I just like you
part 7
Warning!!! The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.
L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.
Si era svegliata da un po’.
Ascoltava lo scroscio della pioggia che scendeva e di tanto in tanto batteva contro i vetri della finestra.
Abbassò un poco gli occhi per guardarlo dormire con la testa poggiata sul suo seno. Gli accarezzò le spalle. Pensò che le era sempre piaciuta la sua schiena; la trovava rassicurante. Oscar, con gli occhi avidi della mente, rivide la notte appena trascorsa, il desiderio, quasi insopportabile, di essere toccata da lui che aveva avuto e che non era riuscita a controllare. L'aveva voluto subito e lui anche. Risentì l'intensità di quella sensazione - un tuffo allo stomaco, i battiti incontrollati del cuore ed il sangue pompare con forza nelle vene - e di sentirsi viva.
Questo era quello che provava, ora come prima.
Lo sentì aprire gli occhi, lentamente, le ciglia che solleticavano la pelle del seno.
"Come stai?" disse, e gli affiorò un sorriso appagato sulle labbra.
"Bene." Sentì un lungo, intenso e piacevole brivido percorrerle la schiena.
"Che ora è" chiese poco convinto, con la voce roca.
"Le cinque…"
"Devo alzarmi…" la prospettiva di tornare in caserma non l'allettava. Due settimane di licenza, ottenute col fine aiuto del comandante di brigata, le aveva bruciate facendo un'educativa escursione tra le montagne, in cerca di quel testimone. Il tempo residuo l'avrebbe impiegato ad uscire dal letto, lavarsi, saltare la colazione e correre, sotto il cielo squarciato dall'ennesimo temporale, verso la periferia di Parigi.
"Perché?", chiese accarezzandogli i capelli. Si fece più vicina.
"Che fai, sfotti?" mormorò, le labbra lungo il collo, fino alla sua bocca.
"Ti spetta una settimana di ferie residue, soldato Grandier. Ah! A proposito: con i complimenti del tuo comandante…"
E sì, non si sbagliava: Oscar adorava fargli delle sorprese ultimamente.
Roba da fargli perdere totalmente la testa.
Quante ore erano passate da che gli aveva detto che sarebbe diventato padre? Dieci o, forse, dodici?
Non gli importava di quanto il tempo fosse trascorso più o meno velocemente, ora sentiva solo che un'intera esistenza di totale amore non bastava più.
Per carità. A lui andava magnificamente già prima dell'arrivo del "piccolo clandestino", fin da quando quella donna meravigliosa, per pura follia, aveva deciso di trascorrere l'esistenza con lui.
"Ti strapperò solo una promessa…"gli aveva sussurrato all'orecchio qualche ora prima, dopo essersi assicurata che lui fosse in grado di intendere e di volere.
"… Cerchiamo di non lasciarci prendere la mano…" Come? Gli chiedeva la praticabilità della ragione nel momento più irrazionale della sua vita?
E, allora, per non deluderla si era fatto attento per cercare di sostenere i suoi discorsi, ed aveva promesso ancor prima di ascoltarla.
"… Abbiamo scelto il momento meno propizio per mettere la testa a posto André, ma non importa…" mentre lui, candidamente, scandiva nei suoi pensieri "Chissenefrega, io ti amo…". Eppure, c'era riuscita ancora a sorprenderlo.
"… André, ti si legge in faccia a cosa stai pensando…", ammaliante incantatrice: aveva deciso di mandarlo al manicomio? "… è tutto così strano: io per prima ho sempre sostenuto che i figli devono arrivare quando ci si sente pronti ad averli, ma adesso, adesso…"
L'aveva interrotta con un intensissimo bacio.
Dopo, lei, gli aveva posato la testa sulla spalla ed aveva sentito la mano di André posarsi sul ventre.
Il calore che irradiava la faceva sentire protetta e, per la prima volta dal giorno in cui aveva saputo di aspettare un figlio, era riuscita a comprendere perché desiderava averlo con tutta se stessa.
"… Devi promettermi di non pentirti mai André, qualunque cosa accada." Nemmeno una parola di troppo, o un respiro che non fosse quello giusto in quel momento.
Tutto sembrava assoluto: lei era perfetta, più di ogni altra cosa potesse distinguere tra i ricordi e la realtà.
