Autore: Nazarena

La fille aux chaveaux de lin o Ortensie azzurre del mio cuore

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 André Grandier non aveva mai voluto una sorella.

O meglio, non ne aveva mai voluta un'altra, dopo che le cinque Mesdemoiselles Jarjayes, in rigoroso ordine di nascita, avevano felicemente lasciato il nido, avvolte in candidi veli e ostentando massicce fedi nuziali, quasi troppo pesanti, per delle dita così magre. Non che André avesse qualcosa da rimproverare alle signorine, tutt'altro. Erano gentili, premurose, e delicate. Tante perfette, o quasi, miniature della madre. Il problema stava piuttosto nel fatto che, durante tutta l'infanzia, e nei primi, lunghissimi, anni dell'adolescenza, era con loro che André aveva dovuto condividere le attenzioni di Oscar. Certo, questo non aveva impedito ai due bambini di stringere un rapporto stretto, a tratti simbiotico. Non a caso, erano due maschi, sentivano bisbigliare di continuo, da voci sottili e compiaciute che risuonavano ad arte, quasi a voler inculcare loro a forza quella verità. Ma entrambi sapevano che più diversi di così non avrebbero proprio potuto essere. Erano piccoli, mica stupidi, sembravano dirsi nei loro acerbi sguardi silenziosi. Ma quella era l'unica, muta, confessione che si fossero mai fatti sull'argomento. Per il resto, avevano sempre evitato accuratamente di parlarne, Oscar perché rifuggiva da tutto ciò che la riguardava e richiedesse una spiegazione, André per non contrariarla e, soprattutto, per non incorrere nelle ire del generale, ire funeste, se avesse scoperto che si azzardava a considerare il suo erede come una femmina. Nonostante i due bambini, velocemente ragazzi, trascorressero insieme gran parte del tempo, non di rado una delle sorelle piombava tra loro, con la mastodontica pesantezza di un'incudine, e prendeva in prestito il riccioluto “fratellino”. Sovente, una, due, talvolta tutte e cinque, venivano a disturbarli in camera, mentre leggevano, o interrompevano un'esercitazione, o li beccavano mentre stavano per uscire a cavallo, con i piccoli piedi già nelle staffe.

- Oh, ti prego Oscar, devi assolutamente venire con me! Dobbiamo andare a colazione dalla contessa de Lestrange! - Chiosava petulante la voce di Clotilde, che non vedeva l'ora di esibire il suo prezioso fratello come fosse un trofeo. Come se non lo sapesse che Oscar era una femmina.

Oppure era Marie-Anne, la maggiore, che neanche fingeva di chiedere, forse dall'alto di quello che riteneva una sorta di diritto di anzianità.

- Oscar, oggi niente spada. È ora che impari un po' di buone maniere. -

Pur sapendo che il generale non avrebbe tollerato che Oscar venisse distratta dal serrato addestramento militare a cui l'aveva destinata, le ragazze avevano imparato ad aggirare l'ostacolo usando il metodo più vecchio del mondo: la menzogna. Mentivano spudoratamente, tutte, dalla più piccola alla più grande, e modulavano le voci acute da dietro i ventagli di vimini intrecciato producendosi in solenni:- Nostro padre è d'accordo. -

Nel tempo, spalleggiandosi l'un l'altra con quella innocente bugia, avevano moltiplicato le richieste; ora smaniavano per una lezione di equitazione, ora la trascinavano dalla modista perché volevano abiti con le passamanerie coordinate per il ricevimento di chissà chi, una volta Hortense, o forse era Catherine, André non se lo ricordava più, volle addirittura di tirare di spada, e pretese di usare quelle vere.

Finì che si beccò un bel taglio sull'avambraccio, per il quale pianse per un mese, ripetendo, nella profusione di singhiozzi che furono le giornate in quel periodo, che sarebbe rimasta sfregiata per sempre. In realtà, quando, col tempo, la ferita si rivelò per quello che era, cioè una sottile linea bianca, Hortense, sì, a pensarci bene era proprio lei, prese a mostrarla in segreto nei salotti alle varie contesse e duchesse, come fosse un vezzo, e sorrideva, con l'aria di chi la sa lunga.

Lei, da giovane, raccontava tutta fiera, tirava di scherma col fratello.

 

Da bambina, Oscar, a dispetto del caratterino volitivo che si ritrovava, non riusciva proprio a sottrarsi alle sorelle, alla sfilza di richieste che arrivava insieme alle loro gonne volteggianti. Ogni volta cedeva, e abbassava la testolina sconsolata, prestandosi alla loro sequela di prepotenze che, secondo il suo punto di vista, notoriamente poco flessibile, avevano tutte come scopo delle vere fesserie. L'agognato, e del tutto fortuito, momento di mandarle al diavolo, arrivò soltanto quando Oscar aveva già dodici anni. Tra Hortense, ormai in procinto di sposarsi, e Josephine Louise, chiamata da sempre semplicemente Louise, in onore della madre, che aveva diviso il proprio nome tra la primogenita e la penultima nata, in effetti, l'ultima su cui avesse avuto voce in capitolo, tirava spesso aria di maretta. La furba Hortense, sapendo che presto avrebbe lasciato il palazzo e camuffando la cosa come fosse un regalo d'addio, giocò un bel tiro mancino a Louise, e rivelò ad Oscar che il generale non aveva mai saputo assolutamente niente delle “piccole distrazioni”, così osò chiamarle, che si erano concesse. Anzi, in un moto di onestà, confessò che, se avesse avuto un minimo sospetto, se le sarebbe mangiate vive. Oscar ingoiò la stizza fumosa, evitando di dirle che solo col suo fondoschiena il generale avrebbe potuto sfamarsi fino a Natale, e raccontò tutto ad André. D'accordo con lui, aspettò il momento propizio per assestare alle bugiarde un elegante colpo di grazia.

L'occasione non tardò ad arrivare. Giusto un paio di giorni dopo, Catherine attraversava a passi svelti il viale. Si fermò al limitare del prato, per non sporcarsi l'orlo dell'abito di mussola chiara. Oscar e André erano nel pieno di un duello, tutti presi dalle prove di una nuova tecnica di attacco.

- Oscar! Da’ un po' di tregua al nostro povero André -, finse di preoccuparsi, lisciandosi le pieghe della gonna inamidata. - Sii gentile, accompagnami a Parigi - e, come distrattamente, aggiunse: - Sai, ho già parlato con nostro padre, non ha niente in contrario. -

Oscar si girò a guardarla, strofinandosi la manica della camicia sulla fronte sudata.

- Non ne sarei così sicuro -, le rispose, in tono di sfida. - Ma, se proprio non puoi andarci da sola, penso che andrò a chiederglielo io stesso. -

Catherine, capita l'antifona, ruotò silenziosamente su se stessa, gonfia come un tordo e, senza una parola, se ne tornò da dove era venuta.

André, che in quei giorni se ne andava in giro gongolante, neanche lo avessero fatto barone, considerò con piacere che la voce doveva essersi sparsa in fretta tra le sorelle, quelle rimaste almeno, perché, improvvisamente, smisero di importunare Oscar con le loro richieste assordanti. Da allora, per lui cominciarono gli anni migliori di tutta la giovinezza. Due lunghi, interi anni, prima che Oscar venisse nominata Capitano della Guardia reale, in cui vide ogni giorno di ogni settimana, che diventava mese e poi stagione, iniziare e finire accanto a lei. Ma, fino a quel momento, gli era stata sottratta con l'inganno, innumerevoli volte, e aveva dovuto sopportare in silenzio che se la portassero via, mentre a lui toccava puntualmente tornarsene nella sua stanza, da solo, ad aspettare che le signorine si stancassero di giocare.

In realtà, quello delle ragazze Jarjayes non era affatto un gioco. Era il loro modo, puerile, talvolta inadeguato, di stare vicino a quel loro strano fratello, che poi era una sorella. Era il loro tentativo, forse neanche così inconsapevole, di alleviare quella che ritenevano la pena di una bambina innocente, di ringraziarla, seppure con le loro attenzioni un po' ingombranti, per aver dato la pace al generale e perché, da quando c'era lei, avevano smesso di sentirsi in colpa di essere nate.

 

Dal giorno stesso in cui aveva messo piede a palazzo Jarjayes, vedendo le signorine, chi ancora bambina, chi quasi fanciulla, André aveva pensato che, da una figlia all'altra, il generale e sua moglie si fossero perfezionati nell'arte della riproduzione. Era assolutamente convinto che una cosa del genere fosse possibile, e che le prime cinque figlie fossero ciascuna un tentativo, ogni volta più preciso, fatto per arrivare al prodotto finale, che era Oscar, beninteso. Si rese conto solo da grande, una volta che ci ripensava per caso, di quanto fosse abietto quel pensiero, specialmente dato che veniva da un bambino. Ma poi aveva riso tra sé: i bambini sono la bocca della verità, e non c'era proprio niente di sbagliato nel notare che da Marie-Anne, la primogenita, che aveva ereditato il viso squadrato della nonna paterna, ad Oscar, la bellezza e il temperamento andassero via via  affinandosi, e in maniera anche piuttosto evidente. Per arrivare a lei si passava dai fianchi burrosi di Clotilde, alle labbra sottili e al caratteraccio di Hortense, fino ai denti irregolari, seppure nel complesso avesse un sorriso grazioso, di Catherine, dotata anche di quella che era un'ingenuità tanto disarmante da far cascare le braccia.

La più bella e forte, dopo Oscar, s'intende, era Louise.

Aveva il suo stesso profilo, identico, come pure il taglio degli occhi. I capelli avevano la stessa arricciatura morbida, anche se quelli di Louise erano ancora più chiari. Erano di un biondo così chiaro che ci si sarebbe aspettato di sentirla parlare una lingua nordica, e al sole rilucevano, diventando quasi incolori, e prendevano la sfumatura del lino grezzo.

Ma la bella Louise era anche quella che aveva dato ad André un'enorme gatta da pelare.

Era la penultima nata in casa Jarjayes, ed aveva solo un anno più di Oscar. Le due piccole erano state concepite a strettissimo giro, tant'è che prima ancora che Madame potesse riaversi dalla nascita di Louise, nel suo ventre c'era già Oscar, l'ultimo dono di un generale smanioso, che, alla vista della quinta figlia femmina, aveva iniziato a sragionare. A dire il vero, stando ai racconti di Nanny, pareva che il padrone avesse dato cenni di cedimento già parecchio tempo prima. Comunque sia, secondo i più, Oscar era nata femmina per questo motivo: nella fretta di ingravidare la moglie, il generale non le aveva dato il tempo di rimettersi per potersi impegnare a partorire un maschio, e così aveva sprecato quelli che la servitù definiva volgarmente “gli ultimi colpi in canna”.

- Ben gli sta, ben gli sta! - André sentiva che esclamava la nonna, stizzita, quando qualcuno apriva l'argomento, che, peraltro, era anche l'unico su cui lasciasse tutti liberi di esprimersi, senza dover temere pentoloni e mestolate che piombavano sulle teste all'improvviso come castighi divini.

Era il suo modo, l'unico che avesse, per obiettare al fatto che alla sua adorata Mademoiselle non dovesse essere impartita una classica e rassicurante educazione femminile.

 

Di Louise, bisogna dire che era una fanciulla bella e volitiva, come Oscar, ma di indole assai volubile. Aveva un temperamento così burrascoso, che l'influsso mite e pacato di Madame non aveva avuto alcuna presa su di lei. Il destino, poi, aveva messo altra carne sul fuoco. Quando Louise aveva quattordici anni, alla vigilia del suo matrimonio, il marchese che doveva sposare cadde da cavallo durante una battuta di caccia alla volpe, spezzandosi l'osso del collo. Louise aveva pianto disperata, nonostante conoscesse il promesso sposo poco e niente e, quelle poche volte che lo aveva visto, avesse riempito la casa di urla strazianti perché era vecchio e brutto. Dalla sua morte però, più per porre l'accento sullo stato di mancata vedovanza che per una reale afflizione, si era rinchiusa nella sua stanza, in preghiera e solitudine, e si era appassionata alla lettura. Leggeva di tutto, poemi, romanzi, perfino libelli pornografici, che non si sapeva come riuscisse a procurarsi e, armata della fervida fantasia che si ritrovava, finì col convincersi che l'incidente occorso al suo fidanzato non fosse stato casuale, e che lei fosse destinata ad amori tragici ed impossibili. Proprio allora, forse pungolata dalle storie scabrose che leggeva, notò che André era diventato un giovane piacente. In breve Louise se ne incapricciò, ammaliata dai lunghi capelli corvini, dal corpo disegnato, dall'aura ieratica e triste che si portava dietro.

Una sera d'estate, quando avevano entrambi quindici anni, Louise gli tese un'imboscata dietro le scuderie. Aspettò che finisse di governare i cavalli per saltare fuori da un cespuglio di ortensie azzurre e buttarsi ai suoi piedi, professandogli amore eterno. André rimase basito, senza parole, impalato come uno stoccafisso. Riusciva solo a pensare che Louise doveva essere impazzita, e che, se qualcuno li avesse visti, per lui sarebbe stata la fine. La pregò di rialzarsi, sottovoce, con la paura quasi di respirare. Mademoiselle senz'altro si sbagliava, le disse, a rivolgere a lui quelle attenzioni. La pregò di rientrare, subito, senza indugio, e di dimenticare ogni cosa. Lui avrebbe fatto altrettanto, le assicurò, sperando che bastasse a non farla sentire troppo in imbarazzo in seguito. Louise, piccata e offesa dal rifiuto, saltò su dalla sua posa teatrale e lo fissò, furibonda.

