Autore: Nazarena

Ondine

Warning!!!

 

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 Illustrazione: Sydreana - Serena Benincasa Art

 

I cavalli percorrevano con incedere lento l'argine sinistro della Senna, mentre il sole si abbassava e tingeva i tetti di arancio e porpora.

Oscar sospirò, stanca, non si ricordava neanche più da quanto tempo non tornava a casa e quella giornata, chissà perché, sembrava infinitamente più lunga delle altre.

Erano ormai settimane che il suo reggimento aveva il solo compito di pattugliare le strade della capitale. “A Versailles basta la Guardia reale”, le avevano detto, e, di colpo, si era ritrovata catapultata, con tutti i suoi uomini, nel vetusto palazzo di rappresentanza della Guardia francese a Parigi.

Non avrebbe mai dimenticato la confusione dei primi giorni, tra i turni da riorganizzare, l'assegnazione delle zone della città, le camerate da sistemare, le continue grane da risolvere, la mole impressionante di crimini che si consumavano quotidianamente davanti ai suoi occhi e poi i soldati, quei dementi, che ci si mettevano, anche loro, con le urla, le lamentele, le risse, le richieste di aumento. Come se potesse darglielo lei, poi.

Qualcuno ancora le rinfacciava di essere una donna (cosa ridicola e a cui aveva fatto l’abitudine da lungo tempo – a iniziare da suo padre e da Girodel – André, mai -)  e, più di una volta, si era sentita dire “Io la notte non la faccio” o “Questa sbobba, mangiatela voi” o, peggio, bassezze del tipo “Se volete, qui ho una spada per quelle belle manine”. Per fortuna, ora che Alain era dalla sua, ci pensavano lui e André a rimettere a posto quelle poche - almeno questo - voci fuori dal coro. E lei, assolutamente, benedicendoli in cuor suo, li lasciava fare.

Un po' di tempo prima, avrebbe loro spaccato la faccia personalmente, ma erano finiti da un pezzo i giorni in cui poteva mettersi a duellare, per guadagnarsi il rispetto. Non che alcuni degli insulti più grevi non meritassero soddisfazione, non che non le fosse partito l'impulso di dare qualche calcio così forte da piegarle per sempre, certe “spade” di quelle, ma ogni momento era prezioso, ormai. Tutto ciò che non riguardava la tragica situazione, nelle strade di Parigi, per non dire di tutto il paese, le sembrava un'inopportuna perdita di tempo.

Non avrebbe mai immaginato che le sarebbe mancata Versailles, si stupì a pensare, mentre osservava il fiume, colorarsi di rosso scuro, le increspature dell'acqua, accarezzata dal vento tiepido, che si illuminavano di striature scintillanti.

Le fissò, rapita, mentre ondeggiavano, simili a un nugolo di dame danzanti, vestite d'argento.

Distolse lo sguardo, tornando a guardarsi le mani, serrate sulle briglie del cavallo.

Non aveva notato quanto fossero sudici i suoi guanti.

Ricordò con un sorriso amaro di quando non usciva di casa se non aveva i guanti bianchi e inamidati. Una volta, quando erano ragazzi, aveva ferocemente bacchettato André, dandogli dell'ubriacone, per una giornata intera, perché glieli aveva sporcati di vino e, da allora, aveva preteso di averne sempre un paio di scorta a disposizione.

Perché mai, poi, André stava bevendo del vino di prima mattina? Si sforzò, ma non lo ricordava più.

Qualche anno prima, sarebbe stata felice di allontanarsi dalla Corte, anche solo per pochi giorni.

Ricordava tutte le serate passate in qualche taverna di Parigi a bere con André, le passeggiate da sbronzi sulla Senna, il pane caldo, i bambini che giocavano a rincorrersi nelle stradine colorate dal bucato steso che danzava spinto dal vento, sembrava tutto così diverso... eppure non lo era.

D'un tratto, presero forma, davanti ai suoi occhi, dettagli che, fino a quel momento, erano coperti di grigio, come le parti in ombra di un disegno. Le taverne le tornarono in mente gremite di poveracci, le rive della Senna, come pure le botteghe dei fornai, erano popolate di mendicanti e prostitute, i bambini correvano scalzi sulle strade pietrose con i piccoli piedi sporchi di terra e sangue e non c'era uno degli indumenti, stesi ad asciugare, che non fosse liso e rattoppato...

Perché solo adesso vedeva con chiarezza?

Come era riuscita a sfuggire alla realtà, persino nei ricordi?

