I just like you

part 8

 

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La tazza fumante di cioccolato se la dimenticò tra le mani congelate. Fissò André che, con la testa bassa sul quaderno, si massaggiava le tempie. Chissà cosa gli era preso, pensarono gli altri; all'improvviso, era diventato silenzioso.

Oscar distolse lo sguardo da lui, conosceva alla perfezione i suoi attacchi di gelosia, e che era meglio lasciarlo sbollentare.

Assaporò solo per un momento quella strana atmosfera, quasi d'attesa, e poi, si rivolse ai suoi compagni che avevano ripreso a parlare per coprire il silenzio che inaspettatamente era sceso nella stanza.

Quello che Oscar aveva scoperto campeggiava da giorni nei corridoi della caserma, in mezzo alle chiacchiere di alcuni ufficiali. Eventi di poco rilievo, aveva considerato lei, fino a quando, un nome in particolare aveva attratto la sua attenzione.

Si raccontava che, il generale Bouillé, avesse badato a far trasferire in un luogo sicuro alcuni nobili in precedenza vissuti a Corte.

"E' accaduto un mese fa" riprese a parlare Bernard, senza distogliere lo sguardo da Michel riportando la conversazione a dove l'avevano interrotta.

"Strana coincidenza; io sono scappato all'incirca nello stesso periodo"disse Michel, battendo una pacca sulla spalla di Alain.

Oscar annuì; aveva pensato anche lei la stessa cosa.

Ma le sorprese non erano ancora finite.

Durante la sua ultima visita a Corte aveva sentito che erano in procinto di demolire una vecchia torre, nei pressi di Versailles, ormai inagibile. Affermavano che sarebbe costato meno farla abbattere piuttosto che bonificare, ed il contenuto era già stato trasferito.

"Per cui non abbiamo trovato niente durante la perlustrazione" disse Oscar, e poggiò sul tavolo alcuni fogli che racchiudevano informazioni sugli ultimi spostamenti di queste persone.

Sorseggiò distrattamente il suo cioccolato, ascoltando i commenti degli altri.

André prese quei documenti e cominciò a leggerli accuratamente con buona pace del malumore.

Gli prendeva in certi momenti quel magone, quando sentiva il bisogno di averla vicina, di toccarla.

Durante quei giorni, momenti di tranquillità ce n'erano stati davvero pochi. Oscar era rimasta per una settimana a Palazzo Jarjayes mentre lui era rimasto di guardia in caserma. L'aveva rivista solo quella sera, di sorpresa per giunta, senza nemmeno avere il tempo di avvicinarla e chiederle come stava.

André si stava convincendo del fatto che non sarebbe mai stato possibile rimanere soli, per un po’.

Soltanto loro due.

Adesso c'era pure un figlio che, sicuramente, rappresentava il migliore dei compromessi, ed in fondo, era abituato a dividere Oscar con qualcosa.

Si diede dello stupido irrazionale per quei pensieri che lo dirottavano su percorsi tortuosi da cui sarebbe uscito sconfitto. Poteva porre fine a tutto quel pensare sibillino ma, contro la gelosia, non aveva espedienti.

Spense ogni elucubrazione e si decise a sollevare la testa dal fascicolo.

Oscar parlava, e lui la osservava mentre sorreggeva in mano la tazza.

Guardò la pelle del suo braccio appena scoperto, luminoso, sottile anche se atletico.

 

"I nomi coincidono: sono cinque tra gli uomini più potenti di Versailles… gli stessi che Michel, afferma aver visto frequentare la torre…" fece André, togliendosi gli occhiali.

 

"… Uomini ufficialmente dediti a svariati commerci tra cui quello delle armi, ma che nascondono altri disgustosi interessi."

 

La famiglia reale aveva beneficiato dei loro servigi però, ad un certo punto, li aveva mantenuti a debita distanza. Erano tutti detentori dei massimi incarichi governativi e amministrativi ed avevano collegamenti con i numerosi possessori di uffici giudiziari importanti nel paese.

La sparizione di queste persone non era casuale e, nel clima teso di quei giorni, avevano sicuramente avuto sentore di guai.

 

"Sì, ma siamo ancora lontani dalla Torre, da Valérie, da tutto porca puttana!", di tanto in tanto, pure a Bernard cedevano i nervi.

 

"Invece io credo che siamo molto vicini Bernard" fece Oscar, alzandosi dalla sedia.

 

Un paio di notti fa, mentre si dirigeva alla carrozza, Oscar aveva sentito dei rumori strani nel parco della reggia. Aveva fatto un giro e, ad un certo punto, aveva sentito due uomini che parlavano di sbarazzarsi al più presto di un carico ingombrante. Dalla sua posizione, non era riuscita a vedere i loro volti.

