Autore: Nazarena
Ce qu'a vu le vent d'Ouest
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André tirò indietro i capelli per raccoglierli. Non si
era ancora abituato ad averli corti e lo infastidiva trovarseli sempre davanti
agli occhi, specialmente durante le esercitazioni con la spada. Oscar si accorse
di quel suo gesto automatico e prese a provocarlo:
- Che c'è, Mademoiselle, vi manca la chioma? -
- A me sì -, rispose André. - Ma sono lieto che voi
abbiate mantenuto la vostra, Mademoiselle. -
Oscar si sentì subito piccata e gli servì un paio di
affondi vigorosi. André non si lasciò impressionare e la giocò con una finta,
disarmandola.
Aveva notato che in quei giorni era più suscettibile del
solito quando si faceva anche solo il minino accenno alla sua femminilità.
Nell'ultima settimana aveva imposto perfino alla nonna di rivolgersi a lei
chiamandola “Monsieur”, da non crederci! La nonna però era un osso duro e ogni
volta fingeva di dimenticarlo, Oscar di conseguenza si inalberava e partivano
interminabili discussioni che finivano sempre con lei che se ne andava sbattendo
qualche porta. Lo strano comportamento sembrava essere cominciato da quando
aveva partecipato a quel ballo vestita da donna, considerò André, certo che
fosse accaduto qualcosa di importante e consumato dall'idea di non sapere cosa.
Anche se poteva immaginarlo.
Oscar raccolse la spada in silenzio; André era diventato
molto più forte nell'ultimo periodo.
Aveva una forza fisica che spesso gli bastava per
prevalere su di lei, a dispetto della sua tecnica perfetta, considerò
aggrottando la fronte.
- Andiamo, Oscar, hai intenzione di tenermi il broncio
ancora per molto? -
- No - rispose calma. - Ho solo intenzione di farti
vedere chi è la signorina, qui. -
- Quando vuoi - sorrise André rimettendosi in posizione.
Si batterono a lungo, rincorrendosi lungo le sponde del
piccolo lago artificiale nel parco di palazzo Jarjayes, perdendo il conto delle
vittorie e delle sconfitte e finendo seduti uno accanto all'altra, con le
schiene poggiate al tronco di un grande salice, sfiniti, a osservare il sole che
calava.
- Era tanto che non duellavamo così. -
- Già -, confermò Oscar, pensierosa. - Ultimamente c'è
sempre qualcosa da fare... -
- O qualche palazzo da svaligiare - concluse lui. -
Oscar sorrise. Le si strinse il cuore. Ma non avrebbe
saputo dire perché.
- Sei pronto per domani? -
- Sono nato pronto. -
- Sbruffone!- Lo apostrofò divertita dandogli una spinta.
- Su, ripetiamo il piano. -
- Oscar - la implorò. - Ti prego, sono giorni che non
facciamo altro. Non possiamo semplicemente goderci questo bel tramonto? -
- No, dobbiamo ripetere il piano. Domani non ce ne sarà
modo e ho bisogno di essere certo che non dimentichiamo niente. -
- D'accordo -, sospirò André staccando la schiena dal
tronco. - Ma una volta sola. -
La sera seguente, seguendo scrupolosamente il piano
stabilito, Oscar e André si incontrarono alle scuderie tre ore dopo il tramonto.
André aveva sellato i cavalli e indossava il costume da Cavaliere Nero, mentre
Oscar una semplice tenuta borghese e un cappello.
Lei lo guardò ridacchiando, e si sentì stranamente
imbarazzata mentre notava il corpo armonioso di lui, disegnato dallo stretto
costume nero.
- Però, devo ammettere che questa mise ti dona - disse
non riuscendo a trattenersi.
- Cos'era, Oscar, un complimento? - Chiese
stupito André. - In questo caso direi che il crimine paga! -
- Adesso non fare il cretino e concentriamoci. Hai preso
tutto? - Glissò Oscar, arrossendo,
mentre montava a cavallo coperta da un ampio mantello. - Piuttosto, copriti
anche tu. Si è alzato il vento. – Ammonì, sentendosi quasi Nanny.
André, sorpreso, sorridendo annuì, assicurando con un
gancio una pesante sacca alla sella.
Partirono al galoppo nella notte diretti verso il loro
obiettivo, palazzo Grabeille.