"Fidati di me…", gli aveva chiesto di prometterle, "… fidati solo di ciò che siamo e che nessuno mai potrà impedirci di essere".
Avrebbe voluto dirgliela lui quella frase, farle sentire che lui poteva tutto solo perché lei gli era accanto. C'erano troppe cose che non si potevano spiegare con le parole, parlare di decisioni che avevano preso in ogni caso.
La risposta silenziosa alla domanda che non osavano porsi se la leggevano in faccia. Sapevano che il bambino non avrebbe mutato ulteriormente una situazione scomoda per qualcuno e, forse, pericolosa per loro. Il bambino faceva parte delle loro scelte, più o meno consapevoli, di cui non si sarebbero mai pentiti. Aveva un terremoto dentro, André. Parole come quelle potevano semplicemente scuoterlo e permettergli di prestare fede a ciò che era più giusto e sensato.
Dieci o dodici ore prima aveva promesso, ed ora, ancora tra le sue braccia a godersi il meritato riposo.
"Adoro il mio capo…" le mormorò mentre si cercavano ancora.
Una settimana di assoluto riposo poteva farle solo bene.
La confusione del rientro si era calmata dopo soli due giorni e André era rimasto bloccato a letto a causa di una brutta influenza. La febbre era salita durante le prime ore del mattino; Oscar, non si era lasciata sfuggire l'occasione per prenderlo in giro.
"Ecco cosa succede quando i signorini di città fanno un giretto tra le montagne con la neve…"
"Non era così che m'immaginavo le ferie…" borbottò con gli occhi chiusi, lasciandosi sigillare sotto almeno tre strati di coperte.
"Di che ti lamenti? Un'intera settimana a letto…" argomentava Oscar filosoficamente.
"Sì, ma con te, non con la febbre!" André aveva un modo tutto suo di dire certe cose, di scegliere i momenti e farla arrossire fin sopra le unghie.
"Ma quanto sei scemo!" farfugliò uscendo dalla stanza.
"Torna presto!"
Rimase per un po’ ad ascoltare il silenzio che era improvvisamente sceso appena Oscar era uscita di casa. Rifletté sulla loro situazione o, meglio, su quella di Oscar in particolare.
Un figlio.
Era una decisione che non avevano mai preso seriamente in considerazione, senza nemmeno starsi a porre motivazioni diverse da quelle che erano lampanti. Non ne avevano parlato, mai. Ma l'idea, almeno per lui, era maturata nel corso delle sue riflessioni notturne, assaporando la nuova vicinanza di lei nella sua casa, nel suo letto, nella sua vita. Ripensò ad una notte in particolare, forse la notte più bella che avesse mai vissuto. Lei dormiva, l'aveva capito dal tonfo che il libro aveva fatto cadendo sul pavimento. Si era avvicinato al letto e le aveva rimboccato le coperte. Era rimasto in piedi a guardarla mentre il tepore della coperta l'avvolgeva, colorandole di rosa le guance. Delicatamente, si era disteso accanto a lei che respirava piano. Si era risvegliata e l'aveva chiamato.
Si era voltata verso di lui sfiorandogli le labbra con la punta delle dita mentre cercava di resistere a quel suo modo di rimanere in silenzio, quando, più di tutto, desiderava ascoltare la sua voce.
"Non hai sonno?" gli aveva chiesto andando a cercare il calore del suo corpo. Poi, aveva premuto il viso nell'incavo della spalla e con la mano era scesa in basso a sfiorargli la pelle tesa del ventre.
"Solo quando sono stanco, amore".
Si erano amati, senza fermarsi.
Per la prima volta, André, aveva desiderato e voluto qualcosa che fosse soltanto di loro due.
Solo per un attimo aveva sentito la necessità di chiederle se anche per lei era così, ma, suppose, Oscar non avrebbe mai chiesto nulla per sé. Eppure, lo aveva stupito ancora. Quella volta gli era parso che lei potesse leggere nitidamente i suoi pensieri, interpretare i suoi desideri. E si era lasciato andare.
