La nascita di un'amicizia

II parte

Le Amazzoni

 

Traduzione: Silvia Clerico

 

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Rimorchiato dalla nonna, dopo aver attraversato il castello da un capo all’altro, facendosi man mano indicare l’ubicazione dei vari appartamenti che incrociavano, André giunse infine, col fiato corto, davanti alla sala di studio. Con un sospiro, il giovane seguì la sua guida all’interno di quel covo del sapere, la cui volta rivestita di quercia gli si apriva davanti piena di mistero, come una caverna rigurgitante di tesori davanti ad Aladino.

Era una vasta stanza rettangolare, le cui alte finestre, orientate a sud, ricevevano generosamente la luce del sole. Contro le pareti dipinte di un bel giallo Napoli chiaro si ergevano delle massicce librerie di mogano semi incassate. Sui ripiani, chiusi da vetri incastonati di oreficeria lavorata, era ordinata una moltitudine di piccoli volumi dal dorso di cuoio, in perfetto stato e di un’impeccabile pulizia. Dietro quest’ordine militare si sentiva la mano della governante, strumento della disciplina domestica instaurata dal Generale, mano che non aveva eguali nel condurre la casa. Su un lato del muro un’ampia lavagna ad uso esclusivo dell’insegnante affiancava una colorata carta geografica della vecchia Europa, sconquassata da incessanti conflitti.

 

Il custode di quel tempio della conoscenza vedendo il nuovo arrivato che valicava il confine del suo territorio si mise in guardia. Era un uomo minuto, provvisto di gambe corte e tozze, dal profilo secco e spigoloso, una specie di ibrido tra una faina e un airone. Elegantemente vestito di un abito grigio topo, sul quale spiccavano una cravatta e dei polsini color gesso, teneva nelle mani una verga lunga e sottile che ad André parve la bacchetta magica di un qualche genio malvagio. I capelli brizzolati, dei sottili baffetti che sembravano disegnati con l’inchiostro di china, gli occhi miopi dal colore indefinibile dietro le piccole lunette appoggiate sul naso appuntito, poteva avere una quarantina d’anni, età veneranda per un piccolo André di sei anni e una Oscar di appena cinque primavere…

 

Quest’ultima era seduta all’estremità di un largo banco di mogano sistemato accanto ad una finestra, e fantasticava fissando un punto qualsiasi situato da qualche parte nel paesaggio esterno. All’entrata della nonna con André non fece nemmeno lo sforzo di spostare la sua attenzione dal punto su cui era concentrata, facendo bellamente finta di non averli visti. La nonna cominciò a presentare suo nipote all’insegnante.

“André. Questo signore è il precettore di Oscar. Il suo nome è Monsieur de Priam. E’ qui per insegnarvi, a te e a Oscar, tutto ciò che un gentiluomo ha il diritto e il dovere di conoscere. Tu dovrai obbedirgli in tutto e per tutto. E’ chiaro?”

“Sì nonna” rispose saggiamente il ragazzo.

“Bene. Allora siediti laggiù e presta attenzione ad ogni parola” concluse l’anziana signora.

 

Obbedendo, André andò a sistemarsi sulla sedia libera, giusto accanto ad Oscar, che continuava deliberatamente a ignorarlo. Apparentemente gli portava rancore per il gesto affettuoso che aveva avuto nei suoi riguardi pochi istanti prima. Inspiegabile! Cosa c’era di più normale di un sorriso, un abbraccio affettuoso o un bacio? Sua madre lo copriva continuamente di baci, stringendolo forte tra le braccia e ripetendogli come le era caro e quanto bene gli voleva. Allora perché Oscar era fuggita in quel modo, senza una parola, con lo spavento in fondo agli occhi? Perché era proprio spavento che gli era sembrato di leggere nello sguardo della bambina. E ora, questa indifferenza? Come era possibile passare tanto facilmente da uno stato ad un altro completamente opposto, in un lasso di tempo tanto corto, senza alcuna traccia del turbamento precedente? Decisamente, questa ragazzina era un enigma vivente, e più cercava di decifrarlo, più gli appariva oscuro…

