Autore: Nazarena
La fille aux chaveaux de lin o Ortensie azzurre del mio cuore
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O meglio, non ne aveva mai voluta un'altra, dopo che le
cinque Mesdemoiselles Jarjayes, in rigoroso ordine di nascita, avevano
felicemente lasciato il nido, avvolte in candidi veli e ostentando massicce fedi
nuziali, quasi troppo pesanti, per delle dita così magre. Non che André avesse
qualcosa da rimproverare alle signorine, tutt'altro. Erano gentili, premurose, e
delicate. Tante perfette, o quasi, miniature della madre. Il problema stava
piuttosto nel fatto che, durante tutta l'infanzia, e nei primi, lunghissimi,
anni dell'adolescenza, era con loro che André aveva dovuto condividere le
attenzioni di Oscar. Certo, questo non aveva impedito ai due bambini di
stringere un rapporto stretto, a tratti simbiotico. Non a caso, erano due
maschi, sentivano bisbigliare di continuo, da voci sottili e compiaciute che
risuonavano ad arte, quasi a voler inculcare loro a forza quella verità. Ma
entrambi sapevano che più diversi di così non avrebbero proprio potuto essere.
Erano piccoli, mica stupidi, sembravano dirsi nei loro acerbi sguardi
silenziosi. Ma quella era l'unica, muta, confessione che si fossero mai fatti
sull'argomento. Per il resto, avevano sempre evitato accuratamente di parlarne,
Oscar perché rifuggiva da tutto ciò che la riguardava e richiedesse una
spiegazione, André per non contrariarla e, soprattutto, per non incorrere nelle
ire del generale, ire funeste, se avesse scoperto che si azzardava a considerare
il suo erede come una femmina. Nonostante i due bambini, velocemente ragazzi,
trascorressero insieme gran parte del tempo, non di rado una delle sorelle
piombava tra loro, con la mastodontica pesantezza di un'incudine, e prendeva in
prestito il riccioluto “fratellino”. Sovente, una, due, talvolta tutte e cinque,
venivano a disturbarli in camera, mentre leggevano, o interrompevano
un'esercitazione, o li beccavano mentre stavano per uscire a cavallo, con i
piccoli piedi già nelle staffe.
- Oh, ti prego Oscar, devi assolutamente venire con me!
Dobbiamo andare a colazione dalla contessa de Lestrange! - Chiosava petulante la
voce di Clotilde, che non vedeva l'ora di esibire il suo prezioso fratello come
fosse un trofeo. Come se non lo sapesse che Oscar era una femmina.
Oppure era Marie-Anne, la maggiore, che neanche fingeva di
chiedere, forse dall'alto di quello che riteneva una sorta di diritto di
anzianità.
- Oscar, oggi niente spada.
È ora che
impari un po' di buone maniere. -
Pur sapendo che il generale non avrebbe tollerato che Oscar
venisse distratta dal serrato addestramento militare a cui l'aveva destinata, le
ragazze avevano imparato ad aggirare l'ostacolo usando il metodo più vecchio del
mondo: la menzogna. Mentivano spudoratamente, tutte, dalla più piccola alla più
grande, e modulavano le voci acute da dietro i ventagli di vimini intrecciato
producendosi in solenni:- Nostro padre è d'accordo. -
Nel tempo, spalleggiandosi l'un l'altra con quella
innocente bugia, avevano moltiplicato le richieste; ora smaniavano per una
lezione di equitazione, ora la trascinavano dalla modista perché volevano abiti
con le passamanerie coordinate per il ricevimento di chissà chi, una volta
Hortense, o forse era Catherine, André non se lo ricordava più, volle
addirittura di tirare di spada, e pretese di usare quelle vere.
Finì che si beccò un bel taglio sull'avambraccio, per il
quale pianse per un mese, ripetendo, nella profusione di singhiozzi che furono
le giornate in quel periodo, che sarebbe rimasta sfregiata per sempre. In
realtà, quando, col tempo, la ferita si rivelò per quello che era, cioè una
sottile linea bianca, Hortense, sì, a pensarci bene era proprio lei, prese a
mostrarla in segreto nei salotti alle varie contesse e duchesse, come fosse un
vezzo, e sorrideva, con l'aria di chi la sa lunga.
Lei, da giovane, raccontava tutta fiera, tirava di scherma
col fratello.
Da bambina, Oscar, a dispetto del caratterino volitivo che si ritrovava, non
riusciva proprio a sottrarsi alle sorelle, alla sfilza di richieste che arrivava
insieme alle loro gonne volteggianti. Ogni volta cedeva, e abbassava la
testolina sconsolata, prestandosi alla loro sequela di prepotenze che, secondo
il suo punto di vista, notoriamente poco flessibile, avevano tutte come scopo
delle vere fesserie. L'agognato, e del tutto fortuito, momento di mandarle al
diavolo, arrivò soltanto quando Oscar aveva già dodici anni. Tra Hortense, ormai
in procinto di sposarsi, e Josephine Louise, chiamata da sempre semplicemente
Louise, in onore della madre, che aveva diviso il proprio nome tra la
primogenita e la penultima nata, in effetti, l'ultima su cui avesse avuto voce
in capitolo, tirava spesso aria di maretta. La furba Hortense, sapendo che
presto avrebbe lasciato il palazzo e camuffando la cosa come fosse un regalo
d'addio, giocò un bel tiro mancino a Louise, e rivelò ad Oscar che il generale
non aveva mai saputo assolutamente niente delle “piccole distrazioni”, così osò
chiamarle, che si erano concesse. Anzi, in un moto di onestà, confessò che, se
avesse avuto un minimo sospetto, se le sarebbe mangiate vive. Oscar ingoiò la
stizza fumosa, evitando di dirle che solo col suo fondoschiena il generale
avrebbe potuto sfamarsi fino a Natale, e raccontò tutto ad André. D'accordo con
lui, aspettò il momento propizio per assestare alle bugiarde un elegante colpo
di grazia.
L'occasione non tardò ad arrivare. Giusto un paio di giorni
dopo, Catherine attraversava a passi svelti il viale. Si fermò al limitare del
prato, per non sporcarsi l'orlo dell'abito di mussola chiara. Oscar e André
erano nel pieno di un duello, tutti presi dalle prove di una nuova tecnica di
attacco.
- Oscar! Da’ un po' di tregua al nostro povero André -,
finse di preoccuparsi, lisciandosi le pieghe della gonna inamidata. - Sii
gentile, accompagnami a Parigi - e, come distrattamente, aggiunse: - Sai, ho già
parlato con nostro padre, non ha niente in contrario. -
Oscar si girò a guardarla, strofinandosi la manica della
camicia sulla fronte sudata.
- Non ne sarei così sicuro -, le rispose, in tono di sfida.
- Ma, se proprio non puoi andarci da sola, penso che andrò a chiederglielo io
stesso. -
Catherine, capita l'antifona, ruotò silenziosamente su se
stessa, gonfia come un tordo e, senza una parola, se ne tornò da dove era
venuta.
André, che in quei giorni se ne andava in giro gongolante,
neanche lo avessero fatto barone, considerò con piacere che la voce doveva
essersi sparsa in fretta tra le sorelle, quelle rimaste almeno, perché,
improvvisamente, smisero di importunare Oscar con le loro richieste assordanti.
Da allora, per lui cominciarono gli anni migliori di tutta la giovinezza. Due
lunghi, interi anni, prima che Oscar venisse nominata Capitano della Guardia
reale, in cui vide ogni giorno di ogni settimana, che diventava mese e poi
stagione, iniziare e finire accanto a lei. Ma, fino a quel momento, gli era
stata sottratta con l'inganno, innumerevoli volte, e aveva dovuto sopportare in
silenzio che se la portassero via, mentre a lui toccava puntualmente tornarsene
nella sua stanza, da solo, ad aspettare che le signorine si stancassero di
giocare.
In realtà, quello delle ragazze Jarjayes non era affatto un
gioco. Era il loro modo, puerile, talvolta inadeguato, di stare vicino a quel
loro strano fratello, che poi era una sorella. Era il loro tentativo, forse
neanche così inconsapevole, di alleviare quella che ritenevano la pena di una
bambina innocente, di ringraziarla, seppure con le loro attenzioni un po'
ingombranti, per aver dato la pace al generale e perché, da quando c'era lei,
avevano smesso di sentirsi in colpa di essere nate.
Dal giorno stesso in cui aveva messo piede a palazzo
Jarjayes, vedendo le signorine, chi ancora bambina, chi quasi fanciulla, André
aveva pensato che, da una figlia all'altra, il generale e sua moglie si fossero
perfezionati nell'arte della riproduzione. Era assolutamente convinto che una
cosa del genere fosse possibile, e che le prime cinque figlie fossero ciascuna
un tentativo, ogni volta più preciso, fatto per arrivare al prodotto finale, che
era Oscar, beninteso. Si rese conto solo da grande, una volta che ci ripensava
per caso, di quanto fosse abietto quel pensiero, specialmente dato che veniva da
un bambino. Ma poi aveva riso tra sé: i bambini sono la bocca della verità, e
non c'era proprio niente di sbagliato nel notare che da Marie-Anne, la
primogenita, che aveva ereditato il viso squadrato della nonna paterna, ad
Oscar, la bellezza e il temperamento andassero via via
affinandosi, e in maniera anche piuttosto evidente. Per arrivare a lei si
passava dai fianchi burrosi di Clotilde, alle labbra sottili e al caratteraccio
di Hortense, fino ai denti irregolari, seppure nel complesso avesse un sorriso
grazioso, di Catherine, dotata anche di quella che era un'ingenuità tanto
disarmante da far cascare le braccia.
La più bella e forte, dopo Oscar, s'intende, era Louise.
Aveva il suo stesso profilo, identico, come pure il taglio
degli occhi. I capelli avevano la stessa arricciatura morbida, anche se quelli
di Louise erano ancora più chiari. Erano di un biondo così chiaro che ci si
sarebbe aspettato di sentirla parlare una lingua nordica, e al sole rilucevano,
diventando quasi incolori, e prendevano la sfumatura del lino grezzo.
Ma la bella Louise era anche quella che aveva dato ad André
un'enorme gatta da pelare.
Era la penultima nata in casa Jarjayes, ed aveva solo un
anno più di Oscar. Le due piccole erano state concepite a strettissimo giro,
tant'è che prima ancora che Madame potesse riaversi dalla nascita di Louise, nel
suo ventre c'era già Oscar, l'ultimo dono di un generale smanioso, che, alla
vista della quinta figlia femmina, aveva iniziato a sragionare. A dire il vero,
stando ai racconti di Nanny, pareva che il padrone avesse dato cenni di
cedimento già parecchio tempo prima. Comunque sia, secondo i più, Oscar era nata
femmina per questo motivo: nella fretta di ingravidare la moglie, il generale
non le aveva dato il tempo di rimettersi per potersi impegnare a partorire un
maschio, e così aveva sprecato quelli che la servitù definiva volgarmente “gli
ultimi colpi in canna”.
- Ben gli sta, ben gli sta! - André sentiva che esclamava
la nonna, stizzita, quando qualcuno apriva l'argomento, che, peraltro, era anche
l'unico su cui lasciasse tutti liberi di esprimersi, senza dover temere
pentoloni e mestolate che piombavano sulle teste all'improvviso come castighi
divini.
Era il suo modo, l'unico che avesse, per obiettare al fatto
che alla sua adorata Mademoiselle non dovesse essere impartita una classica e
rassicurante educazione femminile.
Di Louise, bisogna dire che era una fanciulla bella e
volitiva, come Oscar, ma di indole assai volubile. Aveva un temperamento così
burrascoso, che l'influsso mite e pacato di Madame non aveva avuto alcuna presa
su di lei. Il destino, poi, aveva messo altra carne sul fuoco. Quando Louise
aveva quattordici anni, alla vigilia del suo matrimonio, il marchese che doveva
sposare cadde da cavallo durante una battuta di caccia alla volpe, spezzandosi
l'osso del collo. Louise aveva pianto disperata, nonostante conoscesse il
promesso sposo poco e niente e, quelle poche volte che lo aveva visto, avesse
riempito la casa di urla strazianti perché era vecchio e brutto. Dalla sua morte
però, più per porre l'accento sullo stato di mancata vedovanza che per una reale
afflizione, si era rinchiusa nella sua stanza, in preghiera e solitudine, e si
era appassionata alla lettura. Leggeva di tutto, poemi, romanzi, perfino libelli
pornografici, che non si sapeva come riuscisse a procurarsi e, armata della
fervida fantasia che si ritrovava, finì col convincersi che l'incidente occorso
al suo fidanzato non fosse stato casuale, e che lei fosse destinata ad amori
tragici ed impossibili. Proprio allora, forse pungolata dalle storie scabrose
che leggeva, notò che André era diventato un giovane piacente. In breve Louise
se ne incapricciò, ammaliata dai lunghi capelli corvini, dal corpo disegnato,
dall'aura ieratica e triste che si portava dietro.
Una sera d'estate, quando avevano entrambi quindici anni,
Louise gli tese un'imboscata dietro le scuderie. Aspettò che finisse di
governare i cavalli per saltare fuori da un cespuglio di ortensie azzurre e
buttarsi ai suoi piedi, professandogli amore eterno. André rimase basito, senza
parole, impalato come uno stoccafisso. Riusciva solo a pensare che Louise doveva
essere impazzita, e che, se qualcuno li avesse visti, per lui sarebbe stata la
fine. La pregò di rialzarsi, sottovoce, con la paura quasi di respirare.
Mademoiselle senz'altro si sbagliava, le disse, a rivolgere a lui quelle
attenzioni. La pregò di rientrare, subito, senza indugio, e di dimenticare ogni
cosa. Lui avrebbe fatto altrettanto, le assicurò, sperando che bastasse a non
farla sentire troppo in imbarazzo in seguito. Louise, piccata e offesa dal
rifiuto, saltò su dalla sua posa teatrale e lo fissò, furibonda.