Sentì una strana malinconia avvolgerlo. Improvvisamente, pensieri oscuri, maligni prendevano forma nella sua mente. Che il sogno fosse diventato lapalissiana realtà lo sapeva bene e, nel contempo, si rendeva conto che, tra i due, chi stava rischiando tutto era lei. Il generale. Ci pensava da qualche tempo. Temeva di vederlo comparire dietro la porta di casa per fare del male a lei. Gliene avrebbe fatto per molto meno.
Per quanto tempo sarebbero stati in grado di tenere la cosa nascosta? Forse tre, al massimo quattro mesi, e poi, il suo lavoro?
Oscar era abituata ad esser totalmente indipendente, a muoversi in piena libertà, andare a cavallo per ridurre la moltitudine di argomentazioni, ad una sola. Di sicuro si era già organizzata e vederla tanto determinata gli aveva precluso qualsiasi possibilità di fare domande che, alla fine, si disse, non sapeva nemmeno in che modo porre.
Non era una donna qualsiasi. Conosceva la sua forza di volontà, la sua fibra forte e, in pochi giorni, aveva potuto constatare di quanto fosse disciplinato il loro piccolo, come riuscisse a stare al passo di quella madre fuori dal comune. "Ti ci devi abituare piccolino…è meglio per tutti se non fai capricci inutili e ti adegui alla smagliante forma fisica della mia Oscar". Aveva detto tra sé, mentre la sentiva muoversi per la stanza a sistemare quel po’ di confusione della sera precedente, riporre gli indumenti puliti nei cassetti ed avvicinarsi al letto con il catino dell'aceto diluito nell'acqua per tamponargli la fronte bollente.
Un aspetto di lei che non aveva mai considerato era proprio quello di sorprenderlo con la naturalità di gesti carichi d'affetto.
Non riusciva a tenere gli occhi aperti e gli dispiaceva da morire non poterla guardare in quell'attimo così bello.
La sua Oscar.
Mai come in quel momento l'aveva sentita tanto sua.
A differenza di André, Oscar, adorava la stagione fredda, i suoi colori tenui, trasparenti, che circondavano l'aria, le cose e le stesse persone in un cerchio sospeso dove tutto poteva succedere.
Quando uscì dal portone fu piacevolmente accolta dall'aria fresca del mattino. Il cielo era ancora coperto da nuvole grigie e minacciose, ma non se ne preoccupò.
Camminava lentamente e con convinzione per quella serie ininterrotta di strade che, tra un vicolo ed un androne, tracciavano l'architettura della città. Stringendosi nel mantello pensò che, forse, quella felicità di cui non osava parlare nemmeno a se stessa, le faceva apparire finanche bello quel tempo da lupi.
Quello che Oscar aveva improvvisamente compreso, l'aveva travolta come una folata d'aria fresca che giunge propizia in una stanza rimasta al chiuso per troppo tempo. Erano sensazioni che non sarebbe stata in grado di spiegare, per questo, da quando era andata a vivere a Parigi, ne aveva colte tante e, benché alcune cose fossero rimaste sempre uguali, sentiva d'essere diversa.
Si affrettò a sbrigare quel paio di commissioni che non poteva proprio rimandare: prima passare dal medico che, con molta insistenza, le aveva preparato una dieta adeguata al suo fabbisogno, poi passare dal farmacista a prendere un infuso alle erbe per André.
Appena tornata a casa, aveva lasciato tutto sul tavolo e si era diretta nella loro camera.
Lì, l'aveva trovato vicino al catino, intento a farsi la barba.
Pensò che era veramente bello, e rimase a contemplarlo sicura del fatto che lui non riuscisse a vedere la sua espressione da quella distanza. Avevano imparato a scherzarci, era stato André a coinvolgerla in quel gioco tentando ogni volta di alleggerire il peso che, Oscar sentiva dentro e che l'annientava. Adesso c'era una bella atmosfera in casa.
Si era voltato verso di lei.
Era rimasto con le braccia abbandonate lungo i fianchi e, sul volto, un'espressione indecifrabile. La fissava con quel suo sguardo innocente ed inesorabile come quello di un bambino davanti alla cosa più bella che avesse mai visto.
Oscar, la testa poggiata controllo stipite della porta, lo seguiva con lo sguardo.
Le venne in mente la prima volta che si era risvegliata nella camera di André.
L'aveva visto di spalle mentre prendeva dall'armadio una camicia, ed era stata assalita da un'emozione forte ed intensa.
