Autore: Nazarena
La danse de Puck
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André giaceva supino, le braccia incrociate dietro la
testa, la fronte aggrottata e gli occhi chiusi. Se li avesse aperti, avrebbe
visto solo il legno scuro del fondo della branda sopra la sua.
Non desiderava che un po' di pace, ma le probabilità che
quei dementi dei commilitoni non facessero baccano erano le stesse che aveva lui
di diventare Re.
Si alzò con la faccia nera come la pece e una gran voglia
di menar le mani, quando sentì una mano cadere pesante sulla sua spalla.
- Ma è mai possibile, amico mio, che ogni volta che ti
vedo tu abbia la faccia di uno che è stato appena pestato? -
- Alain... – constatò, mettendolo a fuoco.
- In persona! - Rise Alain. – Diavolo, amico, sei messo
proprio male! Ma sei ubriaco? -
- Magari. Stavo solo cercando di riposare, ma i signori
qui hanno la delicatezza di un branco di cinghiali. -
- Che c'è, André? - Intervenne Augustin posando un fante
di quadri sul tavolo. - Hai il sonno leggero? -
- Scusate, altezza -, rise un altro.
- Se vuoi dormire, ti aiuto io, ti darò una botta in
testa che ti farà sognare fino a domani! -
- Provaci pure, Augustin - lo istigò André, teso,
serrando i pugni.
- Con piacere! – Rispose quello, sbattendo le carte,
inutili, sulle assi malandate del tavolo.
Gli altri soldati ridacchiavano, pregustando la rissa,
qualcuno aveva addirittura già spostato il vecchio tavolo dal centro della
camerata per fare spazio, quando Alain sputò la cicca che stava masticando ed
imprecò.
- Maledizione, siete peggio dei cani rabbiosi, sempre
pronti a litigare! Oggi nessuno addormenta nessuno -, aggiunse, frapponendosi
tra André e il rivale.
- Ma è lui che ci ha provocato! -
- Già, lascia pure che ci provi a picchiarmi, Alain -
disse André, provando a superare il compagno.
- Sta’ zitto, André, - Gli intimò bloccandolo. - E tu,
Augustin, rimettiti seduto e continua la partita. Noi andiamo a prendere una
boccata d'aria. -
Con un tono che non ammetteva repliche, Alain sospinse
André verso la porta, mentre la camerata si riempiva del brusio deluso dei
soldati, contrariati per aver dovuto rinunciare allo spettacolo.
In silenzio, Alain e André percorsero il lungo corridoio
della caserma, fino a ritrovarsi sotto l'ampio porticato che delimitava il
piazzale d'armi. André inspirando l'aria fresca a pieni polmoni, si appoggiò con
entrambe le mani ad una colonna, tese le braccia e chinò stancamente il capo.
Alain soppesò l'eloquente atteggiamento dell'amico
scuotendo la testa.
- Ancora il solito problema, eh? – Azzardò, neanche poi
tanto a caso.
André annuì, senza parlare.
- Ci avrei scommesso, ma non mi sembra un buon motivo per
farsi pestare. -
- Smettila. Quell'idiota di Augustin lo avrei steso in
due colpi. -
- Già -, Alain si fece serio – ma a quel punto gli altri
cinghiali, come li chiami tu, ti avrebbero dato addosso in massa… e dubito che
ne saresti uscito intero. -
André abbassò di nuovo la testa, in un sospiro
trattenuto. orgoglioso.
- Forse era proprio quello che ci voleva... -
- Accidenti, ma che diavolo è successo, stavolta? Ne ho
sentite di idiozie uscire dalla tua bocca, ma mai di questa portata! -
André si staccò dalla colonna e fece qualche passo nella
la piazza assolata.
- Si sposa. -
Oscar si sposa…
Alain sgranò gli occhi, affiancandolo velocemente. Che
cazzo di notizia!
- Cosa?! -
- Hai sentito bene, Oscar si sposa. Stasera il generale
Jarjayes darà un ballo per ricevere le proposte. Il suo vecchio vice, il conte
Girodel, si è già presentato formalmente come pretendente, qualche giorno fa. -
Alain, nonostante l'impatto della notizia, si adoperò per
smorzare l'aria pesante.
- E tu hai pensato bene di farti ammazzare, invece di
andare a dire due paroline a questo Girodel. -
André abbozzò un sorriso stanco, chiuse gli occhi e alzò
il viso per sentire il calore del sole. Tanto, cosa poteva dire, lui…
- Possibile mai che il Comandante sia d'accordo? -
- Non saprei cosa risponderti - ammise André, - tranne
che di certo non è stata una sua idea. Comunque, il fatto che il ballo si terrà
significa che non si è opposta... o, più probabilmente, che lo ha fatto ma non è
servito. -
Alain si accarezzò la fossetta sul mento, pensieroso.
- E non c'è niente che si possa fare? Tipo uccidere
Girodel? Sabotare la faccenda? -
André sbarrò lo sguardo.
- Ma certo…
una grande idea… -
- André... – obiettò, ironico, Alain - per quanto capisca
il tuo stato d'animo, dicevo tanto per dire, non credo che sia il caso di andare
in giro ad ammazzare gente. -
- Ah, ma quale omicidio! Intendevo il sabotaggio… - si
concentrò. - Si potrebbe... magari… un'irruzione... -
- Certo, come no - sogghignò Alain. - Potresti
presentarti con il fucile in spalla, fare qualche minaccia, rovesciare un paio
di tavoli... -
- Cristo, Alain, meno male che mi ripeti continuamente
che sono tardo! - Rise André, dandogli una sonora pacca sulla schiena.