- Io lo so perché dici così! Tu pensi solo a mio fratello!
Tu... tu sei innamorato di lui! - Gridò, coprendosi gli occhi con una mano e
lasciando l'altra sospesa, a mezz'aria, a completare la sua pantomima di dolore.
André sudò freddo, e per un attimo gli si annebbiò la
vista. Se Louise, mossa dal risentimento, avesse ripetuto quelle parole davanti
a qualcun altro, qualsiasi altro... allora sì che sarebbe finita. Sarebbe stato
ancora peggio che se li avessero beccati ad amoreggiare. Balbettante, cercò di
aggiustare il tiro ed accampò scuse su scuse. A pensarci bene, quella fu una
delle pochissime volte che mentì, in tutta la vita. André le sparò a raffica:
Mademoiselle non aveva capito, le sue parole gli toccavano il cuore, ma non
poteva permettere che l'onore di una fanciulla del suo rango venisse
compromesso. Presto avrebbero scelto per lei un nuovo sposo, ben più degno. A
lui non era concesso di sperare tanto. Louise, imbrogliata da una bugia che
l'urgenza aveva reso convincente, gli buttò le braccia al collo.
- Oh, caro! Potremmo essere come Tristano e Isotta! Uniti
in segreto fino alla morte! - Esclamò, appesa alla nuca di lui, le labbra
protese.
André strabuzzò gli occhi. Ma quali Tristano e Isotta! Ma
perché mai Louise non si era presa una passione per il cucito, invece di
riempirsi la testa di storie? Doveva immediatamente cavarsi d'impaccio. Se non
si fosse sbrigato, la fantasiosa signorina ci avrebbe messo un attimo a
trasformare quell'assalto in un amore clandestino, con tanto di morte finale.
- No, Mademoiselle -, disse staccandosi, con tono severo,
in cerca di tempo e di ispirazione. - Saremo... saremo come... - urgeva trovare
due degni sostituti. I primi a candidarsi per il ruolo furono gli sventurati
Abelardo ed Eloisa... forse un filino troppo sventurati, visto e considerato che
lui era finito evirato. André rabbrividì. - Oh, Mademoiselle Louise, saremo... -
la bocca si fece secca. - Saremo... - tentennò ancora. Il nome di Eloisa gli
ricordò una sua vecchia lettura, un romanzo epistolare di Rousseau che, lo
sapeva per certo, anche Louise adorava. Ma di tirare in ballo i due sfortunati
protagonisti non se ne parlava. André fu immediatamente sicuro, con un altro,
inaspettato brivido in quella sera d'estate, che a ripescare la storia della
giovane nobile che si invaghisce di un semplice precettore, Louise avrebbe
finito con l'immedesimarsi... un po' troppo. - Saremo... - Intanto lei lo
fissava, in attesa, con aria adorante, e lui fissava il vuoto, con aria ebete.
La cosa incredibile era che Louise fosse talmente presa, da dimenticarsi della
propria scaltrezza. In genere fiutava l'odore di un imbroglio con la precisione
di un cane da tartufo. André lo sapeva bene, si agitò e prese a boccheggiare. -
Sapete, saremo proprio come... - niente da fare, non aveva la minima idea di
cosa dire. Le mani di Louise tornavano a poggiarsi sul suo petto. Miseria nera,
ma perché si era andato ad impelagare in una citazione? - Saremo come... -
diamine, non sarebbe stato più semplice dire di no e basta? - Saremo come... -
Ecco! Trovati! - Saremo come San Francesco d'Assisi e Santa Chiara! - Vomitò
fuori, precipitoso. Riprese a respirare regolarmente. Sì, così andava
decisamente meglio. Due santi. Un suggerimento dall'alto, senza dubbio. Qualcuno
lassù doveva volergli molto bene... oppure provare molta pena, ma per il povero
André, in quella situazione miserabile, che l'aiuto fosse arrivato per un motivo
o per un altro, non faceva alcuna differenza. I due santi scelti non erano
francesi, ma erano famosi a sufficienza, e per giunta anche puri e casti,
perfetti per non lasciare grilli per la testa a Louise. - Ci apparterremo nello
spirito - aggiunse, solenne.
Lei, che era anche fervidamente devota, vide in quella
frase arrabattata la sublimazione di ogni idea che le fosse mai passata per la
testa sull'amore. Sarebbe stata come una martire, che immolava il suo amore a
Dio per non peccare di corruzione della carne. Oh, era così tremendamente
tragico!
- E ci apparterremo per sempre? - Quasi suggerì, facendosi
venire i lucciconi agli occhi.
- Sicuro! - Rispose André, col tono un po' troppo
entusiastico di chi vede la salvezza a portata di mano. Se avesse avuto un amico
accanto, probabilmente gli avrebbe strizzato l'occhio.
Ma Louise, tutta presa dalle sue fantasticherie, non se ne
avvide, e, dopo avergli estorto un abbraccio, se ne tornò verso casa, smuovendo
estasiata la ghiaia bianca con passi leggeri.
Guardandola allontanarsi, André sentì che gli tremavano le
gambe. Se se n'era accorta Louise, anche se era la più smaliziata, bisognava
proprio che fosse ancora più discreto, o in capo a poco lo avrebbero saputo
tutti... che la amava.
Era innamorato di Oscar da che aveva memoria, André.
La amava da quando aveva capito la differenza tra l'affetto
e l'amore, la desiderava da quando il suo corpo era stato in grado di farlo. Non
avrebbe saputo ricordare con precisione il momento in cui il bambino solitario,
seduto sulla sponda del letto ad aspettarla, con le gambette penzoloni, troppo
corte perché i piedi toccassero terra, si era trasformato nel ragazzo
silenzioso, che languiva per lei, che poi sarebbe diventato l'adulto triste,
talmente consapevole di quale fosse il suo posto che i piedi a terra avrebbero
toccato eccome, li avrebbe sentiti sprofondare in quella terra, e così tante
volte...
Ma André non avrebbe mai saputo trovare un principio al suo
dolore, né un perché.
Appena otto mesi dopo la dichiarazione appassionata, Louise
andò in sposa ad un conte di Nantes, e si accingeva a trasferirsi nella Loira.
Come previsto, aveva dimenticato in fretta André e la promessa d'amore eterno
tra le ortensie, tutta presa dal nuovo sposo, stavolta di suo gusto. Solo che,
in procinto di partire per la nuova dimora, mentre sfilava tra la servitù
schierata a salutarla, fu presa da un tremendo, tardivo rimorso, convinta che
l'essersi sposata equivalesse all'aver rotto un voto sacro. Quando arrivò
davanti ad André, peraltro perfettamente tranquillo, lo immaginò annegare in una
pozza delle sue stesse lacrime, prostrato dal dolore di saperla perduta. Si
ripromise di rimediare, sostituendo un secondo voto a quello infranto, ma poi,
forse impaurita dalla possibilità di finire all'inferno, o forse volendo
lasciare un'ultima, eclatante impronta di sé, scoppiò in un pianto
melodrammatico e fuggì in giardino.
Fortuna volle che il marito la stesse aspettando in
carrozza.
- Di’ un po' -, gli chiese Oscar all'orecchio, confondendo
le parole al brusio sorpreso degli astanti - hai fatto qualcosa a mia sorella? -
André fece spallucce e riuscì a sgranare gli occhi verdi in
un'espressione di sorpresa così genuina che Oscar non fece più domande.
Partita Louise, la casa perse l'ultima pallottola vagante
e, per qualche anno, André si godette indisturbato la presenza di Oscar. Certo,
tra i doveri di Capitano della Guardia reale, i capricci di sua Altezza, la
devozione quasi fanatica con cui Oscar si era presa a cuore l'inesperienza della
giovane delfina e le continue beghe di corte, immancabilmente a cura della
contessa Du Barry, non è che i due passassero molto tempo da soli.
Ma ad André bastava.
Per lui era sufficiente poterle stare accanto. La seguiva
come un'ombra durante le lunghe giornate a Versailles, pregustando il momento in
cui sarebbero rientrati a casa, fianco a fianco, talvolta galoppando veloci,
infagottati, per sfuggire al freddo tagliente, talvolta, quando le giornate
s'intiepidivano, tenendo i cavalli ad un passo tranquillo, per godere delle sere
miti. E allora parlavano di ogni cosa venisse loro in mente, e discutevano,
punzecchiandosi se non erano d'accordo, André sempre misurato e riflessivo, come
aveva imparato ad essere nei lunghi anni in cui aveva dovuto tenere a bada ogni
guizzo, Oscar invece più impulsiva, cosa che non si preoccupava di nascondere,
tanto c'era André, a mitigare i suoi slanci. E ridevano, o gridavano, quando lei
si inalberava e lui cercava di farla ragionare, oppure bisbigliavano e
abbassavano i toni, con la cautela che scattava di riflesso, quando
confabulavano di qualche
personaggio influente. Ma sempre le loro voci risuonavano insieme, per tutto il
tempo, spegnendosi solo alle ultime luci del tramonto.
Dopo cena, poi, arrivava quello che era il momento migliore
della giornata. Lì, sempre che Oscar non avesse qualche impegno ufficiale, erano
davvero soltanto loro. André trascorse lunghi autunni ed inverni davanti al
camino, con un calice di vino tra le dita, ad ascoltarla suonare. E le
primavere, e le sere torride d'estate, le passavano passeggiando in giardino, o
bevendo in qualche chiassosa taverna lungo la Senna, o duellando sulle sponde
del lago, finché diventava talmente buio che neanche le stelle si riflettevano
più sulle lame sguainate.
- Chissà come farei, se tu non ci fossi - gli aveva detto
una volta, una sola, tra le lacrime. Quella volta che André l'aveva tenuta
stretta, parando il suo slancio col corpo saldo. La volta in cui lei si sarebbe
fatta ammazzare per vendicare un bambino, straziato davanti agli occhi della
madre dal duca di Germaine, in un atto di crudeltà inaudita, nera come la sua
anima di carbone.
Avrebbe voluto dirle che non lo avrebbe mai scoperto, che
non l'avrebbe mai lasciata, ma ingoiò a forza la commozione, e la rabbia, la
stessa di lei, davanti all'ingiustizia, accontentandosi di conservare quella
frase tra i ricordi più cari.
Doveva essere sufficiente.
Era tanto, avere tutto questo spazio nella vita di una
persona che, crescendo, pareva diventare sempre più dura, che si gettava addosso
tutto quello che potesse inspessire la scorza.
André sapeva di essere un appoggio per Oscar, e di non
poter aspirare ad essere altro che questo.
Ma a lui... a lui andava bene così, o almeno così credeva.
Purché lei gli stesse vicino.
Era per questo che aveva aspettato, contando i giorni, che
anche l'ultima delle sorelle lasciasse la casa, e fu per lo stesso motivo che si
sentì venire meno, quando Oscar decise di punto in bianco di prendersi in casa
un'altra sorellina; la povera orfana parigina, mancata prostituta per un soffio,
Rosalie Lamorlière.
Ma se con le sorelle di sangue, sebbene fossero in cinque,
la situazione si era mantenuta gestibile, considerato che spesso passavano
intere giornate in cui non si facevano vedere affatto, con Rosalie fu tutto un
altro paio di maniche.
Non solo Oscar si era presa la briga di insegnarle tutto lo
scibile umano e di farne una gentildonna in piena regola (come, si domandava,
lui, dal momento che Oscar, in materia, era quantomeno una principiante
assoluta), ma pretendeva anche che diventasse una perfetta cavallerizza e
spadaccina. Di conseguenza, trascorreva con Rosalie ogni momento libero e la
piccola, in principio spaventata e sola al mondo, finì con l'invaghirsi
perdutamente della sua protettrice.
André se ne accorse subito, cogliendo la luce adorante
negli occhioni spaesati di Rosalie e, da quel momento, pur rimpiangendo
amaramente gli anni, troppo pochi, gli veniva da mangiarsi le mani, in cui erano
stati solo in due, iniziò a volerle bene. Lui era abituato all'attesa
silenziosa, alla bruciante lontananza dei corpi, all'illusione come unica forza
motrice dell'intera esistenza, ma la ragazzina no. Lei era ancora troppo giovane
a questo mondo, ed inesperta, ingenua, ed emergeva appena adesso da un cumulo di
povertà e dolore, per dover vedere i propri anni migliori consumarsi dietro ad
un amore irrealizzabile.
André cercava di aiutarla come poteva, e le ricordava, ad
ogni occasione buona, che Oscar era una donna, avendo ovviamente cura di non
farsi sentire dalla diretta interessata, sempre suscettibile sull'argomento, se
non era lei a tirarlo in ballo. E il numero di volte in cui era accaduto si
contava sulle dita di mezza mano.
Quello che André assolutamente non si aspettava era che
Oscar scendesse dal piedistallo che si era costruita nell'alto limbo della non
identità, e si rendesse conto della scuffia proverbiale della sua protetta.
- Sai, credo proprio che Rosalie abbia preso un
bell'abbaglio, con me... - lasciò andare, pensierosa, mentre la vetrata che dava
alla terrazza le restituiva l'immagine riflessa della ragazza, che la salutava
sorridente, da lontano.
André rimase di ghiaccio, allibito, faticando non poco a
trovare la forza di rispondere.
- Lo... lo credo anch'io -, balbettò soltanto.
Ma come, Oscar si era accorta, in pochi mesi, contro ogni
previsione, che Rosalie provava dei sentimenti per lei... mentre il suo amore,
che la accompagnava da sempre, che la seguiva, fedele, che aveva sotto gli occhi
da una vita, continuava a passare inosservato? O era stato particolarmente
bravo, cosa che non credeva, dal momento che ormai metà della servitù vociferava
alle sue spalle, oppure per Oscar lui era davvero... invisibile. Incorporeo,
come una folata di vento, e trasparente, come uno specchio d'acqua. Si sentì
annichilito, avviluppato nella terra fino allo stomaco.