Il palazzo era la residenza dei conti de Grabeille, una
famiglia ammessa a Corte, ma non autorizzata a risiedervi. Oscar evitava di
derubare personaggi troppo in vista. Le dimore maggiori avevano una sorveglianza
armata serrata e la loro operazione, essendo sotto copertura, praticamente non
autorizzata, non poteva avvalersi di complici: il margine di rischio era troppo
alto.
La frustrazione, però, iniziava a farsi sentire; fino a
quel momento avevano colpito sette volte e del vero Cavaliere Nero non c'era
traccia.
La scelta era ricaduta su palazzo Grabeille perché era un
luogo conosciuto bene da entrambi, il generale Jarjayes era un amico di vecchia
data del conte de Grabeille, pur appartenendo quest'ultimo ad una famiglia di
rango inferiore. Tra gli altri considerevoli vantaggi, la residenza non aveva
molti sorveglianti, non era distante da palazzo Jarjayes e, per di più, si
trovava al limitare di un bosco di diversi ettari che avrebbe costituito un
nascondiglio perfetto, in caso di pericolo. Come se non bastasse, quella sera
era in programma un ballo a Versailles, i de Grabeille erano tra gli invitati e
non sarebbero tornati fino alle prime luci dell'alba, lasciando incustoditi i
monili della contessa.
Sembrava quasi troppo bello per essere vero.
Oscar e André arrivarono alla meta dopo un breve tratto
percorso con i cavalli lanciati al galoppo. Lasciarono gli animali legati ad un
albero al limitare del bosco e si avviarono a piedi verso l'alta cancellata che
delimitava tutta la proprietà. Il vento rumoroso e forte li costrinse ad
avanzare trattenendo i mantelli con le mani. Ogni cosa nella casa però sembrava
immobile, pesanti tende oscuravano le vetrate e non giungevano rumori sospetti
dall'interno.
Alcune lanterne fissate alla facciata illuminavano
soffusamente il perimetro dell'edificio mentre il resto del grande giardino
giaceva addormentato nell'ombra, attraversato solo dal sibilo del vento. Poche
guardie, avvolte nei cappucci, stanziavano davanti all'entrata principale che
era collocata ragionevolmente lontano dal punto dove Oscar e André avevano
intenzione di introdursi. Ritrovarono una parte della cancellata, individuata
ispezionando i confini qualche sera prima, su cui si allungavano i rami di una
grossa quercia. André tirò fuori dalla sacca una corda, la annodò lasciando un
cappio all'estremità e la lanciò in alto nella penombra, centrando in pieno la
punta acuminata di una delle sbarre.
- Però, che fortuna! - commentò Oscar.
Bravo, André,
disse a se stessa, come intenerita.
- Non è fortuna, si chiama classe, cara mio. -
Oscar sbuffò, schernendolo, e strattonò con forza la
parte di corda pendente per assicurarsi che il nodo reggesse. Una volta sicura,
la ripassò ad André che la afferrò saldamente con le mani e scalò l'inferriata,
facendo leva sulle gambe. Arrivato in cima, André passò su un grosso ramo
sporgente e, aggrappandosi al tronco della quercia, in un attimo fu all'interno
del giardino.
Oscar, dal canto suo, superò agilmente la cancellata, ma
mentre scendeva dall'albero una folata di vento le fece perdere l'equilibrio e
lei scivolò, rovinando rumorosamente su André.
Caddero entrambi a terra con un tonfo.
- Ti ho fatto male? -
- N… No... - rispose André, sorpreso dal colpo e da
quella inaspettata vicinanza.
Le prese delicatamente le braccia per evitare che si
alzasse, per tenerla su di sé ancora un attimo.
- E tu, stai bene? -
- Sì, sono solo scivolata, ho messo un piede in fallo -
rispose lei, staccandosi da lui e rompendo l'incanto.
- Tranquilla, sono errori dovuti all'inesperienza -,
disse lui, dissimulando l'emozione. - L'effrazione è un'arte e tu, per tua
fortuna, sei con un professionista! -
- Ma la smetti di darti arie? - Protestò Oscar. - Non mi
sembra il momento di scherzare! -
No, decisamente non lo era.
Erano nel bel mezzo di un furto in cui lui era la copia
di un pericoloso criminale e l'originale poteva comparire da un momento
all'altro. Oscar aveva ragione, era il momento di mantenere la lucidità.
Attraversarono il giardino con passo leggero e si avvicinarono al corpo laterale
del palazzo.
- André... mi sembra di aver sentito delle voci -
gli sussurrò Oscar.
André tese l'orecchio, ma non udì altro che il fischio
acuto della corrente.