- Non dico mica che lo farei da solo! -
Alain lo guardò con aria interrogativa, l'umore
dell'amico era del tutto mutato e quell'ultima frase non lo rassicurava per
niente. André continuò ad elaborare freneticamente un piano avviandosi di nuovo
verso il portico.
- Verrete anche tu e un po' dei ragazzi. Ne uscirà fuori
un disastro, vedrai. Vi farò entrare io, tanto vivo lì. Li faremo scappare a
gambe levate! Oscar non si merita un trattamento del genere, e poi... - - Frena,
frena! - Lo interruppe. - Ho capito... sarebbe anche una bella idea, ma ti
ricordo che i ragazzi di cui parli volevano atterrarti fino a dieci minuti fa. -
- È perché ho fatto un po' lo stronzo, lo ammetto - disse
passandogli un braccio attorno alle spalle. - Ma so che hanno un debole per
Oscar ed io, al momento, sono in compagnia dell'unica persona che potrebbe
convincerli - continuò sornione.
Alain si morse le labbra. Aiutare André non gli
dispiaceva, aiutare il Comandante ad evitare un matrimonio imposto non gli
dispiaceva e l'idea di mandare a monte una festa di nobili, beh, neanche quella
gli dispiaceva... affatto. Tutto sommato non era una decisione difficile.
- D'accordo, proviamoci. Se riesco a convincerli, però,
sarai in debito con me. -
- Puoi ben dirlo - confermò André sistemandosi il
berretto dell’uniforme. - Comincerò col prendermi la piena responsabilità della
faccenda con Oscar. -
- Questo è sicuro - rise Alain, - ma non te la caverai
con così poco, signor “soffro per amore”. Se ho capito come ragiona il nostro
bel Comandante, e sono convinto di sì, non credo che punirà nessuno. -
L'amico lo guardò intensamente e tacque, mentre i loro
passi si dirigevano verso la camerata. Quando giunsero davanti alla porta, Alain
mise una mano sulla maniglia e si voltò verso André.
- Lascia parlare solo me. Hai fatto abbastanza danni per
oggi. -
André annuì alzando lo sguardo al cielo mentre entravano
nella rumorosa camerata.
La voce di Alain sovrastò nitida la confusione.
- Signori, un attimo di attenzione! - Esclamò chiudendosi
la porta alle spalle. - Abbiamo una donzella in difficoltà. -
Il salone del palazzo non era mai stato così bello.
Nessun ballo, ricevimento, neanche i matrimoni delle cinque sorelle Jarjayes,
avevano visto un simile sfarzo. Ogni angolo era allestito con magnifici vasi
pieni di rose, i lampadari rilucevano, quasi accecanti, la tappezzeria dei
divani e delle tende era stata tirata a lucido, mentre un quartetto d'archi
suonava le danze più in voga di Couperin e Martini. La servitù indossava livree
nuove di zecca e porgeva graziosamente agli ospiti vassoi d'argento con calici
di cristallo colmi di vini pregiati. Il generale osservava soddisfatto la scena,
come fosse un dipinto che si animava davanti ai suoi occhi, dall'alto della
grande scalinata di marmo.
Era di buonumore come non si sentiva da tempo; gli sforzi
organizzativi avevano dato un eccellente risultato. I pretendenti si erano
presentati in numero maggiore ad ogni sua più rosea aspettativa e, con ogni
probabilità, entro la fine della serata, avrebbe visto delinearsi per Oscar un
futuro fatto di sicurezza e tranquillità.
Scese tra gli invitati e prese un calice, destreggiandosi
tra le dame imbellettate, giusto un attimo prima che il valletto annunciasse
l'ingresso di Oscar. Emozionato, levò in alto la mano per brindare al nuovo
inizio della sua più cara figlia, ma, quando la vide, provò una tale sorpresa
che il bicchiere gli sfuggì dalle dita, frantumandosi sul pavimento immacolato.
Alain era riuscito a convincere in poche battute gran
parte dei compagni. Claude, Pierre e qualche altro avevano obiettato, sostenendo
che non intendevano aiutare un inutile orbo ma, quando André, contravvenendo ai
consigli di Alain, aveva preso la parola, trattenendo nella voce le emozioni,
ribadendo che l'intento era impedire che il Comandante dovesse sposarsi contro
la propria volontà, in breve, avevano cambiato idea. Augustin e pochi altri,
invece, non avevano voluto saperne, sebbene la prospettiva di una festa sfarzosa
in un palazzo nobiliare, alcool compreso, li allettasse non poco.
Perfino quell'ubriacone buono a nulla di Fermin si era
unito al gruppo, seppure chiedendo ripetutamente ai compagni lungo il tragitto
di ricordargli perché lo stessero facendo.
- Per il Comandante, Fermin, e per il vino gratis! -
Rispondevano sghignazzando.
A sentir parlare di vino, Fermin si acquietava e tornava
a sonnecchiare sul cavallo.
Ad ogni battuta sgangherata di uno dei compagni, André e
Alain si guardavano di sottecchi, il primo votandosi a tutti i Santi che gli
venivano in mente, perché l'impresa avesse successo, il secondo gongolando, al
pensiero dello spettacolo a cui avrebbe assistito a breve.
Giunsero a palazzo Jarjayes quando il sole era ormai
calato e la festa era iniziata da un pezzo.
André salutò con naturalezza le guardie al cancello
dicendo di aver portato dei soldati per ordine di Oscar.
- Strano -, commentò una di loro, - né Monsieur, né il
generale ci hanno detto niente in proposito.
- Naturalmente no, Michel, visto che lo hanno detto a me
- concluse André, fermo.