- Sarà meglio che ti occupi tu di insegnarle a danzare -,
continuò lei, come distrattamente, e riprese a sorseggiare il tè fumante. - Tra
una settimana ci sarà il ballo da Madame Elizabeth. Tra l'altro, io sarò molto
impegnato a Versailles, non potrei farlo neppure volendo. -
Oltre al danno, la beffa. La frase di Oscar significava non
solo che aveva pochi giorni di tempo per insegnare a Rosalie almeno quattro o
cinque danze diverse, e che avrebbe dovuto padroneggiarle, condizione
indispensabile per poter presenziare ad un ballo ufficiale senza destare
sospetti sulle sue origini, ma anche, soprattutto, che lui era “esonerato”
dall'accompagnarla alla Reggia, e per un'intera settimana, per giunta.
- Allora, hai capito? - Chiese lei, seccata dal suo
silenzio.
- Ho capito, me ne occupo io. -
- Bene. Non finisci il tuo tè? - Chiese ancora, vedendo che
André le aveva dato le spalle, prendendo la via delle scale.
- Non mi va più - come in una estrema difesa, di rimando,
lui, appoggiandosi, improvvisamente stanco, al corrimano.
Le lezioni iniziarono quella stessa sera.
André, per tutta la giornata, si era tenuto impegnato nelle
attività più disparate, pur di riuscire ad ingoiare il rospo.
Alla fine era stata Rosalie, col suo candore disarmante, a placarlo.
- Ma... non viene Monsieur Oscar? - Aveva chiesto, quasi
spaventata nel vederlo arrivare da solo.
Poverina, non poté fare a meno di pensare André. Erano
proprio due naufraghi disperati, e stavano colando a picco sulla stessa barca.
- Mi dispiace, piccola. Dovrai accontentarti di me. -
- Oh, ma io non volevo certo dire... - si incartò lei. -
Scusami tanto, André... anzi... ti ringrazio, ti ringrazio con tutto il cuore! -
E lo disse con aria così sinceramente mortificata che André
si dimenticò tutta l'indisposizione.
- Avanti -, la incitò, ma forse era più un invito a se
stesso. - Abbiamo un lavoro da fare! Inizieremo con una courante.
È una
danza complessa, ma è anche uno dei balli più in voga a Versailles, sai? -
- Davvero? - Chiese Rosalie, incuriosita, e prese posizione
davanti ad André, stringendo la rassicurante mano tesa.
- Sì, è la danza preferita di Sua Maestà Maria Antonietta.
Adesso conta insieme a me: Un, due, tre... -
- Un, due, tre - ripeté diligentemente Rosalie.
In capo ad un paio d'ore, la spinosa questione della
courante era pressoché risolta. Rosalie, con la determinazione tipica di chi
è disposto a giocarsi il tutto per tutto, atteggiamento in antitesi con la sua
tendenza infantile alla commozione, sembrava dominare i complicati scambi e i
conteggi, e teneva il tempo alla perfezione. André si complimentò, e si
preparava a concludere, quando Oscar fece la sua inaspettata comparsa nel salone
illuminato.
- Monsieur! - Rosalie, ancora attaccata ad André, la vide
per prima.
Lui si girò, a tre quarti, tradendo l'emozione che, sempre,
gli dava la sua vista.
- Oscar! Hai fatto presto... -
- Sì -, rispose lei, accasciandosi su una poltrona. -
È
arrivata mia sorella Louise con le bambine dalla Loira. Sono venuto prima per
salutarla. Non l'avete ancora vista? -
Louise.
Erano almeno tre anni che non metteva piede a palazzo
Jarjayes. Dopo il matrimonio, aveva fatto visita ai genitori una volta soltanto,
anche perché aveva avuto subito, ed una dopo l'altra, due bambine. In compenso
scriveva sempre lettere interminabili, ed aveva addirittura inviato, come dono
di Natale, giusto l'anno prima, i ritratti delle sue piccole. Non sapeva che il
padre aveva degnato appena di uno sguardo i due quadri, commentando ad alta
voce: - Già due femmine. Avrà la vostra stessa maledizione, moglie mia. -
Nonostante il commento detestabile, sfumato nella
proverbiale, silenziosa, eleganza di Madame, i volti delle piccine erano finiti
ad abbellire lo studio del generale, appesi proprio dietro la sua scrivania.
Dell'unica volta che aveva rivisto Louise, André si
ricordava molto poco, ad eccezione di uno sguardo disperato, calcatamente,
ostentatamente disperato, che lei gli aveva lanciato, incrociandolo lungo le
scale. Era certo di aver scosso la testa: neanche la vita coniugale era bastata
a mitigare la sua teatralità.
André si era guardato bene dal ricambiarla. Era sparito,
veloce, inghiottito dal buio della tromba delle scale. Da allora, per fortuna,
non aveva mai più avuto il piacere di incontrarla.
Quello che André non poteva neanche lontanamente
immaginare, era che la zelante Louise non stesse aspettando altro che il momento
propizio per rimediare al torto, secondo lei un vero e proprio peccato mortale,
che gli aveva fatto prendendo marito.
- No, non l'abbiamo vista -, si riscosse, ritornando al
presente. - Ma... Oscar -, ebbe un'illuminazione - se non sei troppo stanco,
perché non prendi il violino e ci suoni una courante? Credo proprio che
Rosalie sia già pronta a provarla sulla musica... -
- Ma davvero? Di già? - Saltò su Oscar, incredula,
smettendo di armeggiare con i bottoni dell'uniforme. - Ma che brava! - Esclamò
poi e, nel farlo, strinse le guance di Rosalie in un buffetto affettuoso. Alla
ragazza quasi mancò il fiato, e divenne dello stesso colore dell'abito che
indossava; un bel magenta acceso. André, dal canto suo, vide in quel gesto, in
apparenza leggero, il superamento di ogni limite dell'umana sopportazione. Ma
come, neanche mezza giornata prima Oscar ammetteva i sentimenti di Rosalie e lo
lasciava a casa a fare il danzatore per non fomentare la cosa e adesso... la
accarezzava. E nemmeno una semplice carezza, le aveva proprio preso le guance
tra le mani e le parlava a meno di due pollici dalla faccia! Non si rendeva
conto che Rosalie era del tutto compromessa, che fraintendeva ogni gesto, che,
in quel modo, la illudeva? Possibile che Oscar riuscisse ad avvicinarsi a lei
con tanta semplicità, pur conoscendone i sentimenti, ma che continuasse a non
vedere che lui avrebbe dato qualsiasi cosa, pur di ricevere una carezza come
quella, pur di sentire che la bocca di lei gli parlava così da vicino?
Strinse i pugni, tanto forte che l'invisibile rete delle
vene dei polsi si gonfiò, e divenne plastica e pulsante.
- Voglio proprio vedere fino a che punto sei cieca... -
sussurrò tra i denti, guardando Oscar che andava svelta a prendere il violino.
- Hai detto qualcosa, André? - Si informò Rosalie. Di
nuovo del suo colore, per fortuna.
- No -, rispose. - Rimettiti in posizione. -
Oscar tornò, pochi minuti dopo, in tenuta informale, una
camicia leggera, quasi impalpabile, i capelli ravvivati, e il suo prezioso
violino, fatto arrivare apposta per lei da una delle migliori liuterie
cremonesi, trattenuto nell'incavo del collo. Lo tenne fermo, imprimendo il peso
della guancia sulla tavola di abete e inclinando la testa in un'angolazione
deliziosa, che lasciava il collo bianco esposto, mentre strappava dall'archetto
qualche crine spezzato.
- Sono pronto - disse, ignara che André avesse dovuto
distogliere lo sguardo, e, quando posò l'archetto sapiente sulle corde, il tema
di una courante di Rameau investì l'aria ferma della grande sala.
Arrivato il momento della prima figura, André diede ascolto
alla voce pressante della gelosia che gli montava dentro, e fece qualcosa di
totalmente inaspettato. Se qualcuno gli avesse predetto che un giorno si sarebbe
comportato in quel modo, e davanti agli occhi di Oscar, di sicuro sarebbe
scoppiato in una grassa risata. Non una cosa del genere, non lui, non
l'integerrimo, devoto quasi ai limiti della consacrazione, e rispettoso André
Grandier.
E invece, eccolo lì. A fare il cascamorto.
Invece di danzare, di contare, e di eseguire i passi che
aveva insegnato a Rosalie, prese a scherzare, a baciarle le guance, a farla
volteggiare, a sorriderle sornione. Un galletto, un cavalier servente in piena
regola. Un deficiente, avrebbe detto lui, potendosi guardare da fuori. Però
sentiva di non aver avuto scelta. Voleva capire, mosso da un impulso
incontrollabile che gli tolse ogni capacità di giudizio, se almeno, vedendolo
così vicino ad una ragazza, Oscar avrebbe avuto qualche reazione. E fare il
cretino con Rosalie era l'unica, idiota opzione che avesse in quel momento.
Anche perché la piccola era talmente presa da Oscar che non si sarebbe fatta
alcuna illusione. Però, nonostante gli sforzi di André e l'impegno nel piazzare
abbracci superflui e più di un baciamano di troppo, le uniche reazioni che
sembrava suscitare erano le risate divertite di Rosalie che, come previsto,
aveva inteso la cosa quale scherzo innocente, e il dispetto di Oscar, ma non per
lui, figurarsi, e quando mai lo avrebbe notato,
piuttosto per il fatto che le sue trovate galanti la costringevano a
riprendere ogni volta il brano da capo.
André chinò il capo, e sprofondò un po' di più.
Una sciagura totale, una disfatta su tutta la linea.
Ma purtroppo, e si sa fin dalla notte dei tempi, le
sciagure non vengono mai da sole. L'ironia, in questo caso maligna, della sorte,
volle che proprio allora Louise e le figlie, terminati dabbasso i saluti di
rito, si accingessero ad attraversare il grande arco che dava al salone.
La donna, occhio fino, vide i tre impegnati in un'attività
che le parve subito tutt'altro che consueta. Incuriosita, trattenne le bambine,
tirandole indietro per le manine, e fece loro cenno di tacere. Con le piccole
incollate alla gonna, si appiattì dietro una delle colonne che sorreggeva
l'arco, e si preparò a gustarsi la scena.
Le furono sufficienti un paio di piroette per avere quello
che secondo il suo intuito, eletto infallibile da lei stessa, era un quadro
chiaro della situazione.
André, il caro, affascinante André, era di certo
invischiato in un intrigo amoroso con la giovane e graziosa protetta di Oscar,
la quale seguitava a suonare imperterrita, dando l'impressione di essere del
tutto inconsapevole di cosa si stesse consumando davanti ai suoi occhi. Del
resto, essendo stata educata come un maschio, che cosa avrebbe mai potuto
capirne lei di queste cose? Però, nel vedere André fissare adorante Rosalie,
così le avevano scritto che si chiamava, la sua vanità di donna, che per anni si
era nutrita della convinzione che il ragazzo avrebbe continuato a struggersi per
lei in eterno, subì uno smacco clamoroso. Ma Louise trattenne il ruggito del suo
ego ferito, e osservò la scena con più attenzione. Forse non era poi il caso di
prendersela tanto, forse il destino, rendendo testimone proprio lei di
quell'amore, le stava concedendo l'occasione di redimersi che aveva tanto
atteso. Strinse più forte le mani delle bambine. I troppi romanzi che aveva
letto, con i loro intrecci romantici e le trame intricate, le si snocciolarono
davanti, uno dopo l'altro, frullando nella sua mente come uno stormo di uccelli
dalle ali impazzite.
D'un tratto, eccola, l'idea.
Insana, come la mente che l'aveva generata.
Louise ormai
era un fiume in piena, niente avrebbe arginato il piano che andava
velocemente costruendosi e che avrebbe rimesso a posto, a suo avviso, più di una
nota stonata: lei avrebbe infine rimediato al suo vecchio errore, ed una giovane
coppia avrebbe, per mano sua, trovato la felicità.
Tutta ringalluzzita, richiamò l'attenzione delle bimbe,
picchiettando le dita sulle piccole spalle e, puntato l'indice disteso contro le
labbra increspate e chiuse, rinnovò l'invito a fare silenzio, riprendendo la via
delle scale.
Quanta confusione avrebbe risparmiato a molti, nei giorni a
venire, se si fosse fermata a guardare ancora un istante, se si fosse accorta
che gli occhi di André, per quanto vagassero, tornavano a posarsi sempre su
Oscar.
Che equivoco dalle proporzioni epiche avrebbe evitato se,
invece di precipitarsi, dritta come un fuso, dal generale, si fosse prima presa
la briga di chiedere ai diretti interessati.
La mattina successiva, André trovò Oscar alle prese col
fiocco della fusciacca che, quando non era la nonna ad occuparsene, prendeva
sempre l'aspetto sciatto di qualcosa che si trovava sulla sua giacca per
sbaglio.
- Maledizione... - la sentì imprecare, e la vide staccare
nervosamente le mani dal fiocco, lasciandolo così, un ammasso informe, con i
lembi che pendevano asimmetrici, uno cortissimo, l'altro che toccava quasi
terra.
Poverina, era proprio negata.
- Sembri un regalo impacchettato male... - sorrise lui,
avvicinandosi, già dimentico del fallimento della sera prima. D'altronde, ci era
abituato.
Oscar lo guardò speranzosa.
- Mi daresti una mano tu? Sono in ritardo, e Nanny non si
vede... -
André deglutì rumorosamente e, con le mani che quasi
tremavano, prese ad armeggiare con il nodo strettissimo con cui Oscar aveva
fermato la fusciacca. Lo sciolse, e prese ad avvolgerle con cura la lunga fascia
lucente intorno alla vita sottile. Era così
vicina...