- Io lo so perché dici così! Tu pensi solo a mio fratello! Tu... tu sei innamorato di lui! - Gridò, coprendosi gli occhi con una mano e lasciando l'altra sospesa, a mezz'aria, a completare la sua pantomima di dolore.

André sudò freddo, e per un attimo gli si annebbiò la vista. Se Louise, mossa dal risentimento, avesse ripetuto quelle parole davanti a qualcun altro, qualsiasi altro... allora sì che sarebbe finita. Sarebbe stato ancora peggio che se li avessero beccati ad amoreggiare. Balbettante, cercò di aggiustare il tiro ed accampò scuse su scuse. A pensarci bene, quella fu una delle pochissime volte che mentì, in tutta la vita. André le sparò a raffica: Mademoiselle non aveva capito, le sue parole gli toccavano il cuore, ma non poteva permettere che l'onore di una fanciulla del suo rango venisse compromesso. Presto avrebbero scelto per lei un nuovo sposo, ben più degno. A lui non era concesso di sperare tanto. Louise, imbrogliata da una bugia che l'urgenza aveva reso convincente, gli buttò le braccia al collo.

- Oh, caro! Potremmo essere come Tristano e Isotta! Uniti in segreto fino alla morte! - Esclamò, appesa alla nuca di lui, le labbra protese.

André strabuzzò gli occhi. Ma quali Tristano e Isotta! Ma perché mai Louise non si era presa una passione per il cucito, invece di riempirsi la testa di storie? Doveva immediatamente cavarsi d'impaccio. Se non si fosse sbrigato, la fantasiosa signorina ci avrebbe messo un attimo a trasformare quell'assalto in un amore clandestino, con tanto di morte finale.

- No, Mademoiselle -, disse staccandosi, con tono severo, in cerca di tempo e di ispirazione. - Saremo... saremo come... - urgeva trovare due degni sostituti. I primi a candidarsi per il ruolo furono gli sventurati Abelardo ed Eloisa... forse un filino troppo sventurati, visto e considerato che lui era finito evirato. André rabbrividì. - Oh, Mademoiselle Louise, saremo... - la bocca si fece secca. - Saremo... - tentennò ancora. Il nome di Eloisa gli ricordò una sua vecchia lettura, un romanzo epistolare di Rousseau che, lo sapeva per certo, anche Louise adorava. Ma di tirare in ballo i due sfortunati protagonisti non se ne parlava. André fu immediatamente sicuro, con un altro, inaspettato brivido in quella sera d'estate, che a ripescare la storia della giovane nobile che si invaghisce di un semplice precettore, Louise avrebbe finito con l'immedesimarsi... un po' troppo. - Saremo... - Intanto lei lo fissava, in attesa, con aria adorante, e lui fissava il vuoto, con aria ebete. La cosa incredibile era che Louise fosse talmente presa, da dimenticarsi della propria scaltrezza. In genere fiutava l'odore di un imbroglio con la precisione di un cane da tartufo. André lo sapeva bene, si agitò e prese a boccheggiare. - Sapete, saremo proprio come... - niente da fare, non aveva la minima idea di cosa dire. Le mani di Louise tornavano a poggiarsi sul suo petto. Miseria nera, ma perché si era andato ad impelagare in una citazione? - Saremo come... - diamine, non sarebbe stato più semplice dire di no e basta? - Saremo come... - Ecco! Trovati! - Saremo come San Francesco d'Assisi e Santa Chiara! - Vomitò fuori, precipitoso. Riprese a respirare regolarmente. Sì, così andava decisamente meglio. Due santi. Un suggerimento dall'alto, senza dubbio. Qualcuno lassù doveva volergli molto bene... oppure provare molta pena, ma per il povero André, in quella situazione miserabile, che l'aiuto fosse arrivato per un motivo o per un altro, non faceva alcuna differenza. I due santi scelti non erano francesi, ma erano famosi a sufficienza, e per giunta anche puri e casti, perfetti per non lasciare grilli per la testa a Louise. - Ci apparterremo nello spirito - aggiunse, solenne.

Lei, che era anche fervidamente devota, vide in quella frase arrabattata la sublimazione di ogni idea che le fosse mai passata per la testa sull'amore. Sarebbe stata come una martire, che immolava il suo amore a Dio per non peccare di corruzione della carne. Oh, era così tremendamente tragico!

- E ci apparterremo per sempre? - Quasi suggerì, facendosi venire i lucciconi agli occhi.

- Sicuro! - Rispose André, col tono un po' troppo entusiastico di chi vede la salvezza a portata di mano. Se avesse avuto un amico accanto, probabilmente gli avrebbe strizzato l'occhio.

Ma Louise, tutta presa dalle sue fantasticherie, non se ne avvide, e, dopo avergli estorto un abbraccio, se ne tornò verso casa, smuovendo estasiata la ghiaia bianca con passi leggeri.

Guardandola allontanarsi, André sentì che gli tremavano le gambe. Se se n'era accorta Louise, anche se era la più smaliziata, bisognava proprio che fosse ancora più discreto, o in capo a poco lo avrebbero saputo tutti... che la amava.

Era innamorato di Oscar da che aveva memoria, André.

La amava da quando aveva capito la differenza tra l'affetto e l'amore, la desiderava da quando il suo corpo era stato in grado di farlo. Non avrebbe saputo ricordare con precisione il momento in cui il bambino solitario, seduto sulla sponda del letto ad aspettarla, con le gambette penzoloni, troppo corte perché i piedi toccassero terra, si era trasformato nel ragazzo silenzioso, che languiva per lei, che poi sarebbe diventato l'adulto triste, talmente consapevole di quale fosse il suo posto che i piedi a terra avrebbero toccato eccome, li avrebbe sentiti sprofondare in quella terra, e così tante volte...

Ma André non avrebbe mai saputo trovare un principio al suo dolore, né un perché.

 

Appena otto mesi dopo la dichiarazione appassionata, Louise andò in sposa ad un conte di Nantes, e si accingeva a trasferirsi nella Loira. Come previsto, aveva dimenticato in fretta André e la promessa d'amore eterno tra le ortensie, tutta presa dal nuovo sposo, stavolta di suo gusto. Solo che, in procinto di partire per la nuova dimora, mentre sfilava tra la servitù schierata a salutarla, fu presa da un tremendo, tardivo rimorso, convinta che l'essersi sposata equivalesse all'aver rotto un voto sacro. Quando arrivò davanti ad André, peraltro perfettamente tranquillo, lo immaginò annegare in una pozza delle sue stesse lacrime, prostrato dal dolore di saperla perduta. Si ripromise di rimediare, sostituendo un secondo voto a quello infranto, ma poi, forse impaurita dalla possibilità di finire all'inferno, o forse volendo lasciare un'ultima, eclatante impronta di sé, scoppiò in un pianto melodrammatico e fuggì in giardino.

Fortuna volle che il marito la stesse aspettando in carrozza.

- Di’ un po' -, gli chiese Oscar all'orecchio, confondendo le parole al brusio sorpreso degli astanti - hai fatto qualcosa a mia sorella? -

André fece spallucce e riuscì a sgranare gli occhi verdi in un'espressione di sorpresa così genuina che Oscar non fece più domande.

Partita Louise, la casa perse l'ultima pallottola vagante e, per qualche anno, André si godette indisturbato la presenza di Oscar. Certo, tra i doveri di Capitano della Guardia reale, i capricci di sua Altezza, la devozione quasi fanatica con cui Oscar si era presa a cuore l'inesperienza della giovane delfina e le continue beghe di corte, immancabilmente a cura della contessa Du Barry, non è che i due passassero molto tempo da soli.

Ma ad André bastava.

Per lui era sufficiente poterle stare accanto. La seguiva come un'ombra durante le lunghe giornate a Versailles, pregustando il momento in cui sarebbero rientrati a casa, fianco a fianco, talvolta galoppando veloci, infagottati, per sfuggire al freddo tagliente, talvolta, quando le giornate s'intiepidivano, tenendo i cavalli ad un passo tranquillo, per godere delle sere miti. E allora parlavano di ogni cosa venisse loro in mente, e discutevano, punzecchiandosi se non erano d'accordo, André sempre misurato e riflessivo, come aveva imparato ad essere nei lunghi anni in cui aveva dovuto tenere a bada ogni guizzo, Oscar invece più impulsiva, cosa che non si preoccupava di nascondere, tanto c'era André, a mitigare i suoi slanci. E ridevano, o gridavano, quando lei si inalberava e lui cercava di farla ragionare, oppure bisbigliavano e abbassavano i toni, con la cautela che scattava di riflesso, quando confabulavano di  qualche personaggio influente. Ma sempre le loro voci risuonavano insieme, per tutto il tempo, spegnendosi solo alle ultime luci del tramonto.

Dopo cena, poi, arrivava quello che era il momento migliore della giornata. Lì, sempre che Oscar non avesse qualche impegno ufficiale, erano davvero soltanto loro. André trascorse lunghi autunni ed inverni davanti al camino, con un calice di vino tra le dita, ad ascoltarla suonare. E le primavere, e le sere torride d'estate, le passavano passeggiando in giardino, o bevendo in qualche chiassosa taverna lungo la Senna, o duellando sulle sponde del lago, finché diventava talmente buio che neanche le stelle si riflettevano più sulle lame sguainate.

- Chissà come farei, se tu non ci fossi - gli aveva detto una volta, una sola, tra le lacrime. Quella volta che André l'aveva tenuta stretta, parando il suo slancio col corpo saldo. La volta in cui lei si sarebbe fatta ammazzare per vendicare un bambino, straziato davanti agli occhi della madre dal duca di Germaine, in un atto di crudeltà inaudita, nera come la sua anima di carbone.

Avrebbe voluto dirle che non lo avrebbe mai scoperto, che non l'avrebbe mai lasciata, ma ingoiò a forza la commozione, e la rabbia, la stessa di lei, davanti all'ingiustizia, accontentandosi di conservare quella frase tra i ricordi più cari.

Doveva essere sufficiente.

Era tanto, avere tutto questo spazio nella vita di una persona che, crescendo, pareva diventare sempre più dura, che si gettava addosso tutto quello che potesse inspessire la scorza.

André sapeva di essere un appoggio per Oscar, e di non poter aspirare ad essere altro che questo.

Ma a lui... a lui andava bene così, o almeno così credeva. Purché lei gli stesse vicino.

Era per questo che aveva aspettato, contando i giorni, che anche l'ultima delle sorelle lasciasse la casa, e fu per lo stesso motivo che si sentì venire meno, quando Oscar decise di punto in bianco di prendersi in casa un'altra sorellina; la povera orfana parigina, mancata prostituta per un soffio, Rosalie Lamorlière.

Ma se con le sorelle di sangue, sebbene fossero in cinque, la situazione si era mantenuta gestibile, considerato che spesso passavano intere giornate in cui non si facevano vedere affatto, con Rosalie fu tutto un altro paio di maniche.

Non solo Oscar si era presa la briga di insegnarle tutto lo scibile umano e di farne una gentildonna in piena regola (come, si domandava, lui, dal momento che Oscar, in materia, era quantomeno una principiante assoluta), ma pretendeva anche che diventasse una perfetta cavallerizza e spadaccina. Di conseguenza, trascorreva con Rosalie ogni momento libero e la piccola, in principio spaventata e sola al mondo, finì con l'invaghirsi perdutamente della sua protettrice.

André se ne accorse subito, cogliendo la luce adorante negli occhioni spaesati di Rosalie e, da quel momento, pur rimpiangendo amaramente gli anni, troppo pochi, gli veniva da mangiarsi le mani, in cui erano stati solo in due, iniziò a volerle bene. Lui era abituato all'attesa silenziosa, alla bruciante lontananza dei corpi, all'illusione come unica forza motrice dell'intera esistenza, ma la ragazzina no. Lei era ancora troppo giovane a questo mondo, ed inesperta, ingenua, ed emergeva appena adesso da un cumulo di povertà e dolore, per dover vedere i propri anni migliori consumarsi dietro ad un amore irrealizzabile.

André cercava di aiutarla come poteva, e le ricordava, ad ogni occasione buona, che Oscar era una donna, avendo ovviamente cura di non farsi sentire dalla diretta interessata, sempre suscettibile sull'argomento, se non era lei a tirarlo in ballo. E il numero di volte in cui era accaduto si contava sulle dita di mezza mano.

Quello che André assolutamente non si aspettava era che Oscar scendesse dal piedistallo che si era costruita nell'alto limbo della non identità, e si rendesse conto della scuffia proverbiale della sua protetta.

- Sai, credo proprio che Rosalie abbia preso un bell'abbaglio, con me... - lasciò andare, pensierosa, mentre la vetrata che dava alla terrazza le restituiva l'immagine riflessa della ragazza, che la salutava sorridente, da lontano.

André rimase di ghiaccio, allibito, faticando non poco a trovare la forza di rispondere.

- Lo... lo credo anch'io -, balbettò soltanto.

Ma come, Oscar si era accorta, in pochi mesi, contro ogni previsione, che Rosalie provava dei sentimenti per lei... mentre il suo amore, che la accompagnava da sempre, che la seguiva, fedele, che aveva sotto gli occhi da una vita, continuava a passare inosservato? O era stato particolarmente bravo, cosa che non credeva, dal momento che ormai metà della servitù vociferava alle sue spalle, oppure per Oscar lui era davvero... invisibile. Incorporeo, come una folata di vento, e trasparente, come uno specchio d'acqua. Si sentì annichilito, avviluppato nella terra fino allo stomaco.

