Inside -
Essere una donna
XIII
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Aveva un bicchiere in mano e beveva, guardando il muro della sua camera.
E
così è finita anche questa. Hanno ragione i poeti: l’amore non dura…
Rise talmente tanto da sentire fitte alla testa ogni volta che doveva riprendere fiato.
Le aveva fatto le sue promesse. Poi, senza neppure un pensiero, le aveva rotte. Così. Autoassolvendosi con semplicità, libero da ogni rimorso, perché solo lui contava e soltanto la sua personale sofferenza era degna di cura e compassione. Chissà se trascorreva le notti a piangere, commosso dallo spettacolo della sua vita di vittima del destino. Dopo averla tradita la prima volta aveva avuto il genio di azzardare l’unica mossa capace di farle sorvolare le sue infedeltà e farle riacquistare un briciolo di interesse in lui: le aveva offerto una via d’uscita. Dalle delusioni, dai doveri, dalla sua vita. Le aveva fatto credere in un futuro migliore, o almeno diverso, in Svezia. Sposami. Ricominciamo daccapo. Dopo, di nuovo senza dubbi e tormenti, con la noncuranza di chi vede soltanto le proprie ragioni e i propri problemi, si era rimangiato l’offerta e se n’era andato, indenne, senza voltarsi indietro. Come niente fosse successo.
Tutto quanto in scioltezza, lasciandosi appena gradevolmente solleticare in superficie da parole e sentimenti, come se la loro storia fosse stata un diversivo come un altro. Chissà quante volte l’aveva fatto con altre e chissà con quante l’avrebbe fatto ancora, senza mai pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato nel suo comportamento: in fondo, nei suoi rapidi e igienici trasporti privi di conseguenze, nelle sconcertanti proposte a cui non aveva mai davvero pensato di dare seguito, lui era stato, in un certo senso, fuggevolmente sincero. Forse una persona così non provava nulla o poco più di nulla. E certo non vedeva altro che se stessa. Non era neanche più sicura che lui provasse davvero amore per Maria Antonietta: forse gli piaceva solo il ruolo che quella storia gli consentiva di rivestire ai propri occhi. E la regina, cieca, di certo non avrebbe mai avuto – o, almeno, così lei si augurava – modo di accorgersene.
Sempre che la regina avesse bisogno di qualcosa di più.
O forse erano solo storie. Rimuginamenti sterili di una donna innamorata come tante e abbandonata come tante che nella rabbia e nelle accuse cercava morfina a poco prezzo per addormentare il proprio dolore. Forse lui amava la regina e non lei, e basta.
Cose che capitano.
Se non mi avesse tradita, se non avesse amato Maria Antonietta, forse
avrebbe funzionato. Ma mi sarei innamorata di lui se non avesse amato la
regina? Sarebbe stato lui senza amarla? Ha sempre avuto ragione André? Di
cosa mi sono innamorata se non dell’amore immenso e tragico che provava per
lei e di come questo lo trasfigurava ai miei occhi?
Ha avuto un senso, quello che è successo?
Beveva. Non per annegare il dolore, ma per riuscire a dormire.
Era distrutta, distrutta dalla gioia e dalla speranza che aveva nutrito per pochi attimi solo perché potessero strappagliele dal petto lasciandola nuda dentro. Per quanti anni ancora avrebbe dovuto vivere la sua vita? Non ne poteva più già prima, ma adesso era insopportabile. Non che le dispiacesse il suo lavoro, le gratificazioni e l’indipendenza che le erano concesse: ma vivere di solo lavoro, essere indipendente per nulla non le bastava più, se mai l’aveva davvero appagata. Aveva provato cosa volesse dire essere donna e ora avrebbe dovuto rassegnarsi a vivere da donna a metà, una potenzialità irrealizzabile e abortita, una vita spezzata.
Meglio essere uomo, allora.
Io ti amo ma tu non mi vedi neppure, pensi soltanto a quel cretino che non
avrebbe neanche saputo farti felice, che non capiva i tuoi bisogni, la tua
fragilità e soprattutto la sua fortuna. Potrei darti tutto quello che vuoi e
tu neppure mi vedi...