Le guardie, abituate da sempre ad essere di fatto dei
subalterni di André, fecero spallucce e li lasciarono entrare senza ulteriori
domande.
Alain affiancò André spronando il cavallo.
- Razza di bugiardo! Vedi che quando ti ci metti ci sai
fare? Temevo che avresti fatto a botte anche con loro... -
Non ricevette, però, risposta. André non lo ascoltava
più. Era totalmente preso dai suoi pensieri, diviso tra il desiderio di vedere
Oscar e l'angoscia di trovarla già tra le braccia di qualcun altro.
Quando il valletto, imbarazzato, annunciò l'arrivo dei
soldati della Guardia francese, gli astanti erano già in preda allo sgomento e
ad André bastò un attimo per capire il perché.
Al centro della sala c'era Oscar, bella come una dea,
fulgida ed eterea... fasciata in un magnifico abito di foggia maschile e intenta
a far volteggiare l'imbarazzata marchesa de Coiny.
I pretendenti, assiepati alla sua destra, con Girodel in
prima fila, si scambiavano occhiate basite e frasi concitate.
André tirò un enorme sospiro di sollievo e si diede dello
sciocco. Presentandosi con quella mise, la sua Oscar si era difesa da sola, ma
lui ormai era lì con tutti i compagni che si erano già riversati nella sala...
decisamente non era più possibile fare dietrofront.
Gli sguardi degli invitati interdetti passarono dalla
futura sposa vestita da uomo al manipolo di soldati che entrarono vociando
allegramente.
Neanche il tempo di ambientarsi, che i bravi militari
fecero colare a picco il ricevimento come una nave con lo scafo fallato in mezzo
ad una tempesta d'inverno.
Alcuni soldati si avvicinarono, baldanzosi, alle dame
inorridite, ma incatenate da anni e anni di ligia obbedienza all'etichetta per
poter rifiutare loro un ballo. Tutta l'armonia geometrica delle coppie che si
incrociavano danzando andò a farsi benedire, persa tra gli “Scusate se vi ho
pestato il piede, Mademoiselle” e i “Vi prego, Monsieur, non così veloce!”
Altri si misero a discutere come se nulla fosse con
conti, marchesi e duchi, lamentandosi del rancio e delle blatte, che infestavano
le camerate.
Fermin, completamente ubriaco, tirò la manica della
giacca del generale de Bouillé, interpellandolo: - Buonuomo, non è che mi
portereste del vino? -
Pierre, Jean ed altri presero d'assalto i camerieri,
svuotando metodicamente i vassoi d'argento e producendosi in chiassosi brindisi
alla salute del Comandante.
Il generale Jarjayes, annichilito, attribuì l'intrusione
alla precisa volontà di Oscar di rifiutare l'idea del matrimonio. Sapeva, però,
che, se avesse dato voce alla propria indignazione, si sarebbe esposto ancora di
più alla pubblica vergogna, per questo si impose di trattenersi e di tentare
almeno di contenere i danni.
Alain, accasciato sul bordo di legno scolpito del
corrimano della scalinata, osservava la scena estasiato, tenendo sott'occhio sia
André che il Comandante.
Oscar, dal canto suo, superato il primo momento di
stupore, aveva intuito subito che quell'invasione poteva essere opera solo di
André e ne ebbe piena conferma quando lo scorse in un angolo, all'altro capo
della sala, intento a guardarla, con un'espressione colpevole e un mezzo
sorriso.
Istintivamente, gli sorrise anche lei ed, in quel sorriso
goffo, mise tutto: la gratitudine per esserle venuto in aiuto, il rimprovero per
averla creduta indifesa, la comprensione della sua sofferenza e la
consapevolezza dell'impossibilità di alleviarla.
La verità, però, era che quell'inaspettata intrusione le
permetteva di concludere la sua pagliacciata personale: se non fossero bastati
l'abbigliamento e i suoi atteggiamenti tutt'altro che femminili, ci avrebbero
pensato i soldati della Guardia ad attirare l'attenzione, dissuadendo gli idioti
che avevano intenzione di chiedere la sua mano.
Sollevata e decisamente più leggera, diede il benvenuto
ai suoi uomini, li invitò a gran voce a godersi la serata e, subito dopo,
attraversò una portafinestra e uscì in giardino, sparendo dietro una sontuosa
tenda di broccato.
André la seguì, facendosi strada tra le coppie
volteggianti. Non sapeva cosa le avrebbe detto, ma doveva parlarle.
La contessa d'Apreille e la marchesa de Fintresse, però,
sue ammiratrici da lungo tempo, gli bloccarono il passo, sfilandogli davanti con
i ventagli piumati: “André, da quanto tempo…” “Cosa ci raccontate…” e
schermando, per un unico, vitale, istante, la sua visuale. E fu un istante
cruciale, perché, proprio allora, Girodel scivolò, non visto, dietro la stessa
tenda che aveva attraversato Oscar.
Quando André, scansando, sorpreso, le insistenti donne,
“Scusate…” fu finalmente fuori, si fermò sotto il portico illuminato e dovette
mettere a fuoco lo sguardo, a fatica, per individuare Oscar, nella penombra del
giardino.
La vide, poco distante, la chioma bionda che sovrastava
un rigoglioso cespuglio di rose, intenta a discutere animatamente con Girodel.
André si bloccò, disturbato dalla sua presenza
inaspettata. Cercò di cogliere le loro parole, ma l'eco della musica e del
chiacchiericcio, sovrastanti, provenienti dall'interno, glielo impedirono.
Uno strano presentimento e una gelosia cocente gli
bloccarono le gambe, costringendolo ad assistere ad una scena che lo colpì con
la violenza di una sferzata di tramontana in piena faccia.