- Sarà meglio che ti occupi tu di insegnarle a danzare -, continuò lei, come distrattamente, e riprese a sorseggiare il tè fumante. - Tra una settimana ci sarà il ballo da Madame Elizabeth. Tra l'altro, io sarò molto impegnato a Versailles, non potrei farlo neppure volendo. -

Oltre al danno, la beffa. La frase di Oscar significava non solo che aveva pochi giorni di tempo per insegnare a Rosalie almeno quattro o cinque danze diverse, e che avrebbe dovuto padroneggiarle, condizione indispensabile per poter presenziare ad un ballo ufficiale senza destare sospetti sulle sue origini, ma anche, soprattutto, che lui era “esonerato” dall'accompagnarla alla Reggia, e per un'intera settimana, per giunta.

- Allora, hai capito? - Chiese lei, seccata dal suo silenzio.

- Ho capito, me ne occupo io. -

- Bene. Non finisci il tuo tè? - Chiese ancora, vedendo che André le aveva dato le spalle, prendendo la via delle scale.

- Non mi va più - come in una estrema difesa, di rimando, lui, appoggiandosi, improvvisamente stanco, al corrimano.

 

Le lezioni iniziarono quella stessa sera.

André, per tutta la giornata, si era tenuto impegnato nelle attività più disparate, pur di riuscire ad ingoiare il rospo.  Alla fine era stata Rosalie, col suo candore disarmante, a placarlo.

- Ma... non viene Monsieur Oscar? - Aveva chiesto, quasi spaventata nel vederlo arrivare da solo.

Poverina, non poté fare a meno di pensare André. Erano proprio due naufraghi disperati, e stavano colando a picco sulla stessa barca.

- Mi dispiace, piccola. Dovrai accontentarti di me. -

- Oh, ma io non volevo certo dire... - si incartò lei. - Scusami tanto, André... anzi... ti ringrazio, ti ringrazio con tutto il cuore! -

E lo disse con aria così sinceramente mortificata che André si dimenticò tutta l'indisposizione.

- Avanti -, la incitò, ma forse era più un invito a se stesso. - Abbiamo un lavoro da fare! Inizieremo con una courante. È una danza complessa, ma è anche uno dei balli più in voga a Versailles, sai? -

- Davvero? - Chiese Rosalie, incuriosita, e prese posizione davanti ad André, stringendo la rassicurante mano tesa.

- Sì, è la danza preferita di Sua Maestà Maria Antonietta. Adesso conta insieme a me: Un, due, tre... -

- Un, due, tre - ripeté diligentemente Rosalie.

 

In capo ad un paio d'ore, la spinosa questione della courante era pressoché risolta. Rosalie, con la determinazione tipica di chi è disposto a giocarsi il tutto per tutto, atteggiamento in antitesi con la sua tendenza infantile alla commozione, sembrava dominare i complicati scambi e i conteggi, e teneva il tempo alla perfezione. André si complimentò, e si preparava a concludere, quando Oscar fece la sua inaspettata comparsa nel salone illuminato.

- Monsieur! - Rosalie, ancora attaccata ad André, la vide per prima.

Lui si girò, a tre quarti, tradendo l'emozione che, sempre, gli dava la sua vista.

- Oscar! Hai fatto presto... -

- Sì -, rispose lei, accasciandosi su una poltrona. - È arrivata mia sorella Louise con le bambine dalla Loira. Sono venuto prima per salutarla. Non l'avete ancora vista? -

Louise.

Erano almeno tre anni che non metteva piede a palazzo Jarjayes. Dopo il matrimonio, aveva fatto visita ai genitori una volta soltanto, anche perché aveva avuto subito, ed una dopo l'altra, due bambine. In compenso scriveva sempre lettere interminabili, ed aveva addirittura inviato, come dono di Natale, giusto l'anno prima, i ritratti delle sue piccole. Non sapeva che il padre aveva degnato appena di uno sguardo i due quadri, commentando ad alta voce: - Già due femmine. Avrà la vostra stessa maledizione, moglie mia. -

Nonostante il commento detestabile, sfumato nella proverbiale, silenziosa, eleganza di Madame, i volti delle piccine erano finiti ad abbellire lo studio del generale, appesi proprio dietro la sua scrivania.

Dell'unica volta che aveva rivisto Louise, André si ricordava molto poco, ad eccezione di uno sguardo disperato, calcatamente, ostentatamente disperato, che lei gli aveva lanciato, incrociandolo lungo le scale. Era certo di aver scosso la testa: neanche la vita coniugale era bastata a mitigare la sua teatralità.

André si era guardato bene dal ricambiarla. Era sparito, veloce, inghiottito dal buio della tromba delle scale. Da allora, per fortuna, non aveva mai più avuto il piacere di incontrarla.

Quello che André non poteva neanche lontanamente immaginare, era che la zelante Louise non stesse aspettando altro che il momento propizio per rimediare al torto, secondo lei un vero e proprio peccato mortale, che gli aveva fatto prendendo marito.

- No, non l'abbiamo vista -, si riscosse, ritornando al presente. - Ma... Oscar -, ebbe un'illuminazione - se non sei troppo stanco, perché non prendi il violino e ci suoni una courante? Credo proprio che Rosalie sia già pronta a provarla sulla musica... -

- Ma davvero? Di già? - Saltò su Oscar, incredula, smettendo di armeggiare con i bottoni dell'uniforme. - Ma che brava! - Esclamò poi e, nel farlo, strinse le guance di Rosalie in un buffetto affettuoso. Alla ragazza quasi mancò il fiato, e divenne dello stesso colore dell'abito che indossava; un bel magenta acceso. André, dal canto suo, vide in quel gesto, in apparenza leggero, il superamento di ogni limite dell'umana sopportazione. Ma come, neanche mezza giornata prima Oscar ammetteva i sentimenti di Rosalie e lo lasciava a casa a fare il danzatore per non fomentare la cosa e adesso... la accarezzava. E nemmeno una semplice carezza, le aveva proprio preso le guance tra le mani e le parlava a meno di due pollici dalla faccia! Non si rendeva conto che Rosalie era del tutto compromessa, che fraintendeva ogni gesto, che, in quel modo, la illudeva? Possibile che Oscar riuscisse ad avvicinarsi a lei con tanta semplicità, pur conoscendone i sentimenti, ma che continuasse a non vedere che lui avrebbe dato qualsiasi cosa, pur di ricevere una carezza come quella, pur di sentire che la bocca di lei gli parlava così da vicino?

Strinse i pugni, tanto forte che l'invisibile rete delle vene dei polsi si gonfiò, e divenne plastica e pulsante.

- Voglio proprio vedere fino a che punto sei cieca... - sussurrò tra i denti, guardando Oscar che andava svelta a prendere il violino.

- Hai detto qualcosa, André? - Si informò Rosalie. Di  nuovo del suo colore, per fortuna.

- No -, rispose. - Rimettiti in posizione. -

 

Oscar tornò, pochi minuti dopo, in tenuta informale, una camicia leggera, quasi impalpabile, i capelli ravvivati, e il suo prezioso violino, fatto arrivare apposta per lei da una delle migliori liuterie cremonesi, trattenuto nell'incavo del collo. Lo tenne fermo, imprimendo il peso della guancia sulla tavola di abete e inclinando la testa in un'angolazione deliziosa, che lasciava il collo bianco esposto, mentre strappava dall'archetto qualche crine spezzato.

- Sono pronto - disse, ignara che André avesse dovuto distogliere lo sguardo, e, quando posò l'archetto sapiente sulle corde, il tema di una courante di Rameau investì l'aria ferma della grande sala.

Arrivato il momento della prima figura, André diede ascolto alla voce pressante della gelosia che gli montava dentro, e fece qualcosa di totalmente inaspettato. Se qualcuno gli avesse predetto che un giorno si sarebbe comportato in quel modo, e davanti agli occhi di Oscar, di sicuro sarebbe scoppiato in una grassa risata. Non una cosa del genere, non lui, non l'integerrimo, devoto quasi ai limiti della consacrazione, e rispettoso André Grandier.

E invece, eccolo lì. A fare il cascamorto.

Invece di danzare, di contare, e di eseguire i passi che aveva insegnato a Rosalie, prese a scherzare, a baciarle le guance, a farla volteggiare, a sorriderle sornione. Un galletto, un cavalier servente in piena regola. Un deficiente, avrebbe detto lui, potendosi guardare da fuori. Però sentiva di non aver avuto scelta. Voleva capire, mosso da un impulso incontrollabile che gli tolse ogni capacità di giudizio, se almeno, vedendolo così vicino ad una ragazza, Oscar avrebbe avuto qualche reazione. E fare il cretino con Rosalie era l'unica, idiota opzione che avesse in quel momento. Anche perché la piccola era talmente presa da Oscar che non si sarebbe fatta alcuna illusione. Però, nonostante gli sforzi di André e l'impegno nel piazzare abbracci superflui e più di un baciamano di troppo, le uniche reazioni che sembrava suscitare erano le risate divertite di Rosalie che, come previsto, aveva inteso la cosa quale scherzo innocente, e il dispetto di Oscar, ma non per lui, figurarsi, e quando mai lo avrebbe notato, piuttosto per il fatto che le sue trovate galanti la costringevano a riprendere ogni volta il brano da capo.

André chinò il capo, e sprofondò un po' di più.

Una sciagura totale, una disfatta su tutta la linea.

Ma purtroppo, e si sa fin dalla notte dei tempi, le sciagure non vengono mai da sole. L'ironia, in questo caso maligna, della sorte, volle che proprio allora Louise e le figlie, terminati dabbasso i saluti di rito, si accingessero ad attraversare il grande arco che dava al salone.

La donna, occhio fino, vide i tre impegnati in un'attività che le parve subito tutt'altro che consueta. Incuriosita, trattenne le bambine, tirandole indietro per le manine, e fece loro cenno di tacere. Con le piccole incollate alla gonna, si appiattì dietro una delle colonne che sorreggeva l'arco, e si preparò a gustarsi la scena.

Le furono sufficienti un paio di piroette per avere quello che secondo il suo intuito, eletto infallibile da lei stessa, era un quadro chiaro della situazione.

André, il caro, affascinante André, era di certo invischiato in un intrigo amoroso con la giovane e graziosa protetta di Oscar, la quale seguitava a suonare imperterrita, dando l'impressione di essere del tutto inconsapevole di cosa si stesse consumando davanti ai suoi occhi. Del resto, essendo stata educata come un maschio, che cosa avrebbe mai potuto capirne lei di queste cose? Però, nel vedere André fissare adorante Rosalie, così le avevano scritto che si chiamava, la sua vanità di donna, che per anni si era nutrita della convinzione che il ragazzo avrebbe continuato a struggersi per lei in eterno, subì uno smacco clamoroso. Ma Louise trattenne il ruggito del suo ego ferito, e osservò la scena con più attenzione. Forse non era poi il caso di prendersela tanto, forse il destino, rendendo testimone proprio lei di quell'amore, le stava concedendo l'occasione di redimersi che aveva tanto atteso. Strinse più forte le mani delle bambine. I troppi romanzi che aveva letto, con i loro intrecci romantici e le trame intricate, le si snocciolarono davanti, uno dopo l'altro, frullando nella sua mente come uno stormo di uccelli dalle ali impazzite.

D'un tratto, eccola, l'idea.

Insana, come la mente che l'aveva generata.

Louise ormai era un fiume in piena, niente avrebbe arginato il piano che andava velocemente costruendosi e che avrebbe rimesso a posto, a suo avviso, più di una nota stonata: lei avrebbe infine rimediato al suo vecchio errore, ed una giovane coppia avrebbe, per mano sua, trovato la felicità.

Tutta ringalluzzita, richiamò l'attenzione delle bimbe, picchiettando le dita sulle piccole spalle e, puntato l'indice disteso contro le labbra increspate e chiuse, rinnovò l'invito a fare silenzio, riprendendo la via delle scale.

Quanta confusione avrebbe risparmiato a molti, nei giorni a venire, se si fosse fermata a guardare ancora un istante, se si fosse accorta che gli occhi di André, per quanto vagassero, tornavano a posarsi sempre su Oscar.

Che equivoco dalle proporzioni epiche avrebbe evitato se, invece di precipitarsi, dritta come un fuso, dal generale, si fosse prima presa la briga di chiedere ai diretti interessati.

 

La mattina successiva, André trovò Oscar alle prese col fiocco della fusciacca che, quando non era la nonna ad occuparsene, prendeva sempre l'aspetto sciatto di qualcosa che si trovava sulla sua giacca per sbaglio.

- Maledizione... - la sentì imprecare, e la vide staccare nervosamente le mani dal fiocco, lasciandolo così, un ammasso informe, con i lembi che pendevano asimmetrici, uno cortissimo, l'altro che toccava quasi terra.

Poverina, era proprio negata.

- Sembri un regalo impacchettato male... - sorrise lui, avvicinandosi, già dimentico del fallimento della sera prima. D'altronde, ci era abituato.

Oscar lo guardò speranzosa.

- Mi daresti una mano tu? Sono in ritardo, e Nanny non si vede... -

André deglutì rumorosamente e, con le mani che quasi tremavano, prese ad armeggiare con il nodo strettissimo con cui Oscar aveva fermato la fusciacca. Lo sciolse, e prese ad avvolgerle con cura la lunga fascia lucente intorno alla vita sottile. Era così vicina...