- Sei sicura? Io sento solo il vento. -
Oscar mugugnò, forse quel colpo le sembrava così facile,
che trovare qualche difficoltà era quasi un bisogno. Se ne rese conto e decise
di dare ascolto ad André.
- Mi sarò sbagliata... Proseguiamo. -
Si avvicinarono ad un piccolo portone laterale che dava
l'accesso alle cucine.
Oscar tirò fuori una punta di ferro da una tasca del
mantello e si rivolse ad André: - Stiamo per entrare. L'obiettivo è di fare ogni
sforzo per mantenere la copertura. In una situazione di pericolo... -
- In una situazione di pericolo -, la interruppe
sottovoce - tu rivelerai la tua identità evitandomi di finire impallinato. Ho
studiato, visto? -
Oscar sorrise e, invece di redarguirlo per l'ennesima
battuta fatta in un momento poco opportuno, gli fu grata per quella innata
capacità di smorzare la tensione in ogni occasione.
Prese ad armeggiare con il punteruolo, forzando la
serratura con estrema facilità.
- André - ridacchiò a bassa voce, - questa serratura è
pessima... sarà un dono di Sua Maestà? -
André trattenne a stento una risata.
- Adesso ti prego io, Oscar, sto cercando di rimanere
concentrato! -
- Scusami, hai ragione
- disse lei infilandosi all'interno. - Via libera, vieni. -
André la seguì, lasciando la porta socchiusa e si ritrovò
in un'anticamera completamente buia. Avrebbero dovuto attraversare le cucine, un
corridoio e il salone di rappresentanza, prima di arrivare alle scale che
conducevano al piano superiore.
Un buio rassicurante faceva ben sperare che tutta la
servitù si fosse già ritirata.
Si avviarono con cautela, ma dovettero procedere quasi a
tentoni, perché in tutto il lungo corridoio non c'erano che un paio di candele.
Presto però si accorsero che dal salone proveniva una luce ben più intensa e
insieme alla luce arrivarono le voci di due uomini intenti a discutere.
Oscar si immobilizzò e trattenne per un braccio André,
cercando di capire di chi si trattasse.
- … vi farò assaggiare un Bordeaux del '70, vi assicuro
che non vi pentirete di essere rimasto a farmi compagnia. -
Era il conte de Grabeille, senza alcun dubbio! Dunque non
era andato al ballo, dannazione.
Ma chi c'era con lui? Di sicuro non la contessa. L'ospite
parlò ed Oscar ne riconobbe la voce dalla prima sillaba che pronunciò. Le si
gelò il sangue.
- Vi ringrazio conte, mi state deliziando con delle vere
rarità. -
Fersen! Maledizione, era Fersen... Oscar avvampò, non lo
vedeva dalla sera del ballo... Quando accidenti era diventato così intimo di de
Grabeille? Senza rendersene conto, serrò la stretta al braccio di André.
Anche lui aveva subito riconosciuto la voce del conte e
la morsa della mano di Oscar, la prova del suo turbamento, diventò
insopportabilmente bruciante.
André si liberò con decisione dalla stretta e fece un
passo indietro ma, nell'indietreggiare, urtò un tavolino che era poggiato alla
parete, facendo cadere un vaso che si frantumò sul pavimento con un fragore che
sferzò, come uno sparo nella notte.
Oscar restò pietrificata, mentre Fersen e de Grabeille
saltarono dalle poltrone.
- Cos'è stato? - chiese allarmato il padrone di casa.
- Non preoccupatevi conte, lo scopriremo immediatamente -
rispose Fersen avviandosi velocemente verso il corridoio. - Chi è là? C'è
qualcuno? -
Oscar non rispose e, forse per la prima volta nella sua
vita, non seppe cosa fare.
Poteva uscire dall'ombra, palesare a Fersen la sua
presenza e dire la verità, che sarebbe stata la cosa più giusta, oppure
semplicemente fuggire. Ma le era orribile l'idea di un confronto, al pensiero
del suo sguardo su di lei, al ricordo della sua voce che le parlava e sentì che
affrontarlo sarebbe stato troppo.
In un lampo ritrovò la lucidità, fece un cenno ad un
André ancora attonito ed entrambi cominciarono a correre a rotta di collo verso
l'uscita.
Il rimbombo dei passi sul pavimento di marmo confermò a
Fersen che qualcuno si era introdotto in casa. Cominciò anche lui a correre.