 

André era perso nelle sue riflessioni, quando un secco colpo della bacchetta dell’insegnante sulla cattedra interruppe il corso dei suoi pensieri e lo riportò brutalmente alla realtà scolastica. Solo allora si accorse che la nonna se n’era andata, e che Monsieur de Priam lo osservava sospettosamente, come tentando, con il solo strumento dello sguardo, di misurare il potenziale intellettuale di questo nuovo allievo cadutogli improvvisamente dal cielo.

Il precettore era un nobile erudito ma di pochi mezzi, che aveva trovato il modo di guadagnarsi la vita dispensando il suo sapere nelle dimore nobili. Venditore itinerante di conoscenze di ogni genere, nondimeno era altamente competente, e si era guadagnato un’ottima reputazione riguardo all’efficacia del suo insegnamento e della sua disciplina. Era stata proprio quest’ultima qualità a convincere il Generale a orientare la sua scelta su quest’uomo severo, freddo e distante per perfezionare l’educazione di suo figlio, promesso a 'sì alti destini. Desiderava che Oscar fosse altrettanto formato nell’uso armi che nello spirito, e in nessun modo voleva che diventasse uno di quei pallidi virgulti di Corte, dei buffoni, la cui sola virtù era quella di saper divertire e distrarre per un istante. No. L’erede dei Jarjayes doveva conoscere la geografia, la storia militare, la politica, la filosofia, la matematica, e anche la metafisica. Voleva che Oscar acquisisse il vero significato dell’onore, così come si era perpetrato nei secoli secondo la tradizione delle più pure famiglie francesi di nobile origine, che fosse padrone della strategia militare, delle arti e delle lingue…

 

Ora, con grande dispiacere del precettore, André faceva parte di quell’ambizioso programma di formazione. Quando gli era stato comunicato, Monsieur de Priam si era fermamente opposto all’idea partecipare all’educazione di un bambino di origini plebee, toccando per la prima volta con mano una delle famose collere del suo datore di lavoro. Ma sotto la seria minaccia, pura e semplice, di vedersi rimpiazzato se non si fosse piegato alla sua inflessibile volontà, era stato costretto a fare marcia indietro sul suo orgoglio e accettare. Ecco perché André adesso si trovava seduto nel suo banco, di fronte al professore che lo scrutava con malcelato disprezzo da dietro gli occhiali. Dopo un interminabile istante di silenzio, il precettore si decise infine a cominciare la lezione, con una voce lenta e gutturale, articolando con attenzione ogni sillaba che usciva dalla sua bocca.

 

“Allora bambini. Oggi parleremo di storia antica e mitologia. La leggenda più conosciuta del mondo antico ci è stata trasmessa da un poeta greco cieco di nome Omero. La sua opera, l’Iliade, ci racconta in dettaglio l’assedio della città di Troia da parte dei Greci.” disse l’insegnante indicando con l’estremità della bacchetta un punto sulla carta dell’Europa, situato in mezzo ad una falange blu chiaro che doveva essere il teatro dell’illustre guerra. “Qualcuno di voi conosce il nome dell’eroe di questo poema epico, vincitore dei Troiani sotto assedio da più di dieci anni?” E davanti alla muta ignoranza dei suoi allievi: “Ma Achille diamine! Achille l’invincibile” rispose, un accento di passione nella voce.

“Achille?” fece André sottovoce.