- A proposito, come mai sei ancora qui? Pensavo fossi andato via da un pezzo... - Chiese, sperando che la domanda riuscisse a distrarla, e a coprire il rumore del suo cuore che batteva troppo forte.

- Mio padre mi ha lasciato detto che doveva parlarmi. Ci andrò subito dopo. -

- Mmm... - mugugnò lui, che in realtà la risposta neanche l'aveva sentita. - Fatto. -

Quanto avrebbe voluto poterci mettere tutta la mattina, a fare quel fiocco, e passarle le mani sulla vita, per controllare che la fascia fosse stretta a dovere, e poi dirle che non andava bene, e scioglierla, e passargliela di nuovo intorno al corpo, e toccarla ancora.

Ma André aveva imparato fin troppo bene quale fosse il suo posto.

Fece un passo indietro, mentre Oscar sfiorava la stoffa morbida, che adesso cadeva perfetta.

Lo guardò, uno sguardo pieno, e grato, con un velo di... che cos'era, tristezza?

Fece per parlare, ma il richiamo perentorio del generale riecheggiò, ruggente, nella sala.

- Oscar! Vieni nel mio studio -, ordinò la voce.

Oscar annuì, distolse lo sguardo da André e fece per sorpassarlo, ma lui la bloccò, trattenendola per un polso.

- Aspetta, aspetta Oscar... volevi dirmi qualcosa? -

- Ah, sì -, fece lei, posando la mano su quella di lui, in una stretta d'intesa quasi cameratesca. - Ottimo lavoro ieri con la courante. Questa sera provate l'allemanda - disse, e si allontanò veloce.

André rimase immobile, con la mano a mezz'aria. Bisognava proprio che la smettesse di farsi illusioni o, un giorno o l'altro, a furia di prendere batoste, rischiava di restarci secco.

 

Quando Oscar entrò nello studio del generale Jarjayes, la luce del mattino filtrava dalle spesse tende appena accostate, lasciando intravedere il pulviscolo galleggiante che fluttuava nell'aria profumata di carta. Oscar aveva sempre amato quella stanza, quello studio che sembrava una biblioteca, e si sentì sollevata che, qualunque cosa il padre avesse avuto da dirle, avesse sempre scelto di farlo lì. Si accomodò sulla poltrona tappezzata di velluto blu, ma si accorse subito che, a dispetto dell'ambiente rassicurante, l'espressione torva del padre non lasciava presagire nulla di buono.

E difatti, il generale, passeggiando, altero, ieratico, da un capo all'altro della grande stanza, quasi più generale nella sua stessa casa che davanti ad un plotone, cominciò quello che per Oscar era un monologo del tutto privo di senso, in cui farneticava a proposito del fatto che non ammetteva che sotto al suo tetto si stringessero rapporti che offendevano il decoro della casa.

Oscar, esterrefatta, cascava dal pero ad ogni frase. Più volte provò ad interrompere il genitore, purtroppo lanciatissimo, che continuava a rimproverarla di non aver posto un limite ad una situazione tanto indecente. All'ennesima interruzione, il generale, non riuscendo a credere al fatto che la figlia fosse all'oscuro della cosa, si fermò di colpo, sbattendo con violenza i palmi aperti sul piano della scrivania, che rimbombò, assieme a ciò che c’era sopra. Un calamaio si spiaggiò di lato, versando inchiostro.

- Adesso basta, Oscar! Non sai che la mia pazienza ha un limite? - Tuonò, con un'intimidazione travestita da domanda. Un classico Jarjayes.

- Anche la mia - sibilò lei in risposta, scattando in piedi a fronteggiarlo. - Di che diavolo state parlando, padre? -

A quel punto il generale, assalito dal dubbio che davvero Oscar fosse tanto ingenua da non aver alcun ruolo nella vicenda, tirò fuori la *verità* e, inaspettata come un temporale in agosto, le diede la notizia bomba: André e Rosalie avevano una tresca, ma erano stati scoperti e, se volevano continuare a vivere nella sua casa, sotto lo stesso tetto, non avevano altra scelta che sposarsi, e nel più breve tempo possibile.

- André... che cosa? - Farfugliò Oscar, ricadendo pesantemente a sedere sulla poltrona.

- E sono stato magnanimo! - Continuava a sbraitare il generale. - Ma solo perché lui è il tuo attendente e Rosalie è la tua protetta, altrimenti li avrei già sbattuti fuori. Un po' anche per la povera Nanny, certo - cambiò tono. Di Nanny il generale aveva una paura grama. E, sinceramente, fondata. - Quel furfante è pur sempre suo nipote - si ammorbidì, solo per un attimo, prima di riprendere con vibrante indignazione. -  Ma da lui mai mi sarei aspettato un simile... -

- Padre, ma che assurdità andate dicendo? - Oscar ebbe, finalmente, la forza di obiettare.

- Assurdità?! Assurdità, dici? - Finse di chiedere, il piglio alterato. - Ti informo che sono stati visti in atteggiamenti inequivocabili. -

- Quali atteggiamenti... e poi si può sapere da chi, di grazia? - Chiese, ormai esasperata.

- È stata tua sorella Louise a vederli e, grazie al cielo, ha pensato bene di riferirmelo. -

Oscar serrò i pugni, e le labbra e le gambe. Louise, ah Louise! La pensata, dunque, era sua, figlia di quella odiosa mania di romanzare ogni respiro. Certo che, neanche il tempo di mettere piede in casa, e già metteva in moto un simile ingranaggio. Che intrigante! Ma non si rendeva conto che, con quella sua assurda intromissione, rischiava di influenzare delle vite, dei destini? Degli esseri umani, per dio! Ma era idiota o cosa?

- Padre -, lo richiamò, alquanto più lucida, ora: sfogarsi apertamente le faceva bene, constatava. Nonostante le avessero insegnato altro. - Non vorrete dare credito ai deliri di Louise. Sapete bene com'è fatta, lei... -

- Ti invito a moderare il linguaggio, Oscar -, la interruppe, duro. - Tua sorella è moglie e madre, e sa molto bene come funzionano certe cose, lei. -

Oscar fremette. Con quel “lei”, piazzato, con ponderata enfasi, alla fine della frase, le stava, in pratica, suggerendo che era talmente poco donna da non riconoscere due che gliela facevano sotto al naso. Inutile prendersela, rischiava di peggiorare la situazione.

- Sarà anche come dite voi, ma sono certo che Louise abbia interpretato male -, tentò di rabbonirlo. - Tra André e Rosalie non c'è alcun coinvolgimento, sono pronto a prendermi la piena responsabilità di quanto vi sto dicendo - fece ancora, accorata, tuttavia con, ormai, poca speranza che le sue rassicurazioni potessero bastare a quel padre, della cui cocciutaggine era - lei stessa - la prova vivente.

E difatti il generale fu irremovibile. La conversazione con Louise gli aveva aperto gli occhi su quanto fosse sconveniente che una ragazza in età da marito e un giovane uomo come André passassero tanto tempo insieme.

- Rifletti bene, Oscar - aggiunse, quasi comprensivo. - Se pure Louise avesse torto, cosa che non credo, cosa pensi che succederebbe a lasciare la paglia vicino al fuoco, eh? Stiamo solo prevenendo un incendio. -

- Quanta premura, da parte vostra -, fischiò Oscar, ormai sul piede di guerra. - Ma mi preme ricordarvi che avete lasciato André al mio fianco per tutti questi anni - fece con aria di sfida. - Com'è che la paura delle fiamme vi viene soltanto adesso? -

Lo schiaffo del generale arrivò preciso e violento. In piena faccia, tanto forte da spingerla ad aggrapparsi ai braccioli della poltrona. Non che fosse inaspettato; le discussioni tra Oscar e suo padre si chiudevano spesso così, con un ceffone che non ammetteva repliche.

Il generale indurì la mascella, mentre guardava la figlia impietrita, la guancia che bruciava, arrossandosi.

- Tu sei mio figlio e il mio erede - proferì allora, pieno di collera, talmente in collera da dover distogliere lo sguardo da Oscar. Giunse le mani dietro la schiena e fissò un punto lontano fuori dalla finestra. - Tu sei mio figlio -, ripeté - e non ti permetto di parlare a questo modo. Sarò fuori per  una settimana, dieci giorni al massimo - annunciò, senza cambiare registro. -  Al mio ritorno, esigo che i due colombi - sottolineò, sprezzante, - siano informati della mia decisione. Se così non sarà, provvederò io stesso a dire loro di trovarsi un'altra sistemazione. E, adesso, vai - chiosò, definitivo, senza neanche voltarsi. Oscar si alzò, lasciando strisciare rumorosamente i piedi della poltrona, l'unica, infantile, rivalsa che aveva verso un ordine tanto sconsiderato. Ma non era detta l'ultima parola, giurò a se stessa, mentre sbatteva la porta con rinnovata energia.

 

- Fratello mio, ti senti bene? - Flautò la voce di Louise, vezzosamente ovattata dal ventaglio, che colse Oscar nel momento esatto in cui stava per sferrare un ulteriore pugno di dissenso contro la porta chiusa.

- Cristo santo, peggio di una spia inglese... - sospirò Oscar, sicura che l'essersela ritrovata appostata dietro alla porta avesse ben poco a che fare col caso.

- Prego? - Fece Louise.

- Lascia stare. Venivo giusto da te -, le disse, afferrandola per un braccio, ma si avvide della presenza delle nipoti, sempre attaccate alle gonne della madre.

- Bambine, andate a giocare in giardino - le esortò, come in un ordine, e quelle, ricevuto il necessario, silenzioso, assenso della progenitrice, si accinsero a correre fuori emettendo gridolini di eccitazione. - Ma attente! - Le richiamò Oscar ad alta voce ed altamente ironica, mentre si allontanavano, festose. - Badate di non parlare col giardiniere, o vi toccherà sposarlo! -

- Ma, Oscar! - Protestò Louise, - cosa ti salta in mente? -

- Ma tu guarda, stavo per chiederti la stessa cosa - fece lei, ancora sarcastica, di rimando, spingendo la sorella dietro la prima porta utile, e badando di richiudersela alle spalle.

Erano entrate in un piccolo salotto, e Louise, guidata dalla presa decisa di Oscar, si accomodò su uno dei divani.

- Adesso, se non ti dispiace, fratello -, disse, mentre si assicurava di essersi seduta in modo da non sgualcire l'abito, - vorrei sapere a cosa devo questo atteggiamento irruente. -

Oscar poggiò la schiena contro l'unico angolo di parete spoglia, le braccia incrociate, gli occhi serrati, nell’esasperazione, cercando di trovare parole alternative a quelle offensive che, d'impulso, le affioravano sulle labbra. Alla fine, nonostante gli sforzi, non riuscì a contenersi, e chiese alla sorella come diavolo le fosse venuto in mente di riferire al padre quella follia su André e Rosalie.

- Oh, quello! - Esclamò Louise, tornando a sventolare il ventaglio con aria di sufficienza. - Ma, Oscar, li ho visti, i due sono chiaramente innamorati! -

Oscar represse la voglia incontenibile di spezzarle il ventaglio in due.

- E si può sapere da cosa lo avresti dedotto? Se non ti è di eccessivo disturbo. - Chiese, aspra, preparandosi a chissà quale rivelazione.

Louise non se lo fece ripetere due volte, e si lanciò in un racconto, che definire edulcorato, fantasioso, fantastico, sarebbe un eufemismo, della danza cui aveva assistito, condito da accenni sulle occhiate languide di André, e da commenti su quanto fosse sensuale il modo in cui aveva serrato a sé la ragazza. Sembrava la cazzo di pagina di un romanzo di de Laclos.

Ad Oscar per poco non cascarono le braccia. Si aspettava tutt'altro, si aspettava, per trattenersi dall'insultarla, che Louise avesse assistito perlomeno, per assurdo, ad un bacio... ma no, la cosa era molto più folle di quanto temesse. La sorella, quel presuntuoso Cupido in gonnella che le sedeva di fronte con aria saccente, era stata capace di montare un caso su un semplice scherzo. E dire che André non si era mai preso quel tipo di libertà. Aveva proprio scelto la serata giusta per mettersi a fare l'idiota, accidenti a lui. Oscar tornò a concentrarsi su Louise, che continuava a parlare, irrefrenabile, gesticolando come una lavandaia. Certo, non si poteva proprio dire che non sapesse come esporre le sue ragioni. Oscar si strinse le tempie. Non l'avrebbe mai convinta a ritrattare col generale. Era testarda quanto lui, e quanto lei stessa, a dire il vero. Da quel punto di vista, tra tutte le sorelle, era quella che più le somigliava, sebbene Oscar avesse sempre creduto, con l'innata presunzione di chi è destinato a ricoprire una carica militare, di impiegare la propria testardaggine per scopi ben più alti. Come se non bastasse, non riusciva neanche ad inveirle contro, considerò, sconsolata. Era talmente assurdo quello che diceva che le sarebbe parso di prendersela con una bambina, una infante con i sensi non ancora sviluppati... eccetto la parlantina, beninteso. Louise faceva faville, con la favella. Glielo avevano sempre detto tutti, se lo era ripetuto da sola, facendone il suo motto e, adesso, Oscar non poteva far altro che dargliene atto, se era stata capace di condurre il padre ad una decisione così drastica raccontandogli una favoletta da romanzo d'amore. Sarebbe toccato a lei, e a lei soltanto, rimettere tutto a posto.