"Servono molti soldi per mantenere quella truppa…" aveva detto uno dei due.

"Sì ma non è un problema… la nostra squadra crescerà, anche se per farlo abbiamo bisogno di fondi enormi" aveva risposto l'altro.

Mentre parlava, Oscar si era avvicinata alla sedia di André e aveva incrociato le braccia poggiandole sopra le spalle di lui.

 

"Le possibilità sono svariate - continuò a dire in quella posizione - e queste persone devono aver capito che è necessario avvicinarsi ai rappresentanti dei gruppi di potere adesso in ascesa, accanto alle élites già esistenti".

 

"Può anche darsi che le stesse persone stiano tentando, mediante la loro posizione, di fare concessioni di natura economica, senza permettere a questi di avvicinarsi al potere" aggiunse animosamente Bernard, colto da un'improvvisa rivelazione.

 

"Però non spiega perché cittadini innocenti siano arrestati con pretesti insensati!" fece eco Alain che continuava a non accettare quella situazione assurda.

 

"E' fumo negli occhi - disse André con la testa bassa, incrociando le braccia sul petto - dovevano giustificare l'esistenza e l'uso della torre".

 

La graduale comprensione dei fatti li faceva avvicinare pericolosamente alla soluzione di quel mistero. Tutti, bene o male, sapevano che tra quelle persone avrebbero potuto scoprirne altre, da loro considerate, amiche. In quella situazione erano tutti a rischio, per non contemplare la possibilità di venire scoperti. Calò un improvviso silenzio. Ciascuno di loro rifletteva sulla circostanza, chiedendosi se sarebbero riusciti a sopravvivere. In quella fase nessuno era in grado di prendere le distanze da certe tensioni.

Concessioni e compromessi che erano al di là della loro immaginazione.

Si era fatto tardi e tutti accusavano la stanchezza di una giornata di lavoro, non solo per quelle ore di discussione al loro ritrovo che, in alcuni momenti, sembravano non portare a niente.

André scambiò qualche parola con Bernard e Michel e, mentre riordinava i documenti, guardò in direzione di Oscar che poco distante chiacchierava con Alain.

 

"Comandante - disse Alain con un certo entusiasmo - per quanto mi riguarda, e, grazie a te, devo affrontare un turno di guardia tra poco ed ho l'obbligo di riaccompagnare Michel al rifugio".

 

"Però non mi sembri dispiaciuto!" rispose lei scherzando.

 

"Diciamo che durante il tragitto c'è la possibilità che io incontri una certa persona" rispose lui vagamente.

 

"Si fa interessante: posso sapere chi?"

 

"Eh… a saperlo avrei già concluso qualcosa!" fece lui sistemandosi il berretto.

 

La sala era lentamente diventata silenziosa, in lontananza, dalle cucine, si sentiva il suono delle stoviglie che erano sistemate al loro posto.

Erano quasi sulla porta; André reggeva sotto un braccio i documenti e la giacca mentre con l'altro cingeva la vita di Oscar, quando il proprietario della locanda li richiamò.

 

"So che siete ghiotta di dolci, Oscar... ho messo da parte per voi questo pezzo di torta" fece l'uomo, timidamente.

 

Gli sorrise, quasi imbarazzata, e lo ringraziò accettando il dono.

Camminavano verso casa.

Nell'arco del braccio di André, Oscar, abbandonò la testa contro la spalla di lui, e vide che, la piega delle sue labbra, si distendeva in un sorriso. Non gli avrebbe detto niente pur sapendo come prenderlo in quei momenti.

Durante i giorni trascorsi a Palazzo Jarjayes, aveva avuto paura di non poter più tornare indietro, a Parigi.

Mentre camminava sentiva il suo corpo che seguiva quello di André, il calore che si scambiavano in quel contatto naturale.

Sollevò lo sguardo su di lui e, quando si sentì osservato, la guardò; le fece un cenno e le strinse teneramente le spalle.

Ne fu piacevolmente sorpresa.

Gli sorrise e pensò a ciò che sentiva dentro di sé; l'incoscienza del suo amore, la forza del suo bisogno.

Quando richiuse la porta, fece per allontanarsi ma André la trattenne.

La stanza era quasi buia, illuminata solo da una sottile falce di luna che rompeva l'oscurità della notte. Ripensò a quando, qualche mese prima, avevano vissuto lo stesso momento e, quella notte, avevano fatto l'amore, per la prima volta.

Si chinò sulla sua bocca e la baciò con tutto se stesso.

La desiderava, da morire.

Osservava le sue mani che la spogliavano. Provare ancora l'emozione di sentirsi immobile mentre tutto il corpo esprimeva desiderio. E guardarlo con occhi avidi, come se quel momento potesse svanire in fretta e, poi, tornare alla realtà e sentire il fresco delle lenzuola sulla pelle, il calore del suo corpo. Lo desiderava anche lei con una fretta da stare male.

