questo la vista mi viene risparmiata?
Per vederla con lui?
Fine V parte
Sara mail to ultimegocce@hotmail.com
Continua
Sara, pubblicazione sul sito Little Corner marzo 2016
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