- Ho capito -, provò a fermare l'inutile monologo. - Sei la paladina dell'amore. Avrei voluto farti ragionare, ma mi accorgo che dovrò impedire questo scempio da solo. -

- Scempio, dici? - Riprese a sventagliarsi Louise. - Ma perché, fratello? Non desideri che la cara Rosemarie si sposi? -

- Rosalie - la corresse. - Certo che desidero che si sposi! L'ho accolta in casa per questo, per istruirla e prepararla ad un avvenire felice... perché non debba accontentarsi, un giorno... -

- Molto nobile, da parte tua - tagliò corto Louise. - Allora il problema deve essere André. Non vuoi separarti dal tuo attendente, caro? - Chiese, con finta noncuranza.

Per un attimo, un attimo fugace, Oscar non seppe cosa dire. Fu un istante velocissimo, l'infinitesimo di un battito di ciglia, che passò inosservato perfino a Louise, sempre ghiotta di dettagli succulenti come quello, ma che ad Oscar sembrò interminabile. Temette di annaspare. Ma quale infante, quella era la figlia del demonio! L'aveva piegata alla seconda domanda... e, da arciere temibile quale era, aveva centrato il bersaglio. Su Rosalie aveva detto la verità, l'aveva presa con sé per darle un futuro. La chiamava “brezza di primavera” e, come la primavera, sperava che sarebbe andata via, sposa felice di qualcuno, per lasciare il posto ad un'altra stagione. Ma André... non aveva mai immaginato, neanche per un attimo, di dover rinunciare a lui. Non aveva mai pensato che potesse esistere un tempo senza di lui. Ma perché? Oscar reagì con foga, ricacciando il sottile terrore che la risposta al quesito, chiarissima nella sua mente, le suscitò.

- Non dire assurdità! André è libero di fare ciò che vuole! -

- Bene -, commentò Louise, senza scomporsi davanti ai pugni serrati di Oscar. - Se le cose stanno così, non vedo proprio quale sia l'ostacolo. -

- L'ostacolo è che non si amano, Louise! Hai preso un granchio, un granchio colossale, non so più come dirtelo! - Gridò, quasi, Oscar, slanciandosi verso la sorella. - Ascoltami - fece accorata, decidendo d'un tratto che l'avrebbe pregata, se necessario. - Loro sono importanti per me. Entrambi. Per questo vorrei che scegliessero liberamente chi sposare, quando sarà il momento. Non voglio che qualcun altro decida per loro... come è stato per te... e per me... -

- Oh... - fece solo, Louise, tirando fuori dal corsetto, con insopportabile lentezza, un lungo fazzoletto con i bordi ornati di trina.

E adesso, che faceva? Si metteva a piangere? Certo, aveva detto una frase importante, ma non tanto da mettersi a piangere. Peraltro se la ricordava bene, a saltellare di eccitazione all'idea di sposare l'attuale marito. Non le era andata poi così male. Ma Louise seguitava a piangere. Aveva un vero e proprio talento per il dramma. Se non fosse nata nobile avrebbe di sicuro avuto un avvenire nella Comédie-Française, si sorprese a pensare, inspiegabilmente divertita nonostante la situazione a dir poco paradossale.

- Ti assicuro che vuole Rosemarie... - disse, soffocando i singhiozzi, rumorosi ma asciutti, nella seta ricamata.

Niente da fare, Louise aveva deciso di battere chiodo su André.

- Che c'è -, si intromise Oscar tra i singulti, seccata, per niente colpita dalla prova attoriale e rinunciando a correggerla, - pensi anche tu che sia talmente maschio da non avere un minimo di intuito? Da non accorgermi che due persone che vedo quotidianamente sono legate da un sentimento? Te lo ricordi cosa sono, vero? - Aggiunse, con tutto il dolore che sempre sentiva quando anche solo provava a pensare alla propria identità.

- Non è questo, Oscar... - disse Louise, alzando gli occhi, ancora perfettamente truccati. - È che io conosco il suo sguardo... lo sguardo di André... quando ama qualcuno... -

Oscar rimase immobile, i palmi esposti a mezz'aria, la bocca dischiusa, le spalle al muro, mentre la sorella, che finalmente riusciva a versare qualche lacrima vera, le confessava, nel tentativo, decisivo, di convincerla della bontà delle proprie intenzioni, del giuramento d'amore davanti al cespuglio di ortensie, del voto infranto, della sua volontà di rimediare, quando aveva visto André insieme a Rosalie, per far sì che vivesse l'amore che lei non aveva potuto dargli.

- Vedo che finalmente hai imparato come si chiama - disse Oscar, glaciale, come unico commento. Era scioccata, arrabbiata, delusa. Non riusciva ad essere solidale con la sorella, sebbene sembrasse mostrare un reale dispiacere. Non ci riusciva perché era un altro, il pensiero che le rimbombava in testa, e cioè che quella storia non poteva essere frutto di un'invenzione, non del tutto, almeno. Qui non si parlava di qualcosa a cui Louise aveva assistito da spettatrice, e che aveva potuto interpretare a suo piacimento. Qui c'erano di mezzo una promessa reale, frasi dette, un confronto. E un cespuglio di fiori come unico testimone.

- Adesso è tutto chiaro - disse ancora, cercando di non far tremare la voce. Aprì lentamente la porta - Sono anni che le ortensie non fioriscono più - sussurrò, lasciando Louise con gli occhi fissi e lucidi sulle pieghe perfette della gonna color borgogna.

 

Uscita dalla stanza, Oscar si era diretta in camera sua. Veloce, a testa bassa, fendendo l'aria con la decisione di una prua che punta a dritta con tanto di vento a favore. Una volta chiusa la pesante porta alle spalle, si sedette sulla prima sedia che trovò. Combinazione, era proprio davanti al tavolino dei liquori. Giusto quello che ci voleva. Doveva essere un segno, pensò Oscar trangugiando un brandy. Un segno un tantino discutibile, visto che  non erano ancora le nove del mattino.

- Accidenti a tutti -, borbottò, riempiendo di nuovo il bicchiere fino all'orlo.

Lo portò alle labbra, facendo attenzione a non versare neanche una goccia, convinta che un'ubriacatura in solitaria di prima mattina, quando invece avrebbe dovuto essere sulla strada per Versailles, fosse un'idea quanto meno utile, se non geniale.

Con le spalle abbandonate contro lo schienale, trattenne il liquido in bocca, lasciando che le bruciasse il palato. Stavolta non poteva far finta di niente. Doveva capire perché si fosse sentita tanto disturbata dal racconto di Louise al punto che le era parso di vacillare. Non era solo per la storia del matrimonio imposto. Fosse stato solo quello, era certa che, in un modo o nell'altro, sarebbe riuscita a venirne a capo. La ragione... la ragione era André. Se quello che raccontava Louise era vero, anche solo in parte, significava che lui le aveva mentito per anni, e che era stato capace di nasconderle i suoi sentimenti. Una simile eventualità gettava una nuova luce sul comportamento galante, o, meglio, sulla sua ridicola sgallettata della sera prima. E se André fosse stato realmente interessato a Rosalie, senza che lei se ne fosse mai resa conto?

Oscar deglutì. Se avesse davvero desiderato sposarla? Un altro sorso. Se le cose stavano così, lei avrebbe dovuto permetterglielo. Ma, se glielo avesse permesso, e i pensieri si fecero incalzanti, abili avversari che la spinsero spalle al muro, a suon di affondi, a quel punto lui avrebbe avuto una famiglia e, probabilmente, sarebbe andato via, e se lui se ne fosse andato...

Se André se ne fosse andato, e a questo punto era disarmata, con lo stomaco che le doleva, il fondo impantanato di brandy e la bocca minacciata dalla punta di una spada, lei non avrebbe più avuto... i suoi occhi. La verità vinse il duello, e la infilzò. 

Sebbene si sforzasse, frugando dentro di sé, inoltrandosi fino alle immagini sfocate dell'infanzia, Oscar non riusciva a ricordarsi di essere mai stata guardata da qualcuno come una persona avrebbe dovuto, secondo lei, guardarne un'altra. C'era sempre qualcosa, negli occhi di chi la scrutava, qualcosa di insinuante, molto diverso rispetto alla calma, rassicurante indifferenza che vedeva rimbalzare innocua da uno sguardo all'altro, quando non erano diretti a lei. Ma quando quegli stessi sguardi si posavano sulla sua persona, improvvisamente dentro vi guizzava quel “qualcosa”, e si trasformavano in occhiate invadenti e indagatrici. Perfino in casa, tra gli affetti più cari, la situazione non era diversa. Si cominciava dal padre, che la guardava, senza realmente vederla, nell'implicito e continuo ordine di non deluderlo; si passava alle sorelle, che avevano provato per anni ad esibirla come fosse un fenomeno da baraccone, per finire con la madre e la nonna, che la compativano, con un amore pieno di pena. Scendendo più in basso, fino alla servitù, ecco che tornava la curiosità morbosa. Oscar avrebbe giurato che anche la regina avesse finito con l'accordarle tanta stima perché incuriosita, almeno in un primo tempo, dalla sua particolare condizione. E Rosalie, povera cara, la amava come fosse un uomo a tutti gli effetti. Fuori di casa, a Corte, la situazione peggiorava, e le occhiate, senza che la provenienza maschile o femminile facesse alcuna differenza, diventavano bramose e lascive. Con gli anni, l'uniforme di Oscar era diventata una corazza, l'unica difesa per impedire a tutti quegli occhi di penetrarla. Nel tempo, la semplice stoffa era diventata via via più pesante, gravosa come il ferro di un'armatura medioevale, e a lei sembrava di sentirlo tutto, quel peso. Aveva imparato a camminare eretta, rigida, Oscar, per non lasciarsi schiacciare da un carico che nessun altro vedeva.

- Santo cielo! Mi sembri un soldatino di piombo! - Le aveva detto Hortense, una volta che era venuta in visita.

Oscar aveva finto di sorridere e non aveva commentato. Probabilmente Hortense aveva ragione, forse dava davvero l'impressione di essere di ferro, ma quella era la sola arma che avesse per tenere il mondo fuori. Dare quella impressione.

Nonostante Oscar avesse imparato a schermare la curiosità, trincerandosi dietro al suo incedere freddo come una scia di ghiaccio, e a comportarsi come credeva che il padre, come pure tutti quelli intorno, si aspettassero da lei, la sensazione di essere diversa, e il disagio, non si scollavano dalla sua ombra ed erano diventati compagni odiosi, che non cessavano di darle il tormento. Talvolta aveva l'impressione che perfino il suo cavallo la guardasse con disappunto.

Ma con André, e lì partì il terzo brandy della mattina, era tutto diverso.

Lui era l'unico che le permettesse di abbassare le difese, l'unico con cui si sentisse libera di essere se stessa, senza doversi preoccupare di mantenere le apparenze. Certo, capitava che anche lui le parlasse al maschile, ma quella era solo una consuetudine, figlia di un'abitudine radicata, e nipote di un'imposizione autorevole. Qualunque fosse il genere che usava, Oscar sentiva che lui la vedeva per quello che era. Quando era insieme ad André, ed erano solo loro due, l'uniforme tornava ad essere una semplice giacca e, anche se per poco, abbassava le spalle, prendeva una boccata d'aria, e ricominciava a respirare.

Ma se lui si fosse sposato, avrebbe avuto una moglie, e poi dei figli, da cui tornare. Non ci sarebbe più stato il tempo per le cavalcate lungo il fiume per sfuggire alla calura estiva, per le bottiglie di vino vuotate davanti ad un camino crepitante, per le fughe ad Arras, le esercitazioni pomeridiane, le confidenze tra i corridoi, i litigi come fossero pari, per i silenzi, quelli densi e carichi, i soli dentro i quali non si fosse mai sentita a disagio. No, André era più di un attendente, più di un amico. Vuotò il bicchiere, alla ricerca della definizione giusta. André era... un fratello, ecco la parola. Un fratello... anche se, strano a dirsi, più caro di tutte e cinque le sorelle messe insieme. Un fratello, sicuro, pensava, quasi sollevata. Un fratello, già, ma se si fosse sposato con Rosalie, e non avesse più avuto tempo per lei, sarebbe tornato ad essere un servitore come gli altri? Se le due persone a cui teneva di più avessero avuto una dimensione tutta loro, lei sarebbe stata esclusa? Certo che sì, che sciocchezza anche solo pensarci. Era ovvio, era giusto che fosse così. Ma, allora, perché le sembrava che le mancasse la terra sotto i piedi? Forse perché l'aver scoperto l'altarino di Louise aumentava la preoccupazione che le cose si muovessero in quella direzione un po' troppo vorticosamente? Forse avrebbe accettato meglio un cambiamento più graduale? Comunque sia, non poteva farci nulla, pensò, desistendo dal versarsi un quarto brandy. Per oggi, i suoi pensieri erano già usciti fuori dal seminato a sufficienza. Se André voleva davvero Rosalie, o qualsiasi altra, non poteva mettersi in mezzo. Lui ormai era adulto, non poteva certo aspettarsi che trascorresse tutta la vita al suo servizio. Pazienza, se senza di lui si sarebbe sentita sola. In fondo, per se stessa non aveva mai immaginato un destino molto diverso.

Pazienza, se, senza i suoi occhi, si sarebbe sentita perduta.

 

Oscar uscì dalla stanza, nera, torva, accompagnata dall'odore dell'alcol e vide, con sorpresa, che André bazzicava nel corridoio, proprio davanti alla porta.