 

 

"Dobbiamo parlare…" disse a bassa voce, " …parlare di noi…".

Oscar, la schiena poggiata contro il suo petto, giocherellava con le dita che lui le teneva sui fianchi. Il suono della sua voce la distolse da un pensiero; da quando stavano insieme, avevano fatto l'amore quasi ogni giorno, con la luce e col buio, e non era un'abitudine, e non avvertiva noia in quel bisogno.

Rimase in silenzio ad ascoltarlo.

"… dobbiamo decidere cosa fare, Oscar"-

"Mi stai chiedendo di sposarti, André?", si voltò verso di lui poggiando la fronte sulla sua.

André sorrise e, per un attimo, abbassò lo sguardo.

"Sì" rispose, tornando a guardarla negli occhi.

"Hai fegato!"

"Per avertelo chiesto o per volerlo?"

"Tu che dici?"

"Mi piacerebbe una risposta, magari un sì".

"Come sei solenne, André".ì

Si sentì prendere da una strana inquietudine, cominciava a temere che quella tattica di Oscar fosse preludio di qualche ripensamento. Preferì stare al gioco, anche se quel momento per lui era davvero importante.Si rese conto che con Oscar doveva adottare finanche in quella circostanza la solita strategia: toccata e fuga. Avrebbe rimediato una figura da musone ma tutto dipendeva da lei.

"Non hai ancora visto niente!" fece lui assecondando quel gioco.

"Canterai sotto la mia finestra?"

Ritornò a distendersi con la schiena sul materasso. Oscar seguì il suo braccio staccarsi dal corpo di lui e ricaderle sul seno. Colse, in quel distacco, una strana nostalgia.

 

Non mi risponde, ma sorride riempiendo il silenzio che vuole coprire il suono di parole sospese tra un respiro più forte ed un battito di ciglia. Vuole e non prende, conosce ed ignora, cammina dritto e sa dove arrivare. Fidarsi di lui e delle cose che non dice come quando, prima di addormentarsi, guarda a lungo il soffitto. In certi momenti è così stanco che sembra distante. Rimane con gli occhi aperti e sembra sia in uno stato di semi-incoscienza. Pare che sogni ad occhi aperti, ma lui lo definirebbe un inebetirsi del cazzo.

 

Sapeva che, se non avessero affrontato l'argomento in quel momento, non ci sarebbero state più occasioni per farlo.

André, forse, non gliel'avrebbe chiesto più con la stessa facilità.

Alla sua ultima domanda non aveva ricevuto risposta e le bastò quello per riordinare i pensieri. I silenzi di lui le facevano male al cuore, l'aveva imparato a sue spese, ma, ancor di più, la faceva star male nascondergli le cose.

Doveva raccontargli dei giorni trascorsi nella casa paterna. I sospetti non taciuti di Nanny che, con un macigno sul cuore, le aveva chiesto spiegazioni. Non si era stupita dell'ovvia risposta, ma l'aveva pregata lo stesso di riflettere sulla loro situazione, prima che fosse troppo tardi.

Le aveva risposto: "Troppo tardi per cosa, o per chi?", Oscar, e aveva visto suo padre voltare la schiena e chiudersi dietro la porta dello studio.

"Se esce da questa casa, l'ammazzo!" aveva sibilato, quando lei, era entrata nello studio per cercare di parlargli.

Se ne stava seduto dietro la finestra da cui penetrava, soffusa, la luce del tramonto, il suo colore rosso arancio vivace che irradiava immagini piatte all'interno della stanza.

Nonostante tutto quel calore, il pavimento di marmo sembrava non essere mai stato calpestato, tutto lì dentro sistemato nell'ordine più rigoroso tra oggetti e persone.

In quel momento si sentiva come se non ci fosse, e non le importava.

Era stufa di mettersi in situazioni noiose e conversazioni che sapevano di melodramma.

Si dimenticò di pensare e quel particolare stato mentale le diede modo di osservare.

La stima che suo padre aveva di lei rientrava nella consuetudine del suo modo di pensare.

Sulle prime, non seppe dire se fosse indignato dalla sua storia con André o, se, per la prima volta, si fermava a considerare che la rigorosa figlia era anche una donna.

Sapeva che suo padre voleva farle provare vergogna.

Ma Oscar aveva provato vergogna per se stessa nel momento in cui si era affacciata ad una realtà che era lì, davanti a lei.

Si era vergognata di aver aiutato l'ignoranza e la cattiveria, esserne stata, ma senza convinzione, veicolo ed esponente, aver causato con il proprio atteggiamento fratture gravi al proprio equilibrio nel tentativo di convincere suo padre, di aver compreso.