Oscar sapeva che per il momento erano inseguiti solo da
Fersen, sentiva la voce del vecchio de Grabeille riecheggiare dalla sala, mentre
chiamava a raccolta la servitù.
Considerò che avevano qualche secondo di vantaggio. Se
fossero riusciti ad arrivare in giardino, il buio e il vento li avrebbero
aiutati a far perdere le loro tracce. All'ingresso delle cucine, però, quando
l'uscita era ormai prossima, Oscar sentì André gridare e lo vide accasciarsi.
Nella penombra si accorse inorridendo che aveva qualcosa conficcato in una
gamba, sembrava l'impugnatura di uno stiletto.
Fersen aveva tirato quasi alla cieca quella piccola arma
che teneva sempre con sé, ed esultò quando si accorse che il colpo era andato a
segno.
- L'ho colpito! E' il Cavaliere Nero! -
Era vicinissimo, ma mentre si lanciava su André, Oscar si
interpose di scatto tra i due e lo spinse con tutte le sue forze. Sbilanciato da
quell'attacco, così inaspettatamente fisico, Fersen perse l'equilibrio, finendo
contro una massiccia credenza.
Nei brevi istanti in cui il conte rimase a terra a
riaversi dal colpo, Oscar si piegò su André gridando: - Cosa ti ha fatto? Cosa
ti ha fatto?! -
- Sto bene, corri! Corri! -
Sentire quella voce, così salda e decisa, la rincuorò. Si
alzò, mentre André si strappava il pugnale dalla ferita, in un gemito soffocato,
ed entrambi ripresero la fuga.
Da quel momento, ad Oscar sembrò di essere in una sorta
di sogno confuso, con la mente divisa tra lo sfuggire a Fersen e l'idea della
lama nel corpo di André.
Sentì le voci dei servi che si radunavano nel salone ma
lei e André ormai erano fuori. Corsero a perdifiato fino alla grande quercia,
con i mantelli spalancati dalle sferzate impietose del vento, mentre le guardie
al cancello principale, allertate dal trambusto, liberarono dei cani che
scattarono in direzione dei fuggitivi. Oscar e André riuscirono ad arrampicarsi
sul tronco, giusto un attimo prima che le bestie arrivassero e scavalcarono la
cancellata aiutandosi con la corda che avevano lasciato in precedenza. I cani
rimasero gabbati, abbaiando e saltando impotenti davanti alle sbarre della
cancellata. In pochi minuti il giardino si era riempito di persone, chi
accendeva una torcia, chi gridava, altri correvano verso le stalle, anche Fersen
era uscito e chiedeva a gran voce il suo cavallo.
Oscar e André continuarono a correre senza voltarsi fino
al limitare del bosco. Non avrebbero potuto fermarsi in nessun caso, ora che i
cani avevano rivelato il punto da cui erano fuggiti. Slegarono concitati i
cavalli e si immersero nella macchia. Dovevano fare presto, i primi inseguitori
uscivano al galoppo dal cancello di palazzo de Grabeille.
Nonostante l'affanno, seguirono le tracce di un sentiero
per qualche centinaio di metri senza rallentare il passo, poi deviarono
bruscamente, scomparendo tra i fitti arbusti.
Quando le parve che si fossero addentrati abbastanza e i
cespugli divennero così alti da impedire il passaggio, sia con
i cavalli che a piedi, Oscar si fermò e fece un lungo sospiro.
- Fermiamoci qui. È
impossibile proseguire. -
André legò alla meglio i cavalli al tronco di un albero,
poi si girò a cercare Oscar e distinse la sua figura disegnata nella penombra
dalla luce della luna.
André si sedette sull'erba e le prese la mano. Lei si
lasciò guidare dalla sua stretta e si mise accanto a lui. Entrambi tacevano
ansimanti e increduli per quanto era appena successo.
Fu Oscar a riscuotersi e a rompere il silenzio.
- André... la tua ferita! – Esclamò, accorata. - Come
facciamo con questo buio? Non possiamo medicarla… -
- Non preoccuparti -, la rassicurò - non dev'essere
niente di che. Sento solo un po' di bruciore. –
- Lascia almeno che metta una fasciatura… -
Prima che André potesse obiettare, Oscar strappò un lungo
lembo del suo mantello.
- Dov'è la ferita? -
Senza parlare André cercò la sua mano e la guidò. Oscar
sentì le dita bagnarsi di sangue e le si strinse il cuore. La ferita era sotto
al ginocchio destro, poco sopra il gambale dello stivale.