Decisamente, era il giorno degli agguati.

- Oscar! Sei ancora qui? - La apostrofò lui, avvicinandosi incerto. Oscar notò, e non lo aveva fatto prima, che indossava una redingote particolare, verde bosco, con i polsini a contrasto, di una tonalità di verde molto più chiaro. Si ricordò di una cameriera adorante, il giorno che l'aveva indossata per la prima volta.

- Oh, come sei bello! Ti sta benissimo! Si intona perfettamente al colore dei tuoi occhi -, aveva squittito estasiata la ragazza, mentre lui restava di piombo. “Come sei bello”, rimuginò Oscar. Evviva la banalità, pensò, rendendosi conto con disappunto che, alla fine, la cameriera aveva proprio ragione. André era... bello. Ma anche stupido, infido e bugiardo. Chissà, forse aveva fatto qualche promessa anche a lei, magari dietro la siepe dei lillà, immaginò, con una punta di stizza.

- Di’ un po', ma con che cosa hai fatto colazione stamattina? Pane e alcol? - Provò a smuoverla lui, mentre annusava l'aria col naso arricciato.

Oscar ignorò la provocazione.

- Preparati -, ordinò, sorpassandolo. - Vieni a Versailles con me. -

Se si fosse girata, avrebbe visto un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia di André, il primo dopo il misero fallimento della sera prima... ma non lo fece, e seguitò a camminare, pensando che entro sera avrebbero avuto la loro resa dei conti.

 

La giornata a corte trascorse miracolosamente senza intoppi. Pur essendo una bevitrice di livello, Oscar faticò a tenere a bada il torpore che le aveva procurato la cura mattutina a base di brandy, ma ci riuscì, ed ebbe la prontezza di non lasciar avvicinare nessuno, presa dal timore, giustificato, che l'odore di alcol fosse troppo evidente.

Oscar aspettò fino quasi a sera, quando erano sulla via del ritorno, soli, per parlare ad André. Superati i cancelli della reggia lo affiancò, tenendo il cavallo al passo. Guardò il suo profilo, bello, calmo, pulito. Possibile che dietro quella faccia innocente si nascondesse un Don Giovanni?

- Posso farti una domanda? - Ruppe finalmente il silenzio innaturale.

- E da quando mi chiedi il permesso? - Scherzò lui, ma, da una rapida occhiata alla faccia scura di Oscar, capì che non era proprio il caso di fare dell'ironia. Di nessun genere. - Certo, fa' pure -, aggiunse.

- Hai mai pensato al matrimonio? - Chiese secca, senza filtri.

André arretrò sulla sella, con un piccolo scatto del corpo all'indietro.

- Ma... sei impazzita per caso? -

Oscar sbuffò. Fin da quando aveva aperto gli occhi quella mattina, la domanda sembrava essere una presenza  costante in ogni suo dialogo. Non poteva essere un caso, qualcuno poco sano di mente tra loro doveva esserci per forza. Stai a vedere che alla fine era proprio lei.

- Limitati a rispondere -, gli intimò.

- Mediare non è la tua specialità, eh? - André si raddrizzò sulla sella. Che richiesta insolita. Certo che aveva pensato al matrimonio, ma con Oscar, solo con lei... e siccome sapeva che non avrebbe mai potuto sposarla, neanche in un'altra vita, risolse che quello non valesse come un vero pensiero.

- No -, rispose, alla fine.

- Ne sei certo? Assolutamente certo? Neanche con qualcuno che magari non ti sarebbe concesso sposare? Non ti sei innamorato di nessuna donna, mai? - Seguitò lei, pungente.

André tacque. Quanta foga! Che Oscar sapesse, che si fosse accorta dei suoi sentimenti...? Ma no, pensò rabbuiandosi, non era possibile. Se mai se ne fosse resa conto e avesse voluto parlargliene, di una sola cosa André era sicuro: non ci avrebbe girato intorno.

- Ne sono sicuro Oscar, mai. -

Non mi sono innamorato di nessun'altra, avrebbe voluto dire.

Oscar tirò le redini del cavallo.

- Sei un bugiardo. -

E davanti all'espressione attonita di André, che aveva fermato il cavallo, e il cuore, accanto al suo, gli raccontò la storia di cui Louise l'aveva messa a conoscenza. André trasalì: sapeva tutto. Oscar sapeva ogni cosa e, mentre aspettava la stoccata finale e si preparava ad una confessione per la quale, onestamente, non credeva che sarebbe mai stato pronto, si rese conto che il colpo non sarebbe arrivato. Louise le aveva riferito tutto, meno la cosa più importante, la ragione che lo aveva spinto a mentire e a mettere in piedi quella farsa; l'accusa di essere innamorato di Oscar. André riprese a respirare, disorientato, senza sapere a chi votarsi per essere stato graziato. Pensò a Dio, a qualche santo a caso, quando la sola persona che avrebbe dovuto ringraziare era Louise stessa. Era alla sua vanità, che era debitore. La vanità che, nel momento in cui finalmente il desiderio di confessare la verità, a lungo sopito, trovava uno spiraglio, le aveva suggerito di tralasciare quel dettaglio, quella frase che, lo sentiva come un sibilo insinuante, avrebbe potuto aprire altri scenari. L'ultima cosa che Louise voleva era che l'attenzione di Oscar, che di sicuro si sarebbe inviperita ad ascoltare un'insinuazione del genere, si arenasse lontano da dove lei si era prefissata.

- Non hai niente da dire? - Chiese Oscar, stizzita, cercando lo sguardo di lui, perso nel vuoto.

- Dio, Oscar, sì che ce l'ho -, si riscosse con veemenza. In cuor suo, André aveva sempre covato il timore che, una volta o l'altra, l'episodio di tanti anni prima sarebbe saltato fuori. Non riusciva però ad immaginare il motivo per cui Louise avesse vuotato il sacco proprio allora.

- Dunque non lo neghi... -

- No, non lo nego - fece, con una strana aria sibillina. - Quello che ti ha raccontato Louise è vero... e allo stesso tempo è anche falso. -

A quel punto fu il turno di André di fare un racconto che rovesciò completamente quello di Louise. Le disse dell'agguato, lo definì così, né più né meno, che lei gli aveva teso dietro alle stalle, del timore di poter essere incolpato di qualcosa, della paura che il generale, credendolo il seduttore della figlia, potesse decidere di allontanarlo dalla casa e, di conseguenza, da Oscar. Per questo, non essendo riuscito a dissuaderla a dimenticare l'accaduto, aveva finto di ricambiarne i sentimenti. Aveva addirittura chiamato in causa la virtù dei santi, per cercare di arginare gli slanci passionali di Louise. Ovviamente, André si guardò bene dall'informarla di aver messo in piedi tutta la sceneggiata, con annessi santi e beati, solo per evitare che Louise capisse che la frase che gli aveva detto, che era innamorato di Oscar, cosa omessa nel resoconto da entrambi, e con estrema cura, non avrebbe potuto essere più vera.

- Perdonami, Oscar, se non te l'ho detto prima - cercò di scusarsi, preoccupato dal silenzio di lei, - Non volevo prendermi gioco di Louise, né di te, solo che... -

Solo che Oscar scoppiò a ridere.

Una risata fragorosa, incontenibile. Il racconto di André spiegava tante cose, ed anche se era l'esatto opposto di quello di Louise, non ebbe dubbi su quale tra le due versioni fosse la più veritiera. E lei, Oscar, non era né cieca, né sprovveduta; semplicemente non si era accorta di niente... perché non c'era niente di cui accorgersi. Che sciocca che era stata, a lasciarsi coinvolgere dalle storie di Louise!

- Non darti pensiero, Sant'André - riuscì a dire, schernendolo, quando la risata si esaurì. - Le tue sono le uniche cose sensate che abbia sentito dire oggi. E Louise non saprà che me le hai riferite, se la cosa ti preoccupa. -

- Ne sono ben lieto -, disse, senza nascondere un sospiro di sollievo, - anche se non capisco perché questa storia ti faccia tanto ridere -, commentò, spaesato - né perché Louise abbia deciso di raccontartela dopo tutto questo tempo... -

Giusto, c'era la questione di Rosalie, il vero problema, in effetti. Prima che André si mettesse ad indagare, Oscar pensò di accennare all'argomento, senza fornire troppi dettagli. Lo conosceva fin troppo bene e sapeva che, se non avesse placato subito i suoi dubbi, lui avrebbe intuito che c'era qualcosa che non quadrava. E se l'avesse messa sotto torchio, non avrebbe resistito. Non a lui.

- Louise era semplicemente in vena di confidenze -, minimizzò. - Però, il tuo nobile intento di preservarne la virtù deve aver colpito mia sorella nel profondo, visto che ti crede un martire e vuole restituirti la felicità perduta. -

- Oh, no... - fece lui. - Non credevo pensasse alla cosa in questi termini... non credevo ci pensasse affatto, non dopo tutto questo tempo! -

- Eh no, caro mio, ci pensa eccome! Ti ritiene responsabile della sua probabile caduta agli inferi -, rise ancora Oscar, di nuovo improvvisamente allegra, cosa che disorientò non poco André. - Per salvare la sua povera anima, secondo lei potrebbe andar bene farti fare coppia con Rosalie. È convinta che provi qualcosa per lei - , provò ad insinuare con studiata distrazione.

- Cosa?! - Strabuzzò gli occhi, lui. - E alla mia, di anima, non ci pensa? Rosalie?! - Esclamò sgomento. - Ma... per amor del cielo Oscar, no! Non le avrai dato ascolto! Per questo tutte queste domande? - Chiese a raffica. - E poi quando se ne sarebbe accorta, scusami, in sogno? -

E le sue proteste furono talmente accorate e tumultuose che Oscar tornò definitivamente alla convinzione che aveva avuto fino ad una attimo prima della confidenza di Louise; e cioè che tutta la storia fosse una gigantesca, assurda bolla di sapone. Sollevata, fu felice di avergli taciuto la storia del matrimonio e del generale. La ragione ufficiale era che, se André lo avesse saputo, avrebbe di sicuro dato in escandescenze, si sarebbe preoccupato e l'avrebbe tormentata finché la cosa non fosse stata risolta. La ragione ufficiosa, perché una ragione nascosta sentiva che c'era, non avrebbe saputo dirla neanche lei. Faticò a trattenere un sospiro.

- Dice che vi ha visti danzare... -

Ah, ecco. Lo spettacolo pietoso della sera prima era riuscito ad imbrogliare qualcuno. Purtroppo, non aveva funzionato con la persona giusta.

- Ad ogni modo, no, non le ho creduto -, proseguì Oscar, rassicurandolo, senza notare che gli angoli della bocca di lui si piegavano in un sorriso triste. - Non c'è mica bisogno che ti scaldi tanto. Mi sembri Clotilde quando le sporcammo l'abito da ballo nuovo. -

André sorrise di nuovo a quel ricordo buffo. Oscar aveva insozzato l'abito con del grasso da cucina, piazzando due belle manate unte sul didietro, per fare un dispetto a Clotilde, per vendicarsi di chissà quale torto. André era stato incolpato, ma Oscar si era impuntata perché dessero a lei la responsabilità, col risultato che lei era finita confinata in camera sua per una settimana, tra libri, violino e colazioni al letto, mentre André era stato spedito a spalare letame nelle stalle per il doppio del tempo.

- Me lo ricordo - rise lui. - Una punizione molto equa. Sento ancora la puzza delle stalle. -

Oscar sorrise di rimando, un po' dispiaciuta, e spronò il cavallo. Ripresero a camminare al passo, fianco a fianco.

- André... -

La voce era velata.

- Non mi piace questo tono... ho paura tu voglia farmi altre rivelazioni. -

- No, direi che per oggi è abbastanza... - sorrise. - Solo che... sono curioso. Come mai dici di non aver mai pensato al matrimonio? La maggior parte dei tuoi coetanei aspira a diventare nonno entro i quaranta... - considerò, simulando un tono disgustato. - Tu, invece, non pensi neanche al primo passo... Non è che vuoi diventare santo davvero? - Chiese, smorzando l'accento serio.

André sobbalzò di nuovo sulla sella. Oscar, Oscar... perché voleva prendersi gioco di lui?

- Hai detto bene, Oscar, la maggior parte dei miei coetanei... non io. Ma posso assicurarti - continuò lanciandole un'occhiata affilata - che non aspiro affatto alla santità. -

- Sì... - fece lei, a disagio, - ma perché? -

Lui fremette e, incoraggiato dalle continue domande e dalla sua indecifrabile allegria, decise di dirle quanto di più vicino c'era alla verità, sperando che capisse, o che, almeno, intuisse.

- Se mi sposassi dovrei andarmene, lasciare palazzo Jarjayes... lasciare te. E non è quello che desidero - aggiunse, fissandola con eloquenza.

- Ah, per questo... - commentò Oscar, fraintendendo, per paura di capire, ed affrettandosi a sembrare giusta. - Ma non devi preoccuparti. Quando verrà il momento, se desidererai restare, troveremo il modo. Non è detto che, una volta sposato, tu non possa più farmi da attendente. -

André sospirò. Niente da fare, ogni volta che anche solo si avvicinava all'argomento, lei, sempre così brillante quanto al resto, diventava, d'un tratto, ottusa. Forse c'era da preoccuparsi... o forse, più probabilmente, il sospetto l'aveva colta, e l'idea le faceva talmente orrore che evitava di fomentarla in alcun modo. Però, tutte quelle domande... ma André rinunciò a seguire quella strada, che aveva tutta l'aria di essere un vicolo cieco, e la buttò sullo scherzo. Riteneva di essersi fatto male a sufficienza.

