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Essere una donna

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“Cos’è questa novità? Lui ti corteggia e tu vieni a letto con me? Anche se non è soltanto lui a corteggiarti. La tua vita è diventata interessante da contemplare. Non che io possa vedere granché, purtroppo,” si rammaricò André, cinico.

Aveva un tono astioso e crudele, in totale contrasto con la dedizione tenera e smarrita con cui l'aveva accarezzata e posseduta poco prima, frenandosi in preda a mille fremiti, imbrigliandosi a fatica per poi insistere, dolce, deciso, lentissimo, per farlo durare più a lungo, per non lasciarla più andare.

È qui ogni sera. Allora avete fatto pace?” insistette con tono di scherno, voltandosi verso di lei con la testa sorretta pigramente da una mano. “State di nuovo assieme? Sembra ufficiale, ormai.”

“Smettila di parlare così,” lo rimbeccò, gli occhi fissi sul soffitto.

“Sono meglio i tuoi civilissimi silenzi e le tue magnifiche sterili scopate? Toglimi una curiosità: ma non senti mai il bisogno di chiarire con te stessa cosa stai facendo, che cosa diamine vuoi?”

Mi sento presa in una tagliola. Ho paura che tu te ne vada. Che decida che ne hai abbastanza di me, e sparisca. Se devo venire a letto con te per darti un motivo per restare, lo faccio. Se devo venire a letto con te per trovare un tempo e un modo per stare assieme a te e sentirmi me stessa... Non mi lasciare sola in questo casino che è diventata la mia vita.

“Non so risponderti!” replicò stizzita, incrociando le mani sul petto per coprirsi il seno in un automatismo rigido. “Ecco, sei contento? Non ne ho idea!”

“Non è una bella situazione,” convenne lui.

Oscar avrebbe voluto piangere.

“So solo che mi manchi,” bisbigliò, con un tono insolente e vulnerabile che li proiettò entrambi indietro, in riva a un fiume, a sedici anni con il sole negli occhi e tutta la vita davanti.

“Anche tu mi manchi, Oscar,” riconobbe lui, improvvisamente serio, triste, accarezzandole la gola e una guancia col dorso lieve delle dita. “Ma mi sembra che nella tua vita non ci sia più granché spazio per me. Cosa vuoi, che diventi il tuo amante? Vuoi poter venire a letto con me qualche volta? Se lui non ti soddisfa né nel corpo né nello spirito, dovresti tirare le tue conclusioni, non cercare dei ripieghi.”

“Mio padre vuole che lo sposi,” confessò, annaspando a tentoni per spiegargli in quale trappola fosse finita. “Lui oppure un altro, non fa differenza. Vuole che faccia dei figli per il casato.”

Questo lo colpì, se ne accorse dallo spessore del suo silenzio.

“Capisco. E tu… lo vuoi?” indagò lui, dopo una pausa pesante.

“No. Ho paura,” ammise, spalancando gli occhi per cercare di non lasciar cadere una lacrima. “Non so se è quello che voglio. Non ho mai pensato a dei figli... non voglio. Non dopo quel che è successo, non col modo in cui lui si sta comportando con me. Ma è quello che devo fare...”

“Dev’essere difficile essere te,” commentò André, rovesciandosi sulla schiena e incrociando le mani dietro la testa. “Ogni volta che ottieni qualcosa, poi devi scoprire che non era quella che desideravi. Impazzirei se fossi in te. D’altro canto, anche avere qualcosa senza possederla mai non fa molto bene al cuore.”

“Una volta non avresti mai parlato così.”

Eppure preferisco ancora le tue parole a quelle di chiunque altro. Perché tu vedi me, e non mi menti. Anche se cerchi di farmi male.

“Ho il cuore spezzato, cosa pretendi? E sono oltre qualsiasi interesse, Oscar. Sinceramente, non so come aiutarti. Ti chiederei di scappare con me e diventare la mia donna, ma non credo che ti renderebbe felice. Una volta ne ero convinto, ma una volta ero innamorato ed ero un cretino. Oh, non mi fraintendere, sono ancora innamorato, ma forse ora sono un po’ meno idiota. Perdere ogni speranza aiuta a vedere le cose come stanno, sai?”

Non è vero. Perché sto iniziando a pensare che tu sei l’unica persona fatta per me, e tu non te ne accorgi neanche.