Forse aveva così paura di affrontarla, che aveva preferito rifugiarsi nel suo mondo.

Un mondo fittizio ma rassicurante, perché era il solo che avesse mai conosciuto.

Un mondo barricato dietro una facciata di cocciuta frivolezza, che non le era mai appartenuto, ma al quale, suo malgrado, apparteneva.

Un mondo al quale era legata a filo doppio, per nascita e per il ruolo, che aveva rivestito per anni.

Era stata il difensore della Regina per la maggior parte della sua vita, armata di una devozione cieca, che le aveva fatto chiudere gli occhi, davanti agli errori, che la sua fragilità la portava a commettere.

Le sovvenne lo sguardo, rassegnato, con cui André la guardava, quando si chiudeva nel silenzio di chi vede un'ingiustizia, senza potersi ribellare, uno sguardo, senza ombra di rimprovero e compassionevole, nella sua comprensione.

E la regina Antonietta?

Da quando aveva memoria e, fino all'arrivo dei figli, Sua Maestà aveva vissuto di ombrellini al sole, promenade e gazebi di rose, di intrighi, gioielli, di panier e tessuti pastello, di pomeriggi languidi, oziosi, trascorsi, in una noia assordante, ad osservare l'avvicendarsi di questa o quella dama alla spinetta, senza che ad Oscar fosse mai passato per la mente di redarguirla.

Con la nascita dei principi e il trasferimento al Petit Trianon, la situazione era precipitata.

Oscar rivide le occhiate indignate, percepì nelle orecchie i ricordi sia dei commenti maligni, ovattati dalle piume dei ventagli, sia delle offensive proteste, espresse apertamente. Risentì la semplice frase di André, pronunciata con la disarmante naturalezza di chi conosce la verità e non ha paura di ammetterla.

“Invece di criticarla, dovrebbero compatirla”, aveva detto, e lei si era inalberata. Un fiotto di sangue le aveva colorato le guance. Lo aveva rimproverato con durezza, gli aveva detto di smetterla, che un monarca non va mai compatito, in nessun caso. E lui aveva smesso e l'aveva guardata con quegli occhi, che conosceva così bene, e con così tanta intensità, che Oscar aveva temuto potessero piegarla.

La verità era che anche lei provava compassione. Lui, in fondo, era la sua voce. Quella non esprimibile.

Vedeva la profonda infelicità di una natura semplice, costretta in un ruolo, che il destino le aveva imposto, come pure vedeva la profondità vibrante di quell'animo gentile.

Sua Maestà non aveva mai preso una sola decisione con l'intento di nuocere a qualcuno, di questo era certa, nondimeno, la sua superficialità stava contribuendo a portare la Francia sull'orlo del baratro. Il nome esposto era il suo.

L'infelicità poteva essere l'unico alibi di una regina che non si era mai interessata alle condizioni del suo popolo?

Il solo fatto di non aver mai fatto un passo per uscire dalla propria inconsapevolezza, non costituiva di per sé una colpa?

Non aveva una risposta.

E che dire di lei, l'integerrimo ufficiale, che si era ostinata a difendere un regime di cui aveva sempre aborrito le contraddizioni, senza, però, avere mai il coraggio necessario per staccarsene?

Lei, la cui massima preoccupazione era stata, per anni, un amore non corrisposto, considerò amaramente. Questo non la rendeva ugualmente colpevole?

Neanche per questo aveva una risposta.

No.

Non era vero. La risposta c'era, a tutto, ed era chiara come il sole. Solo che faceva paura.

André avrebbe detto che non si può avere paura di ciò che si conosce e neanche di ciò che non si conosce, perché ci impedirebbe di affrontarlo. Proprio un vecchio gufo saggio, pensò, abbozzando un sorriso.

La faceva facile, il suo André... per lei era impossibile non temere una realtà che, come una marea aveva sommerso ogni sua certezza, e che incombeva su di lei, fragile come un vetro scheggiato, inesorabile, come una sentenza di morte.

Cercò di ribellarsi al senso di pesantezza che la attanagliava.

Ma perché mai, proprio oggi, tutta quella tristezza, quei pensieri opprimenti?

Si sforzò di trovarne la causa, frugando ad occhi chiusi nei ricordi, e finalmente seppe.

- André - chiamò a voce bassa.

- Oscar. -

Aveva risposto subito, come sempre. Ma sapeva che lo avrebbe fatto, sentiva che era dietro di lei, riusciva a percepire quando era vicino, anche senza vederlo. Come fosse stata cieca. Un'altra cosa che si era ostinata a trascurare in tutti quegli anni.