Si era chiesta come sarebbe stato vivere ogni giorno con lui, ed aveva cominciato a fantasticare di vederlo diventare suo marito, un padre e invecchiare insieme.
Le tende erano tirate e dall'esterno penetrava la prima luce del giorno.
Rumori soffocati all'interno della stanza l'avevano svegliata. Aveva riaperto gli occhi e, con una certa foga, cercato di mettere a fuoco le immagini.
"Porca miseria" aveva detto André, portandosi alle labbra il dito sanguinante che aveva incontrato uno spunzone tra le pareti dell'armadio.
Si era girato di scatto in direzione del letto.
Oscar, l'espressione distratta, si era sollevata sui gomiti e lo fissava.
"Scusa, ti ho svegliata."
Si era alzata, trascinandosi il lenzuolo con cui aveva cercato di fermare il sangue.
"Non ti pare appariscente come fasciatura?" aveva scherzato lui.
Da quanto tempo lo amava?
Si riscosse da quel piacevole ricordo ed ora ascoltava nel silenzio della stanza solo il suono dei loro respiri.
Si diresse verso di lui.
Ci era arrivata col tempo a quella spontaneità, ci era riuscita, quando credeva di non esserne capace.
Da quel giorno di tre mesi prima, al termine di una sofferenza che mai aveva creduto possibile provare nella sua vita, si era lasciata tutto alle spalle per ritrovare l'unica persona che avesse mai amato.
Non c'era nessuno più forte di Oscar davanti al dolore, ma era capace di svenire se vedeva André tagliarsi col rasoio.
"I tuoi occhiali?"
"Non li ho trovati."
Sorrise ed allungò la mano sul comò alle sue spalle. Prese gli occhiali e glieli porse e, con un 'espressione scettica, fece per allontanarsi, ma lui la trattenne per un polso e continuò a baciarla anche quando le sue mani avevano cominciato a cercarlo.
La primavera tardava ad arrivare, nonostante si fosse già alla fine di maggio.
Dopo il suo turno, Oscar, si era diretta a corte a far visita al principe Joseph, che versava in gravi condizioni di salute. Come suo solito, il colonnello Girodel aveva avuto l'accortezza di venire a prendere personalmente Oscar dalla caserma.
André non aveva commentato la cosa. Dopo averle sfiorato, frettolosamente, le labbra sull'uscio dell'ufficio, con l'umore nero come la notte, si era allontanato da lei raccomandandole solo di non commettere imprudenze. Sapeva quale affetto la legava a quel bambino, che sarebbe stata capace di non rifiutargli niente. Ma, in quel caso, poco c’entrava l'essere permissiva, lì prendevano posto gli ordini impliciti di sua maestà.
Erano stati giorni difficili per loro.
Dopo un massacrante turno, erano rientrati a casa distrutti. Oscar si era accasciata sulla poltrona con il volto pallido e sudava freddo. Allora, senza perdere nemmeno un secondo, André si era precipitato a chiamare Rosalie ed il medico. Mentre correva per le strade affollate, invocava quel dio, in cui non credeva più, che non capitasse nulla ad Oscar e al bambino.
I palazzi in prospettiva sembravano non avere mai fine, ed era al termine di quei palazzi che avrebbe trovato lo sbocco per la via che conduceva a casa del dottore. Contava i passi memorizzandoli, cercava di tenere la mente occupata da un pensiero diverso da quello che lo stava ossessionando. Se il piccolo avesse deciso di lasciarli, di quanta forza si sarebbe dovuta fare carico Oscar? Lei non sarebbe riuscita a superarlo, ad accettarlo. E lui? Lui non riusciva nemmeno a spiegarsi perché aveva permesso ai suoi pensieri di prendere quella piega, ma non ce la faceva proprio ad indirizzare la mente su una prospettiva ottimistica. Si accusò di non aver fiducia in lei, ed era una cosa che lo faceva impazzire. Il dubbio, quel piccolo dubbio che piano prendeva forma nella percezione dei fatti di quel giorno, stava riempiendo la sua anima come la fanghiglia che si deposita sul letto del fiume, e stemperava le sue certezze.