- A proposito, come mai sei ancora qui? Pensavo fossi
andato via da un pezzo... - Chiese, sperando che la domanda riuscisse a
distrarla, e a coprire il rumore del suo cuore che batteva troppo forte.
- Mio padre mi ha lasciato detto che doveva parlarmi. Ci
andrò subito dopo. -
- Mmm... - mugugnò lui, che in realtà la risposta neanche
l'aveva sentita. - Fatto. -
Quanto avrebbe voluto poterci mettere tutta la mattina, a
fare quel fiocco, e passarle le mani sulla vita, per controllare che la fascia
fosse stretta a dovere, e poi dirle che non andava bene, e scioglierla, e
passargliela di nuovo intorno al corpo, e toccarla ancora.
Ma André aveva imparato fin troppo bene quale fosse il suo
posto.
Fece un passo indietro, mentre Oscar sfiorava la stoffa
morbida, che adesso cadeva perfetta.
Lo guardò, uno sguardo pieno, e grato, con un velo di...
che cos'era, tristezza?
Fece per parlare, ma il richiamo perentorio del generale
riecheggiò, ruggente, nella sala.
- Oscar! Vieni nel mio studio -, ordinò la voce.
Oscar annuì, distolse lo sguardo da André e fece per
sorpassarlo, ma lui la bloccò, trattenendola per un polso.
- Aspetta, aspetta Oscar... volevi dirmi qualcosa? -
- Ah, sì -, fece lei, posando la mano su quella di lui, in
una stretta d'intesa quasi cameratesca. - Ottimo lavoro ieri con la courante.
Questa sera provate l'allemanda - disse, e si allontanò veloce.
André rimase immobile, con la mano a mezz'aria. Bisognava
proprio che la smettesse di farsi illusioni o, un giorno o l'altro, a furia di
prendere batoste, rischiava di restarci secco.
Quando Oscar entrò nello studio del generale Jarjayes, la
luce del mattino filtrava dalle spesse tende appena accostate, lasciando
intravedere il pulviscolo galleggiante che fluttuava nell'aria profumata di
carta. Oscar aveva sempre amato quella stanza, quello studio che sembrava una
biblioteca, e si sentì sollevata che, qualunque cosa il padre avesse avuto da
dirle, avesse sempre scelto di farlo lì. Si accomodò sulla poltrona tappezzata
di velluto blu, ma si accorse subito che, a dispetto dell'ambiente rassicurante,
l'espressione torva del padre non lasciava presagire nulla di buono.
E difatti, il generale, passeggiando, altero, ieratico, da
un capo all'altro della grande stanza, quasi più generale nella sua stessa casa
che davanti ad un plotone, cominciò quello che per Oscar era un monologo del
tutto privo di senso, in cui farneticava a proposito del fatto che non ammetteva
che sotto al suo tetto si stringessero rapporti che offendevano il decoro della
casa.
Oscar, esterrefatta, cascava dal pero ad ogni frase. Più
volte provò ad interrompere il genitore, purtroppo lanciatissimo, che continuava
a rimproverarla di non aver posto un limite ad una situazione tanto indecente.
All'ennesima interruzione, il generale, non riuscendo a credere al fatto che la
figlia fosse all'oscuro della cosa, si fermò di colpo, sbattendo con violenza i
palmi aperti sul piano della scrivania, che rimbombò, assieme a ciò che c’era
sopra. Un calamaio si spiaggiò di lato, versando inchiostro.
- Adesso basta, Oscar! Non sai che la mia pazienza ha un
limite? - Tuonò, con un'intimidazione travestita da domanda. Un classico
Jarjayes.
- Anche la mia - sibilò lei in risposta, scattando in piedi
a fronteggiarlo. - Di che diavolo state parlando, padre? -
A quel punto il generale, assalito dal dubbio che davvero
Oscar fosse tanto ingenua da non aver alcun ruolo nella vicenda, tirò fuori la
*verità* e, inaspettata come un temporale in agosto, le diede la notizia bomba:
André e Rosalie avevano una tresca, ma erano stati scoperti e, se volevano
continuare a vivere nella sua casa, sotto lo stesso tetto, non avevano altra
scelta che sposarsi, e nel più breve tempo possibile.
- André... che cosa? - Farfugliò Oscar, ricadendo
pesantemente a sedere sulla poltrona.
- E sono stato magnanimo! - Continuava a sbraitare il
generale. - Ma solo perché lui è il tuo attendente e Rosalie è la tua protetta,
altrimenti li avrei già sbattuti fuori. Un po' anche per la povera Nanny, certo
- cambiò tono. Di Nanny il generale aveva una paura grama. E, sinceramente,
fondata. - Quel
furfante è pur sempre suo nipote - si ammorbidì, solo per un attimo, prima di
riprendere con vibrante indignazione. -
Ma da lui mai mi sarei aspettato un simile... -
- Padre, ma che assurdità andate dicendo? - Oscar ebbe,
finalmente, la forza di obiettare.
- Assurdità?! Assurdità, dici? - Finse di chiedere, il
piglio alterato. - Ti informo che sono stati visti in atteggiamenti
inequivocabili. -
- Quali atteggiamenti... e poi si può sapere da chi, di
grazia? - Chiese, ormai esasperata.
-
È stata
tua sorella Louise a vederli e, grazie al cielo, ha pensato bene di riferirmelo.
-
Oscar serrò i pugni, e le labbra e le gambe. Louise, ah
Louise! La pensata, dunque, era sua, figlia di quella odiosa mania di romanzare
ogni respiro. Certo che, neanche il tempo di mettere piede in casa, e già
metteva in moto un simile ingranaggio. Che intrigante! Ma non si rendeva conto
che, con quella sua assurda intromissione, rischiava di influenzare delle vite,
dei destini? Degli esseri umani, per dio! Ma era idiota o cosa?
- Padre -, lo richiamò, alquanto più lucida, ora: sfogarsi
apertamente le faceva bene, constatava. Nonostante le avessero insegnato altro.
- Non vorrete dare credito ai deliri di Louise. Sapete bene com'è fatta, lei...
-
- Ti invito a moderare il linguaggio, Oscar -, la
interruppe, duro. - Tua sorella è moglie e madre, e sa molto bene come
funzionano certe cose, lei. -
Oscar fremette. Con quel “lei”, piazzato, con ponderata
enfasi, alla fine della frase, le stava, in pratica, suggerendo che era talmente
poco donna da non riconoscere due che gliela facevano sotto al naso. Inutile
prendersela, rischiava di peggiorare la situazione.
- Sarà anche come dite voi, ma sono certo che Louise abbia
interpretato male -, tentò di rabbonirlo. - Tra André e Rosalie non c'è alcun
coinvolgimento, sono pronto a prendermi la piena responsabilità di quanto vi sto
dicendo - fece ancora, accorata, tuttavia con, ormai, poca speranza che le sue
rassicurazioni potessero bastare a quel padre, della cui cocciutaggine era - lei
stessa - la prova vivente.
E difatti il generale fu irremovibile. La conversazione con
Louise gli aveva aperto gli occhi su quanto fosse sconveniente che una ragazza
in età da marito e un giovane uomo come André passassero tanto tempo insieme.
- Rifletti bene, Oscar - aggiunse, quasi comprensivo. - Se
pure Louise avesse torto, cosa che non credo, cosa pensi che succederebbe a
lasciare la paglia vicino al fuoco, eh? Stiamo solo prevenendo un incendio. -
- Quanta premura, da parte vostra -, fischiò Oscar, ormai
sul piede di guerra. - Ma mi preme ricordarvi che avete lasciato André al mio
fianco per tutti questi anni - fece con aria
di sfida. - Com'è che la paura delle fiamme vi viene soltanto adesso? -
Lo schiaffo del generale arrivò preciso e violento. In
piena faccia, tanto forte da spingerla ad aggrapparsi ai braccioli della
poltrona. Non che fosse inaspettato; le discussioni tra Oscar e suo padre si
chiudevano spesso così, con un ceffone che non ammetteva repliche.
Il generale indurì la mascella, mentre guardava la figlia
impietrita, la guancia che bruciava, arrossandosi.
- Tu sei mio figlio e il mio erede - proferì allora, pieno
di collera, talmente in collera da dover distogliere lo sguardo da Oscar. Giunse
le mani dietro la schiena e fissò un punto lontano fuori dalla finestra. - Tu
sei mio figlio -, ripeté - e non ti permetto di parlare a questo modo. Sarò
fuori per una settimana, dieci
giorni al massimo - annunciò, senza cambiare registro. -
Al mio ritorno, esigo che i due colombi - sottolineò, sprezzante, - siano
informati della mia decisione. Se così non sarà, provvederò io stesso a dire
loro di trovarsi un'altra sistemazione. E, adesso, vai - chiosò, definitivo,
senza neanche voltarsi. Oscar si alzò, lasciando strisciare rumorosamente i
piedi della poltrona, l'unica, infantile, rivalsa che aveva verso un ordine
tanto sconsiderato. Ma non era detta l'ultima parola, giurò a se stessa, mentre
sbatteva la porta con rinnovata energia.
- Fratello mio, ti senti bene? - Flautò la voce di Louise,
vezzosamente ovattata dal ventaglio, che colse Oscar nel momento esatto in cui
stava per sferrare un ulteriore pugno di dissenso contro la porta chiusa.
- Cristo santo, peggio di una spia inglese... - sospirò
Oscar, sicura che l'essersela ritrovata appostata dietro alla porta avesse ben
poco a che fare col caso.
- Prego? - Fece Louise.
- Lascia stare. Venivo giusto da te -, le disse,
afferrandola per un braccio, ma si avvide della presenza delle nipoti, sempre
attaccate alle gonne della madre.
- Bambine, andate a giocare in giardino - le esortò, come
in un ordine, e quelle, ricevuto il necessario, silenzioso, assenso della
progenitrice, si accinsero a correre fuori emettendo gridolini di eccitazione. -
Ma attente! - Le richiamò Oscar ad alta voce ed altamente ironica, mentre si
allontanavano, festose. - Badate di non parlare col giardiniere, o vi toccherà
sposarlo! -
- Ma, Oscar! - Protestò Louise, - cosa ti salta in mente? -
- Ma tu guarda, stavo per chiederti la stessa cosa - fece
lei, ancora sarcastica, di rimando, spingendo la sorella dietro la prima porta
utile, e badando di richiudersela alle spalle.
Erano entrate in un piccolo salotto, e Louise, guidata
dalla presa decisa di Oscar, si accomodò su uno dei divani.
- Adesso, se non ti dispiace, fratello -, disse, mentre si
assicurava di essersi seduta in modo da non sgualcire l'abito, - vorrei sapere a
cosa devo questo atteggiamento irruente. -
Oscar poggiò la schiena contro l'unico angolo di parete
spoglia, le braccia incrociate, gli occhi serrati, nell’esasperazione, cercando
di trovare parole alternative a quelle offensive che, d'impulso, le affioravano
sulle labbra. Alla fine, nonostante gli sforzi, non riuscì a contenersi, e
chiese alla sorella come diavolo le fosse venuto in mente di riferire al padre
quella follia su André e Rosalie.
- Oh, quello! - Esclamò Louise, tornando a sventolare il
ventaglio con aria di sufficienza. - Ma, Oscar, li ho visti, i due sono
chiaramente innamorati! -
Oscar represse la voglia incontenibile di spezzarle il
ventaglio in due.
- E si può sapere da cosa lo avresti dedotto? Se non ti è
di eccessivo disturbo. - Chiese, aspra,
preparandosi a chissà quale rivelazione.
Louise non se lo fece ripetere due volte, e si lanciò in un
racconto, che definire edulcorato, fantasioso, fantastico, sarebbe un eufemismo,
della danza cui aveva assistito, condito da accenni sulle occhiate languide di
André, e da commenti su quanto fosse sensuale il modo in cui aveva serrato a sé
la ragazza. Sembrava la cazzo di pagina di un romanzo di de Laclos.
Ad Oscar per poco non cascarono le braccia. Si aspettava
tutt'altro, si aspettava, per trattenersi dall'insultarla, che Louise avesse
assistito perlomeno, per assurdo, ad un bacio... ma no, la cosa era molto più
folle di quanto temesse. La sorella, quel presuntuoso Cupido in gonnella che le
sedeva di fronte con aria saccente, era stata capace di montare un caso su un
semplice scherzo. E dire che André non si era mai preso quel tipo di libertà.
Aveva proprio scelto la serata giusta per mettersi a fare l'idiota, accidenti a
lui. Oscar tornò a concentrarsi su Louise, che continuava a parlare,
irrefrenabile, gesticolando come una lavandaia. Certo, non si poteva proprio
dire che non sapesse come esporre le sue ragioni. Oscar si strinse le tempie.
Non l'avrebbe mai convinta a ritrattare col generale. Era testarda quanto lui, e
quanto lei stessa, a dire il vero. Da quel punto di vista, tra tutte le sorelle,
era quella che più le somigliava, sebbene Oscar avesse sempre creduto, con
l'innata presunzione di chi è destinato a ricoprire una carica militare, di
impiegare la propria testardaggine per scopi ben più alti. Come se non bastasse,
non riusciva neanche ad inveirle contro, considerò, sconsolata. Era talmente
assurdo quello che diceva che le sarebbe parso di prendersela con una bambina,
una infante con i sensi non ancora sviluppati... eccetto la parlantina,
beninteso. Louise faceva faville, con la favella. Glielo avevano sempre detto
tutti, se lo era ripetuto da sola, facendone il suo motto e, adesso, Oscar non
poteva far altro che dargliene atto, se era stata capace di
condurre il
padre ad una decisione così drastica raccontandogli una favoletta da romanzo
d'amore. Sarebbe toccato a lei, e a lei soltanto, rimettere tutto a posto.