E non aveva capito niente.

Guardare indietro e trovare la scia del cammino zoppicante e pesante che l'aveva portata fino a lì, alla maturazione dei fatti, e affannarsi per recuperare gli anni persi. Si era giocata il tutto per tutto, aveva puntato sul recupero di dati persi nel disperato tentativo di separarsi da una verità scomoda che le apparteneva e divenuta imprescindibile nel momento in cui aveva provato vergogna.

Maturazione di coscienza?

Ritrovata coerenza?

Interrogativi che potevano trovare un'unica risposta nel vivere giorno dopo giorno, senza trionfalismi inutili cui ci si aggrappa nei momenti in cui tutto è buio e senza senso. Riscattarsi dal male auto-inferto era stato il processo più lungo e doloroso.

Guardare chi aveva pagato i suoi errori e, tuttavia, cercare di rimediare senza perdere rispetto per se stessa. Una piccola porzione d'amor proprio che aveva lasciato nell'altra persona il tempo di comprendere che le sue erano scuse sincere, perché qualcosa che è rotto è come rubato.

Ricominciare.

In quelle giornate che timidamente si affacciavano alla tangibile primavera, giornate che, piene di slancio, si apprestavano a conquistare tutta la luce che poteva dare il mattino, era quasi una consolazione sentire che il buio precedente era servito a qualcosa. Il giorno che vive con calma l'avvicendarsi della luce che nella luce si evolve.

Giorni limpidi che combaciavano con la chiarezza di ciò che sentiva dentro di sé. Uno splendore emerso dal muro delle tenebre che acceca e ferisce lo sguardo impaurito.

Una vita vissuta, un'altra da vivere.

Non sarebbe fuggita mai, sarebbe rimasta laddove avrebbe trovato le tracce dei suoi passi, per non lasciare un letto disfatto e valigie riempite per metà, perché lungo la strada non si chiedesse se aveva abbandonato qualcosa d'importante.

Suo padre le aveva prospettato la possibilità di un accordo, a suo dire, equo; un accordo in sintonia col disprezzo che sentiva avere per lei.

"… Dato che sei simpatica a parecchia gente i tuoi sostenitori sono pari ai tuoi detrattori…" chissà perché, all'improvviso, le era tornata in mente quella frase di André. Ancora una volta, proprio quando avrebbe voluto fosse lì con lei, lui non c'era.

Cos'erano, assurde premonizioni come la volta in cui aveva guardato sul pavimento i cocci di una tazza accanto alla piuma nera di un corvo?

No, adesso era completamente diverso.

"Devo considerarlo il tuo primo capriccio?" le aveva detto suo padre, senza sollevare la testa dal libro.

"Non è nel mio stile farne…" Lasciò cadere la voce, come se non volesse precisare quello che pensava.

"La tua sincerità è sempre stata fonte di guai, per me e per te, ma stavolta non ti permetterò di trascinare la mia famiglia in mezzo ad uno scandalo. Devi lasciarlo!"

“Stavolta non accetto ordini".

"Se la pensi così…." le rispose, e, chiudendo il libro, si sollevò dalla poltrona. Le passò accanto, la guardò con disprezzo, con odio, poi con pietà.

Quando sentì la porta d'ingresso sbattere con violenza, rimase ad ascoltare il rumore assordante della carrozza di suo padre allontanarsi.

Passò a salutare Nanny, la prese a braccetto ed insieme si diressero verso l'uscita.

"Quando torni?" le chiese cercando di ingoiare un nodo alla gola.

"Ho un sacco di cose da fare…" le rispose Oscar, fingendo di non dare nessun'importanza alla discussione, breve ma rilevante, che aveva appena avuto con suo padre.

"E' sempre andato tutto bene, Oscar, ho ringraziato di aver visto crescere mio nipote accanto a te, ed ho ringraziato pure quando ha deciso di andarsene, ma…"

Oscar guardava Nanny dall'alto della sua statura e le appariva così piccola e stanca.

"… Perché le cose non devono continuare, se vanno bene?" sentì che stava per imbrogliarsi nelle sue stesse parole e si fermò.

"Le cose andavano bene per tutti, tranne per noi, Nanny. In fondo è spiacevole continuare ad ingannarsi, non trovi?" rispose Oscar con calma, anche se sentiva che la gola si chiudeva.

 

Il paesaggio scorreva davanti ai vetri del finestrino. Oscar, accovacciata sul sedile, vedeva allontanarsi da casa, dalle sue finestre, qualcuna aperta, qualcuna chiusa, e da una parte della sua vita che si rimpiccioliva come la casa paterna in lontananza.