“Ma certo!” confermò il professore senza dissimulare il suo disprezzo. “Dopo aver ucciso Ettore fu colpito mortalmente al tallone da una freccia avvelenata. Il tallone era il suo punto debole, una falla nella potente armatura del guerriero; infatti sua madre; Teti, alla nascita l’aveva immerso completamente nell’acqua dello Stige per renderlo immortale. Ciononostante, per poterlo fare aveva dovuto tenerlo per il tallone. Quel tallone era l’unica parte del suo corpo che faceva eccezione in questo battesimo d’invincibilità, e fu proprio grazie a quel tallone, non immunizzato contro gli attacchi delle frecce e delle lance, ad avere, che ebbero la meglio sull’eroe. Ma prima di perire di una morte gloriosa, era riuscito ad uccidere la bella Pentesilea, distruggendo così la difesa della città di Troia. Una volta scomparsa Pentesilea, infatti, i troiani erano divenuti deboli e vulnerabili, e questa debolezza, questa vulnerabilità furono la loro rovina.”

“Chi è Pentesilea?” domandò Oscar, con grande stupore di André. Evidentemente la sua aria distratta non era che una maschera, ed era più attenta di quanto non sembrasse alle parole dell’insegnante.

“Pentesilea era la figlia di Ares, il potente dio della guerra. Era la Regina delle Amazzoni. Si battè valorosamente a fianco dei troiani durante l’assedio, ma alla fine venne uccisa da Achille. Il guerriero pianse sulla sua beltà, e uccise Tersite che insultava il suo cadavere.” spiegò Monsieur de Priam, mentre un sorriso melanconico gli increspava l’angolo della bocca.

“Ma è terribile!” protestò André.

“No, è straordinario!” replicò Oscar tono su tono. “Monsieur de Priam, chi sono le Amazzoni?” chiese poi.

“Le Amazzoni sono un popolo mitico di donne guerriere che vivevano nella regione del Ponto, sulle coste del mar Nero, all’epoca di Troia e anche prima. Si pensa che discendessero da Ares, dio della guerra che loro veneravano, e da Artemide, dea della verginità e della forza femminile. Queste donne erano così potenti, così abili a maneggiare le armi e così feroci nei combattimenti che nessuno degli uomini che si erano avventurati nel loro territorio ne era mai uscito vivo. Si racconta che si bruciassero il seno destro per usare l’arco con maggior facilità, e vivevano esclusivamente dei prodotti della caccia. La storia ha tramandato i nomi di molte di loro, ma la più famosa resta senz’altro la loro Regina, così coraggiosa, così bella e così infiammata nelle battaglie: Pentesilea. Ma nessuno avrebbe potuto sconfiggere Achille.”

 

Oscar, con lo sguardo estasiato, beveva letteralmente le parole del suo precettore, tanto l’argomento l’aveva appassionata.

Così, erano esistite delle donne-soldato la cui forza era temuta dall’universo maschile, delle donne il cui coraggio fu onorato persino da quell’invincibile Achille dal debole tallone. E la loro regina, quella Pentesilea, così bella che anche nella morte aveva strappato delle lacrime al suo indistruttibile vincitore. Cosa bisognava dedurre da tutto ciò?

 

Dopo un superbo slancio melodrammatico sui costumi militari dell’epoca, sulle sanguinose battaglie che avevano visto Greci e Troiani fronteggiarsi, sostenuti dalle rispettive divinità olimpiche, sugli amori di Paride e della bella Elena per i quali migliaia di soldati avrebbero versato fino all’ultima goccia del loro sangue, Monsieur de Priam annunciò infine a malincuore la fine della lezione. André, che cominciava a perdere ogni orientamento in quella antica mitologia, ne accolse il termine con il sollievo che si può immaginare. Se la passione omerica avvinceva infatti l’insegnante, ben diversa la situazione era per il bambino, al suo primo giorno tanto in quella casa che in quella classe. Mentre Monsieur de Priam – il cui nome richiamava quello dell’ultimo re che aveva governato Troia – sistemava i suoi libri e le sue carte nella piccola borsa di cuoio scarlatto, Oscar, con il volto sognante, abbandonò la sala di studio senza accordare nemmeno uno sguardo ad André, del quale sembrava aver dimenticato l’esistenza. Dubbioso riguardo alla condotta da tenere, André optò infine per il suo nuovo ruolo di fedele servitore. Trottando sulla sua scia la seguì quindi all’esterno, senza che lei protestasse, o lo cacciasse come si fa con qualcosa di sgradito. I loro passi li condussero sino al ciglio della boscaglia, sotto una solida quercia che doveva essere lì da un centinaio d’anni almeno. Con gli occhi chiusi Oscar si distese sull’erba, le mani sotto la nuca in una posizione di riposo. André si sedette timidamente al suo fianco, e, decidendosi infine a rompere il silenzio, intavolò coraggiosamente una conversazione:

“Mi piace molto Achille, quell’eroe che ha sconfitto da solo una città assediata da più di dieci anni, a te no?”

“Quell’eroe?” gridò Oscar con voce esasperata. Si era tirata su, sedendosi accanto a lui, una gamba piegata sotto il corpo, e le due mani appoggiate al suolo, con un atteggiamento aggressivo. I suoi occhi scintillavano furenti. “Come osi dire una cosa simile di chi ha ucciso la regina delle Amazzoni, che era ritenuta invincibile, e la cui presenza era indispensabile alla sopravvivenza dei Troiani!”.

“Ma erano in guerra. E’ normale che Achille l’abbia sconfitta. Lui era un uomo, e lei una donna. Lui era più forte, semplicemente.” ribatté André con ineccepibile logica maschile.

“Le Amazzoni hanno sconfitto e ucciso migliaia di uomini” rispose ostinatamente Oscar, una tempesta minacciosa in fondo allo sguardo.

“Sì, ma il loro popolo alla fine è stato sterminato…”

Oscar era sul punto di esplodere tanto il suo cuore era in tumulto, come un vulcano ribollente all’interno dell’armatura naturale formata dalla cassa toracica. Quel ragazzino aveva il dono di darle sui nervi, e una voglia matta di annientarlo, di provargli la superiorità delle Amazzoni montava in lei imperiosa. Se non avesse difeso lei l’onore di quelle leggendarie guerriere, chi l’avrebbe fatto? Questi uomini si credevano al di sopra di tutto e di tutti. Ma lei avrebbe provato loro il contrario. Senza preavviso, agile come una pantera, si gettò su André con le unghie di fuori. I due avversari rotolarono l’uno sull’altra nell’erba umida. Tra loro si svolgeva una lotta feroce e impietosa. Oscar era Pentesilea che difendeva la solida reputazione delle Amazzoni, mentre André, molto più terra a terra, lottava semplicemente per la sua difesa personale, stupefatto da quel brusco e imprevedibile mutare di atteggiamento. Essendo più vecchio di lei di un anno, André godeva del vantaggio datogli dalla maggiore taglia, e, prendendoli da sopra, riuscì ad immobilizzare i pugni di Oscar al suolo. Con il volto corrugato per lo sforzo e madido di sudore sopra il suo, si avvide con stupore della sofferenza e della vergogna scritte a chiare lettere negli occhi d’acciaio della bambina, dove le lacrime sgorgavano in grosse gocce come sangue da una ferita.

E in un attimo, comprese. Comprese il raro coraggio di quella ragazzina che il capriccio di un padre aveva trasformato in maschio. Realizzò quale mortale duello si operasse costantemente e silenziosamente in lei. Seppe che se l’avesse sconfitta, se l’avesse sottomessa alla legge degli uomini, qualcosa in lei sarebbe morto. La donna in lei non sarebbe sopravvissuta. E se questo fosse successo anche lui, come Achille dopo aver avuto ragione della bella Pentesilea, avrebbe pianto sulla sua bellezza perduta. Lui non fece l’errore di infliggerle il colpo di grazia, e, riducendo volontariamente la pressione, le consentì di liberarsi. In quel momento fu il trionfo contro la sua debolezza di uomo che lesse negli occhi di Oscar attraverso il velo delle lacrime. Pentesilea aveva dovuto provare gioia vedendo Achille, gigante dai piedi d’argilla, piangere a calde lacrime sul suo corpo. Ma la vittoria di Oscar era amara e insipida, lo sentiva, e fu per questo che la bimba, senza dire una parola, si alzò e fuggì via correndo.