- Ho capito -, provò a fermare l'inutile monologo. - Sei la
paladina dell'amore. Avrei voluto farti ragionare, ma mi accorgo che dovrò
impedire questo scempio da solo. -
- Scempio, dici? - Riprese a sventagliarsi Louise. - Ma
perché, fratello? Non desideri che la cara Rosemarie si sposi? -
- Rosalie - la corresse. - Certo che desidero che si sposi!
L'ho accolta in casa per questo, per istruirla e prepararla ad un avvenire
felice... perché non debba accontentarsi, un giorno... -
- Molto nobile, da parte tua - tagliò corto Louise. -
Allora il problema deve essere André. Non vuoi separarti dal tuo attendente,
caro? - Chiese, con finta noncuranza.
Per un attimo, un attimo fugace, Oscar non seppe cosa dire.
Fu un istante velocissimo, l'infinitesimo di un battito di ciglia, che passò
inosservato perfino a Louise, sempre ghiotta di dettagli succulenti come quello,
ma che ad Oscar sembrò interminabile. Temette di annaspare. Ma quale infante,
quella era la figlia del demonio! L'aveva piegata alla seconda domanda... e, da
arciere temibile quale era, aveva centrato il bersaglio. Su Rosalie aveva detto
la verità, l'aveva presa con sé per darle un futuro. La chiamava “brezza di
primavera” e, come la primavera, sperava che sarebbe andata via, sposa felice di
qualcuno, per lasciare il posto ad un'altra stagione. Ma André... non aveva mai
immaginato, neanche per un attimo, di dover rinunciare a lui. Non aveva mai
pensato che potesse esistere un tempo senza di lui. Ma perché? Oscar reagì con
foga, ricacciando il sottile terrore che la risposta al quesito, chiarissima
nella sua mente, le suscitò.
- Non dire assurdità! André è libero di fare ciò che vuole!
-
- Bene -, commentò Louise, senza scomporsi davanti ai pugni
serrati di Oscar. - Se le cose stanno così, non vedo proprio quale sia
l'ostacolo. -
- L'ostacolo è che non si amano, Louise! Hai preso un
granchio, un granchio colossale, non so più come dirtelo! - Gridò, quasi, Oscar,
slanciandosi verso la sorella. - Ascoltami - fece accorata, decidendo d'un
tratto che l'avrebbe pregata, se necessario. - Loro sono importanti per me.
Entrambi. Per questo vorrei che scegliessero liberamente chi sposare, quando
sarà il momento. Non voglio che qualcun altro decida per loro... come è stato
per te... e per me... -
- Oh... - fece solo, Louise, tirando fuori dal corsetto,
con insopportabile lentezza, un lungo fazzoletto con i bordi ornati di trina.
E adesso, che faceva? Si metteva a piangere? Certo, aveva
detto una frase importante, ma non tanto da mettersi a piangere. Peraltro se la
ricordava bene, a saltellare di eccitazione all'idea di sposare l'attuale
marito. Non le era andata poi così male. Ma Louise seguitava a piangere. Aveva
un vero e proprio talento per il dramma. Se non fosse nata nobile avrebbe di
sicuro avuto un avvenire nella Comédie-Française,
si sorprese a pensare, inspiegabilmente divertita nonostante la situazione a dir
poco paradossale.
- Ti assicuro che vuole Rosemarie... - disse, soffocando i
singhiozzi, rumorosi ma asciutti, nella seta ricamata.
Niente da fare, Louise aveva deciso di battere chiodo su
André.
- Che c'è -, si intromise Oscar tra i singulti, seccata,
per niente colpita dalla prova attoriale e rinunciando a correggerla, - pensi
anche tu che sia talmente maschio da non avere un minimo di intuito? Da non
accorgermi che due persone che vedo quotidianamente sono legate da un
sentimento? Te lo ricordi cosa sono, vero? - Aggiunse, con tutto il dolore che
sempre sentiva quando anche solo provava a pensare alla propria identità.
- Non è questo, Oscar... - disse Louise, alzando gli occhi,
ancora perfettamente truccati. -
È che io
conosco il suo sguardo... lo sguardo di André... quando ama qualcuno... -
Oscar rimase immobile, i palmi esposti a mezz'aria, la
bocca dischiusa, le spalle al muro, mentre la sorella, che finalmente riusciva a
versare qualche lacrima vera, le confessava, nel tentativo, decisivo, di
convincerla della bontà delle proprie intenzioni, del giuramento d'amore davanti
al cespuglio di ortensie, del voto infranto, della sua volontà di rimediare,
quando aveva visto André insieme a Rosalie, per far sì che vivesse l'amore che
lei non aveva potuto dargli.
- Vedo che finalmente hai imparato come si chiama - disse
Oscar, glaciale, come unico commento. Era scioccata, arrabbiata, delusa. Non
riusciva ad essere solidale con la sorella, sebbene sembrasse mostrare un reale
dispiacere. Non ci riusciva perché era un altro, il pensiero che le rimbombava
in testa, e cioè che quella storia non poteva essere frutto di un'invenzione,
non del tutto, almeno. Qui non si parlava di qualcosa a cui Louise aveva
assistito da spettatrice, e che aveva potuto interpretare a suo piacimento. Qui
c'erano di mezzo una promessa reale, frasi dette, un confronto. E un cespuglio
di fiori come unico testimone.
- Adesso è tutto chiaro - disse ancora, cercando di non far
tremare la voce. Aprì lentamente la porta - Sono anni che le ortensie non
fioriscono più - sussurrò, lasciando Louise con gli occhi fissi e lucidi sulle
pieghe perfette della gonna color borgogna.
Uscita dalla stanza, Oscar si era diretta in camera sua.
Veloce, a testa bassa, fendendo l'aria con la decisione di una prua che punta a
dritta con tanto di vento a favore. Una volta chiusa la pesante porta alle
spalle, si sedette sulla prima sedia che trovò. Combinazione, era proprio
davanti al tavolino dei liquori. Giusto quello che ci voleva. Doveva essere un
segno, pensò Oscar trangugiando un brandy. Un segno un tantino discutibile,
visto che non erano ancora le nove
del mattino.
- Accidenti a tutti -, borbottò, riempiendo di nuovo il
bicchiere fino all'orlo.
Lo portò alle labbra, facendo attenzione a non versare
neanche una goccia, convinta che un'ubriacatura in solitaria di prima mattina,
quando invece avrebbe dovuto essere sulla strada per Versailles, fosse un'idea
quanto meno utile, se non geniale.
Con le spalle abbandonate contro lo schienale, trattenne il
liquido in bocca, lasciando che le bruciasse il palato. Stavolta non poteva far
finta di niente. Doveva capire perché si fosse sentita tanto disturbata dal
racconto di Louise al punto che le era parso di vacillare. Non era solo per la
storia del matrimonio imposto. Fosse stato solo quello, era certa che, in un
modo o nell'altro, sarebbe riuscita a venirne a capo. La ragione... la ragione
era André. Se quello che raccontava Louise era vero, anche solo in parte,
significava che lui le aveva mentito per anni, e che era stato capace di
nasconderle i suoi sentimenti. Una simile eventualità gettava una nuova luce sul
comportamento galante, o, meglio, sulla sua ridicola sgallettata della sera
prima. E se André fosse stato realmente interessato a Rosalie, senza che lei se
ne fosse mai resa conto?
Oscar deglutì. Se avesse davvero desiderato sposarla? Un
altro sorso. Se le cose stavano così, lei avrebbe dovuto permetterglielo. Ma, se
glielo avesse permesso, e i pensieri si fecero incalzanti, abili avversari che
la spinsero spalle al muro, a suon di affondi, a quel punto lui avrebbe avuto
una famiglia e, probabilmente, sarebbe andato via, e se lui se ne fosse
andato...
Se André se ne fosse andato, e a questo punto era
disarmata, con lo stomaco che le doleva, il fondo impantanato di brandy e la
bocca minacciata dalla punta di una spada, lei non avrebbe più avuto... i suoi
occhi. La verità vinse il duello, e la infilzò.
Sebbene si sforzasse, frugando dentro di sé,
inoltrandosi fino alle immagini sfocate
dell'infanzia, Oscar non riusciva a ricordarsi di essere mai stata guardata da
qualcuno come una persona avrebbe dovuto, secondo lei, guardarne un'altra. C'era
sempre qualcosa, negli occhi di chi la scrutava, qualcosa di insinuante, molto
diverso rispetto alla calma, rassicurante indifferenza che vedeva rimbalzare
innocua da uno sguardo all'altro, quando non erano diretti a lei. Ma quando
quegli stessi sguardi si posavano sulla sua persona, improvvisamente dentro vi
guizzava quel “qualcosa”, e si trasformavano in occhiate invadenti e
indagatrici. Perfino in casa, tra gli affetti più cari, la situazione non era
diversa. Si cominciava dal padre, che la guardava, senza realmente vederla,
nell'implicito e continuo ordine di non deluderlo; si passava alle sorelle, che
avevano provato per anni ad esibirla come fosse un fenomeno da baraccone, per
finire con la madre e la nonna, che la compativano, con un amore pieno di pena.
Scendendo più in basso, fino alla servitù, ecco che tornava la curiosità
morbosa. Oscar avrebbe giurato che anche la regina avesse finito con
l'accordarle tanta stima perché incuriosita, almeno in un primo tempo, dalla sua
particolare condizione. E Rosalie, povera cara, la amava come fosse un uomo a
tutti gli effetti. Fuori di casa, a Corte, la situazione peggiorava, e le
occhiate, senza che la provenienza maschile o femminile facesse alcuna
differenza, diventavano bramose e lascive. Con gli anni, l'uniforme di Oscar era
diventata una corazza, l'unica difesa per impedire a tutti quegli occhi di
penetrarla. Nel tempo, la semplice stoffa era diventata via via più pesante,
gravosa come il ferro di un'armatura medioevale, e a lei sembrava di sentirlo
tutto, quel peso. Aveva imparato a camminare eretta, rigida, Oscar, per non
lasciarsi schiacciare da un carico che nessun altro vedeva.
- Santo cielo! Mi sembri un soldatino di piombo! - Le aveva
detto Hortense, una volta che era venuta in visita.
Oscar aveva finto di sorridere e non aveva commentato.
Probabilmente Hortense aveva ragione, forse dava davvero l'impressione di essere
di ferro, ma quella era la sola arma che avesse per tenere il mondo fuori. Dare
quella impressione.
Nonostante Oscar avesse imparato a schermare la curiosità,
trincerandosi dietro al suo incedere freddo come una scia di ghiaccio, e a
comportarsi come credeva che il padre, come pure tutti quelli intorno, si
aspettassero da lei, la sensazione di essere diversa, e il disagio, non si
scollavano dalla sua ombra ed erano diventati compagni odiosi, che non cessavano
di darle il tormento. Talvolta aveva l'impressione che perfino il suo cavallo la
guardasse con disappunto.
Ma con André, e lì partì il terzo brandy della mattina, era
tutto diverso.
Lui era l'unico che le permettesse di abbassare le difese,
l'unico con cui si sentisse libera di essere se stessa, senza doversi
preoccupare di mantenere le apparenze. Certo, capitava che anche lui le parlasse
al maschile, ma quella era solo una consuetudine, figlia di un'abitudine
radicata, e nipote di un'imposizione autorevole. Qualunque fosse il genere che
usava, Oscar sentiva che lui la vedeva per quello che era. Quando era insieme ad
André, ed erano solo loro due, l'uniforme tornava ad essere una semplice giacca
e, anche se per poco, abbassava le spalle, prendeva una boccata d'aria, e
ricominciava a respirare.
Ma se lui si fosse sposato, avrebbe avuto una moglie, e poi
dei figli, da cui tornare. Non ci sarebbe più stato il tempo per le cavalcate
lungo il fiume per sfuggire alla calura estiva, per le bottiglie di vino vuotate
davanti ad un camino crepitante, per le fughe ad Arras, le esercitazioni
pomeridiane, le confidenze tra i corridoi, i litigi come fossero pari, per i
silenzi, quelli densi e carichi, i soli dentro i quali non si fosse mai sentita
a disagio. No, André era più di un attendente, più di un amico. Vuotò il
bicchiere, alla ricerca della definizione giusta. André era... un fratello,
ecco la parola. Un fratello... anche se, strano a dirsi, più caro di tutte e
cinque le sorelle messe insieme. Un fratello, sicuro, pensava, quasi sollevata.
Un fratello, già, ma se si fosse sposato con Rosalie, e non avesse più avuto
tempo per lei, sarebbe tornato ad essere un servitore come gli altri? Se le due
persone a cui teneva di più avessero avuto una dimensione tutta loro, lei
sarebbe stata esclusa? Certo che sì, che sciocchezza anche solo pensarci. Era
ovvio, era giusto che fosse così. Ma, allora, perché le sembrava che le mancasse
la terra sotto i piedi? Forse perché l'aver scoperto l'altarino di Louise
aumentava la preoccupazione che le cose si muovessero in quella direzione un po'
troppo vorticosamente? Forse avrebbe accettato meglio un cambiamento più
graduale? Comunque sia, non poteva farci nulla, pensò, desistendo dal versarsi
un quarto brandy. Per oggi, i suoi pensieri erano già usciti fuori dal seminato
a sufficienza. Se André voleva davvero Rosalie, o qualsiasi altra, non poteva
mettersi in mezzo. Lui ormai era adulto, non
poteva certo aspettarsi che trascorresse tutta la vita al suo servizio.
Pazienza, se senza di lui si sarebbe sentita sola. In fondo, per se stessa non
aveva mai immaginato un destino molto diverso.
Pazienza, se, senza i suoi occhi, si sarebbe sentita
perduta.
Oscar uscì dalla stanza, nera, torva, accompagnata
dall'odore dell'alcol e vide, con sorpresa, che André bazzicava nel corridoio,
proprio davanti alla porta.