Non vedo, non vengo visto e inizio a non essere più così sicuro di esistere.
Avrebbe voluto gioire, perché in fondo aveva sempre pensato che sarebbe finita così, ma come riuscirci se lei piangeva? E se piangeva di nascosto per non fargli vedere il suo dolore, come se temesse che lui avrebbe potuto deriderla? Gli nascondeva le sue lacrime perché era umiliata, perché paventava il suo scherno e il suo senso di trionfo, e il fatto che lei si aspettasse queste cose da lui era solo il profilo della voragine che avevano scavato fra loro.
Almeno lo Svedese se n’era andato. Idiota. Bastardo. Aveva seminato lacrime e distruzione e se ne era andato illeso. Ma se n’era andato. Chissà perché. Questa volta doveva essere vero: non sarebbe tornato più, e se anche fosse tornato lei non lo avrebbe riaccolto, stavolta era sicuro. Erano di nuovo soli, lui e lei, com’era sempre stato e come doveva essere, e aveva sentito Oscar urlare a suo padre che non si sarebbe sposata: grida che erano staffilate, perfino il Generale si era spaventato.
Forse le cose ora sarebbero riprese come una volta. O forse sarebbero state un poco diverse: magari a volte lei l’avrebbe rivoluto nel suo letto e ogni tanto avrebbe potuto averla. Almeno l’avrebbe sentita, quando non sarebbe più riuscito a vederla. L’avrebbe fatta godere, perché così lei l’avrebbe voluto di nuovo e perché sarebbe stato bello farla stare bene, anche se il giorno dopo avrebbe dovuto strisciare come un verme fuori dal suo letto, mantenere le distanze e subire tutti i contraccolpi della sua disperazione. Ma avrebbe potuto vivere per una vita così.
In qualche modo sarebbero andati avanti assieme.
Se solo mantenessi almeno parzialmente l’uso dell’occhio destro. Come potrò
impedire al Generale di allontanarmi dal tuo fianco nel caso in cui
diventassi cieco?
“André!”
La voce di sua nonna, colma di rimprovero, lo riscosse ruvidamente dalle sue riflessioni.
“Sì?” rispose all’istante, sorpreso con le mani nella credenza, mettendosi inconsciamente sull'attenti.
“Per favore, invece di perdere tempo a bere,” e qui lo squadrò, disapprovandolo desolata, “dammi una mano e porta questo vassoio a madamigella Oscar!”
Perdere tempo a bere… certo, nonna, tu non puoi capire.
Ormai è
un attività scientifica, che richiede una precisione quasi matematica: bere
solo fino a un certo, ben preciso, punto, e raggiungere l’aureo stato che
non ti renderà inservibile il giorno dopo, ma che al tempo stesso fa sì che
le cose inizino a fluttuare, ad allontanarsi da te… che i problemi ti
sembrino estranei, lontani, leggeri, e tu puoi contemplarli con pacatezza
pensando che tutto si risolverà, in qualche modo, o che comunque sarà
sopportabile… e ti senti come se potessi fare qualsiasi cosa, anche andare
da lei. Forse solo Oscar potrebbe capirmi, ora: ormai le cose che ci
uniscono si contano sulle dita di una mano, e l’alcol è sicuramente una
delle principali, assieme a un cuore spezzato.
“Sì, sì certo, nonna, vado subito!” la assecondò, abbandonando di buon grado la bottiglia di liquore a favore della guantiera col tè, comodo pretesto per penetrare nel salotto privato di Oscar.
Erano giorni ormai che lei lo fuggiva. Quando era in casa tendeva a rinchiudersi nei suoi appartamenti, dove si sfogava sul pianoforte per ore intere, instancabile, come se pigiare burrascosa e metodica sui tasti fosse l’unica attività in grado di farla stare meglio.
“Ah, grazie André,” lo ringraziò con dolcezza dopo averlo sentito entrare nel salottino, voltandosi e accogliendolo con un sorriso sulle labbra, e quel sorriso gli trafisse l’anima: erano anni che Oscar non gli sorrideva così.
