Vicini
parte I
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Oscar
era da poco il nuovo comandante dei soldati della Guardia di Parigi.
Stava
esaminando delle carte nel suo ufficio quando dei rumori attirarono la sua
attenzione. Dapprima non distinse nulla poi sentì una voce più alta delle
altre che diceva: "Correte! C'è una rissa! Stanno pestando quello
nuovo!" Si precipitò fuori della stanza: era André.
Era ancora con lei. Se lo era ritrovato lì, incredibilmente. Non se lo aspettava proprio. Dapprima la cosa l'aveva irritata molto: evidentemente lui pensava che lei non se la sapesse cavare da sola, che avesse sempre bisogno della balia. Ma sapeva che le cose non erano così semplici. Lui le aveva confessato di amarla e lei non poteva dimenticarlo. Ne era stata così stupita! Non se ne era mai accorta. André aveva sempre tenuto ben nascosti i suoi sentimenti e a lei sembrava di non aver mai davvero "visto" il suo amore. Quando se lo era ritrovato davanti, confuso fra gli altri soldati, era questo che aveva pensato: l'amore di André diventava visibile ora, dopo quella notte, quando era inutile. Era ridicolo a pensarci. E triste.
Lei
gli aveva detto di averlo perdonato ma non era vero. Provava ancora
risentimento. Era stato il suo unico amico, l'unica persona con cui poteva
aprire il suo cuore ed essere se stessa. Ma non era questo che lui voleva, non
gli bastava, forse non gli interessava nemmeno. Si era sentita tradita. E
terribilmente sola.
Quando
arrivò era tutto finito. Si fermò sulla porta quando vide che Alain era con
lui. Poi sentì André sussurrare " Oscar, ti prego, non ti sposare!".
Alain
si riprese subito dalla sorpresa e trovò bene andarsene.
Lei
allora gli si avvicinò, si chinò su di lui. Quelle parole "Non ti
sposare" rimbombavano nella sua mente.
Erano
parole assurde che, lei lo sapeva bene, se fosse stato in sé non avrebbe mai
detto. Lui sapeva bene quale era il suo posto. Di nuovo, pensò, poteva vedere
l'amore di André.
E
allora capì: non era certo per ingannarla che gli aveva tenuti nascosti i suoi
sentimenti. Non era questo che voleva. Lei non pensava mai alla classe sociale
che li divideva, ma per lui era diverso. E poi, soprattutto, lui sapeva che lei
amava Fersen. Non c'era stato bisogno di dirglielo: le leggeva dentro.
Chissà
invece quanto avrebbe desiderato mostrarle il suo amore. C'erano abissi di
tenerezza che si era portati chiusi nel cuore. Era sicura che fosse così perché
quella notte era come se li avesse visti in negativo. Per la prima volta iniziò
a vedere il mondo attraverso lo sguardo di André.
Vide
che si stava riprendendo e lo chiamò: "André, come ti senti?". La
prima cosa che lui percepì fu che lei era lì vicina. Lentamente si sollevò.
"Non è niente. Qualche graffio" disse. Lei non li avrebbe definiti
graffi. Era molto ammaccato e pieno di escoriazioni. Notò con sollievo che non
sembrava ferito gravemente ma una manica strappata era completamente
insanguinata.
"Cosa
ti fa male?" chiese.
"Non
so... il braccio, non riesco a muoverlo".
"Ce
la fai ad alzarti? Dobbiamo pulire le ferite", fece lei mentre lo prendeva
sottobraccio per aiutarlo ad alzarsi. "Reggiti a me" gli disse quando
fu in piedi.
"No,
ce la faccio" rispose lui allontanandola. Lei se ne stupì un po': la
respingeva? Decise di non farci caso.