Decisamente, era il giorno degli agguati.
- Oscar! Sei ancora qui? - La apostrofò lui, avvicinandosi
incerto. Oscar notò, e non lo aveva fatto prima, che
indossava una redingote particolare, verde bosco, con i polsini a
contrasto, di una tonalità di verde molto più chiaro. Si ricordò di una
cameriera adorante, il giorno che l'aveva indossata per la prima volta.
- Oh, come sei bello! Ti sta benissimo! Si intona
perfettamente al colore dei tuoi occhi -, aveva squittito estasiata la ragazza,
mentre lui restava di piombo. “Come sei bello”, rimuginò Oscar. Evviva la
banalità, pensò, rendendosi conto con disappunto che, alla fine, la cameriera
aveva proprio ragione. André era... bello. Ma anche stupido, infido e bugiardo.
Chissà, forse aveva fatto qualche promessa anche a lei, magari dietro la siepe
dei lillà, immaginò, con una punta di stizza.
- Di’ un po', ma con che cosa hai fatto colazione
stamattina? Pane e alcol? - Provò a smuoverla lui, mentre annusava l'aria col
naso arricciato.
Oscar ignorò la provocazione.
- Preparati -, ordinò, sorpassandolo. - Vieni a Versailles
con me. -
Se si fosse girata, avrebbe visto un sorriso a trentadue
denti stampato sulla faccia di André, il primo dopo il misero fallimento della
sera prima... ma non lo fece, e seguitò a camminare, pensando che entro sera
avrebbero avuto la loro resa dei conti.
La giornata a corte trascorse miracolosamente senza
intoppi. Pur essendo una bevitrice di livello, Oscar faticò a tenere a bada il
torpore che le aveva procurato la cura mattutina a base di brandy, ma ci riuscì,
ed ebbe la prontezza di non lasciar avvicinare nessuno, presa dal timore,
giustificato, che l'odore di alcol fosse troppo evidente.
Oscar aspettò fino quasi a sera, quando erano sulla via del
ritorno, soli, per parlare ad André. Superati i cancelli della reggia lo
affiancò, tenendo il cavallo al passo. Guardò il suo profilo, bello, calmo,
pulito. Possibile che dietro quella faccia innocente si nascondesse un Don
Giovanni?
- Posso farti una domanda? - Ruppe finalmente il silenzio
innaturale.
- E da quando mi chiedi il permesso? - Scherzò lui, ma, da
una rapida occhiata alla faccia scura di Oscar, capì che non era proprio il caso
di fare dell'ironia. Di nessun genere. - Certo, fa' pure -, aggiunse.
- Hai mai pensato al matrimonio? - Chiese secca, senza
filtri.
André arretrò sulla sella, con un piccolo scatto del corpo
all'indietro.
- Ma... sei impazzita per caso? -
Oscar sbuffò. Fin da quando aveva aperto gli occhi quella
mattina, la domanda sembrava essere una presenza
costante in ogni suo dialogo. Non poteva essere un caso, qualcuno poco
sano di mente tra loro doveva esserci per forza. Stai a vedere che alla fine era
proprio lei.
- Limitati a rispondere -, gli intimò.
- Mediare non è la tua specialità, eh? - André si raddrizzò
sulla sella. Che richiesta insolita. Certo che aveva pensato al matrimonio, ma
con Oscar, solo con lei... e siccome sapeva che non avrebbe mai potuto sposarla,
neanche in un'altra vita, risolse che quello non valesse come un vero pensiero.
- No -, rispose, alla fine.
- Ne sei certo? Assolutamente certo? Neanche con qualcuno
che magari non ti sarebbe concesso sposare? Non ti sei innamorato di nessuna
donna, mai? - Seguitò lei, pungente.
André tacque. Quanta foga! Che Oscar sapesse, che si fosse
accorta dei suoi sentimenti...? Ma no, pensò rabbuiandosi, non era possibile. Se
mai se ne fosse resa conto e avesse voluto parlargliene, di una sola cosa André
era sicuro: non ci avrebbe girato intorno.
- Ne sono sicuro Oscar, mai. -
Non mi sono innamorato di nessun'altra, avrebbe voluto
dire.
Oscar tirò le redini del cavallo.
- Sei un bugiardo. -
E davanti all'espressione attonita di André, che aveva
fermato il cavallo, e il cuore, accanto al suo, gli raccontò la storia di cui
Louise l'aveva messa a conoscenza. André trasalì: sapeva tutto. Oscar sapeva
ogni cosa e, mentre aspettava la stoccata finale e si preparava ad una
confessione per la quale, onestamente, non credeva che sarebbe mai stato pronto,
si rese conto che il colpo non sarebbe arrivato. Louise le aveva riferito tutto,
meno la cosa più importante, la ragione che lo aveva spinto a mentire e a
mettere in piedi quella farsa; l'accusa di essere innamorato di Oscar. André
riprese a respirare, disorientato, senza sapere a chi votarsi per essere stato
graziato. Pensò a Dio, a qualche santo a caso, quando la sola persona che
avrebbe dovuto ringraziare era Louise stessa. Era alla sua vanità, che era
debitore. La vanità che, nel momento in cui finalmente il desiderio di
confessare la verità, a lungo sopito, trovava uno spiraglio, le aveva suggerito
di tralasciare quel dettaglio, quella frase che, lo sentiva come un sibilo
insinuante, avrebbe potuto aprire altri scenari. L'ultima cosa che Louise voleva
era che l'attenzione di Oscar, che di sicuro si sarebbe inviperita ad ascoltare
un'insinuazione del genere, si arenasse lontano da dove lei si era prefissata.
- Non hai niente da dire? - Chiese Oscar, stizzita,
cercando lo sguardo di lui, perso nel vuoto.
- Dio, Oscar, sì che ce l'ho -, si riscosse con veemenza.
In cuor suo, André aveva sempre covato il timore che, una volta o l'altra,
l'episodio di tanti anni prima sarebbe saltato fuori. Non riusciva però ad
immaginare il motivo per cui Louise avesse vuotato il sacco proprio allora.
- Dunque non lo neghi... -
- No, non lo nego - fece, con una strana aria sibillina. -
Quello che ti ha raccontato Louise è vero... e allo stesso tempo è anche falso.
-
A quel punto fu il turno di André di fare un racconto che
rovesciò completamente quello di Louise. Le disse dell'agguato, lo definì così,
né più né meno, che lei gli aveva teso dietro alle stalle, del timore di poter
essere incolpato di qualcosa, della paura che il generale, credendolo il
seduttore della figlia, potesse decidere di allontanarlo dalla casa e, di
conseguenza, da Oscar. Per questo, non essendo riuscito a dissuaderla a
dimenticare l'accaduto, aveva finto di ricambiarne i sentimenti. Aveva
addirittura chiamato in causa la virtù dei santi, per cercare di arginare gli
slanci passionali di Louise. Ovviamente, André si guardò bene dall'informarla di
aver messo in piedi tutta la sceneggiata, con annessi santi e beati, solo per
evitare che Louise capisse che la frase che gli aveva detto, che era innamorato
di Oscar, cosa omessa nel resoconto da entrambi, e con estrema cura, non avrebbe
potuto essere più vera.
- Perdonami, Oscar, se non te l'ho detto prima - cercò di
scusarsi, preoccupato dal silenzio di lei, - Non volevo prendermi gioco di
Louise, né di te, solo che... -
Solo che Oscar scoppiò a ridere.
Una risata fragorosa, incontenibile. Il racconto di André
spiegava tante cose, ed anche se era l'esatto opposto di quello di Louise, non
ebbe dubbi su quale tra le due versioni fosse la più veritiera. E lei, Oscar,
non era né cieca, né sprovveduta; semplicemente non si era accorta di niente...
perché non c'era niente di cui accorgersi. Che sciocca che era stata, a
lasciarsi coinvolgere dalle storie di Louise!
- Non darti pensiero, Sant'André - riuscì a dire,
schernendolo, quando la risata si esaurì. - Le tue sono le uniche cose sensate
che abbia sentito dire oggi. E Louise non saprà che me le hai riferite, se la
cosa ti preoccupa. -
- Ne sono ben lieto -, disse, senza nascondere un sospiro
di sollievo, - anche se non capisco perché
questa storia ti faccia tanto ridere -, commentò, spaesato - né perché Louise
abbia deciso di raccontartela dopo tutto questo tempo... -
Giusto, c'era la questione di Rosalie, il vero problema, in
effetti. Prima che André si mettesse ad indagare, Oscar pensò di accennare
all'argomento, senza fornire troppi dettagli. Lo conosceva fin troppo bene e
sapeva che, se non avesse placato subito i suoi dubbi, lui avrebbe intuito che
c'era qualcosa che non quadrava. E se l'avesse messa sotto torchio, non avrebbe
resistito. Non a lui.
- Louise era semplicemente in vena di confidenze -,
minimizzò. - Però, il tuo nobile intento di preservarne la virtù deve aver
colpito mia sorella nel profondo, visto che ti crede un martire e vuole
restituirti la felicità perduta. -
- Oh, no... - fece lui. - Non credevo pensasse alla cosa in
questi termini... non credevo ci pensasse affatto, non dopo tutto questo tempo!
-
- Eh no, caro mio, ci pensa eccome! Ti ritiene responsabile
della sua probabile caduta agli inferi -, rise ancora Oscar, di nuovo
improvvisamente allegra, cosa che disorientò non poco André. - Per salvare la
sua povera anima, secondo lei potrebbe andar bene farti fare coppia con Rosalie.
È
convinta che provi qualcosa per lei - , provò ad insinuare con studiata
distrazione.
- Cosa?! - Strabuzzò gli occhi, lui. - E alla mia, di
anima, non ci pensa? Rosalie?! - Esclamò sgomento. - Ma... per amor del cielo
Oscar, no! Non le avrai dato ascolto! Per questo tutte queste domande? - Chiese
a raffica. - E poi quando se ne sarebbe accorta, scusami, in sogno? -
E le sue proteste furono talmente accorate e tumultuose che
Oscar tornò definitivamente alla convinzione che aveva avuto fino ad una attimo
prima della confidenza di Louise; e cioè che tutta la storia fosse una
gigantesca, assurda bolla di sapone. Sollevata, fu felice di avergli taciuto la
storia del matrimonio e del generale. La ragione ufficiale era che, se André lo
avesse saputo, avrebbe di sicuro dato in escandescenze, si sarebbe preoccupato e
l'avrebbe tormentata finché la cosa non fosse stata risolta. La ragione
ufficiosa, perché una ragione nascosta sentiva che c'era, non avrebbe saputo
dirla neanche lei. Faticò a trattenere un sospiro.
- Dice che vi ha visti danzare... -
Ah, ecco. Lo spettacolo pietoso della sera prima era
riuscito ad imbrogliare qualcuno. Purtroppo, non aveva funzionato con la persona
giusta.
- Ad ogni modo, no, non le ho creduto -, proseguì Oscar,
rassicurandolo, senza notare che gli angoli della bocca di lui si piegavano in
un sorriso triste. - Non c'è mica bisogno che ti scaldi tanto. Mi sembri
Clotilde quando le sporcammo l'abito da ballo nuovo. -
André sorrise di nuovo a quel ricordo buffo. Oscar aveva
insozzato l'abito con del grasso da cucina, piazzando due belle manate unte sul
didietro, per fare un dispetto a Clotilde, per vendicarsi di chissà quale torto.
André era stato incolpato, ma Oscar si era impuntata perché dessero a lei la
responsabilità, col risultato che lei era finita confinata in camera sua per una
settimana, tra libri, violino e colazioni al letto, mentre André era stato
spedito a spalare letame nelle stalle per il doppio del tempo.
- Me lo ricordo - rise lui. - Una punizione molto equa.
Sento ancora la puzza delle stalle. -
Oscar sorrise di rimando, un po' dispiaciuta, e spronò il
cavallo. Ripresero a camminare al passo, fianco a fianco.
- André... -
La voce era velata.
- Non mi piace questo tono... ho paura tu voglia farmi
altre rivelazioni. -
- No, direi che per oggi è abbastanza... - sorrise. - Solo
che... sono curioso. Come mai dici di non aver mai pensato al matrimonio? La
maggior parte dei tuoi coetanei aspira a diventare nonno entro i quaranta... -
considerò, simulando un tono disgustato. - Tu, invece, non pensi neanche al
primo passo... Non è che vuoi diventare santo davvero? - Chiese, smorzando
l'accento serio.
André sobbalzò di nuovo sulla sella. Oscar, Oscar... perché
voleva prendersi gioco di lui?
- Hai detto bene, Oscar, la maggior parte dei miei
coetanei... non io. Ma posso assicurarti - continuò lanciandole un'occhiata
affilata - che non aspiro affatto alla santità. -
- Sì... - fece lei, a disagio, - ma perché? -
Lui fremette e, incoraggiato dalle continue domande e dalla
sua indecifrabile allegria, decise di dirle quanto di più vicino c'era alla
verità, sperando che capisse, o che, almeno, intuisse.
- Se mi sposassi dovrei andarmene, lasciare palazzo
Jarjayes... lasciare te. E non è quello che desidero - aggiunse, fissandola con
eloquenza.
- Ah, per questo... - commentò Oscar, fraintendendo, per
paura di capire, ed affrettandosi a sembrare giusta. - Ma non devi preoccuparti.
Quando verrà il momento, se desidererai restare, troveremo il modo. Non è detto
che, una volta sposato, tu non possa più farmi da attendente. -
André sospirò. Niente da fare, ogni volta che anche solo si
avvicinava all'argomento, lei, sempre così brillante
quanto al resto, diventava, d'un tratto, ottusa. Forse c'era da
preoccuparsi... o forse, più probabilmente, il sospetto l'aveva colta, e l'idea
le faceva talmente orrore che evitava di fomentarla in alcun modo. Però, tutte
quelle domande... ma André rinunciò a seguire quella strada, che aveva tutta
l'aria di essere un vicolo cieco, e la buttò sullo scherzo. Riteneva di essersi
fatto male a sufficienza.