Oscar avvolse delicatamente la striscia di stoffa intorno
alla gamba e la fermò con un nodo, mentre André, turbato dal tocco delle sue
mani, si sforzò come sempre di mantenere la calma.
- Credo che così possa andare... -
- Bene -, disse lei ragionando a voce alta - perché credo
che dovremo aspettare l'alba. Se siamo fortunati attraverseranno il bosco dal
sentiero e non libereranno i cani di notte con questo vento. Qualcun altro ci
cercherà sulla strada maestra e dopo un po' penseranno che li abbiamo seminati.
Sicuramente verranno anche con delle torce, ma escludo riescano a spingersi fin
qui - Oscar fece una pausa e riprese, dicendo l'unica cosa che in realtà le
premeva - André, mi dispiace che
sia stato ferito... -
- Già - assentì lui con un tono lontano. Non era di
quello che voleva parlare. Pensò di trattenersi, ma poi decise di approfittare
dell'ombra che celava l'espressione del suo viso e pregò che lo aiutasse a non
tradirsi.
- Oscar... perché siamo scappati? -
Lei trasalì. - Perché me lo chiedi? - domandò lei a sua
volta. - Il piano era di salvare la copertura, no? -
- No -, la corresse. - Il piano era di rivelare la nostra
identità in caso di pericolo... ma non credo che occorra ricordartelo. -
- Non occorre, infatti - disse gelida mettendosi sulla
difensiva. - Non ho ritenuto che corressimo un pericolo tale da mandare a monte
il piano. -
- Dici davvero? - Chiese sarcastico. - Tanto per
cominciare, mi sono preso una pugnalata. -
- Per questo sono mortificata, André, e te l'ho appena
detto. Avrei preferito capitasse a me - lo interruppe lei sinceramente
dispiaciuta.
- Oscar... - insisté lui ostinato - Oscar, hai aggredito
il conte di Fersen... e non provare a dirmi che non sapevi fosse lui. -
- E con questo? - Obiettò lei, riprendendo il tono freddo
di poco prima.
- E con questo?! - Si animò André, facendole eco - Oscar,
hai per caso perso il senno? Poteva ferirti, poteva riconoscerti! -
Oscar si alzò di scatto e, del tutto inaspettatamente,
cominciò a ridere.
Una risata bassa, lenta, quasi beffarda.
- Se è questo il tuo timore, non c'è da preoccuparsi.
Ultimamente ha l'abitudine di non riconoscermi.-
André percepì tutta la sofferenza di lei e ne fu
sopraffatto. Non ne poteva più di fingere, di tacere, di arrovellarsi nel
dubbio. Si alzò piantandosi a un passo da lei e la afferrò per le spalle.
- Che cosa intendi dire? Che cosa è successo? - Le chiese
duro, sforzandosi di non alzare la voce.
- Lasciami - gli intimò lei.
- No Oscar, non ti lascio. Che cosa è successo? Riguarda
la sera del ballo, non è vero? -
A quella domanda Oscar sentì sgretolarsi le sue difese.
Ormai non c'era motivo di negare quello che André aveva già capito.
- Lasciami -, ripeté stancamente lei. - Te lo dirò. -
André allentò la presa, lasciando scorrere le mani sulle
braccia di lei, le sentiva, sotto le sue mani, coperte dal mantello.
- Quella sera abbiamo danzato... ma lui non si è accorto
che ero io. Parlava a me... di me... come del suo migliore amico, credendo di
rivolgersi ad un'altra persona. Non lo vedevo da allora. -
Oscar chinò il capo e calde lacrime iniziarono a
sgorgarle dagli occhi. Per André ascoltare quella confessione fu come ricevere
un'altra pugnalata, questa volta al petto.
Il sentimento di Oscar verso Fersen era sempre stato
evidente, ma ora che lei lo stava finalmente ammettendo, ora che lo sentiva
dalla sua voce, che vedeva le sue lacrime, diventava così tremendamente reale e
doloroso. Le cose che avrebbe voluto dirle, le parole che, fino a un attimo
prima, sembravano bruciargli nel petto come una fiamma impetuosa,
improvvisamente si spensero e tornarono a nascondersi nel dolore di un silenzio
che durava da vent'anni. Con un nodo alla gola si impose di trattenersi e lasciò
che Oscar continuasse il suo sfogo.