Correva, e davanti agli occhi l'immagine di Oscar bella e luminosa in quei primi istanti della maternità. Le rotondità appena accennate che potevano solo vedere e sentire fra le quattro pareti della loro casa, quando chiudevano fuori il mondo e, il mondo sembrava proteggerli da se stesso.
Quella volta era andato tutto bene e, quando rientrando a casa aveva visto il volto sereno di Rosalie, allora aveva capito che Oscar stava bene e che desiderava quel figlio con tutta se stessa.
Giorni difficili da superare senza perdere la calma, senza chiedersi se fosse giusto continuare a comportarsi come se nella loro vita non fosse accaduto niente di insolito. Lei non gli aveva detto del suo sospetto di essere controllata. Aveva continuato a comportarsi come sempre, prendendo le solite precauzioni.
Ma il Generale Bouillé, feroce ed impassibile, aveva scomodato la sua pesante figura di uomo sfatto dai vizi, per lasciare libera la bocca sottile nascosta dai folti baffi, per impartire ordini senza senso. Così aveva definito Oscar le sue strategie e, così, per il rotto della cuffia, aveva evitato l'accusa di insubordinazione.
"E' vostro dovere, giustificare l'impiego di dodici uomini per il pattugliamento di una zona, che non è riconosciuta a rischio" Si era quasi strozzato, nel parlare, ad Oscar era sembrata comica quella situazione; pensava che, se ciascun essere umano somiglia ad un animale, allora, il generale Bouillé, ricordava alla perfezione un maiale.
"Sono giunte segnalazioni che denunciano strani movimenti nella zona, signore."
"Comandante, in quella zona c'è solo un'antica torre infestata da ratti… avete intenzione di impiegare i vostri soldati, per arrestarli?"
"In quel caso mi procurerei un piffero, signore."
"Come osate! Oscar François de Jarjayes, ricordate che state parlando con un vostro diretto superiore…"
Pregò solo che non tirasse in ballo la solita storia che datava all’inizio dell'antica rivalità tra lui e suo padre, a quanto sarebbe stato piacevole rimuoverla in modo definitivo da un incarico cui avrebbe assolto sicuramente meglio un uomo, fino al momento in cui avrebbe ritirato ogni cosa dicendo che, nonostante tutto, lei, era un ottimo comandante.
Nell'enfasi della conclusione, il generale si passò due dita nello scollo dell'uniforme per respirare meglio, ed Oscar, vicino alla finestra, pensò che sarebbe stato meglio aprire un po’ per lasciar passare aria fresca e pulita.
Di sicuro non lo faceva per quello stronzo imbellettato che tentava di darsi un'aria dignitosa in un momento in cui avrebbe fatto meglio a ritirarsi.
Gettò una rapida occhiata al di fuori della finestra e si soffermò a guardare André che discuteva tranquillo con Alain sotto quella pioggia fitta.
Avrebbe voluto che lui le fosse vicino in quel momento, dirgli che stava raccogliendo le forze per non cadere sul pavimento, chiedergli di rimanere per sempre vicino a lei e proteggerla dalla sua stessa incoscienza.
"Comandante…" riprese con un tono che Oscar inorridiva a definire 'confidenziale'. "… vostro padre mi ha detto che vi siete trasferita in città… ma, da quanto mi risulta, alloggiate davvero troppo poco negli appartamenti riservati al comandante… confido nel vostro buon senso." Si lisciò i baffi senza levarle gli occhi di dosso.
Questa poi!? Ci mancava solo che Bouillé si intromettesse nella sua vita privata, ma avvistò subito il pericolo e dirottò quella domanda indiscreta su un territorio meno pericoloso.
"In questi giorni i disordini sono aumentati, preferisco pattugliare le strade con i miei uomini, generale."
L'ineccepibilità della sua risposta aveva colto nel segno e aggirato l'ostacolo puntando sul senso del dovere.
Con fatica si sollevò dalla poltrona e, passandole a fianco, la guardò da capo a piedi.
Appena il generale aveva lasciato la stanza, si era precipitata a spalancare la finestra.
Aveva allungato la testa al di fuori lasciando che le gocce di pioggia le levassero dal viso l'odore rivoltante di quell'uomo.
Aveva notato come la stava guardando, l'aveva divorata con gli occhi e sentiva su di sé ancora quelle occhiate morbose.