- Se la metti così, Oscar, sembra che tu non veda l'ora che mi accasi... -

- Oh, non essere sciocco! - Esclamò, senza lasciarlo finire. Non era proprio quella l'impressione che intendeva dargli. - Io... vorrei solo che tu fossi felice. Se ci fosse la nonna direbbe che è sconveniente, ma io tengo davvero a te... come fossi un fratello.-

Che strano, adesso che la diceva ad alta voce, quella parola, fino ad un attimo prima così giusta, non avrebbe potuto suonarle più stonata. Il primo violino scordato nell'orchestra dell'Opéra.

Invece André, ricevuto il colpo di grazia, pensò che, se ci fosse stata una fossa aperta, ci si sarebbe buttato. Non prima di dirle che la nonna avrebbe trovato sconvenienti ben altri modi di tenere ad una persona, praticamente tutti quelli in cui lui teneva a lei. Però chinò la testa. Davvero non lo sapeva, che sarebbe finita così? Non aveva giurato a se stesso che gli sarebbe bastato starle accanto?

Certo, come amico, confidente, qualsiasi cosa... ma un fratello... era troppo, persino per lui.

- Ti ringrazio Oscar, ci tengo anch'io...-, incassò, ma quel “come un fratello”, lui non l'avrebbe ricambiato mai. Piuttosto, avrebbe preferito fare la stessa fine del già citato Abelardo.

André continuò ad avanzare al fianco di Oscar, silenzioso e stanco, sotto la luce stinta del tardo meriggio.

 

Tornarono a palazzo Jarjayes ammutoliti, entrambi schiacciati dalla sensazione che tra loro ci fosse qualcosa di non detto, qualcosa a cui nessuno dei due aveva il coraggio di dare voce. Oscar, maestra dell'elusione, si mantenne sulle sue, ed André non sarebbe tornato di sua iniziativa su un discorso del genere, non senza che lei gli desse almeno il la. Si immersero nelle stalle che era quasi buio. Oscar uscì subito, salutandolo con un cenno e una frase smozzicata. André rimase sulla porta, a guardarla allontanarsi, e accompagnò ogni suo passo con un respiro. Non era il solo, però, a seguire la figura sottile di Oscar che svaniva nell'ombra della sera. A pochi passi, accanto al cespuglio di ortensie sfiorito, c'era Louise, ancora una volta testimone scomoda, stavolta non di una danza innocente, ma di un segreto doloroso, sepolto a fondo, con fatica, negli anni. Ma nelle spalle curve di André, nei respiri pesanti, in quella sagoma immobile che si protendeva verso l'altra, la verità appariva, tremenda, e chiara, come fosse una pagina stampata.

Louise aveva sempre sospettato che fosse così, e ogni volta aveva ricacciato indietro un sospetto tanto terribile. Ciò che aveva, adesso, davanti agli occhi, però, andava al di là di ogni ragionevole dubbio.

André non aveva mai avuto occhi per nessun'altra, se non per Oscar. La precipitosa dichiarazione del ragazzo, quella sera tiepida di tanti anni prima, la determinazione, così adulta, a non consumare l'amore che le professava, prendevano ora tutto un altro sapore. Il sapore amaro della menzogna. Si sentì tradita. Si era data tanto cruccio, addossandosi la responsabilità dell'infelicità di André, quando il loro amore per lui non era stato altro che una recita, uno strumento per insabbiare un peccato che sarebbe stato ben più grave. Louise meditò vendetta, convinta di averne ogni diritto, proclamandosi vittima di un'onta intollerabile e lanciò un'ultima occhiata furibonda verso André. Fu allora... che lo vide, che lo vide davvero. Triste, malinconico, curvo, come se ogni parte del suo corpo fosse dolente. La rabbia scemò di colpo, come un nugolo di foglie spazzate dal vento. Davvero voleva vendicarsi di quel ragazzo, la cui vita era destinata a consumarsi nei respiri affannati che ancora le riempivano le orecchie? Lei, nobile, madre, moglie appagata, proprietaria di una discreta fortuna... davvero sarebbe stata capace di infierire su un animo già spezzato? Non era già abbastanza penoso così? Oh, sì che lo era, lo era fin troppo. Ed Oscar... chissà se lo ricambiava... anzi, chissà se ne era persino consapevole... Oscar, cara Oscar. Una ragazza di bellezza e doti eccezionali, costretta a vivere inscenando un ruolo, senza avere alcuna possibilità di scelta. E pensare che, da piccole, l'aveva invidiata. Lei, penultima nata di quella nidiata infinita di femmine, relegata in un cantuccio dal generale suo padre insieme ad ogni barlume di buonsenso, aveva addirittura invidiato Oscar per l'affetto che le veniva riservato. Ma quanto fosse penoso quell'affetto, lo vedeva soltanto adesso. E ringraziò Dio, mentre gli occhi si facevano umidi, di non aver donato a sua sorella la mollezza di Catherine, o il petto procace di Clotilde, ma una tempra d'acciaio e i fianchi più stretti che si fossero mai visti. C'erano solo quelli, tra Oscar e il pubblico scherno. Oscar... che non avrebbe mai avuto una famiglia come la sua, ma soltanto André, a difenderla dalla solitudine. Louise si coprì il viso con le mani. Davanti a quella tragedia, quella tragedia reale, non poteva fare altro che accettare di buon grado di non essere lei, per una volta, l'eroina della storia. Era del tutto impotente, non poteva cambiare le cose, né intromettersi. Se la verità fosse affiorata, anche solo per un istante, André sarebbe stato immediatamente allontanato da palazzo Jarjayes, di questo era certa, e per quanto si sentisse ancora ferita, non avrebbe permesso che la storia avesse quel finale. Non avrebbe permesso che la storia avesse nessun finale, e non lo avrebbe avuto, se André fosse stato libero di vivere il suo tempo al fianco di Oscar. Ma le illazioni che aveva fatto col generale a proposito di lui e Rosalie rischiavano di rovinare tutto. Louise si sentì d'un tratto risoluta. Avrebbe tentato, affascinata da quella strana smania di onestà che, ora, la agitava, di rimettere le cose a posto, almeno questo. Non poteva fare altro per lui, per loro. Allungando le mani, cercò a tentoni l'orlo della gonna scura che non si distingueva più, confuso nel colore denso del buio. Lo sollevò con delicatezza e si accinse ad attraversare il prato, per tornare indietro senza fare rumore, per lasciare che André soffrisse in pace.

E pensare che era andata alle stalle solo perché voleva vedere, con i suoi occhi, che le ortensie azzurre non c'erano più.

 

L'indomani mattina, a colazione, Oscar trovò Rosalie che gironzolava per il salone. Aveva tra le mani una lettera.

- Oh, Monsieur! - Esclamò, correndole incontro. - Questa è da parte di vostra sorella Louise - disse, porgendole la carta profumata.

- Mmm? - Bofonchiò stupita, prendendola. - Santo cielo, ma quanto profumo ci ha messo? Mi puzzeranno le mani di rosa canina tutto il giorno. E lei dov'è? -

- Madame Louise è partita all'alba, Monsieur, credevo lo sapeste. - Oscar strinse la missiva, pensierosa. Cos'era, un altro dei suoi trucchi? - Pare che sia dovuta rientrare di corsa a Nantes, per un peggioramento delle condizioni di salute di una parente del marito -, la informò Rosalie.

- Oh... - mormorò, accingendosi a spiegare il foglio.

- Ah, Monsieur, perdonatemi -, la interruppe Rosalie, tornando sui suoi passi. - In realtà la lettera è per il generale, solo che Madame mi ha detto di farla leggere prima a voi. -

Ma Oscar non la ascoltava, già presa dalla lettura di quel biglietto, che partiva con un lungo, inutile preambolo di scuse formali per essere partita all'improvviso, seguito dai ringraziamenti di rito, e dai prolissi saluti da estendere a tutti i conoscenti, dato lei era così indaffarata che non aveva proprio il tempo di scrivere lettere. La solita sbruffona. Oscar sbuffò, seccata, e stava per abbandonare la lettura quando una frase catturò la sua attenzione.

“In ultimo, caro padre, trovo doveroso dirvi che per quanto riguarda André Grandier e Mademoiselle Lamorlière, sarebbe un errore imperdonabile, oltre che un peccato davanti agli occhi di Dio, costringerli a stringere i sacri vincoli. Perdonatemi se le mie parole vi hanno spinto in tal senso, vi prego di credermi se vi confesso di aver commesso un grave errore di giudizio.”

Oscar ripiegò con cura la carta, non prima di aver controllato con attenzione la grafia. Ma la lettera era autentica, era proprio di Louise che, grazie a chissà quale miracolo, aveva cambiato idea. Non ci avrebbe scommesso una lira tornese, ma era accaduto.

La ripose con cura nel bavero dell'uniforme. L'avrebbe consegnata al generale al suo rientro; nel frattempo, meglio non lasciarla in giro.

Non avrebbe mai immaginato di pensarlo nella vita, ma Oscar era piena di gratitudine verso Louise, ai limiti della commozione. Per lei doveva essere stato uno sforzo immane ammettere di avere torto. Certo, non era arrivata al punto di restare ad affrontare il generale di persona, e la sua fuga precipitosa, perché di questo si trattava, altro che parente moribonda, ne era la prova. Comunque sia, conoscendo le velleità da primadonna della sorella, riusciva a comprendere la sua difficoltà, e ad esserle profondamente riconoscente per quel gesto di resa. Chissà, magari dietro la maschera da intrigante si nascondevano davvero buone intenzioni... magari anche lei... ci teneva davvero ad André... Che strano, non riusciva a capire perché tutta quella storia la facesse sentire tanto triste, tanto a disagio. Si mise una mano sul petto, quasi a voler carezzare quel semplice foglio di carta, senza riuscire ad impedire che un velo salato le appannasse la vista. Che strano.

- Grazie... - mormorò, in un sussurro tremante. Continuò a premersi a mano sul petto, pensando a Louise e sperò sinceramente, e con una strana punta di angoscia, di rivederla presto.

Purtroppo, però, Oscar sapeva anche che la lettera non sarebbe stata sufficiente a far demordere il padre. Aveva ancora ben chiara in mente la sua frase, quando le aveva detto che anche se la tresca non fosse stata reale, non si poteva lasciare la paglia vicino al fuoco. Quando il generale prendeva una decisione, era granitico. Era come una ruota lanciata su un terreno scosceso; l'unico modo per fermarne la discesa vorticosa era piazzarle davanti un ostacolo contro cui farla sfracellare. Ed il biglietto di Louise, per quanto utile, non aveva certo una forza di tale portata. Non dopo che era stata proprio lei, a piazzare la ruota sulla cima del pendio.

No, occorreva trovare un deterrente più efficace, e alla svelta.

 

Il resto della settimana trascorse velocissimo, con i giorni carichi di una strana aura di tensione. Il ballo da Madame Elizabeth si avvicinava, come pure il rientro del generale, e sia Oscar, sia Rosalie, erano in alto mare; la prima, perché ancora si arrovellava a cercare un modo per convincere il padre ostinandosi a non coinvolgere André, la seconda, perché, tra Oscar più sfuggente di un'anguilla, ed André, così distratto che pareva essere a lutto (per la cronaca, era mesto come un animale al gabbio da quando Oscar lo aveva relegato al ruolo di fratello), si accorgeva che le lezioni di danza procedevano troppo a rilento, e temeva di fare una figuraccia.

Pochissimi giorni prima del ballo, Oscar, resasi conto che il tempo stringeva e che rischiavano di dare Rosalie in pasto ai lupi, mise da parte le preoccupazioni  e si occupò personalmente di riparare alla negligenza di André. Con un tour de force che durò quasi due notti intere, rimisero a punto la courante, alla quale si aggiunsero allemanda, gavotta e rigaudon, danze complesse, di cui André era riuscito ad impostare solo i rudimenti.

Alla fine, era rimasto fuori solo il minuetto che, ironia della sorte, era la danza più in voga in assoluto.

- Avresti dovuto partire da quello! Ce ne saranno a bizzeffe - profetizzò. - È il minuetto la danza preferita della Regina, altro che courante! - Si sentì rimproverare André che, come sempre, in quei due giorni di continui rimbrotti, rinunciò a rispondere.

- Ridicolo, come se non fosse mai stato a corte... - continuava a protestare Oscar, scuotendo la testa e parlando ormai da sola.

- Monsieur -, le chiese Rosalie, approfittando dell'assenza del ragazzo, spedito in camera di Oscar a prenderle il violino - ma che cos'ha André? Sono giorni che sembra così triste... -

Oscar si voltò a guardare il corridoio vuoto. Rosalie aveva ragione, André sembrava... affranto. Chissà cosa gli passava per la testa, si chiese, dimenticando d'un tratto le danze, convinta, una volta di più, di aver fatto bene a non dargli anche la preoccupazione della smania del generale di vederlo sistemato.

- Oh, probabilmente è solo stanco - rispose, d'un tratto ansiosa di vederlo tornare.