- Se la metti così, Oscar, sembra che tu non veda l'ora che
mi accasi... -
- Oh, non essere sciocco! - Esclamò, senza lasciarlo
finire. Non era proprio quella l'impressione che intendeva dargli. - Io...
vorrei solo che tu fossi felice. Se ci fosse la nonna direbbe che è
sconveniente, ma io tengo davvero a te... come fossi un fratello.-
Che strano, adesso che la diceva ad alta voce, quella
parola, fino ad un attimo prima così giusta, non avrebbe potuto suonarle più
stonata. Il primo violino scordato nell'orchestra dell'Opéra.
Invece André, ricevuto il colpo di grazia, pensò che, se ci
fosse stata una fossa aperta, ci si sarebbe buttato. Non prima di dirle che la
nonna avrebbe trovato sconvenienti ben altri modi di tenere ad una persona,
praticamente tutti quelli in cui lui teneva a lei. Però chinò la testa. Davvero
non lo sapeva, che sarebbe finita così? Non aveva giurato a se stesso che gli
sarebbe bastato starle accanto?
Certo, come amico, confidente, qualsiasi cosa... ma un
fratello... era troppo, persino per lui.
- Ti ringrazio Oscar, ci tengo anch'io...-, incassò, ma
quel “come un fratello”, lui non l'avrebbe ricambiato mai. Piuttosto, avrebbe
preferito fare la stessa fine del già citato Abelardo.
André continuò ad avanzare al fianco di Oscar, silenzioso e
stanco, sotto la luce stinta del tardo meriggio.
Tornarono a palazzo Jarjayes ammutoliti, entrambi
schiacciati dalla sensazione che tra loro ci fosse qualcosa di non detto,
qualcosa a cui nessuno dei due aveva il coraggio di dare voce. Oscar, maestra
dell'elusione, si mantenne sulle sue, ed André non sarebbe tornato di sua
iniziativa su un discorso del genere, non senza che lei gli desse almeno il la.
Si immersero nelle stalle che era quasi buio. Oscar uscì subito, salutandolo con
un cenno e una frase smozzicata. André rimase sulla porta, a guardarla
allontanarsi, e accompagnò ogni suo passo con un respiro. Non era il solo, però,
a seguire la figura sottile di Oscar che svaniva nell'ombra della sera. A pochi
passi, accanto al cespuglio di ortensie sfiorito, c'era Louise, ancora una volta
testimone scomoda, stavolta non di una danza innocente, ma di un segreto
doloroso, sepolto a fondo, con fatica, negli anni. Ma nelle spalle curve di
André, nei respiri pesanti, in quella sagoma immobile che si protendeva verso
l'altra, la verità appariva, tremenda, e chiara, come fosse una pagina stampata.
Louise aveva sempre sospettato che fosse così, e ogni volta
aveva ricacciato indietro un sospetto tanto terribile. Ciò che aveva, adesso,
davanti agli occhi, però, andava al di là di ogni ragionevole dubbio.
André non aveva mai avuto occhi per nessun'altra, se non
per Oscar. La precipitosa dichiarazione del ragazzo, quella sera tiepida di
tanti anni prima, la determinazione, così adulta, a non consumare l'amore che le
professava, prendevano ora tutto un altro sapore. Il sapore amaro della
menzogna. Si sentì tradita. Si era data tanto cruccio, addossandosi la
responsabilità dell'infelicità di André, quando il loro amore per lui non era
stato altro che una recita, uno strumento per insabbiare un peccato che sarebbe
stato ben più grave. Louise meditò vendetta, convinta di averne ogni diritto,
proclamandosi vittima di un'onta intollerabile e lanciò un'ultima occhiata
furibonda verso André. Fu allora... che lo vide, che lo vide davvero. Triste,
malinconico, curvo, come se ogni parte del suo corpo fosse dolente. La rabbia
scemò di colpo, come un nugolo di foglie spazzate dal vento. Davvero voleva
vendicarsi di quel ragazzo, la cui vita era destinata a consumarsi nei respiri
affannati che ancora le riempivano le orecchie? Lei, nobile, madre, moglie
appagata, proprietaria di una discreta fortuna... davvero sarebbe stata capace
di infierire su un animo già spezzato? Non era già abbastanza penoso così? Oh,
sì che lo era, lo era fin troppo. Ed Oscar... chissà se lo ricambiava... anzi,
chissà se ne era persino consapevole... Oscar, cara Oscar. Una ragazza di
bellezza e doti eccezionali, costretta a vivere inscenando un ruolo, senza avere
alcuna possibilità di scelta. E pensare che, da piccole, l'aveva invidiata. Lei,
penultima nata di quella nidiata infinita di femmine, relegata in un cantuccio
dal generale suo padre insieme ad ogni barlume di buonsenso, aveva addirittura
invidiato Oscar per l'affetto che le veniva riservato. Ma quanto fosse penoso
quell'affetto, lo vedeva soltanto adesso. E ringraziò Dio, mentre gli occhi si
facevano umidi, di non aver donato a sua sorella la mollezza di Catherine, o il
petto procace di Clotilde, ma una tempra d'acciaio e i fianchi più stretti che
si fossero mai visti. C'erano solo quelli, tra Oscar e il pubblico scherno.
Oscar... che non avrebbe mai avuto una famiglia come la sua, ma soltanto André,
a difenderla dalla solitudine. Louise si coprì il viso con le mani. Davanti a
quella tragedia, quella tragedia reale, non poteva fare altro che accettare di
buon grado di non essere lei, per una volta, l'eroina della storia. Era del
tutto impotente, non poteva cambiare le cose, né intromettersi. Se la verità
fosse affiorata, anche solo per un istante, André sarebbe stato immediatamente
allontanato da palazzo Jarjayes, di questo era certa, e per quanto si sentisse
ancora ferita, non avrebbe permesso che la storia avesse quel finale. Non
avrebbe permesso che la storia avesse nessun finale, e non lo avrebbe avuto, se
André fosse stato libero di vivere il suo tempo al fianco di Oscar. Ma le
illazioni che aveva fatto col generale a proposito di lui e Rosalie rischiavano
di rovinare tutto. Louise si sentì d'un tratto risoluta. Avrebbe tentato,
affascinata da quella strana smania di onestà che, ora, la agitava, di rimettere
le cose a posto, almeno questo. Non poteva fare altro per lui, per loro.
Allungando le mani, cercò a tentoni l'orlo della gonna scura che non si
distingueva più, confuso nel colore denso del buio. Lo sollevò con delicatezza e
si accinse ad attraversare il prato, per tornare indietro senza fare rumore, per
lasciare che André soffrisse in pace.
E pensare che era andata alle stalle solo perché voleva
vedere, con i suoi occhi, che le ortensie azzurre non c'erano più.
L'indomani mattina, a colazione, Oscar trovò Rosalie che
gironzolava per il salone. Aveva tra le mani una lettera.
- Oh, Monsieur! - Esclamò, correndole incontro. - Questa è
da parte di vostra sorella Louise - disse, porgendole la carta profumata.
- Mmm? - Bofonchiò stupita, prendendola. - Santo cielo, ma
quanto profumo ci ha messo? Mi puzzeranno le mani di rosa canina tutto il
giorno. E lei dov'è? -
- Madame Louise è partita all'alba, Monsieur, credevo lo
sapeste. - Oscar strinse la missiva, pensierosa. Cos'era, un altro dei suoi
trucchi? - Pare che sia dovuta rientrare di corsa a Nantes, per un peggioramento
delle condizioni di salute di una parente del marito -, la informò Rosalie.
- Oh... - mormorò, accingendosi a spiegare il foglio.
- Ah, Monsieur, perdonatemi -, la interruppe Rosalie,
tornando sui suoi passi. - In realtà la lettera è per il generale, solo che
Madame mi ha detto di farla leggere prima a voi. -
Ma Oscar non la ascoltava, già presa dalla lettura di quel
biglietto, che partiva con un lungo, inutile preambolo di scuse formali per
essere partita all'improvviso, seguito dai ringraziamenti di rito, e dai
prolissi saluti da estendere a tutti i conoscenti, dato lei era così indaffarata
che non aveva proprio il tempo di scrivere lettere. La solita sbruffona. Oscar
sbuffò, seccata, e stava per abbandonare la lettura quando una frase catturò la
sua attenzione.
“In ultimo, caro padre, trovo doveroso dirvi che per
quanto riguarda André Grandier e Mademoiselle Lamorlière, sarebbe un errore
imperdonabile, oltre che un peccato davanti agli occhi di Dio, costringerli a
stringere i sacri vincoli. Perdonatemi se le mie parole vi hanno spinto in tal
senso, vi prego di credermi se vi confesso di aver commesso un grave errore di
giudizio.”
Oscar ripiegò con cura la carta, non prima di aver
controllato con attenzione la grafia. Ma la lettera era autentica, era proprio
di Louise che, grazie a chissà quale miracolo, aveva cambiato idea. Non ci
avrebbe scommesso una lira tornese, ma era accaduto.
La ripose con cura nel bavero dell'uniforme. L'avrebbe
consegnata al generale al suo rientro; nel frattempo, meglio non lasciarla in
giro.
Non avrebbe mai immaginato di pensarlo nella vita, ma Oscar
era piena di gratitudine verso Louise, ai limiti della commozione. Per lei
doveva essere stato uno sforzo immane ammettere di avere torto. Certo, non era
arrivata al punto di restare ad affrontare il generale di persona, e la sua fuga
precipitosa, perché di questo si trattava, altro che parente moribonda, ne era
la prova. Comunque sia, conoscendo le velleità da primadonna della sorella,
riusciva a comprendere la sua difficoltà, e ad esserle profondamente
riconoscente per quel gesto di resa. Chissà, magari dietro la maschera da
intrigante si nascondevano davvero buone intenzioni... magari anche lei... ci
teneva davvero ad André... Che strano, non riusciva a capire perché tutta quella
storia la facesse sentire tanto triste, tanto a disagio. Si mise una mano sul
petto, quasi a voler carezzare quel semplice foglio di carta, senza riuscire ad
impedire che un velo salato le appannasse la vista. Che strano.
- Grazie... - mormorò, in un sussurro tremante. Continuò a
premersi a mano sul petto, pensando a Louise e sperò sinceramente, e con una
strana punta di angoscia, di rivederla presto.
Purtroppo, però, Oscar sapeva anche che la lettera non
sarebbe stata sufficiente a far demordere il padre. Aveva ancora ben chiara in
mente la sua frase, quando le aveva detto che anche se la tresca non fosse stata
reale, non si poteva lasciare la paglia vicino al fuoco. Quando il generale
prendeva una decisione, era granitico. Era come una ruota lanciata su un terreno
scosceso; l'unico modo per fermarne la discesa vorticosa era piazzarle davanti
un ostacolo contro cui farla sfracellare. Ed il biglietto di Louise, per quanto
utile, non aveva certo una forza di tale portata. Non dopo che era stata proprio
lei, a piazzare la ruota sulla cima del pendio.
No, occorreva trovare un deterrente più efficace, e alla
svelta.
Il resto della settimana trascorse velocissimo, con i
giorni carichi di una strana aura di tensione. Il ballo da Madame Elizabeth si
avvicinava, come pure il rientro del generale, e sia Oscar, sia Rosalie, erano
in alto mare; la prima, perché ancora si arrovellava a cercare un modo per
convincere il padre ostinandosi a non coinvolgere André, la seconda, perché, tra
Oscar più sfuggente di un'anguilla, ed André, così distratto che pareva essere a
lutto (per la cronaca, era mesto come un animale al gabbio da quando Oscar lo
aveva relegato al ruolo di fratello), si accorgeva che le lezioni di danza
procedevano troppo a rilento, e temeva di fare una figuraccia.
Pochissimi giorni prima del ballo, Oscar, resasi conto che
il tempo stringeva e che rischiavano di dare Rosalie in pasto ai lupi, mise da
parte le preoccupazioni e si occupò
personalmente di riparare alla negligenza di André. Con un tour de force che
durò quasi due notti intere, rimisero a punto la courante, alla quale si
aggiunsero allemanda, gavotta e rigaudon, danze complesse, di cui André
era riuscito ad impostare solo i rudimenti.
Alla fine, era rimasto fuori solo il minuetto che, ironia
della sorte, era la danza più in voga in assoluto.
- Avresti dovuto partire da quello! Ce ne saranno a
bizzeffe - profetizzò. - È il minuetto la danza preferita della Regina, altro
che courante! - Si sentì rimproverare André che, come sempre, in quei due
giorni di continui rimbrotti, rinunciò a rispondere.
- Ridicolo, come se non fosse mai stato a corte... -
continuava a protestare Oscar, scuotendo la testa e parlando ormai da sola.
- Monsieur -, le chiese Rosalie, approfittando dell'assenza
del ragazzo, spedito in camera di Oscar a prenderle il violino - ma che cos'ha
André? Sono giorni che sembra così triste... -
Oscar si voltò a guardare il corridoio vuoto. Rosalie aveva
ragione, André sembrava... affranto. Chissà cosa gli passava per la testa, si
chiese, dimenticando d'un tratto le danze, convinta, una volta di più, di aver
fatto bene a non dargli anche la preoccupazione della smania del generale di
vederlo sistemato.
- Oh, probabilmente è solo stanco - rispose, d'un tratto
ansiosa di vederlo tornare.