“Aspetta! Torna qui!” urlò disperatamente il ragazzino.

Ma Oscar non lo udì, e solo il fruscio del vento tra i rami sulla sua testa rispose a quello sconsolato appello.

Questo conflitto interiore di cui aveva appena scoperto l’esistenza in modo così brusco gli apriva nuove prospettive. Aveva voglia di conoscerla meglio, di proteggerla anche, poiché ne indovinava la solitudine, la disperazione e la fragilità. Nella sua ignoranza e goffaggine l’aveva involontariamente ferita, e aveva risvegliato la sua diffidenza mettendone a nudo le debolezze. Come farle capire adesso che poteva avere fiducia in lui, che non avrebbe mai svelato il suo segreto?

Raddrizzandosi a sua volta, si diresse risolutamente verso il palazzo, dopo aver ispezionato i corridoi dell’immensa dimora, la trovò nella sua stanza – la nonna gliela aveva indicata durante l’odissea per raggiungere la sala di studio.

Se ne stava inginocchiata davanti al suo letto piangendo come una fontana, il viso affondato nel cuscino. André si avvicinò dolcemente ma, memore del disastro di qualche ora prima, non osò toccarla. La giornata era stata piena di emozioni per quella bambina che, ora lo sapeva, non dimostrava mai i suoi sentimenti.

“Oscar” disse dolcemente, utilizzando per la prima volta nell’intimità il suo nome.

La ragazzina voltò bruscamente la testa verso di lui. Il suo viso era stravolto, e gli occhi arrossati dalle lacrime. Si vergognava della sua debolezza, delle sue emozioni, lo si leggeva chiaramente nel suo sguardo. Ciononostante, in un sussulto d’orgoglio, aggrottò le sopracciglia e adottò il tono autoritario di un signore con un domestico indesiderato. Voleva vederlo stare male quanto lei.

“Chi ti ha autorizzato ad entrare? Esci subito!” e riaffondò il viso nel cuscino.

“Oscar. So ciò che provi, checché tu possa pensare. Ho perduto i miei cari, e la mia sofferenza è simile alla tua. Credevo che avremmo potuto capirci ed essere amici. Ho disperatamente bisogno di un amico come te, Oscar. Perché anche se sei una femmina, oggi hai provato il tuo valore. Ai miei occhi, Oscar, tu sei un’Amazzone, ma io non voglio essere Achille, non voglio che distruggiamo tutto come a Troia. Te ne prego Oscar…”

Solo il triste suono dei singhiozzi gli rispose. Con la testa bassa, André fece ritorno alla sua camera, senza poterle dire altro. Aveva commesso l’errore di sfidarla e di combattere il suo orgoglio. Non sarebbe più accaduto, questo era certo! Non era certo questo il modo di conquistare la sua amicizia.

 

I suoi genitori gli mancavano terribilmente, soprattutto la sua mamma, che lo stringeva forte e lo copriva di baci. Sentiva ancora la sua incantevole risata, così contagiosa e piena di gioia di vivere, quella risata che si era ammutolita per sempre. Era così ingiusto! Perché quella semplice felicità, che aveva considerato come una cosa naturale e scontata, gli era stata portata via così prematuramente? Ora, era venuto il momento di diventare un uomo, e dire addio alla spensieratezza di prima, non fosse altro per guadagnare la stima di Oscar! Non aveva ancora idea del prezzo da pagare per riuscirvi…

 

 

Continua

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Traduzione: Silvia Clerico Mail to s_clerico@hotmail.com

 

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