- È per questo che siamo scappati, perché non ho voluto
affrontarlo, non ci sono riuscita... e tu sei stato ferito per colpa mia, perché
sono una persona debole... perché sono una donna. -
Era una donna, sì, e lo ammetteva grazie a Fersen,
anelando a lui. Con uno sforzo atroce André ricacciò indietro la rabbia che
sentiva montare dentro e pensò al fatto che lei stava provando il suo stesso
patimento. Era consapevole che avrebbe potuto umiliarla con una sola frase,
calpestando quella femminilità sbocciata per un altro uomo, ma la sentì così
indifesa, così fragile, che d'un tratto dimenticò Fersen. Desiderava soltanto
non vederla più in quello stato.
- Oscar - le disse prendendole le mani, - sei una donna,
è vero, ma sei anche il miglior ufficiale che io conosca. La debolezza davanti
ai sentimenti è comune sia agli uomini che alle donne, non fa differenze e non
risparmia nessuno. -
- Oh, André... -
- Adesso asciugati quelle lacrime, oppure piangi ancora,
se vuoi. -
Oscar scossa la testa, si asciugò le guance con la manica
della giacca e si sedette di nuovo sull'erba, accanto a lui, in silenzio. Dopo
poco sentirono le voci degli inseguitori e le loro fiaccole che si avvicinavano,
accompagnate dagli ululati del vento.
Le udirono andare e venire più volte per poi spegnersi
nella notte.
André diede voce al pensiero di entrambi.
- Credo che se ne siano andati. Ce l'abbiamo fatta. -
- Lo penso anch'io - confermò lei, - ma dobbiamo comunque
aspettare, non riusciremmo ad uscire da qui con questo buio e non possiamo
rischiare di accendere una torcia. -
- Certo che no. Ci aspetta una lunga notte. -
- E fa anche freddo... maledetto vento - constatò Oscar,
stringendosi nel suo mantello.
- Aspetta -, disse André aprendo il suo e passando il
braccio attorno alle spalle di lei. - Dividiamo il mio. -
Oscar si rannicchiò, raccolse le ginocchia tra le braccia
e poggiò la testa sulla spalla di André. In tutta la follia di quell'assurda
situazione l'unica cosa che vedeva con chiarezza era proprio André, sempre
presente e pronto a sostenerla. Avvolta nel suo abbraccio caldo, sentì una
profonda gratitudine mista, a un sottile turbamento che non riuscì a definire.
Eluse la strana domanda che le ronzava per la testa e prese a ripensare agli
avvenimenti di quella sera.
- André... -
- Dimmi. -
- Stavo pensando che ho sbattuto Fersen contro una
credenza - disse ridendo sommessamente.
Già -, rispose lui unendosi alla risata. - Probabilmente
il Bordeaux del '70 lo ha preso in testa... –
Risero a lungo, e quando la risata si fu esaurita Oscar
si sentì tranquilla, abbandonò completamente la testa sulla spalla di André e si
addormentò.
Aprirono entrambi gli occhi alle prime luci di un'alba
senza vento, ancora avvolti nel mantello di André.
Il primo pensiero di Oscar fu di controllare la ferita di
lui, che fortunatamente si rivelò davvero poco seria.
Si alzarono doloranti dal terreno e si accinsero a
slegare i cavalli. Ripercorsero con difficoltà i loro passi fino a raggiungere
il sentiero e, una volta imboccato, lanciarono i cavalli al galoppo.
Attraversarono il bosco, sbucarono sulla strada maestra e
continuarono a galoppare verso casa.
Quando furono davanti al cancello di palazzo Jarjayes,
Oscar rallentò di colpo l'andatura fino a fermarsi.
André, stupito, la seguì, fermando il proprio cavallo
dietro quello di lei, che gli parlò senza voltarsi.
- André, vorrei che non facessimo più cenno a quanto ti
ho raccontato stanotte. -
Era ritornata in sé, riecco la solita cortina di
freddezza.
- D'accordo Oscar, come vuoi - si arrese.
Oscar si girò.
- Inoltre... mi hai detto che sono un buon ufficiale, ma
per dimostrare di essere tale devo evitare di esporre al pericolo chi mi segue.
Questa notte, sei stato ferito a causa della mia irresponsabilità e non
permetterò che la cosa si ripeta. Faremo solo un altro tentativo. Se falliremo,
sarà l'ultima volta che indosserai quel costume. -
Oscar si voltò nuovamente e, senza dargli modo di
rispondere, spronò il cavallo e varcò il cancello, colorando di polvere il
mattino.
Pubblicazione del sito Little corner maggio 2020
vietati pubblicazione e uso senza il consenso dell'autore
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