“Non badare a quel che dico, Oscar,” sospirò, sedendosi sul letto per iniziare ad abbottonarsi la camicia. L’aveva recuperata a tastoni, notò lei con una stretta al cuore. Avrebbe voluto accarezzargli la schiena, le spalle, ma lo sentiva distante e indifferente. “Se vuoi venire a letto con me, vienici pure. Tanto non è come se possa dimenticarti, andare avanti e cercare un’altra donna per iniziare chissà che nuova vita. Solo, non aspettarti che ti tratti troppo bene, dopo: non ho ancora imparato a non sentire nulla.”

Lo vide infilarsi rapidamente le calze e dirigersi verso la porta, in procinto di uscire.

“Non andare via, André,” lo supplicò, prima di guardarlo sparire.

Le ricordò la scena in cui lei era scappata da quella camera, mesi prima, senza rispondergli nulla quando lui le aveva confessato di amarla.

Ma André le rispose, naturalmente.

“E dove vuoi che vada?”

 

“Non credo siate mai stata in Svezia.”

“Non posso dire di aver mai avuto questo piacere.”

Discorrevano pacatamente, passeggiando affiancati nel giardino di palazzo Jarjayes. Oscar era stata sorpresa da Fersen durante la sua camminata pomeridiana nel giorno di riposo, sola e senza il tempo di allontanarsi o trovare un paravento. Del resto, non aveva tributato un eccessivo impegno alla causa della fuga: per quanto rapido fosse stato, non poteva rinnegare il moto di gioia che aveva provato allo scorgere la figura snella ed elegante del conte stagliarsi contro il ghiaino del vialetto. 

Gli importa. Continua a cercarmi, non si arrende. Non mi lascia perdere… 

Ormai i loro rapporti si erano stabilizzati in una sorta di routine: trovavano spesso modo di trascorrere tempo assieme e Oscar non ne era più infastidita come all’inizio, nei primi tempi dopo il tradimento; in generale, gradiva la sua compagnia discreta, gli sguardi ammirati e la sua conversazione pacata, brillante e disimpegnata. Fersen si mostrava sempre rispettoso, non invadeva il suo spazio e le rubava poco tempo: era come se le descrivesse attorno ampi cerchi concentrici, entro cui lei era pressoché libera di muoversi.

Era quasi come se non fossero mai stati amanti. Erano quasi amici.

“E come la immaginate, la Svezia?” insistette lui, gli occhi grigi e distanti illuminati da una rapida lama di sole.

“Fredda,” compendiò pigra, ricorrendo alla prima parola che le venne in mente.

Lui rise della sua lucida sintesi. “Fredda? Sì, non posso darvi torto! È fredda e buia, e in larga parte disabitata. Ma esistono anche giorni in cui il sole non tramonta mai e notti in cui il cielo si screzia di topazio, smeraldo e di fuoco. Vi dirò: per quanto io ami la Francia, per quanto la consideri la mia patria di elezione, la Svezia a volte mi manca. Non credo che vi spiacerebbe poi così tanto viverci, Oscar: avete l’aspetto e la tempra di una delle nostre donne!”

Si fermarono accanto alla fontana a contemplare i reciproci riflessi increspati. Cos’erano? Un uomo e una donna? Due uomini? Solo poche settimane fa lei scivolava ogni notte accanto alla stessa fontana per offrirsi smaniosa e ansiosa al suo amplesso, e ora invece provava pietà e un senso di distacco per quella figura femminile confusa e insicura, accecata da fantasmi romantici e carnali.

“Vorrei vedere l’Italia,” confidò a Fersen per stornare il discorso. “Da giovane mio padre mi impedì di andarci – gli sembravano ghiribizzi da cicisbeo, ambizioni poco marziali –, poi non ne trovai più il tempo.”

“Come, non siete mai stata in Italia?” si stupì il conte, sgranando gli occhi. “Non è possibile! Dunque non avete visto Firenze, Venezia o Roma... no, dovete andarci assolutamente! Vi piacerebbe da morire. Con la vostra cultura e il vostro buon gusto sapreste apprezzarne i capolavori più di chiunque altro. Vorrei potervi fare da guida, Oscar… Se lo vorrete, dopo le nozze trascorreremo qualche settimana in Italia. Cosa ne pensate?”

Sospirò, prima di aggredire il discorso con riluttanza: “Conte, è da un po’ che mi riprometto di parlarne con voi. La vostra proposta di matrimonio...”