Per quanto era lontana, sentiva troppo vicine e reali le minacce di suo padre, e di colpo tutto era tornato troppo evidente perché il pensiero si distogliesse.

Si era fatta lasciare nei pressi di Notre Dame, aveva preferito proseguire a piedi nonostante la pioggia che scendeva fitta e silenziosa.

 

Sbirciò in direzione di lui che sembrava essersi addormentato.

Si guardò intorno, nella loro stanza. Tutto apparve bello, accogliente, un insieme di prospettive di sensazioni ed emozioni, colte o appena sfiorate, che facevano parte della sua realtà. Adesso che aveva appena rivissuto quei ricordi, sapeva anche che nessuno di quelli l'aveva lasciata indifferente.

Lo coprì col suo corpo e si strinse forte a lui, come non aveva fatto mai.

Chiuse gli occhi pure lei e sperò che il buio della notte fosse uguale dappertutto e che nessuno, mentre loro erano distesi nel letto, potesse prepararsi a colpirli. Credere alla fortuna e vedere la faccia positiva di ogni medaglia: era diventato il suo motto insieme a quello di voler cambiare il mondo. Nel mezzo di quella che adesso definiva una rivoluzione, si sentiva in pace con se stessa. Al suo fianco c'era lui, qualche volta sognante e languido, ma sempre uguale a se stesso nonostante l'ordine sovvertito delle cose. Al di là degli imprevisti, continuava a vedere il suo sguardo spaziare limpido su una nuova vita e piacevoli prospettive, che ancora lei non riusciva ad inquadrare bene come faceva lui. Il coraggio non le era mai mancato ma sentiva che per dargli una risposta decente aveva bisogno di fare le cose per bene. Le suonava strana la parola coerenza con la mano posata sul ventre.

A quale coerenza si riferiva?

Possibile che lui si fosse arreso tanto facilmente?

Se qualcosa nel suo mondo traballava allora era giunto il momento di lasciarlo cadere.

 

                                                                                               *

 

"Lo dico sempre che quelli con la faccia da santarelli sono diavoli…"

"Parli come mia nonna!"

"Eh... si vede che ho ragione"

"Ho sempre pensato che in una circostanza come questa, chi avrebbe avuto problemi ad accettare il fatto sarebbe stata lei, invece…"

"Scusa, ma tu lo volevi?"

"Non ci avevo mai pensato…sono cose che non si possono spiegare… però in un attimo tutto appare sotto un'altra prospettiva e…"

"Ed hai combinato un gran casino!"

"Posso negare che sia così. Penso solo che sarà parte di noi e che, nonostante la nostra incoscienza, lo abbiamo voluto entrambi."

"Sarete fantastici!"

"Lo spero".

 

                                                                                             *

 

 

Dalla finestra aperta passava una brezza leggera. I raggi di sole deposti sulla scrivania mettevano in ombra gli oggetti sistemati con cura sul ripiano lucido di legno scuro.

Si sbottonò la giacca tirando un respiro di sollievo.

L'uniforme cominciava a starle stretta e doveva fare un grosso sforzo per cercare di non lasciarsi prendere dalla smania di tenere allentata la giacca, che le stringeva soprattutto intorno al seno e sul punto vita.

Si guardò le mani e solo in quel momento si rese conto che, quella mattina, non aveva tolto la fedina che le aveva regalato André.  La prima cosa che faceva, appena tornata a casa, era quella di andare in camera per riprenderla dal cofanetto ed infilarsela al dito.

Quel giorno non ci aveva davvero pensato e francamente, gliene importava poco "… che si mettono a guardarmi pure le dita?…" disse fra sé, passando le labbra sull'anello.

Da quanto tempo non pensava a se stessa? Se lo faceva era solo per riflesso, per non deludere nessuno, ma quanto avrebbe desiderato sbagliare ancora e commettere uno dei suoi colpi di testa. Ultimamente non le stava bene niente e tutto appariva troppo piccolo perché contenesse ciò che sentiva dentro. Un altro po’ di tempo in quelle condizioni mentali e sarebbe esplosa come una bomba. Cercava di ponderare, prendere tempo ripetendosi allo sfinimento che, in quei casi, prima di prendere una qualsiasi iniziativa avrebbe fatto bene a contare fino a dieci…

L'istinto sopito per dare spazio alla razionalità; buffa quella situazione e nessuno sembrava accorgersi di niente, nemmeno lui. Forse, faceva solo finta.

Da qualche tempo si sentiva come una maestra che rimproverava l'alunno più irrequieto; lui, in fondo, non era mai stato bravo a rispettare le regole e forse una parte del problema stava proprio in quello. Spesso si ritrovava ad invidiare la sua calma, il modo di lasciar scivolare i problemi come se ci fosse sempre tanto tempo a disposizione, come se fossero sempre nel loro rifugio ovattato a tener lontani tutti e tutto.