Oscar e Girodel si erano avvicinati l'uno all'altra.
Lei aveva smesso di parlare e lui le aveva preso il viso
tra le mani.
Nel momento in cui le loro labbra si toccarono, André
sentì che tutto il suo essere veniva reciso di netto. Era diventato un'esile
spiga di grano nel mese della mietitura.
Una valanga di pensieri lo travolsero, la sua mente si
rifiutò di accettare l'immagine e sperò con tutte le proprie forze che la vista
annebbiata gli stesse giocando un brutto tiro. Dovette, però, cedere
all'inesorabile evidenza; ciò che si stava consumando davanti ai suoi occhi era
la realtà.
Non riusciva a pensare, non riusciva a respirare. Un
suono sordo gli morì in gola, mentre credeva di soffocare, la vista si offuscò e
la sola cosa che riuscì a fare fu correre; correre lontano da lei, sopraffatto
dalla morsa di quel dolore lancinante.
Corse fino alle scuderie, finché le gambe non cedettero e
lui cadde in ginocchio, tremante, ai piedi del suo cavallo.
Se Dio gli aveva lasciato l'unico occhio per dover vedere
Oscar diventare di un altro, allora preferiva cavarselo.
Se Dio lo aveva lasciato vivere per provare tutta quella
sofferenza, allora preferiva morire.
Sfinito, si coprì il viso con le mani e pianse come un
bambino.
Oscar era uscita in giardino per respirare.
Grazie al provvidenziale arrivo di André e dei soldati
aveva potuto mettere fine alla sua assurda recita di quella sera. L'unica cosa
che desiderava in quel momento era stare sola... e respirare.
Lontano dal trambusto il flusso dei pensieri si fece più
forte.
André... era stato capace di soccorrerla anche quando
credeva di non averne bisogno, ma la verità era che, senza di lui, non sapeva
quanto ancora sarebbe riuscita a sostenere quella messinscena.
Era così stanca di lottare, di difendere il suo fragile
equilibrio dagli occhi invadenti che la scrutavano da trent'anni.
Aveva faticato così tanto per rimettersi in piedi, dopo
Fersen, considerò, sfiorando una rosa. Poi, la colse.
La voce di Girodel, che la chiamava con tono basso,
suadente, la colse di una sorpresa, che divenne pura stizza, quando lo sentì
rallegrarsi di essere rimasto il suo unico pretendente ufficiale.
- Non montatevi la testa! - Gli intimò, inalberandosi. Ma
non smetteva mai?
Eppure, lui ignorò le sue proteste. Continuò a parlarle
e, infine, Oscar, stanca di opporsi, si abbandonò al suono di quella voce,
conosciuta e rassicurante, come il canto ipnotico di un flauto. Di una sirena.
Girodel le ripeteva di arrendersi, di lasciargli tutto il
peso della sofferenza, di appoggiarsi a lui, di vivere secondo la sua natura.
Oscar chiuse gli occhi, cullata da quelle parole come da
una nenia, e immaginò se stessa guardarsi allo specchio. Vide il suo riflesso
sorriderle, finalmente libero da ogni vincolo, padrone (padrone?) di una vita
semplice, senza ombre, senza ambiguità e, per un solo, effimero istante, abbassò
le difese.
Fu in quell'attimo che Girodel toccò le sue labbra.
La baciò.
Il tocco anelante delle sue labbra, dischiuse, la scosse,
facendola tornare subito in sé.
Oscar si staccò, turbata da quel contatto, sconvolta
dalla sensazione che ci fosse qualcosa di enormemente, profondamente sbagliato.
Senza dare alcuna spiegazione, si scostò, bruscamente,
fuggendo, voltando le spalle a Girodel.
Il conte, interdetto, prese ad inseguirla, rinnovando il
suo nome. Oscar, Oscar… Oscar… in una nenia, fastidiosa, straniante, che la
urtava. Il suo nome, che era bello, che aveva un bel suono, che non l’aveva mai
messa a disagio, ora, le strideva nelle orecchie.
Eppure…
Eppure.
Mentre fuggiva, Oscar sentì uno strano calore risalire in
tutto il corpo e un ricordo prese forma, vivido e prepotente, nella sua mente,
senza che lei potesse fare niente per contenerlo.
Ricordò l'unica bocca che aveva sfiorato in tutta la
vita, ed era assai più febbricitante e tenera.
Ricordò l'unico bacio.
André.
Dovette fermarsi, perché le sembrò che il cuore potesse
uscirle dal petto.
Che cosa significava, quel vuoto allo stomaco? Perché…
perché, ora, all’improvviso, si sentiva bruciare, come se il suo corpo fosse
diventato incandescente?
Si asciugò la fronte sudata, correndo e correndo. Come a
volersi allontanare il più possibile, finché non fosse riuscita a calmarsi e a
trovare una spiegazione a tutta quella confusione.
Ancora la voce e i passi di Girodel, subito dietro di sé,
maledizione! L'avrebbe senz'altro raggiunta, doveva seminarlo.
Scattò, oltre una fitta siepe, approfittando della
penombra della sera. Insperatamente Girodel, improvvido inseguitore, la superò,
senza avvedersene. Quando fu certa che fosse lontano, Oscar si rialzò, ripulì
alla meglio i pantaloni chiari dal terriccio, dirigendosi verso le scuderie.
Alain aveva visto Oscar incitare i soldati a spassarsela
e, subito dopo, dileguarsi con, alle calcagna, un damerino effeminato che,
stando alla descrizione che gli aveva fatto André, aveva buone probabilità di
essere *quel tale Girodel*.