 

A dispetto di tutti gli sforzi, Rosalie non riuscì ad imparare il minuetto in tempo. Era talmente satura di conteggi, figure e scambi, che il minuetto, con la complessa altalena di riverenze leziose ed il rigido cerimoniale dello schema dei passi, rischiava di darle il colpo di grazia. Oscar se ne avvide e, non potendo rinviare il debutto, giacché aveva già annunciato la presenza di Rosalie, concluse che avrebbe partecipato al ballo col carnet di danze che conosceva. In caso di minuetto, o, meglio dire, di minuetti, e molti, temeva, lei o André le avrebbero fatto un segnale, tenendola lontana dal centro della sala da ballo.

- Un problema alla volta - mormorò Oscar a se stessa, mentre salivano in carrozza. Restavano solo due giorni prima del rientro del generale, ma, per quella sera, occorreva che si concentrasse solo sul debutto Rosalie che, per inciso, era un vero incanto, avvolta in un abito sontuoso, bordato di una fascia di pizzo del colore dell'oro. Tra i capelli, acconciati dalle mani sapienti della nonna, portava un fermaglio di perle e zaffiri, un prestito benaugurante dell'ultimo minuto di Madame de Jarjayes.

La serata, almeno inizialmente, fu un successo. Rosalie, scortata da Oscar e André, ed armata della sua grazia naturale, seppe mettere a frutto i lunghi mesi di preparazione, conversando affabile e cimentandosi in più di una danza in maniera inappuntabile, tant'è che Oscar, soddisfatta, abbassò per un attimo la guardia. Errore fatale, dato che di quell'attimo approfittò la giovane contessina Charlotte di Polignac, arpia travestita da ninfa, per prendere di mira Rosalie e metterla pubblicamente in difficoltà.

- Come sarebbe che non conoscete il minuetto? È inaudito! - Squittì, con voce ostentatamente alta.

- Ecco, io... - provò a spiegare Rosalie.

- Non provate a giustificarvi. Solo una persona di basso lignaggio potrebbe non conoscere un minuetto. Mi meraviglio di Monsieur Oscar, che ha osato portarvi qui! - Seguitava a sbraitare la contessina, mentre Oscar si fiondava verso le due, sperando di placare l'astio della giovane Polignac. E si maledisse, per non aver dato ascolto alla sua lungimiranza, e a quella pulce nell'orecchio che, da due giorni, ronzava il tema di un minuetto. In realtà, aveva anche sottovalutato il fatto che la presenza di una fanciulla tanto graziosa al suo fianco avrebbe suscitato una cieca invidia nell'intero parterre femminile. Certo che la contessina, pur essendo solo una bambina, mostrava una perizia calcolatrice che avrebbe fatto un baffo alle prodezze più diaboliche di Louise... Ma Oscar non fece in tempo a formulare il pensiero, che la querelle si concluse nel più inaspettato dei modi: con un ventaglio scagliato contro l'intoccabile Charlotte, e una sorprendente frase di Rosalie, che riecheggiò, fiera, in tutta la sala:

- Non vi permetto di parlarmi in questo modo! Sappiate che mia madre è una nobile! -

 

Oscar, André e Rosalie rimuginavano sull'accaduto, ciascuno rintanato in un angolo della carrozza che li riportava a casa di gran carriera, sobbalzando ad ogni fosso della strada sterrata. Erano andati via subito, inseguendo una Rosalie sconvolta, senza che ci fosse modo di chiarire sua la posizione, tantomeno di parlare di scuse. Neanche di raccogliere il ventaglio, avevano avuto il tempo, ed ora giaceva là, sul pavimento tirato a lucido, mentre tutti lo additavano bisbigliando, neanche fosse un'arma del delitto. Oscar, dal canto suo, era certa che la giovane Polignac avesse avuto quello che si meritava, nondimeno la sua detestabile madre avrebbe preteso soddisfazione, intoppo rimarchevole, considerato che si aggiungeva alla grana matrimoniale, o paterna, neanche sapeva più come definirla, che aveva già. Avrebbe voluto pensare in santa pace, ma i singhiozzi acuti di Rosalie straripavano dall'angusto abitacolo della berlina.

- Suvvia, Rosalie, non avertene a male -, provò a rincuorarla. - Fossi in te, sarei fiero di aver avuto la prontezza di rispondere in quel modo. -

- È vero -, intervenne André, in uno dei rari momenti di quei mortificanti giorni in cui si ricordava di avere una lingua. - Così nessuno potrà più attaccarti sulle tue origini. Davvero una bella trovata...-

Ma la piccola Rosalie non sembrò impressionata dalla cosa, al contrario, proruppe in uno scoppio di pianto disperato e si lanciò ai piedi di Oscar, nascondendo il viso sulle sue ginocchia.

- Oh, Monsieur, perdonatemi... io... io... -

- Ma che cos'hai? Parla! - La incitò, sollevandola per le spalle sottili.

- Ecco... io non ho mentito... la donna che mi ha cresciuto non era la mia vera madre... me lo ha confessato lei stessa -, articolò a fatica. - La mia vera madre... è una nobile -, confessò, con voce tremante.

Oscar, interdetta, cercò, quasi chiamò, nel buio, gli occhi sgranati di André. Che notizia... Questo cambiava... beh, cambiava tutto... e in molti sensi. Si sentì ingiusta, nel vedere nella rivelazione di Rosalie, che sembrava tanto afflitta, la soluzione al suo problema, ma la speranza che potesse essere così, era balenata troppo prepotente per poterla ignorare.

Se Rosalie diceva il vero, ed aveva quindi origini nobili, André era salvo. Un nobile non può sposarsi senza il consenso del Re. Nemmeno suo padre avrebbe potuto opporsi a questo. Ma poi perché mai continuava a considerare la cosa dalla prospettiva di André? Rosalie non era forse vittima in egual misura?

- Benedetta ragazza... - farfugliò, concentrandosi, - perché non me lo hai detto prima? -

- Io non voglio essere nobile... - pianse Rosalie, - e poi non so chi sia la mia vera madre, so solo che si chiama Martine... Gabrielle... -

Martine Gabrielle... solo un nome, senza titolo, né casato. Se non fossero riusciti a scoprire altro, il generale l'avrebbe accusata di aver inventato una fandonia qualsiasi per impedire il matrimonio. Ma almeno avevano un punto di partenza, era già qualcosa.

 

Anche se Rosalie avrebbe preferito che la verità sulle sue origini blasonate restasse un segreto - o finisse nel dimenticatoio -, Oscar la convinse che la cosa più giusta fosse scoprire l'identità della misteriosa Martine Gabrielle. Con questa informazione in pugno, Rosalie avrebbe avuto il privilegio di poter giocare a carte scoperte col destino ed allora, solo allora, quando le carte fossero state tutte esposte sul tavolo, senza più assi nascosti nel mazzo, avrebbe deciso quale mossa fare. A onor del vero, Oscar le avrebbe dato il medesimo consiglio anche se non ci fosse stata di mezzo la faccenda del matrimonio.

André era d'accordo con Oscar, solo che non riusciva a spiegarsi in nessun modo quale fosse l'urgenza di rivoltare mezza Versailles per scoprire tutto entro la fine della giornata. Obiettò che la madre naturale di Rosalie poteva restare benissimo qualche altra settimana dove era stata finora, ma Oscar non aveva voluto sentire ragioni. Dapprima  lo aveva mandato dalla contessa di Noailles, ed era stato un buco nell'acqua, poi agli archivi della Biblioteca reale, dai quali era tornato carico di meraviglie che, nella fattispecie, erano una ventina di tomi smisurati, contenenti un elenco minuzioso, stilato a mano e con una grafia minuscola e talmente piena di arzigogoli da risultare quasi illeggibile, di tutti i nobili che avessero mai respirato in suolo francese dai tempi di Ugo Capeto.

- Beh, credo che ci toccherà fare un'altra nottata! - Aveva esclamato Oscar, allegra, osservando i tre valletti che c'erano voluti per svuotare la carrozza ingombra di libri.

André aveva chinato il capo, sconsolato. Certo che era strana. Quella sarebbe stata la terza notte insonne, dopo le due passate a farsi venire il latte alle ginocchia a furia di gavotte, nonché la meno entusiasmante. Già si vedeva, a maledire il suo triste destino di fratello acquisito, mentre cercava di decifrare i geroglifici di qualche maligno amanuense, che si era preso gioco di lui già secoli prima che nascesse, trasformando ogni singola lettera in una giostra di ghirigori.

 

Come silenziosamente previsto da André, la lunga notte di ricerche passò infruttuosa; i nomi da scorrere erano troppi, i tomi interminabili. Era stata dura non cedere al sonno, difatti Rosalie era stata esonerata dalla ricerca e spedita in camera sua, dopo che era crollata con la fronte sulla stessa pagina per la terza volta consecutiva.

Oscar e André, la prima per determinazione e senso del dovere, il secondo per il suo incrollabile amore e la sua totale fedeltà ad Oscar, avevano resistito strenuamente al richiamo di Morfeo, passando dallo scorrere le fitte righe alla luce delle candele, agli occhi strizzati nel chiarore arancio dell'alba, alle tempie strette tra le mani, con gli occhi che bruciavano, quando il giorno era ormai pieno.

- Devo andare a Versailles - fece d'un tratto Oscar, alzandosi. - Ma tornerò presto. Tu, continua a cercare. -

- Ti prego Oscar, lasciami venire con te... non ce la faccio più a leggere, sono esausto - la implorò André, sentendosi perso all'idea di restare solo tra quelle pagine polverose.

- No, devi continuare a cercare - fu la risposta secca.

Il generale aveva mandato un messaggio, sarebbe tornato entro sera. Non poteva permettere che le ricerche si fermassero, per nessuna ragione. Doveva trovare quel nome.

- Non capisco perché questo gioco al massacro, quando potremmo fare le cose con tutta calma - protestò lui, ma Oscar, stanca e snervata, dalle preoccupazioni e dalla mancanza di sonno, non lasciò correre.

- Non ho intenzione di discutere, André, fa' come ti ho detto e basta! - Gli intimò.

- Certe volte sei proprio impossibile! - Si lasciò sfuggire lui, chiudendo rumorosamente un libro, senza rendersi conto che Oscar lo guardava, quasi incantata. Lo guardava, con la stanchezza che la inebetiva, impedendole di restare entro i limiti dell'appropriato. André indossava ancora quella redingote verde e, con la particolare luce del mattino che filtrava dalle spalle, i suoi occhi parevano ancora più chiari. Si riscosse in un attimo da quel pensiero, Oscar, ed ebbe paura.

- Quando torno, voglio trovarti qui - ringhiò, avviandosi alla porta. - E vatti a cambiare, non sopporto quando ti metti in tiro per stare in casa -, concluse, mentre usciva di corsa.

André rimase attonito, interdetto, e non seppe mai quale fosse il problema nella sua tenuta, dal momento che era una delle poche, che elegante non era di certo, e che l'aveva indossata in casa decine e decine di volte.

 

Qualche ora dopo, quando Oscar tornò, André aveva scoperto la proprietaria del nome misterioso; Yolande Martine Gabrielle... Contessa di Polignac. Che crudeltà, per la piccola Rosalie. Anche se, da un lato, quella madre tremenda la salvava da un matrimonio imposto, dall'altro, purtroppo ben più doloroso, il fatto che tra le due esistesse un tale legame di sangue non era altro che un perverso scherzo del destino. Oscar si mise in attesa, di malumore, nello studio del padre, per comunicargli la nuova non appena fosse arrivato, almeno questo. Più tardi, rimuginò, temendo che non esistessero le parole giuste per un annuncio del genere, avrebbe dovuto occuparsi di Rosalie. Chissà come l'avrebbe presa. Però, se Dio voleva, pensò speranzosa, superato l'impatto della notizia, avrebbero potuto continuare a vivere sereni, insieme, lei, Rosalie... e André... come fratelli... per tanto tempo ancora. E ancora…

Si sedette, tirando fuori dalla tasca interna della giacca il biglietto di Louise. Lo osservò, spiegato tra le sue mani. Le avrebbe scritto, decise, portandosi la mano al cuore, come la prima volta che lo aveva letto, senza neanche rendersene conto, e sorrise all'idea che anche lei, proprio come aveva sempre fatto Louise, stava sbrogliando la sua matassa con un piccolo complotto. Dio, quanto si somigliavano... bionditudine estrema a parte.

Oscar si rimise ad aspettare, ad occhi chiusi, ripensando alla quantità di cose che sapeva. Sapeva della contessa di Polignac. Sapeva del piano del generale e, finalmente, di come sventarlo. Sapeva di Louise ed André, la vera storia, s'intende, avendo parlato con lui all'insaputa di lei, inoltre aveva scoperto, finalmente, che la sorella non era poi la fredda e cocciuta mula che credeva. Riaprì gli occhi. Sì, sapeva molte cose in più rispetto a tutti gli altri, e aveva in mano più di un destino. O, almeno, questo era ciò che credeva, ignara che la sorte si stesse prendendo gioco di lei, manovrandola come un burattino dai fili invisibili e lasciando che ignorasse la cosa più importante di tutte.

Oscar non sapeva che André Grandier non aveva mai voluto un fratello, né una sorella, né niente del genere. Non sapeva che se, di lì a breve, il conte Hans Axel di Fersen non fosse tornato in Francia, dopo quattro lunghi anni di peregrinazioni e bivacco in giro per Europa, lei si sarebbe persa ancora in quegli occhi verdi, sempre più in fondo, fino a smarrire la via del ritorno, e allora avrebbe capito, tanto tempo e tanto dolore prima che no, un fratello non lo voleva neanche lei.

Illustrazione di Laura Luzi

 

 

Pubblicazione del sito Little Corner gennaio 2021

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