Sembrava che gli eventi non lo riguardassero.

"Tu hai il brutto vizio di pensare sempre al peggio…" aveva scherzato lui la sera precedente mentre rimettevano in ordine dopo cena.

"E tu di fregartene!" ormai l'aveva detto e non sembrava nemmeno dispiaciuta.

A volte sorgeva in lei il desiderio di fare e dire qualcosa di esagerato, magari irrimediabile, e a quel punto sentiva il bisogno di andare fino in fondo senza fermarsi. Aveva capito che quella di André era solo un'apparente serenità e non riusciva a perdonarglielo. Sentiva nei suoi confronti una sottile ostilità, quasi a livello istintivo, e non poteva fare nulla per evitarla. Forse lui l'aveva compreso e si teneva a debita distanza. Ci fu un momento di imbarazzo, ma era peggio credere che tutto ormai cominciasse ad essere parte dell'abitudine.

Evitando il suo sguardo andò a rinchiudersi in camera.

Più del desiderio di parlare con lui, più dell'amore, più di qualsiasi altra cosa, sentiva il bisogno di rifugiarsi un po’ in se stessa.

Con il viso poggiato pesantemente sulle mani, ora, tentava di lasciar scorrere i pensieri che, uno dopo l'altro, la riportavano a lui.

Fra André e lei, un battibecco non aveva bisogno di spiegazioni e di scuse: anche lui era acutamente deluso del mondo quanto lei, pensò.

Si sollevò dalla poltrona e dopo aver sistemato in modo impeccabile la sua uniforme, uscì dall'ufficio per raggiungere gli altri ufficiali nella sala tattica: riunione d'emergenza.

Unico cruccio, dover rivedere il brutto muso del generale Bouillé.

 

 

"… C'è stata una fuga di notizie…" disse uno degli ufficiali, e i tre che gli erano accanto annuirono, in un ridicolo unisono.

Per quanto reputasse spregevole l'arte di origliare, Oscar si ritrovò, suo malgrado, a farlo.

"Chi sarebbe venuto a conoscenza del segreto, e come?" chiese uno degli ufficiali.

"Un gruppo di sediziosi - disse il colonnello La Bonne come se volesse mordere qualcuno - a giudicare da quanto ci arriva dai nostri informatori".

"Perciò, - disse il generale Bouillé - saremo costretti a rivedere da capo a fondo il progetto, che aveva come presupposto la segretezza."

L'eco di passi che provenivano dall'incrocio di due corridoi costrinse Oscar ad interrompere l'ascolto.

Era una guardia che la salutò con un rapido ondeggiare del fucile d'ordinanza.

Restituito il saluto si decise ad entrare.

Collocati come in tribunale, su un lato dell'ampio stanzone che sapeva di vecchio e marcio, con una faccia da temporale: il generale Bouillé, l' affettato sottoposto, colonnello La Bonne, ed altri volti di cui non ricordava bene il nome.

Con la schiena poggiata contro la porta e sola come una vittima designata, in un processo che immaginava a suo carico, Oscar.

Che cavolo! E' impossibile!

Prese posto vicino l'unica finestra aperta, distante dalla fastidiosa presenza del maiale Bouillé e del suo alito pestilenziale.

Il primo argomento trattato riguardava il servizio d'ordine in città. Sembravano terrorizzati quei manichini che facevano sfoggio di decorazioni finanche dove non batte il sole.

Si sentivano sconfitti i monarchici francesi. Da mesi vedevano sbiadire l'entusiasmo che aveva accompagnato il loro potere politico e sociale. Stavano perdendo terreno, grazie al semplice fatto che moltissimi elettori erano accorsi alle votazioni. Piano il popolo si sarebbe preparato a dominare, nonostante le manipolazioni che avevano squalificato tanti candidati del terzo stato. Quel Robespierre, considerò Oscar, ci sapeva fare davvero. La stupefacente risposta del popolo a sostegno dei suoi candidati, e le manifestazioni in strada, nonostante i controlli serrati da parte delle forze dell'ordine. Percepiva tutto questo da quei volti tesi: era felice, Oscar, lo era!        

 

 

"Tè?"

La stanza che in caserma era riservata alle visite dei pezzi grossi dell'esercito era illuminata da un sole accecante. La temperatura era salita parecchio negli ultimi giorni e, in alcuni momenti, il caldo si faceva davvero opprimente. Dopo aver declinato l'offerta di una tazza di tè proveniente dal generale Bouillé, Oscar teneva gli occhi rigorosamente bassi, quasi fosse una sorta di auto-punizione, come se si sentisse colpevole di attirare su di sé le occhiate morbose di quel verme.