Dato che non gli era stato richiesto di andarsene, rimase ad ascoltarla in silenzio, appoggiato contro la porta d’ingresso, gli occhi chiusi per non innervosirla e non rendersi conto, una volta di più, delle difficoltà che gli comportava la semplice operazione di metterla a fuoco.
Quella sera non sembrava stare male, ed era parsa contenta di vederlo.
Qualcosa in lui cominciò a sperare.
Conclusa la sonata, Oscar coprì i tasti del pianoforte e prese a sorseggiare il suo tè in piedi, dirigendosi verso la camera da letto senza dare segno di notare la sua presenza: lo prese come un silenzioso invito ad allontanarsi e si adeguò con discrezione.
“Bene, Oscar, buonanotte.”
“Aspetta, devo parlarti,” lo bloccò lei, perentoria.
Se si sente pronta a confidarsi forse le cose si stanno per sbloccare.
Senza proferire verbo, si avvicinò a lei in silenziosa attesa.
“Ho parlato con la regina, oggi, e le ho presentato le mie dimissioni dall’incarico di Colonnello delle Guardie reali. Non ne posso più della farsa che è stata la mia vita fino ad adesso. Ho deciso che mi lascerò tutto alle spalle e che inizierò a vivere come un vero uomo.” Queste parole penetrarono lentamente nel suo cervello; le viscere gli si torsero inondandolo di sudore freddo, come se il suo corpo avesse afferrato prima di lui il senso e le conseguenze di quel discorso assurdo. “Ho esposto alla regina la mia piena disponibilità ad accettare qualsiasi tipo di incarico, anche ad andare in marina, pur di mettere finalmente alla prova il mio valore. Dal momento che ho deciso di vivere come un uomo, volevo dirti che non intendo più continuare ad avere il tuo aiuto, André. Vedi, ancora non so quale sarà il mio prossimo incarico, ma, una volta lasciata la Guardia reale, credo che non avrò più alcun bisogno di te. Devo imparare a vivere senza appoggiarmi a nessuno. Ecco, volevo dirti solo questo. Buonanotte, André.”
La osservò inoltrarsi tranquillamente nell’oscurità della propria stanza, intenta a cavalcare l'ennesima pazza crociata contro se stessa, persuasa, nella sua follia egocentrica e egoistica, di potergli dire cose simili senza che lui neanche azzardasse un qualche tipo di reazione. Come se quello che avevano condiviso fosse nulla, come se quello che lui provava non esistesse.
La seguì e parlò d’impulso: “Anch’io ti devo dire una cosa, Oscar: una rosa rimarrà sempre una rosa, sia essa bianca o rossa.”
A quelle parole lei si voltò di scatto, oltraggiata, ma la rabbia che le deformava i lineamenti era solo una maschera di coccio che non riusciva a dissimulare l’angoscia dei suoi occhi.
“Una rosa non sarà mai un lillà, Oscar,” ripeté con una pacatezza che assolutamente non provava.
“Vorresti dire che una donna resta sempre una donna in ogni caso, questo vuoi dire?” lo aggredì lei con prepotenza. “Rispondimi, mi devi rispondere, André, è importante!”
Lo schiaffo lo colpì con violenza, girandogli il viso di lato e facendogli perdere quel che gli restava della sua lucidità mentale. Senza aprire bocca, le afferrò con forza i polsi e li strinse per bloccarla, immobilizzandola senza alcuna fatica. La semplicità con cui riuscì a dominarla gli diede alla testa: tutto il male che lei gli aveva fatto, ed era così facile farle fare quello che voleva.
“André, così mi fai male!” si stupì Oscar, mortificata da quella dimostrazione di debolezza.
Le schiacciò le labbra sulla bocca, infilandole dentro la lingua con rabbia, con voglia, mentre lei si divincolava, sussurrava di no, si lamentava per la stretta con cui le dilaniava i polsi e i suoi gemiti lo facevano impazzire; la spinse contro il letto, crollando sopra di lei con tutto il suo peso, inchiodandola contro il materasso mentre cercava la sua pelle sotto le labbra, sotto i suoi denti, aveva fame di lei, era troppo che lo evitava, che lo respingeva e lo tagliava fuori, non lo sapeva lei che mancava al suo corpo, mancava al suo cazzo, non aveva mai avuto nulla da lei, soltanto questo, questo era il suo unico modo per sentirla vicina e senza non riusciva più a vivere, ormai sarebbe stato capace di uccidere per l’odore della sua pelle, il sapore della sua figa e la sensazione dei suoi muscoli caldi e umidi che si contraevano attorno a lui mentre ansimava e lo stringeva e lo graffiava, era la sua vita, la sua vita era tutta lì ormai.