Fersen si affrettò a interromperla, per una volta senza curarsi di apparire brusco: “Oscar, proprio ieri ho ricevuto una lettera dalla Svezia, per la precisione da mio padre, in cui mi si chiede a che punto sono con i miei progetti matrimoniali. Mi viene ricordato che è mio dovere maritarmi e che, se non reperirò a breve una consorte di mio gusto e all’altezza della mia posizione, vi sono già varie candidate, da lui individuate, che attendono il mio sorteggio. Cosa credete, Oscar, che soltanto vostro padre prema perché vi sposiate? Io so di non poter sfuggire a questo obbligo, ma vorrei esercitare almeno una minima libertà di arbitrio e sposare una donna che possa rispettare e amare. Non condividete questa mia aspirazione, Oscar? E non trovate anche voi che – perdonate l’eufemismo – noi due siamo quantomeno estremamente compatibili? A dispetto delle incomprensioni e degli screzi, sono fiducioso che con il tempo potremo raggiungere un affiatamento solido che terrebbe lontane da noi le frustrazioni che funestano i matrimoni orchestrati per interesse.”

Era un discorso franco: un discorso che poteva capire, apprezzare. Intessuto di una certa venatura di cinismo che le infondeva quasi sollievo. Che fossero davvero fatti l’uno per l’altra, in un senso diverso da quello che era solita attribuire all’espressione? Compatibili: il medesimo ambiente, le stesse esigenze, un uguale sfondo di valori. Perfino gli stessi obblighi. Che fosse la scelta giusta?

Prima di riuscire a prevederlo, si sentì aprire bocca e confessare: “Conte, credo che voi dobbiate saperlo: ho ripreso la mia relazione con André.”

Per qualche istante solo il frinire delle cicale e lo scricchiolio del ghiaino sotto i loro piedi incorniciarono il silenzio calato di colpo fra di loro. Oscar lo udì schiarirsi la voce nel tentativo di incassare con classe, per quanto la dilazione nel tempo di risposta infrangesse qualsiasi apparenza di naturalezza. In un moto interiore irrazionale ed incoerente provò d’un tratto nostalgia per quelle scappate notturne che solo un attimo prima le erano parse puerili, il gelo del capanno, il sesso sfrenato e accanito, parzialmente insoddisfacente, quasi una dimostrazione di bravura, e le poche parole sgranate nel buio prima di cedere alla fatica del sonno. Allora era stata sicura di amarlo e credeva di poter essere prima o poi ricambiata: era come non averne mai abbastanza, tutto pareva autentico, reale, vivo ed emozionante, da afferrare e da divorare prima che fuggisse; adesso, lei e Fersen sembravano due compagni d’affari seduti a un tavolino ad elencare le clausole, i pro e contro di un contratto che andava firmato per forza. Come cambiano le cose…

“Avete voluto farmela pagare?” la voce amara di lui la riscosse, la riportò alla realtà di ciò che aveva appena ammesso soprappensiero, senza comprenderne appieno la crudezza. “Farmi capire cosa si prova? Perché penso di averlo capito.”

“No, non è stato questo,” si stupì, rendendosi conto di quanto le sue azioni potessero apparire equivocabili. Lui la fissava con uno sguardo arrabbiato e deluso, che pretendeva risposte. “È semplicemente successo, e mi sembrava… giusto dirvelo.”

Aveva scopato André per vendicarsi di Fersen? No. No, assolutamente no. Ma spiegare i motivi per cui l’aveva fatto... e rifatto... e rifatto... non era semplice. Neppure lei riusciva a vederli con chiarezza. A volte si chiedeva, con sgomento, se non si stesse impedendo di vedere: ma se era così, di cosa aveva paura? L’aveva fatto perché si sentiva sola, delusa e tradita. Perché André le mancava, perché temeva di perderlo e questo glielo faceva volere ardentemente, come se stesse già provando nostalgia e non desiderio, anche se lui era ancora lì. Perché quella nuova, superficiale e viscerale aderenza delle carni era più facile da ottenere che tentare di ricostruire la loro antica intimità spirituale, logorata da anni di silenzi e fatta a pezzi più che mai da questi ultimi mesi di reciproche pugnalate. Perché lui era capace di farla godere da morire. Perché... perché aveva bisogno di riequilibrare la situazione: Fersen aveva Maria Antonietta, e lei... lei aveva André. Così era più facile sopportare il fatto che il conte non fosse suo, sembrava quasi giusto.

“Non sono mai stato geloso di una donna, Oscar, neppure della regina. Con lei ho sempre sentito di non avere diritti, di essere arrivato dopo. Di essere io l’usurpatore. Anche con voi, in un certo senso, provo una cosa simile... lui c’era da prima, in fondo. Ma è diverso, perché questa volta mi dico che dovrei essere io. Con voi, ho ogni diritto di essere io! Io posso sposarvi, portarvi via da qua, vivere una vita assieme a voi. Solo io vi posso offrire questo, Oscar. E non mi merito... non merito di provare questa paura di essere respinto da un momento all’altro dopo tutto quel che è successo, di dover rimanere da solo con un pugno di mosche in mano sapendo cosa ho perso!”