Erano seduti uno di fronte all'altra e, tra di loro, nemmeno un tavolo che fungesse da barriera, a mantenere salda la distanza fisica. La stanza era pressoché spoglia; un canapè di broccato rosso a ridosso della parete opposta alla finestra, due kentie che affievolivano con il loro fogliame la luce proveniente da fuori ed il carrello su cui era poggiato il vassoio del tè. 

Il generale era seduto in una poltrona dagli ampi braccioli su cui le mani tozze e sudate cercavano appiglio, mentre tentava di mascherare il turbamento che la sua sensuale subalterna gli provocava. Oscar lo ascoltava con attenzione, studiando attentamente le variazioni di quella voce ripugnante. Sentiva nelle sua parole un tono sconnesso ed incoerente come se la mente di quell'uomo stesse formulando ben altri pensieri.

"Che succede? - lo sentì dire - siete sbiancata."

"Niente, generale. Mi passerà" replicò Oscar mantenendo un tono sostenuto. Chiuse per un attimo gli occhi, turbata dalla bizzarra confidenzialità di quelle parole. Simulò calma.

"Non riesco a capire qual è la vostra tattica, comandante!" esordì il generale, mentre deponeva con estrema goffaggine la  tazza di limoges sul vassoio.

"Quale tattica?"

"Senz'ombra di dubbio, beneficiate del favore di Sua Maestà la Regina… siete un'intoccabile, ma mi chiedo dove volete arrivare appoggiando in maniera così aperta il popolo."

"Sto solo evitando che si creino situazioni insostenibili, generale." Fu attenta a modulare la voce, a non lasciar trasparire tutto l'odio che provava verso quell'uomo, in quel preciso momento.

"Non dubito che sia così, ma voi siete un'aristocratica."

"Stiamo parlando di ordine pubblico. Io agisco tenendo presente questo obiettivo."    

Temeva che, da un momento all'altro, il verme tirasse fuori la faccenda della disciplina delle truppe. Aveva sentito chiaramente la conversazione che stavano tenendo poco fa nella sala tattica, e questo poteva significare che i controlli si sarebbero fatti più serrati, che le sarebbe stato difficile, d'ora innanzi, gestire i turni di André ed Alain e farli conciliare con quelli della loro attività clandestina. 

La sbigottiva l'idea di dover affrontare tutta una serie di sotterfugi per riuscire a recuperare il tempo di cui aveva bisogno.

Ci fu silenzio.

Per un attimo avrebbe voluto cedere alla tentazione di tirare in ballo la faccenda della Torre, sottoponendo all'attenzione del maiale alcuni nomi a lui noti.

Ma ricacciò indietro l'idea.

Non era ancora il momento di ricattarlo.

Sapeva che non sarebbe servito a nulla e, per quanto fosse certa della colpevolezza di quell'uomo, nessuno sarebbe stato in grado di condannarlo.

Nessuno.

Le premeva riuscire a scoprire dove fossero stati trasferiti gli altri prigionieri, ammesso che ne avessero lasciato vivo qualcuno.

Le frullava in testa l'idea di divulgare la faccenda della torre attraverso la stampa clandestina, creando uno scandalo senza precedenti. Era fermamente convinta che il clamore popolare potesse fare molto in quella circostanza. Più di tutto, voleva che venissero resi noti i nomi degli assassini e degli assassinati; almeno quello sarebbe servito a qualcosa.

L'idea si stava lentamente trasformando in convinzione e dal canto suo Oscar non ne poteva più di somatizzare ciò che Alain  definiva prenderlo nel…

Non credeva nelle coincidenze ma sapeva che sarebbe stata in grado di crearne.

"D'ora innanzi il vostro compito sarà un altro…" disse il generale e, sollevandosi dalla poltrona, le passò dietro sfiorandole i capelli.

Oscar non si mosse, era come pietrificata. I sussulti allo stomaco si facevano sempre più forti e un'ondata di nausea le salì in gola. Era imprigionata dalla rabbia, e piano prendeva forma la necessità di fare uno dei suoi colpi di testa: spaccare la faccia a quel gran figlio di puttana!

"Calma, Oscar, devi rimanere calma!" una litania nel cervello che non accennava a smettere. Cosa non avrebbe fatto per chiudere la bocca a quella cazzo di coscienza che le ordinava di rimanere calma. Tremava come una foglia, sentì una fitta lancinante al basso ventre e, per istinto, strinse forte le gambe.