Lo
portò nel suo ufficio e lo fece sedere. Lui cercava di sbottonarsi la giacca ma
con una mano sola sembrava impacciato. "Aspetta... " disse lei e iniziò
ad aiutarlo. L'aveva fatto d'istinto e se ne pentì immediatamente. Era
terribilmente imbarazzante. E la situazione peggiorò di molto quando si dovette
passare alla camicia. Non aveva visto molti uomini a torso nudo in vita sua ma
sapeva che certe cose non contano quando qualcuno è ferito. E poi era solo André,
si disse. O era peggio perché era solo André? Era meglio fare finta di niente.
In
realtà non era necessario. Lui non si sarebbe accorto di sicuro del suo
turbamento, era troppo impegnato a tenere sotto controllo il proprio. Il primo
pensiero che gli venne fu che lei avesse deciso di torturarlo con la sua
vicinanza.
Il
braccio perdeva sangue perché una scheggia di legno ci si era conficcata. Lui
la estrasse senza un gemito. Lei prese dell'alcool. "Farà male" lo
avvisò. "Non importa, vai" rispose lui e non si lamentò. A lei sembrò
strano, di solito si lagnava come un bambino. Ora sembrava che non gli
importasse di soffrire. Gli fasciò il braccio alla meno peggio, non era molto
brava in certe cose. Adesso occorreva passare alle molte escoriazioni sul petto.
Bagnò una pezza e si avvicinò, esitante. Ma quando lui capì le sue intenzioni
gliela prese di mano: "Lascia, faccio io" disse. Per lei fu un
sollievo. Si avvicinò alla finestra aperta, aveva proprio bisogno di aria
fresca. Tornò quando vide che lui aveva finito e si era infilato la camicia.
"Hai...
" iniziò. Lui aveva la faccia sporca di sangue ma certo non poteva
vedersi. "Aspetta" disse. Riprese la pezza e iniziò a pulirgli il
volto, in piedi davanti a lui, che gli puntava addosso due occhioni
interrogativi. Ma lei neanche sotto minaccia di morte l'avrebbe guardato negli
occhi. Si concentrò sulla fronte, sulle tempie, su un labbro rotto. "Che
belle labbra!" pensò. Era piacevole stargli così vicino, sfiorargli la
guancia con le dita*.
Lui
invece soffriva le pene dell'inferno. Ormai era convinto: voleva torturarlo.
Averla così vicina era una pena infinita. Non poteva fare a meno di pensare a
quella dannata notte. Non riusciva a perdonarsi: si sentiva un tale verme! Mai
avrebbe creduto di poter fare una cosa del genere a una donna, a lei poi! Usare
la sua forza con lei era come tradirla, lo sapeva bene. Aveva tradito il patto
tacito che li legava e l'aveva persa. Era come nelle favole quando l'eroe per
superare la prova deve andare avanti senza guardarsi indietro e senza dare
ascolto alle voci suadenti che lo chiamano. Lui non doveva dare ascolto alla
voce del suo cuore e al suo desiderio di uomo. Era l'unico modo per starle
accanto perché lei viveva alla stessa maniera, ignorando la sessualità e la
voce del cuore. Ma lui aveva fallito la prova, si era voltato. E ora soffriva
terribilmente.
In
realtà il senso di colpa poteva anche accettarlo, perdonarsi no ma accettarlo
poteva. Poteva accettare che il suo amore avesse un lato oscuro, che fosse più
grande di lui e lo costringesse ad azioni ignobili. Poteva accettare che lei
fosse allo stesso tempo gioia e follia, malattia e tormento. Quello che non
riusciva ad accettare era aver letto la paura nei suoi occhi. Aveva avuto paura
di lui! E repulsione, probabilmente. Questo pensiero lo tormentava come una
ferita mai rimarginata. Una ferita che si riapriva ogni volta che la vedeva.
Sapeva di essere colpevole e nessuna pena gli sembrava troppo lieve. Ma la sua
era lacerante: soffriva a vederla e non poteva starle lontano. E così quei
gesti che un tempo avrebbe considerato fonte di immensa felicità, ora non erano
che un supplizio.