“Lasciami o chiamo aiuto!” gridò lei nello stesso istante in cui le strappò la camicia; sentire l’aria e i suoi occhi sulla pelle, sentirsi nuda, spogliata, la fece cadere in uno stato di strana passività: continuò a opporsi, a essere rigida, a dire no, no, ti prego no, ma non cercò più di lottare, come se avesse capito che era inutile o non le importasse più di tanto. Non gli occorse troppo per privarla di tutti i vestiti e iniziare ad adorare il suo corpo come faceva sempre, sussurrandole di stare tranquilla, andava tutto bene, la amava, non se ne sarebbe mai andato, no. Chinandosi fra le sue gambe la scoprì asciutta e iniziò a leccarla, accanito, devoto, umile, operoso, come a implorare remissivamente l'avvento di una divinità che si negava e si divertiva così ad instillare il dubbio nei fedeli nel momento del bisogno; godeva, sì, stava godendo da morire, leccargliela era sempre stata la cosa che gli aveva dato più piacere, avrebbe continuato per ore ma non ce la faceva più, aveva bisogno di venire, non capiva più niente, gli facevano male le palle e con un solo colpo di reni fu dentro di lei e iniziò ad affondare, coprendo con una mano la sua bocca e la sua voce flebile che continuava a dire no no no per favore no, non poteva vivere senza di lei, lo capisci Oscar, io ti amo da morire, ti ho sempre amata, non ce la faccio a stare senza di te, non uccidermi, ti prego, non mandarmi via, se continui a farmi così male non ce la faccio ad andare avanti, mi lascio morire, Dio sto per venire, non voglio già, sto per e con uno scatto, un supremo sforzo di volontà uscì da lei e le schizzò sul ventre, ansimando feroce come se fosse appena riemerso da un’apnea che lo aveva lasciato in fin di vita.
Per gradi la mente gli si snebbiò, l’eccitazione lasciò spazio alla preoccupazione; scrutando l'espressione di lei, il suo cervello subito scacciò la preoccupazione per rimpiazzarla con l’orrore.
“Oscar… mio Dio, no, Oscar…” iniziò ad implorare, trascinandosi fino al suo volto inondato di lacrime, ma senza trovare il coraggio di sfiorarlo. “Dio, che cosa ho fatto…”
Lei era nuda, divaricata e dispiegata sul letto a stella marina, il seme che le si asciugava sul ventre, e non stava facendo alcun gesto per coprirsi; il viso voltato di lato, gli occhi sbarrati nel vuoto fra le lacrime, sorrideva con un sorriso folle; stava biascicando pianissimo alcune parole, ma André sulle prime non riuscì a coglierne neppure una. Tremando, si accostò di più a lei e finalmente iniziò a distinguere le sillabe della cantilena che lei sussurrava: “E così è questo… essere una donna… André? Dimmi, sono una donna, ora... una donna… sono una donna…”
Cosa ho fatto? Cosa cazzo ho fatto?!
“Oscar, perdonami, io…” cominciò, prima di ammutolire, rendendosi conto che non aveva il diritto di chiedere alcunché, men che meno di implorare perdono. Si alzò e la coprì con un lenzuolo, delicatamente, sentendo che la sua vita era finita, che dopo questo non c’era più ritorno. “Mi dispiace da morire, Oscar. Mi dispiace. Giuro su Dio che non ti toccherò mai più, che non dovrai più sopportare la mia vista, io te lo giuro.”
Mantenne la parola: a partire da quel giorno, per anni Oscar non lo rivide più e non seppe più nulla di lui.
Fine XIII parte
Sara mail to ultimegocce@hotmail.com
Continua
Sara, pubblicazione sul sito Little Corner settembre 2016
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