Lanciò un'occhiata verso André, che era poco lontano, e
lo vide attraversare la sala con la chiara intenzione di seguirli.
- Maledizione! – Imprecò, rinunciando a malincuore ad un
calice di pregiato vino italico, abbandonandolo su un gradino della scala. Che
cazzo fai, André? Si precipitò a fermare l'amico.
Alain dovette farsi, largo spintonando gli ospiti,
pervicacemente impegnati in un minuetto, sperando di raggiungere André, prima
che quello stupido spaccasse la faccia al conte.
Quando riuscì ad uscire, vide che André era fermo a pochi
metri da lui, di spalle, immobile come una statua di sale. Fece qualche passo,
guardò nella stessa direzione e rimase a bocca aperta. Lo stupore davanti alla
scena che vide fu tale, che si accorse che André era scappato solo dopo qualche
secondo.
Alain scosse velocemente il capo per riscuotersi e partì
all'inseguimento.
Tra una falcata e l'altra, considerando che il pericolo
omicidio sembrava scampato, Alain pregava il cielo che André non fosse, invece,
così idiota da fare del male a se stesso. Certo che il Comandante, però, a
lasciarsi toccare da quella specie di cicisbeo... Cristo, ma quanto correva,
André! Un maratoneta! Decisamente, era arrivato il momento di smetterla di bere.
Da lontano, lo vide infilarsi nelle scuderie e lo seguì,
determinato, con l'andatura più veloce che il suo affanno gli consentì.
Una volta dentro, fatti solo pochi metri, sentì un suono
che lasciava poco spazio ai dubbi. Un pianto. Di André.
Nonostante quel grido, quel dolore straziante lo colpisse
nel profondo, nonostante il desiderio di consolare l'amico, Alain tornò
silenziosamente sui suoi passi. Preferì uscire dalle scuderie.
Non aveva mai trovato che ci fosse nulla di disdicevole
nel pianto di un uomo, purché questo restasse un fatto privato. Di sicuro, André
doveva sentirsi già abbastanza umiliato, per quella sera. Si mise seduto, con la
schiena contro una delle pareti di legno esterne della scuderia.
All'uscita, dopo essersi sfogato in pace, André lo
avrebbe trovato lì, come per caso, pronto a fargli da spalla. Un nuovo, caro,
improvvisamente caro, amico. La cosa importante era che, a quanto pareva,
nessuno sarebbe morto quella sera, dato che, almeno, non erano andati al
ricevimento armati, considerò, sputando sull'erba, ancora affannato per la
corsa. Cercò la fiaschetta di riserva, per ristorarsi. Avrebbe smesso di bere,
poi. Non quella sera. Non con André messo
così.
Non erano trascorsi che pochi minuti, quando, davanti
agli occhi di Alain, si palesò un'altra delle numerose sorprese di quella
giornata. La figura esile del Comandante, anche lei di corsa, apparve lungo il
viale, chiaramente diretta alle scuderie. Cos'è, stava fuggendo
dall'imparruccato?
D'impulso, Alain fece per alzarsi, ma un pensiero lo
bloccò. Forse, per André, sarebbe stato crudele, ma era proprio il caso che si
incontrassero, che quella donna si rendesse conto, una buona volta, del male che
gli stava facendo e che gli desse una spiegazione.
Oscar entrò spedita nelle scuderie ed Alain si rimise
comodo al suo posto, abbassando la visiera sugli occhi, per difenderli dalla
luce della luna. Per non vedere. Per non sentire. soprattutto.
Ma, si sa…
Con gli occhi chiusi e le orecchie vigili, sentì per
l'ennesima volta dei passi in direzione delle scuderie. Sollevò il cappello con
uno schiocco delle dita, scrutò un uomo in arrivo, lo riconobbe e sospirò.
- Bene bene - commentò tra sé, - anche questo qui è dei
nostri, da non crederci. La festa avrebbero dovuto farla qui. -
Alain si alzò in piedi, non poteva permettergli di
entrare, bisognava trovare una soluzione, e alla svelta.
Riuscì a palesarsi con naturalezza, grazie al suo innato
aplomb indolente.
- Posso aiutarvi? Vi occorre il cavallo, Monsieur? -
Girodel sussultò, sorpreso da quella presenza nel buio.
- E voi chi sareste? -
- Alain de Soisson, del primo reggimento dei soldati
della Guardia, per servirvi. -
- Ah... - lo schernì Girodel - uno dei chiassosi
ospiti... e cosa fate qui, al buio? -
- Beh, diciamo che non mi sento molto a mio agio in
questi ambienti così sofisticati - disse ripensando con nostalgia all'ottimo
vino che aveva abbandonato sulle scale. - Se vi occorre il cavallo, sarei lieto
di prepararvelo. -
- Vi ringrazio, ma non sono qui per il cavallo. Cerco il
vostro Comandante, Mademoiselle de Jarjayes. L'avete vista? -
- Certo, sì - mentì Alain. - Il Comandante è passato poco
fa, prendeva una boccata d'aria, ma poi è tornato in sala. -
Girodel aggrottò la fronte.
- Vengo proprio da lì... molto strano - rimuginò. –
Grazie, soldato, andrò a ricontrollare. -
- Ai vostri ordini, Monsieur - ribadì Alain, mentre
Girodel gli allungava una moneta d'argento, rinnovando i ringraziamenti.
- Ma pensa tu... – fece, mentre il conte si allontanava.