Quando
finì lei disse: "Perché non torni a casa con me?". Ma lui rispose:
"E perché dovrei?".
Poi
si rese conto di essere stato troppo brusco e aggiunse: "Non servirebbe a
nulla. Si stancheranno presto. Capita a tutti i nuovi arrivati, lo sai anche tu,
no?".
Sì,
lei lo sapeva e sapeva anche che lui non sarebbe scappato ma avrebbe davvero
voluto portarlo con sé quella sera.
Lui
aggiunse: "Hai perso tanto tempo, è meglio che torni a casa o arriverai
col buio".
Non
disse "E sei sola adesso" ma lei sapeva che l'aveva pensato.
"Dai
usciamo”, continuò lui mentre faceva per alzarsi.
"No,
resta" protestò lei "puoi rimanere quanto vuoi".
Lui
la guardò negli occhi: era gentile. E l'aveva perdonato. Ma di questo non si
stupiva. Sapeva che aveva un cuore buonissimo e che non sapeva cosa fossero
l'odio e il rancore. Era per questo che l'amava. Oltre, naturalmente, al fatto
che, per lui, era la donna più bella del mondo. E continuava a considerarlo un
amico, nonostante tutto. Semplicemente, come uomo, lo rifiutava.
"Grazie"
rispose lui dolcemente.
Quando
uscì dalla stanza a lei sfuggì un sorriso. Si sentiva più leggera. Niente al
mondo le aveva fatto male come sentirsi lontana da André ma adesso era tutto
passato.
Non
l'aveva perdonato, semplicemente le sembrava di non avere più molto da
perdonargli.
Nei
giorni successivi Oscar si sorprese ad essere in ansia per lui. Cercava di
affidargli dei compiti in modo da poterlo tenere sott’occhio. E gli ordinava
di starle vicino ogni volta che era possibile.
In
realtà non c’era più molto pericolo. Durante la rissa si era difeso bene e
la forza bruta era rispettata da quelle parti. Inoltre l’idea che fosse una
spia sembrava non reggere. Quando mai si era vista una spia che non cercava di
nascondere in nessun modo il legame con il supposto mandante? O che non cercava
in alcun modo di fare amicizia con gli spiati? I compagni capirono che il nuovo
arrivato voleva solo essere lasciato in pace e lo accontentarono.
E
poi, soprattutto, Alain l’aveva preso sotto la sua protezione. Anche lui aveva
avuto i suoi dubbi all’inizio ma adesso sapeva perché era lì e la cosa lo
incuriosiva moltissimo.
La
spiegazione che si dava lui era molto semplice: era chiaro che il ragazzo era
pazzo. Sì, sembrava una persona tranquilla ed equilibrata, solo un po’ troppo
riservata forse, ma era evidente che nascondeva dei seri problemi mentali.
Per
Alain l’idea di soffrire per una donna era profondamente stupida. Il mondo è
pieno di donne! Soffrire per una donna nobile era una vera idiozia. Ma soffrire
per quella donna nobile in
particolare, che aveva la stessa femminilità di un sasso, era un concetto che
oltrepassava le sue facoltà mentali.
Era
deciso a fare in modo che André si consolasse: aveva un sacco di amiche da
presentargli!
Chiaramente
la sua sorellina Diane non rientrava in questi piani. Era una legge non scritta
della caserma che chiunque si fosse avvicinato a Diane con intenti meno che puri
lo faceva a rischio della vita.
Ad
ogni modo presentò Diane ad André e lui fu gentile ma distaccato esattamente
come Alain si aspettava. Alain non l’avrebbe ammesso facilmente ma in fondo
iniziava ad ammirarlo.
Qualche
settimana dopo l’attenzione di Oscar fu richiamata da un trambusto che
proveniva dal cortile. Il suo primo pensiero fu per André e si affrettò ad
andare a vedere cosa stava succedendo.