Quelle parole, pur se lusinghiere, seppero suscitare in lei solo uno stizzito moto di ribellione, di fastidio: effetti che le frasi romantiche di Fersen di frequente le ispiravano, in realtà.

E André perché questi diritti non li ha?, non riuscì a impedirsi di chiedersi. Aveva spesso riflettuto sulle disuguaglianze sociali e sulla loro intrinseca ingiustizia, ma sempre dall’esterno, senza rendersi conto delle implicazioni che comportavano circa loro due, di quanto il non aver mai neppure preso in considerazione André come suo possibile compagno potesse dipendere da tali leggi non scritte. Perché questi diritti li ha solo Fersen? Perché André non può chiedermi di sposarci?

Improvvisamente comprese.

Era per questo? Per questo andavi a quelle fetide riunioni rivoluzionarie aizzate da figuri ambigui nelle notti di pioggia? Non era perché odiavi noi, la nobiltà, perché odiavi me, ma perché mi amavi? Cercavi alla cieca in quella feccia e in quella rabbia un futuro per noi due?

Ogni volta che si rendeva conto di quanto André doveva aver sofferto per lei un’incrinatura le si allargava dentro: il terrore di avere sbagliato tutto. E come sempre quando si trovava con Fersen pensava ad André, mentre se era con André pensava a Fersen, e così l’incrinatura si allungava, si dilatava, piano piano, fitta dopo fitta lei si apriva in due e temeva che non avrebbe più potuto essere intera, spaccata com’era fra uomo e donna, dovere e piacere, lui e l’altro.

Fersen interpretò male la sua espressione di sofferenza: “Perdonatemi, Oscar. Potrete mai più fidarvi di me dopo quello che ho fatto?”

Non era una domanda stupida.

“Non lo so, Fersen,” rispose sinceramente. “Certo, quando le cose iniziarono fra di noi mi illusi che potessimo avere un tipo di rapporto a cui non credo più. Ora mi chiedo se potrei volere la relazione che potremmo realisticamente instaurare, e non so rispondermi.”

“Mi dispiace da morire, Oscar. Non avrei mai dovuto prendere alla leggera quello che mi stavate offrendo. Ho paura di aver rovinato tutto, e me lo meriterei,” constatò afflitto, prima di fermarsi a fissarla, grave. “Sposami, Oscar. Ricominciamo daccapo. Scegli me, ti prego. Con me non dovrai modificare nulla della tua vita: potrai continuare a vestirti come meglio credi, a comandare soldati, a... che ne so io, qualsiasi cosa tu voglia! Ti condurrò in Svezia, se lo vuoi, lontano da tuo padre e dalla regina, e farò l’impossibile per farti felice. Potrai continuare a fare il militare: non vedo difficoltà in questo. A nord siamo liberali. E per i figli... non so, forse un giorno scoprirai che ne vuoi, quando il nostro rapporto si sarà consolidato, o forse no: per me va bene lo stesso. Non è necessario pensarci ora. Sento che solo con te potrei dimenticare Maria Antonietta. Tu... tu mi hai fatto provare qualcosa di nuovo, mi hai fatto sperare. Nessun’altra è alla tua altezza. Non ti merito, lo so. Forse dovresti scegliere lui, che ti conosce e che ti ama meglio di me. Ma con me non dovresti nasconderti e non dovresti cambiare. Sono un cane, lo so, e gioco sporco. Ma, vedi, io non ho altro da offrirti.”

Capì che era una richiesta formale, definitiva: Fersen si stava quasi umiliando. Se non avesse preso sul serio questo discorso lui le avrebbe serbato rancore e le cose si sarebbero spinte oltre il punto di non recupero. Non poteva rubare altro tempo.

“Ho capito, Hans. Ma ho bisogno di pensarci ancora. La prossima volta saprò darti la mia risposta,” replicò lentamente, gratificandolo con quel ‘tu’ su cui lui stesso era scivolato, non era chiaro se per emozione o per calcolo.

Fersen annuì. Sembrava quasi commosso. Rimasero a fissarsi per qualche istante prima che il conte si avvicinasse, le stringesse delicatamente i polsi e la spingesse contro un albero. Calò le labbra sulle sue, lentamente, ambendo a baciarla con cautela, con dolcezza, e lei sentì il proprio corpo tendersi e contrarsi impercettibilmente, inequivocabile.

Non lo voglio, si rese conto. 

“No,” mormorò a denti stretti, voltando il capo e divincolandosi piano. “No, lasciatemi!”