Si rimise seduto, osservando la moneta posata sul palmo
aperto. Considerò rapidamente la lista dei propri illeciti per quella sera;
mancato turno di guardia, irruzione in casa di un generale e menzogna ad un
superiore. Ad occhio e croce, faceva almeno sei mesi di carcere duro. Invece era
finita che lo avevano pure pagato. Rise, rimettendosi ad aspettare.
Quello che Alain non poteva immaginare era che la sequela
dei pellegrinaggi alle scuderie fosse ben lungi dall'essere finita. Ma lo scoprì
presto, quando non fece in tempo ad incrociare le braccia dietro la testa, che
sentì altri passi, questa volta accompagnati da voci.
Ma che cazzo era, la processione di Saint Denis? Imprecò,
facendosi attento.
- Con i figli è sempre così, François,
non angustiatevi – disse una voce.
- Sono mortificato che lasciate il ricevimento, ma vi
assicuro, François Claude -, rispose un'altra – che quella sconsiderata di Oscar
mi sentirà. -
Alain scosse la testa, coprendosi gli occhi. Miseria
nera. Erano nientemeno che il generale Jarjayes e il generale de Bouillé.
Preoccupato, li osservò avvicinarsi mentre si scambiavano
ovvie frasi di circostanza, curiosamente vestiti dello stesso colore,
apostrofandosi con lo stesso nome.
Alain non poté fare a meno di pensare che nemmeno le loro
madri dovevano aver brillato in quanto a fantasia. E Oscar, anche lei, l’avevano
chiamata Oscar François. Pure… decisamente, i ricchi avevano poca fantasia.
- È diventata una festa un po' troppo movimentata per me
-, riprese de Bouillé, alludendo con garbo, per non offendere il collega, alla
presenza imprevista dei soldati della Guardia. - Per quanto riguarda Oscar, fate
bene. Ci vuole il pugno di ferro con i giovani di oggi. -
Lo avrebbe dato a lui, il pugno, di ferro, vecchio
rimbambito, pensò Alain. Ad ogni modo, poco male, la cosa sembrava stesse
risolvendosi da sé. Se il generalissimo stava andando via, si sarebbero diretti
al piazzale dietro le scuderie, dove sostavano le carrozze. Poteva tornarsene
alla sua veglia, decise, frugando nelle tasche, alla ricerca di una cicca.
- Prima che ve ne andiate, caro amico, lasciate, però,
che vi mostri il nostro ultimo acquisto, un purosangue arabo che è una
meraviglia - azzardò de Jarjayes nell'ultimo, disperato, tentativo di lasciare
l'illustre ospite con una nota positiva.
Ma no dai.
Cioè, no, sul serio?
E adesso?
Ma cazzo però.
Alain fece appello a tutte le proprie risorse, alla sua
buona stella, all'anima della nonna morta e alla Vergine Maria.
Poi, tentò il tutto per tutto.
I due generali si avvicinavano all'ingresso, blaterando
inutili minuzie su questa o quella razza di cavallo, quando udirono un suono
disgustoso ed inequivocabile.
Qualcuno stava vomitando e, a giudicare dall'entità dei
conati, pareva stesse buttando fuori anche l'anima.
Si fermarono, ammutoliti, davanti alla figura di un uomo
rannicchiato davanti alla porta delle scuderie, che ne bloccava l'ingresso in
preda ai rantoli.
- Che spettacolo raccapricciante – commentò, nauseato, de
Bouillé, mentre il povero generale Jarjayes taceva, basito.
Per fortuna, si disse Alain, anni ed anni di sbronze
nelle peggiori bettole parigine gli avevano dato le competenze sufficienti per
un'interpretazione di tutto rispetto.
- Venite, François, vedremo il cavallo un'altra volta –
disse, sbrigativo, il generale, prendendo l'attonito amico per un gomito; di
poter passare sopra a chissà quale poltiglia, con i tacchi delle scarpe nuove,
rivestiti di raso, non ci pensava neanche lontanamente.
Jarjayes, scioccato da quello e dagli altri, assurdi,
eventi della serata, non ebbe la forza di opporsi e si allontanò sottobraccio a
de Bouillé, chiedendosi, se per caso, non stesse impazzendo, in preda alle prime
traveggole della maturità.
Non appena i due si furono allontanati, Alain si attaccò
alla fiaschetta, per dare un po' di sollievo alla gola irritata per via dello
sforzo attoriale.
L'elenco dei crimini andava allungandosi, constatò. Ora
si era aggiunto anche il dare di stomaco davanti al capo supremo dell'esercito:
facevano altri tre mesi di carcere duro, in totale nove, sommati ai sei di
prima, facciamo anche un anno, se avessero scoperto che era pure una farsa.
Fortuna che, almeno, grazie al buio, non avevano potuto vederlo per bene. Si
alzò, rimettendosi alla vecchia postazione di guardia e sperò che la lista dei
visitatori si fosse esaurita, considerando, con un sorriso, che no, André
decisamente non sarebbe riuscito mai a sdebitarsi, neanche in un'altra vita.
Quando Oscar entrò, ansimando, nelle scuderie, pensava di
prendere il cavallo e galoppare verso Parigi.
Afferrò uno dei vecchi mantelli degli stallieri e si
diresse verso le selle, mentre il fieno, sparso sul pavimento di legno, attutiva
il suono dei suoi passi decisi.
Mentre avanzava, sentì un respiro sordo e percepì
distintamente la presenza di qualcun altro, oltre lei.
- Chi c'è? –
La domanda non ricevette risposta ma Oscar, certa di aver
sentito bene, afferrò una piccola torcia e si inoltrò tra i cavalli.
Le bastò fare pochi passi per trovarlo, seduto a terra
con la testa tra le mani.