Si
fece largo fra la folla di soldati che assistevano alla scena in tempo per
sentire Alain che, preso André per il bavero della giacca, urlava “Spiegami
un po’, cosa ci fanno i tuoi vestiti a casa mia?”. Il silenzio era sceso tra
i presenti e ad Oscar era passata di colpo la voglia di salvarlo.
Alain
non era impazzito, semplicemente era riuscito finalmente a trovare il tempo per
tornare a casa.
E
prima ancora di metterci piede le vicine si erano premurosamente incaricate di
fargli tutti i loro complimenti per il meraviglioso fidanzato che Diane si era
trovato. Un tipo così bello e gentile che aveva suscitato tutta la loro invidia
e che lui doveva conoscere benissimo dato che era un suo compagno.
Chi
fra i suoi compagni osava frequentare Diane a sua insaputa? Non avrebbe saputo
dire perché ma Alain aveva pensato subito ad André. Purtroppo il fatto che i
belli e gentili nella sua compagnia scarseggiassero non era una prova certa
contro di lui e decise di aspettare e sentire cosa Diane gli avrebbe detto. Ma
Diane non aveva novità da raccontargli e per lui la spiegazione era semplice:
Diane era ingenua e qualcuno stava cercando di approfittarne.
Non
dovette aspettare molto per scoprire chi fosse questo qualcuno. Quando andò a
prendere la sua roba, nell’armadio trovò dei vestiti che non erano suoi e che
riconobbe subito per essere quelli che André indossava quando, nelle giornate
libere, girovagava per Parigi.
Inutile
dire che la sua rabbia, nel tragitto da casa sua alla caserma non era diminuita
e ora André ne faceva le spese.
Tutti
erano in attesa di sentire la sua risposta. Oscar più di tutti, tanto che aveva
dimenticato di essere il comandante e di avere il dovere di fermarli.
Ma
André era in evidenti difficoltà. Dopo un bel po’ riuscì a dire “Lasciami
Alain, che stai pensando, hai capito male!”
“Spiegami
allora” rispose Alain lasciandolo con molta riluttanza.
“Ti
posso spiegare” disse lui, ma non sembrava molto sicuro di sé mentre
continuava “Io sono caduto nel fiume, qualche settimana fa, e Diane mi ha
aiutato e mi ha permesso di cambiarmi a casa tua.”
Poteva
anche essere una spiegazione plausibile ma non ci credette nessuno. A tutti
l’immagine di un uomo, giovane e bello, che si svestiva in casa di una donna,
altrettanto giovane e bella, suggeriva spiegazioni molto più piacevoli.
Meno
di tutti riusciva a crederci Alain “E perché me lo hai tenuto nascosto? E
perché vai a trovare mia sorella senza dirmi niente?”
“Ma
è una cosa senza importanza, è capitato solo qualche volta” André
annaspava.
“Come
faccio a crederti, io avevo fiducia in te e tu mi ripaghi così”. Alain non
solo si era pentito di aver presentato Diane ad André ma iniziava a capire le
donne quando dicono che quelli con l’aria da bravo ragazzo sono i peggiori.
André
sembrò molto rattristato per quelle parole, lo guardò a lungo poi disse, senza
guardarlo negli occhi, “Ti ho detto la verità, davvero”.
Alain
non sapeva che pesci prendere, non credeva a una sola parola ma che poteva fare?
“Ti avverto, amico, se prendi in giro mia sorella ti ammazzo, e se so che
continui a vederla a mia insaputa me la paghi, è chiaro?” e se ne andò più
arrabbiato di prima.
I
curiosi iniziarono ad allontanarsi e solo allora André vide Oscar che lo
guardava. Era l’ultima persona che avrebbe voluto assistesse alla scena. Ma si
diede subito dello stupido: a lei di certo non importava.
*Chiedo scusa a Laurachan se questa scena somiglia molto a quella di Bk’s
night, spero che lo prenda come un omaggio (e che finisca presto Bk’s
night).
Continua...
mail to: bassura25@hotmail.com