Sarebbe uscita da quella stanza senza lasciarvi nulla di suo, ne era certa. Posò una mano sul ventre, le sembrava teso come una corda di pianoforte e gli spasmi allo stomaco non accennavano a diminuire. Per quanto potesse appellarsi alla sua ineccepibile forza di volontà, sapeva che in quel momento sarebbe servito a poco. Stava accadendo qualcosa che andava al di là delle sue possibilità. Fu sul punto di pregare il generale di fare in fretta, ma allontanò dalla mente quell'idea, pretese da se stessa di agire in maniera razionale. Cuore di donna, istinto materno, obblighi militari: dove si era persa Oscar?

"Fottetevi tutti! Tutti!"

Di quali spiegazioni aveva bisogno?

Era tutto consegnato a quella frase: la sua vita data in pasto agli avvoltoi, i suoi sentimenti vilipesi, la sua dignità schiacciata…

Era quella la vendetta di suo padre.

Lo sapeva.

"C'è un esercito in città… potete prendere congedo fino a nuovo ordine, comandante!" il generale richiuse la porta dietro di sé.

La stavano allontanando dal suo posto in maniera asettica, indolore. Come avrebbe potuto rifiutare quell'ordine?

Non le si imponeva di sparare su gente disarmata, né smobilitare una manifestazione non autorizzata.

Non le era chiesto nulla di tutto ciò; le stavano semplicemente legando le mani e imbavagliando la bocca.

Militare… né uomo né donna!

Prendere ordini e farsi fottere da chi ha il grado superiore al tuo.

Silenzio.

Un silenzio irreale che oltrepassava la pesante porta di legno, che riusciva a nascondere i battiti accelerati del suo cuore, il respiro affannoso, quasi il suono del sudore che colava dietro la nuca e sul collo, che scendere lungo l’incavo dei seni.

Faceva caldo; era il settimo giorno di fila di una calura insopportabile.

Da basso sentiva i rumori delle truppe che rientravano in caserma, qualcuno sarebbe rimasto lì, altri sarebbero tornati a casa per una breve licenza. Spettava anche al suo battaglione una pausa, forzata.

E la sua, invece, quanto sarebbe durata?

Improvvisamente un colpo dietro la porta la fece sobbalzare. Sistemò l'uniforme frettolosamente ed andò lei stessa ad aprire.

André era di fronte a lei; un sorriso da sciogliersi sul viso abbronzato e la camicia dell'uniforme appena sbottonata.

Sentì il cuore perdere un colpo… da quanto tempo non lo guardava così?

Istintivamente si portò una mano sul ventre.

Appoggiò placidamente la fronte contro la porta, gli sorrise pure lei fissandolo intensamente, poi, prendendogli una mano, lo fece entrare.

"Che voleva il grande capo?" fece lui, sistemandole il bordo della camicia ripiegato all'interno.

"Ci manda a casa fino all'arrivo di nuovi ordini…" le tremava la voce

"Non serve agitarsi finché non vedi come stanno le cose."

La condusse alla poltrona e lui sedette sul bordo della scrivania, di fronte a lei.

"C'è lo zampino di mio padre" disse poggiando il viso sul ginocchio di André.

Le carezzava la testa lentamente. Inspirò a fondo e riprese a parlare col suo solito tono di voce profondo, perennemente pacato.

"C'è qualcosa che dovrei sapere, Oscar?"

Gli raccontò tutto; della non-lite avuta col padre e della sua minaccia silenziosa, del discorso con Nanny annesso di rimproveri e rassegnazione.

"I soliti rompicazzo!" aggiunse lui in tutta tranquillità.

Le parve, ancora una volta, di non conoscerlo.

Non riusciva a spiegarsi come faceva a mantenere sempre, in ogni momento, la calma. Stavolta non avrebbe assecondato l'impulso di fargli una delle sue prediche, sarebbe rimasta ad ascoltare soltanto. Sentiva il tocco leggero delle sue dita sulla mano, mentre lei lasciava andare le lacrime.

Lo amava, e l'evidenza la svuotava di un peso che si era trascinata dietro per tanto tempo. André era sempre lì, nonostante le sue scenate, la sua testardaggine, il suo egoismo.

Aveva trovato tutti gli espedienti per cercare di giustificare il legame che li univa, l'aveva fatto nonostante un figlio in arrivo.

L'aveva fatto perché sperava di trovarlo lì, immutato, André, la ragione della sua vita.

Era quella la cosa che le faceva male, e che lui stava cercando, ancora una volta, di rendere innocua.

"Non ti propongo di scappare, né di accettare questa situazione…" le stava dicendo senza abbracciarla, senza proteggerla da quella paura che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontare

"Non accetterò mai di fare le cose di nascosto per le regole invalse di questo mondo di merda, lo sai…"

Lasciò che le asciugasse le lacrime, poi, andò a rifugiarsi al calore del suo corpo, nascosta al mondo da lui.

 

pubblicazione sul sito Little Corner del luglio 2004

Mail to mariassunta.paolillo@virgilio.it

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