- André! - Esclamò fiondandosi verso di lui. - André,
cos'hai? Stai male? -
Oscar poggiò la torcia, si inginocchiò davanti a lui e
fece per mettergli le mani sulle spalle ma André la fermò bloccandole i polsi,
alzò la testa e la guardò con un'intensità che la fece trasalire, senza
nascondere il volto rigato di lacrime.
- André... – Ripeté, scrutando lo sguardo, arrossato dal
pianto. - Ma che cos'hai? -
- Non... non posso credere che me lo stia chiedendo -
Rispose dominandosi a fatica.
- Non capisco... ma che significa? – Chiese, sgomenta, i
polsi ancora serrati nella stretta di lui.
André, ripensando alla scena di poco prima, sentì la
rabbia risalirgli dalle viscere e, con uno strattone, la attirò su di sé,
facendole emettere un gemito di sorpresa. Oscar finì seduta su di lui, gli occhi
spalancati, la testa sul suo petto e le mani ancora bloccate. André le parlò col
volto chino sul suo, poteva sentirne i capelli coprirle le guance.
- Ho visto tutto – disse con durezza.
Oscar incassò quelle poche parole come un pugno allo
sterno. Impallidì e sperò di sbagliarsi, ma sapeva benissimo che André poteva
riferirsi solo ad una cosa. Ebbe timore della sua reazione.
- Qualunque cosa tu abbia visto, ti prego, lasciami... -
Lo implorò quasi tremando. - Hai giurato che non avresti più... -
- Oscar, io non intendo in nessun caso venire meno a quel
giuramento – disse, lasciandola. - Sono solo stanco. -
Oscar si sciolse dalla sua presa e si mise in ginocchio
davanti a lui, mentre due calde lacrime tornavano a rigargli il volto, tradite
dalla luce rivelatrice della torcia. André ruppe il silenzio abbandonandosi ad
uno sfogo sincero, con la voce rotta dal pianto, ma sempre chiara e priva di
qualsiasi ombra di risentimento.
- Pensavo di aiutarti... pensavo non desiderassi
sposarti, pensavo che mia la sofferenza per questo sentimento fosse ormai
arrivata all'apice, dopo averti visto amare Fersen per anni... e invece mi
sbagliavo - si arrese piegando il capo. -
Sono arrivato come uno stupido con la cavalleria, credendo di salvarti,
ma ti ho trovata tra le braccia di Girodel... il destino non mi ha risparmiato
neanche questo. Non ce la faccio più, Oscar. Ma non temere - continuò alzandosi,
- non voglio essere un peso per te. Chiederò il congedo dall'esercito e me ne
andrò. Vederti diventare di un altro mi ucciderebbe. Ti auguro di essere felice,
Oscar. -
André, mentre la brezza notturna gli asciugava il viso,
guardò dritto davanti a sé e fece un passo per superarla e andarsene. Oscar era
senza fiato. La dignità che traspariva da quella voce sconfitta le faceva
sentire, sulla sua pelle, lo stesso dolore che doveva aver provato André davanti
all'immagine di Girodel che la baciava. E che cosa significava che voleva
andarsene? Voleva abbandonarla, proprio adesso che lei...
- Fermati – si sentì, sorpresa, intimare, perentoria.
- Perché? – Domandò. - Non credo ci sia molto da
aggiungere. -
Oscar si alzò e si portò di nuovo davanti a lui. Lo
osservava con una strana espressione e una luce negli occhi che André non riuscì
a decifrare.
- Ascolta quello che ho da dire -, cominciò Oscar – poi,
se vorrai ancora andartene, sarai libero di farlo, non ti tratterrò, ma prima,
ti prego... io… lasciami parlare. -
André si stupì, per quanto scavasse nella memoria non
ricordava di aver mai visto Oscar supplicare qualcuno.
- Ti ascolto. -
- Mi dispiace per quanto hai visto, credimi. Se avessi
potuto ti avrei risparmiato questo dolore. -
- Ti ringrazio, ma non credo che basti. -
- Ho appena iniziato - obiettò lei abbassando lo sguardo.
Ora veniva la parte difficile, la sicurezza di pochi attimi prima la abbandonò e
le parole si confusero. - Quel... quel bacio c'è stato, è vero, ma non significa
che lo sposerò... non lo sposerei in nessun caso... perché mentre mi baciava
io... -
- Oscar, ti prego - sospirò lui strofinandosi gli occhi
con una mano.
L'ennesima interruzione di André la innervosì e lo
afferrò per il bavero della giacca. Era evidente che spiegarsi con le buone non
era il suo forte.
Lui fu sorpreso, da quel gesto.
- Se non mi lasci finire giuro che ti prendo a pugni - lo
minacciò. - Sto cercando di dirti che non posso sposare nessuno... per te! –
- Che cosa? - chiese André, spaesato, mentre Oscar
tentava di spiegarsi con veemenza.
- Hai capito bene! Ho lasciato che Girodel si avvicinasse
perché… - esitò. Cosa sentiva non era così facile a spiegarsi… - Ti prego… -
Esitò ancora. – André… io… ero
stanca di difendermi, non ne potevo più... – Sperava che lui la comprendesse.
L’ansia le martellava nel petto, manco avesse quindici anni, il fidanzamento
delle proprie sorelle… - Ma, quando mi ha baciato, - esitò ancora, - Dio, ma
quanto era difficile! – Io… io ho pensato a te, ho pensato che… - Come glielo
doveva, appropriatamente, dire… -
che – Ossignore!!! Ma se non glielo dico, io lo perdo! – Le… - esitò, ancora, la
voce che le tremava… - le tue erano – infine, proruppe, rossa in volto,
trentenne, come una bambina - … le uniche labbra che conosco e – cosa stava
dicendo?!? Era impazzita? – Ma il ricordo era così caldo e vivo che… la realtà
mi è parsa sbagliata... come se appartenesse a qualcun altro di completamente
estraneo... -
André sentì il cuore farsi più leggero; mai si sarebbe
aspettato di sentirla pronunciare parole simili. Nel muro di difese che Oscar
aveva costruito negli anni, ammassando macigno dopo macigno, si era aperta una
falla davanti ai suoi occhi.