Per un attimo infinito temette che non l’avrebbe lasciata, ma Fersen era un gentiluomo: seppure stupito, forse anche ferito, indietreggiò subito di un passo, sollevando le mani. La guardò per un lungo istante in silenzio, con un misto di indignazione e ironia negli occhi, prima di inchinarsi con cortesia impeccabile e fare dietro front, allontanandosi senza fretta dal luogo della disfatta. 

Aveva provato repulsione istintiva, quasi paura. Non sapeva se fosse stato il troppo tempo trascorso dall’ultima volta in cui lui l’aveva sfiorata, la diversità in tocco, sapore e odore rispetto al desiderio di André, con cui era ridivenuta di recente familiare, il tentativo istintivo di proteggersi dopo essere stata tradita, o altro… o il pensiero di quanto André avrebbe sofferto se lei l’avesse fatto, come se lo sentisse lì, accanto a lei, che la guardava tradirlo con dolore e rassegnazione negli occhi spenti.

 

Chissà, forse in Svezia avrebbero potuto ricominciare da capo, lontani sia da suo padre che dalla regina. Non sarebbe stato poi troppo diverso, lei avrebbe continuato a lavorare nell’esercito. Forse col tempo avrebbero imparato a stare assieme. Le premesse c’erano: entrambi in qualche misura lo volevano, quel futuro. Ma era sufficiente volerlo per poterlo avere? Era sufficiente, volersi? Lo pensava, un tempo: ora, dopo le incomprensioni, le delusioni e la solitudine, non ci credeva più. Bisognava guardare in faccia la realtà: due persone, per formare una coppia, dovevano sì volersi bene, ma anche avere interessi in comune, condividere aspirazioni, essere compatibili, insomma, o perlomeno disposte a piegarsi senza sentirsi sacrificate.

Che vita avrebbe fatto con Fersen? Non riusciva a immaginare come avrebbero trascorso le serate e i giorni liberi. Presenziando a balli o a ricevimenti mondani e ornando salotti votati al pettegolezzo, come da abitudine di lui che lei detestava? L’avrebbe dovuto accompagnare a feste e ritrovi in cui avrebbe trascorso il tempo a sentirsi sola ingombrante diversa ed a desiderare di essere mille miglia lontano da lì? Oppure avrebbero finito con il condurre esistenze separate, lui fuori, lei a casa? Dopo quanto tempo lui si sarebbe trovato un’amante? E quanto avrebbe impiegato lei a odiarlo? Non ce lo vedeva a girovagare con lei per le bettole dei sobborghi, a lasciarsi alle spalle la dura giornata grazie a un vino rosso bevuto in un consolante anonimato, oppure a perdersi in lunghe cavalcate solitarie, a leggere la sera davanti al camino mentre lei suonava, a analizzare esperienze, eventi, persone, viaggi... come faceva lei con André.

Con André era sempre stata bene, sì. Con André era naturale, la coesistenza. Era così normale stare bene con lui che non si era nemmeno resa conto di quanto fosse eccezionale raggiungere una simile intesa con un altro essere umano finché non aveva avuto modo di fare confronti. Ma scappare con lui, viverci assieme... sposarlo? Una cosa simile non era mai successa e sarebbe stata inconcepibile ovunque. E dove sarebbero vissuti? In che modo si sarebbero guadagnati da vivere? Lui non aveva nulla ed era... quasi cieco, e i beni di lei erano soprattutto immobili o connessi alle rendite che le elargivano le cariche a corte: avrebbe perso tutto, se fosse fuggita con lui; i suoi risparmi sarebbero bastati per qualche anno, e poi? Non conosceva lavoro se non quello di comandare soldati e suo padre le avrebbe dato la caccia. Si sarebbero tagliati fuori da tutto: avrebbero saputo bastarsi, loro due soli, in un mondo che non li conosceva e che non avrebbe potuto capirli? Avrebbe dovuto iniziare a vivere come una donna? A vivere camuffata, occultata, travestita da donna normale? Nessuna storia avrebbe potuto reggere sotto tutti quei pesi. E poi, con André? Un domestico? Non si poteva neppure prendere in considerazione un’idea simile: era come tentare di dare corpo ad una fantasia a metà fra il romantico e il morboso. 

Fersen era la scelta naturale: avrebbe dovuto considerare un positivo segnale di conseguita maturità il fatto di essere riuscita a capire che non sarebbe stata anche la scelta ideale.

 

Fine X parte

Sara mail to ultimegocce@hotmail.com


 

Continua

 

Sara, pubblicazione sul sito Little Corner giugno 2016

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