A dispetto di tutti gli sforzi, Rosalie non riuscì ad
imparare il minuetto in tempo. Era talmente satura di conteggi, figure e scambi,
che il minuetto, con la complessa altalena di riverenze leziose ed il rigido
cerimoniale dello schema dei passi, rischiava di darle il colpo di grazia. Oscar
se ne avvide e, non potendo rinviare il debutto, giacché aveva già annunciato la
presenza di Rosalie, concluse che avrebbe partecipato al ballo col carnet di
danze che conosceva. In caso di minuetto, o, meglio dire, di minuetti, e molti,
temeva, lei o André le avrebbero fatto un segnale, tenendola lontana dal centro
della sala da ballo.
- Un problema alla volta - mormorò Oscar a se stessa,
mentre salivano in carrozza. Restavano solo due giorni prima del rientro del
generale, ma, per quella sera, occorreva che si concentrasse solo sul debutto
Rosalie che, per inciso, era un vero incanto, avvolta in un abito sontuoso,
bordato di una fascia di pizzo del colore dell'oro. Tra i capelli, acconciati
dalle mani sapienti della nonna, portava un fermaglio di perle e zaffiri, un
prestito benaugurante dell'ultimo minuto di Madame de Jarjayes.
La serata, almeno inizialmente, fu un successo. Rosalie,
scortata da Oscar e André, ed armata della sua grazia naturale, seppe mettere a
frutto i lunghi mesi di preparazione, conversando affabile e cimentandosi in più
di una danza in maniera inappuntabile, tant'è che Oscar, soddisfatta, abbassò
per un attimo la guardia. Errore fatale, dato che di quell'attimo approfittò la
giovane contessina Charlotte di Polignac, arpia travestita da ninfa, per
prendere di mira Rosalie e metterla pubblicamente in difficoltà.
- Come sarebbe che non conoscete il minuetto?
È
inaudito! - Squittì, con voce ostentatamente alta.
- Ecco, io... - provò a spiegare Rosalie.
- Non provate a giustificarvi. Solo una persona di basso
lignaggio potrebbe non conoscere un minuetto. Mi meraviglio di Monsieur Oscar,
che ha osato portarvi qui! - Seguitava a sbraitare la contessina, mentre Oscar
si fiondava verso le due, sperando di placare l'astio della giovane Polignac. E
si maledisse, per non aver dato ascolto alla sua lungimiranza, e a quella pulce
nell'orecchio che, da due giorni, ronzava il tema di un minuetto. In realtà,
aveva anche sottovalutato il fatto che la presenza di una fanciulla tanto
graziosa al suo fianco avrebbe suscitato una cieca invidia nell'intero parterre
femminile. Certo che la contessina, pur essendo solo una bambina, mostrava una
perizia calcolatrice che avrebbe fatto un baffo alle prodezze più diaboliche di
Louise... Ma Oscar non fece in tempo a formulare il pensiero, che la querelle si
concluse nel più inaspettato dei modi: con un ventaglio scagliato contro
l'intoccabile Charlotte, e una sorprendente frase di Rosalie, che riecheggiò,
fiera, in tutta la sala:
- Non vi permetto di parlarmi in questo modo! Sappiate che
mia madre è una nobile! -
Oscar, André e Rosalie rimuginavano sull'accaduto, ciascuno
rintanato in un angolo della carrozza che li riportava a casa di gran carriera,
sobbalzando ad ogni fosso della strada sterrata. Erano andati via subito,
inseguendo una Rosalie sconvolta, senza che ci fosse modo di chiarire sua la
posizione, tantomeno di parlare di scuse. Neanche di raccogliere il ventaglio,
avevano avuto il tempo, ed ora giaceva là, sul pavimento tirato a lucido, mentre
tutti lo additavano bisbigliando, neanche fosse un'arma del delitto. Oscar, dal
canto suo, era certa che la giovane Polignac avesse avuto quello che si
meritava, nondimeno la sua detestabile madre avrebbe preteso soddisfazione,
intoppo rimarchevole, considerato che si aggiungeva alla grana matrimoniale, o
paterna, neanche sapeva più come definirla, che aveva già. Avrebbe voluto
pensare in santa pace, ma i singhiozzi acuti di Rosalie straripavano
dall'angusto abitacolo della berlina.
- Suvvia, Rosalie, non avertene a male -, provò a
rincuorarla. - Fossi in te, sarei fiero di aver avuto la prontezza di rispondere
in quel modo. -
-
È vero -,
intervenne André, in uno dei rari momenti di quei mortificanti giorni in cui si
ricordava di avere una lingua. - Così nessuno potrà più attaccarti sulle tue
origini. Davvero una bella trovata...-
Ma la piccola Rosalie non sembrò impressionata dalla cosa,
al contrario, proruppe in uno scoppio di pianto disperato e si lanciò ai piedi
di Oscar, nascondendo il viso sulle sue ginocchia.
- Oh, Monsieur, perdonatemi... io... io... -
- Ma che cos'hai? Parla! - La incitò, sollevandola per le
spalle sottili.
- Ecco... io non ho mentito... la donna che mi ha cresciuto
non era la mia vera madre... me lo ha confessato lei stessa -, articolò a
fatica. - La mia vera madre... è una nobile -, confessò, con voce tremante.
Oscar, interdetta, cercò, quasi chiamò, nel buio, gli occhi
sgranati di André. Che notizia... Questo cambiava... beh, cambiava tutto... e in
molti sensi. Si sentì ingiusta, nel vedere nella rivelazione di Rosalie, che
sembrava tanto afflitta, la soluzione al suo problema, ma la speranza che
potesse essere così, era balenata troppo prepotente per poterla ignorare.
Se Rosalie diceva il vero, ed aveva quindi origini nobili,
André era salvo. Un nobile non può sposarsi senza il consenso del Re. Nemmeno
suo padre avrebbe potuto opporsi a questo. Ma poi perché mai continuava a
considerare la cosa dalla prospettiva di André? Rosalie non era forse vittima in
egual misura?
- Benedetta ragazza... - farfugliò, concentrandosi, -
perché non me lo hai detto prima? -
- Io non voglio essere nobile... - pianse Rosalie, - e poi
non so chi sia la mia vera madre, so solo che si chiama Martine... Gabrielle...
-
Martine Gabrielle... solo un nome, senza titolo, né casato.
Se non fossero riusciti a scoprire altro, il generale l'avrebbe accusata di aver
inventato una fandonia qualsiasi per impedire il matrimonio. Ma almeno avevano
un punto di partenza, era già qualcosa.
Anche se Rosalie avrebbe preferito che la verità sulle sue
origini blasonate restasse un segreto - o finisse nel dimenticatoio -, Oscar la
convinse che la cosa più giusta fosse scoprire l'identità della misteriosa
Martine Gabrielle. Con questa informazione in pugno, Rosalie avrebbe avuto il
privilegio di poter giocare a carte scoperte col destino ed allora, solo allora,
quando le carte fossero state tutte esposte sul tavolo, senza più assi nascosti
nel mazzo, avrebbe deciso quale mossa fare. A onor del vero, Oscar le avrebbe
dato il medesimo consiglio anche se non ci fosse stata di mezzo la faccenda del
matrimonio.
André era d'accordo con Oscar, solo che non riusciva a
spiegarsi in nessun modo quale fosse l'urgenza di rivoltare mezza Versailles per
scoprire tutto entro la fine della giornata. Obiettò che la madre naturale di
Rosalie poteva restare benissimo qualche altra settimana dove era stata finora,
ma Oscar non aveva voluto sentire ragioni. Dapprima
lo aveva mandato dalla contessa di Noailles, ed era stato un buco
nell'acqua, poi agli archivi della Biblioteca reale, dai quali era tornato
carico di meraviglie che, nella fattispecie, erano una ventina di tomi
smisurati, contenenti un elenco minuzioso, stilato a mano e con una grafia
minuscola e talmente piena di arzigogoli da risultare quasi illeggibile, di
tutti i nobili che avessero mai respirato in suolo francese dai tempi di Ugo
Capeto.
- Beh, credo che ci toccherà fare un'altra nottata! - Aveva
esclamato Oscar, allegra, osservando i tre valletti che c'erano voluti per
svuotare la carrozza ingombra di libri.
André aveva chinato il capo, sconsolato. Certo che era
strana. Quella sarebbe stata la terza notte insonne, dopo le due passate a farsi
venire il latte alle ginocchia a furia di gavotte, nonché la meno entusiasmante.
Già si vedeva, a maledire il suo triste destino di fratello acquisito, mentre
cercava di decifrare i geroglifici di qualche maligno amanuense, che si era
preso gioco di lui già secoli prima che nascesse, trasformando ogni singola
lettera in una giostra di ghirigori.
Come silenziosamente previsto da André, la lunga notte di
ricerche passò infruttuosa; i nomi da scorrere erano troppi, i tomi
interminabili. Era stata dura non cedere al sonno, difatti Rosalie era stata
esonerata dalla ricerca e spedita in camera sua, dopo che era crollata con la
fronte sulla stessa pagina per la terza volta consecutiva.
Oscar e André, la prima per determinazione e senso del
dovere, il secondo per il suo incrollabile amore e la sua totale fedeltà ad
Oscar, avevano resistito strenuamente al richiamo di Morfeo, passando dallo
scorrere le fitte righe alla luce delle candele, agli occhi strizzati nel
chiarore arancio dell'alba, alle tempie strette tra le mani,
con gli occhi che bruciavano,
quando il giorno era ormai pieno.
- Devo andare a Versailles - fece d'un tratto Oscar,
alzandosi. - Ma tornerò presto. Tu, continua a cercare. -
- Ti prego Oscar, lasciami venire con te... non ce la
faccio più a leggere, sono esausto - la implorò André, sentendosi perso all'idea
di restare solo tra quelle pagine polverose.
- No, devi continuare a cercare - fu la risposta secca.
Il generale aveva mandato un messaggio, sarebbe tornato
entro sera. Non poteva permettere che le ricerche si fermassero, per nessuna
ragione. Doveva trovare quel nome.
- Non capisco perché questo gioco al massacro, quando
potremmo fare le cose con tutta calma - protestò lui, ma Oscar, stanca e
snervata, dalle preoccupazioni e dalla mancanza di sonno, non lasciò correre.
- Non ho intenzione di discutere, André, fa' come ti ho
detto e basta! - Gli intimò.
- Certe volte sei proprio impossibile! - Si lasciò sfuggire
lui, chiudendo rumorosamente un libro, senza rendersi conto che Oscar lo
guardava, quasi incantata. Lo guardava, con la stanchezza che la inebetiva,
impedendole di restare entro i limiti dell'appropriato. André indossava ancora
quella redingote verde e, con la particolare luce del mattino che filtrava dalle
spalle, i suoi occhi parevano ancora più chiari. Si riscosse in un attimo da
quel pensiero, Oscar, ed ebbe paura.
- Quando torno, voglio trovarti qui - ringhiò, avviandosi
alla porta. - E vatti a cambiare, non sopporto quando ti metti in tiro per stare
in casa -, concluse, mentre usciva di corsa.
André rimase attonito, interdetto, e non seppe mai quale
fosse il problema nella sua tenuta, dal momento che era una delle poche, che
elegante non era di certo, e che l'aveva indossata in casa decine e decine di
volte.
Qualche ora dopo, quando Oscar tornò, André aveva scoperto
la proprietaria del nome misterioso; Yolande Martine Gabrielle... Contessa di
Polignac. Che crudeltà, per la piccola Rosalie. Anche se, da un lato, quella
madre tremenda la salvava da un matrimonio imposto, dall'altro, purtroppo ben
più doloroso, il fatto che tra le due esistesse un tale legame di sangue non era
altro che un perverso scherzo del destino. Oscar si mise in attesa, di malumore,
nello studio del padre, per comunicargli la nuova non appena fosse arrivato,
almeno questo. Più tardi, rimuginò, temendo che non esistessero le parole giuste
per un annuncio del genere, avrebbe dovuto occuparsi di Rosalie. Chissà come
l'avrebbe presa. Però, se Dio voleva, pensò speranzosa, superato l'impatto della
notizia, avrebbero potuto continuare a vivere sereni, insieme, lei, Rosalie... e
André... come fratelli... per tanto tempo ancora.
E ancora…
Si sedette, tirando fuori dalla tasca interna della giacca
il biglietto di Louise. Lo osservò, spiegato tra le sue mani. Le avrebbe
scritto, decise, portandosi la mano al cuore, come la prima volta che lo aveva
letto, senza neanche rendersene conto, e sorrise all'idea che anche lei, proprio
come aveva sempre fatto Louise, stava sbrogliando la sua matassa con un piccolo
complotto. Dio, quanto si somigliavano... bionditudine estrema a parte.
Oscar si rimise ad aspettare, ad occhi chiusi, ripensando
alla quantità di cose che sapeva. Sapeva della contessa di Polignac. Sapeva del
piano del generale e, finalmente, di come sventarlo. Sapeva di Louise ed André,
la vera storia, s'intende, avendo parlato con lui all'insaputa di lei, inoltre
aveva scoperto, finalmente, che la sorella non era poi la fredda e cocciuta mula
che credeva. Riaprì gli occhi. Sì, sapeva molte cose in più rispetto a tutti gli
altri, e aveva in mano più di un destino. O, almeno, questo era ciò che credeva,
ignara che la sorte si stesse prendendo gioco di lei, manovrandola come un
burattino dai fili invisibili e lasciando che ignorasse la cosa più importante
di tutte.
Oscar non sapeva che André Grandier non aveva mai voluto un
fratello, né una sorella, né niente del genere. Non sapeva che se, di lì a
breve, il conte Hans Axel di Fersen non fosse tornato in Francia, dopo quattro
lunghi anni di peregrinazioni e bivacco in giro per Europa, lei si sarebbe persa
ancora in quegli occhi verdi, sempre più in fondo, fino a smarrire la via del
ritorno, e allora avrebbe capito, tanto tempo e tanto dolore prima che no, un
fratello non lo voleva neanche lei.
Illustrazione di Laura Luzi
Pubblicazione del sito Little Corner gennaio 2021
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