Le prese il viso tra le mani, mentre lei ancora era
aggrappata alla sua giacca e le sussurrò a fior di labbra: - E questo che cosa
significa? -
Oscar sentì che il cuore batteva troppo veloce e che
André era pericolosamente vicino.
- Non lo so che cosa significa... è successo così in
fretta... io non ci avevo mai pensato – ammise, girando il viso. - So che ti
chiedo molto, ma io ancora non so se sono chi mi hanno insegnato ad essere o chi
inizio a sentire di essere. La sola cosa che so è che non desidero che te ne
vada. -
André chiuse gli occhi sforzando di contenere la pulsione
vibrante del suo corpo, poggiò la punta del suo naso a quello di lei ed entrambi
rimasero in silenzio per un attimo che parve interminabile, mischiando i
respiri.
André la strinse a sé e le posò un leggerissimo bacio
all'angolo della bocca che la fece sussultare.
- Resterò con te... -
Oscar lo abbracciò, grata che avesse compreso e che fosse
incredibilmente disposto ad aspettarla ancora. Quando si staccarono dal lungo
abbraccio si scambiarono un sorriso, avviandosi fianco a fianco verso l'uscita.
Alain era ancora celato nell'ombra quando li vide uscire
vicini, quasi incollati, e con una strana espressione serena sul volto. Che quei
due zucconi si fossero decisi? Sollevato, riportò bruscamente entrambi alla
realtà.
- Bel ricevimento, Comandante! - Esordì palesandosi.
- Alain! - Esclamò Oscar - E tu cosa ci fai qui? -
- Beh, diciamo che non mi sento molto a mio agio in
ambienti così altolocati – disse, scoppiando a ridere.
Oscar e André si guardarono con aria interrogativa e lei
approfittò della presenza di entrambi per riprendere il consueto contegno.
- Vorrei proprio sapere da chi è partita la brillante
iniziativa di stasera - finse di indagare Oscar, cercando di apparire seria.
- Ah, già -, ricordò André battendosi una mano sulla
fronte. - Non avrai intenzione di punirci, vero? - Forse no - considerò lei,
guardando torva Alain, - ma se non mi sbrigo, vi arresteranno mio padre e il
generale de Bouillé. -
André rise allungando il passo.
- Anche te, André, non c'è niente da ridere - lo minacciò
Oscar, sforzandosi di mantenere il solito piglio.
- Ad ogni modo, vi farà piacere sapere che nessuno dei
vostri uomini vuole che vi sposiate, Comandante; il nostro André è in ottima
compagnia. -
Entrambi arrossirono violentemente. Oscar riprese il
controllo a fatica.
- Quindi hai raccontato tutto ai tuoi compagni... speravo
sapessero che si trattava di un semplice ricevimento. -
- Non ci ha parlato André, Comandante, ho spiegato tutto
io - intervenne Alain.
Oscar inorridì.
- Alain? Dici sul serio? E in che termini avresti mai...
- non osava domandare oltre. Eppure,
avrebbe voluto sapere.
André ripensò alla storia della donzella in difficoltà e
gli scappò un sorriso.
- Credimi, Oscar, non è il caso che tu lo sappia. -
Oscar esplose: - Ma io vi sbatto in isolamento per un
mese! - Disse visibilmente imbarazzata. - Adesso torno, dentro ma di questa
storia riparleremo! -
Li precedette, continuando a borbottare, i pugni stretti.
- Non darle retta - disse André con noncuranza.
Alain osservò la singolare luce che illuminava il volto
dell'amico. Ogni traccia di pianto era svanita. Gli mise una mano sulla spalla.
- Hai una faccia che la dice lunga. -
- Non capisco cosa vuoi dire - dissimulò André.
- Ah -, disse Alain spingendolo - non preoccuparti, lo so
che da quella tua bocca cucita non uscirà niente! -
André tacque con uno strano sorriso, poi vide il compagno
avvicinarsi con aria improvvisamente seria e si fermò, insospettito.
Alain gli posò una mano sulla spalla e gli disse con fare
grave:
- André, lascia l'esercito. -
- Cosa?! - Fece l'altro, stupito.
- Fidati, lascia l'esercito e rimettiti a fare il
galoppino dei Jarjayes. -
- Si può sapere che fesserie vai farneticando? -
- Dammi ascolto, André, con la paga da soldato ti ci
vorrebbero anni per sdebitarti, e, poi, se ti capitasse qualcosa, io resterei
pure fregato. – Continuò, sibillino.
- Ma di che diavolo stai parlando? - Chiese André, ormai
convinto che l'amico dovesse essersi scolato l'intera riserva delle cantine del
palazzo. Rimase in silenzio, poi lo guardò, con aria sospettosa: - Alain... ma
da quanto tempo eri là fuori? -
Alain pensò un attimo alla risposta. Poi fece, evasivo,
noncurante: - Il tempo necessario. -
- Che… che vuoi dire -, annaspò André.
- Ah, lascia perdere, cretino! - Rise Alain dandogli una
pacca con una mano e facendo saltare la lucida moneta d'argento con l'altra.
Pubblicazione del sito Little Corner giugno 2020
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