- Vieni più vicino. -

André accelerò il passo e la affiancò.

- Stanotte ho fatto un sogno - gli disse.

- Ed era un brutto sogno? -

- Era triste. -

- Vuoi raccontarmelo? -

- Non lo so. -

Tacque, sentendosi piccola e sciocca, poi si sforzò di parlare, arrendendosi al bisogno di farsi rassicurare dalla sua voce calma.

- Ho sognato una sirena. -

- Tu? Una sirena? -

- Sì. Una sirena sulla Senna. -

- E cantava? -

- Come? -

- Le sirene cantano per attirare i marinai. -

- No, la mia piangeva. -,

- È per questo che ti senti triste? È da stamani che, quasi, non parli. -

- Sarà sciocco, ma credo di sì. -

- Una sirena che piange sulla Senna - rimuginò lui. -  Non mi sembra niente di grave. -

- Trovi? -

- Sì. Le sirene sono pericolose quando cantano. Se la tua non cantava, puoi stare tranquilla. – Cercò di sdrammatizzare. Frugando nei ricordi di letteratura greca, mitologia, favole varie.

- Non tutte le sirene cantano. –

- Ah, no? - Gli sembrava accorata. Preoccupata. Voleva tranquillizzarla.

- No. Alcune portano presagi. Non ti ricordi? Ce lo raccontò una volta il nostro precettore. Mi ricordo che non riuscivo a capacitarmi di come un uomo potesse essere tanto sciocco da farsi uccidere dal canto di una donna. Protestai talmente che dovette parlarmi di queste altre sirene. -

- Accidenti che memoria! - Ammise lui, facendo un fischio ammirato.

- Già. Io prestavo attenzione, a differenza tua. –

Ma io, che c’entro?

- Non è proprio giornata, eh? - Commentò, decidendo immediatamente che non era il caso di provocarla. -  E, quindi, parli di un presagio... -

- Un presagio funesto, che annuncia qualcosa che non si può evitare. -

- Ehi, Oscar, come sei lugubre! -

- Dici che esagero? -

- Beh, spero proprio di sì -  rispose.

André si picchiettò la fronte con la punta delle dita.

- Niente da fare, queste sirene che non cantano proprio non me le ricordo. E, comunque, una sirena che piange sulla Senna secondo me lo fa solo per quanto è diventata sporca. Ci lanciano dentro di tutto! -

Oscar non poté fare a meno di lasciarsi andare ad un sorriso.

- Come darti torto... -

- E poi possiamo fare una cosa - continuò lui, - se vediamo una sirena che piange vado a dirle gentilmente di cambiare fiume. Tanto, se non canta, non credo che morirò, dico bene? -

- Sì, potremmo fare così. -

André le fece un sorriso dolce, di quelli che si farebbero ad un bambino spaventato e continuò ad avanzare al suo stesso passo.

Si immersero fianco a fianco nel buio del piazzale d'armi della caserma.

Il sole era ormai calato, nel cielo coperto si distingueva, tenue, una falce di luna e la Senna continuava a scorrere placida alle loro spalle, scura e silenziosa

 

 

 

Le foglie volavano, spazzando vorticose lo spazio lastricato, di un bianco abbacinante.

Si sentiva la febbre. Si sentiva male.

“Maestà, vi prego di ritirare le truppe…”

“Non posso farlo, mi dispiace…”

Sentì le lacrime gelarle le guance. Sentì che era troppo tardi.

Neanch’io posso farlo, mi dispiace…

 

 

 

La pioggia batteva, scrosciante, ingrossando la piena minacciosa della Senna in quella notte estiva.

Oscar giaceva, immobile, accasciata lungo l'argine, le guance rigate dalla pioggia, solcate dalle lacrime, e le due cose si mescolavano, mentre lei non capiva, e cadevano nelle acque del fiume nero, le narici piene di un odore di incenso e sangue, che neanche la notte e l'acqua lavavano via.

Un ricordo, d'un tratto, nel dolore.

Un'immagine lontana, una suggestione, così vicina, eppure figlia di un tempo ormai remoto.

La sirena.

Non esisteva nessuna sirena.

Quella che piangeva sulla Senna, era lei.

Lei, alla fine di tutto.

Oscar si girò supina, abbandonata, lasciando che la pioggia la colpisse, sperando che, pietosa, la annegasse nel fiume.

Parlami, André. Dimmi che anche questo è solo un sogno.

 

 

 

 

Pubblicazione del sito Little Corner giugno 2020

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