Poi, André era entrato nel suo ufficio e l'aveva trovata con il viso nascosto contro il muro.
"Non è niente, adesso passa…" tentò di convincerlo" … è solo un effetto collaterale della mia condizione, Cristo!"
"Oscar" aveva solo pronunciato il suo nome, ma a lei era parso di capire cosa si apprestava a dirle.
"Bada a come parli, André!"
"Va bene, ma tu smetti di piangere, per favore."
Era rimasta di fronte a lui con le braccia conserte e gli occhi ostinatamente bassi. Fissava le gocce di pioggia che scivolavano dal mantello di lui e si posavano sul pavimento formando una pozzanghera che piano si ingrandiva.
Senza sollevare lo sguardo si era avvicinata a lui e aveva slacciato il mantello inzuppato. Con le braccia sotto le sue si lasciò stringere e cullare, senza dire una parola.
Erano passate due settimane da quel giorno, però la pioggia non aveva smesso di cadere.
I giorni andavano lasciando addosso la loro traccia appiccicosa come la scia di una lumaca. Sembrava di esser arrivati ad un punto in cui era difficile proseguire, ancor più tornare indietro.
"A quest'ora sarei dovuto essere impazzito o morto" disse Michel seduto al tavolo con Bernard ed Alain.
André, pensieroso, guardava al di là dei vetri coperti dal vapore.
Si davano tutti un gran daffare per cercare di portare prove consistenti alla loro causa: Michel tentava con ogni mezzo di non finire davanti al tribunale, e si prestava quotidianamente ad interrogatori stressanti, al di là di ogni limite. Alain ce la metteva davvero tutta pur di rendergli la vita impossibile e, André, dal canto suo, si limitava ad assistere intervenendo solo quando al suo amico cedevano i nervi e si lasciava prendere la mano. Sapevano tutti com'era fatto Alain, in quei giorni, poi, viveva in una dimensione tutta sua ed era mancato poco che lui ed il suo amico di sempre arrivassero alle mani
"Quella ti sta mandando in pappa il cervello!" aveva urlato contro André, che tentava di farlo ragionare sull'assurdità della sua proposta di fare un'incursione armata nella Torre.
Quella volta André non era riuscito a trattenersi e, dopo averlo allontanato con uno spintone, gli aveva promesso che se si fosse azzardato ancora una volta a parlare della sua donna in quei termini, non si sarebbe fermato alle parole.
"Sei proprio uno stronzo Alain!" gli aveva detto Bernard rimettendo a posto gli sgabelli caduti, senza aggiungere altro.
Alain era uscito per raggiungere André e chiedergli scusa, ma si era fermato quando lo aveva visto assieme a lei, appena dietro l'angolo.
Parlavano.
Erano seri: lei stava accennando alle ultime indagini che aveva svolto, lui, annuiva e la guardava.
Chiunque, li avesse visti in quel momento, avrebbe pensato che si stavano scambiando parole intime.
Poi, lei era così cambiata che a stento riusciva a credere che quella donna, bellissima e dolce, fosse il suo comandante inflessibile e determinato.
Il suo comandante.
Da qualche tempo la circondava un'aura splendida, i suoi abiti maschili non riuscivano a nascondere la sua femminilità, il suo corpo perfetto, e con quanta disinvoltura si muoveva tra la gente, con quanta dolcezza e, allo stesso tempo, con quale determinazione parlava. Anche il timbro di voce era cambiato; sembrava più calmo e rassicurante.
Ed era davvero innamorata di André, adesso ne aveva piena coscienza, e lo faceva soffrire doverlo ammettere.
Aveva voltato l'angolo, immergendosi nelle strade affollate col proposito di non pensare a niente.
Si riscosse da quel pensiero e, dopo aver tolto il berretto, agguantò la bottiglia vuota per metà di cognac.
Lo versò in due bicchieri.
Sollevò lo sguardo in direzione di André, e, scrutandolo, tentò di capire cosa lo impensieriva in quel momento.
"Ehi, non sei di compagnia stasera…" fece, e gli porse un bicchiere di cognac.
André si passò una mano sul viso. Accennò un sorriso, poi, prese il bicchiere e, posandogli una mano sulla spalla, andò con lui a sedersi al tavolo.
"Oscar ha detto che le persone di cui parli su questi appunti sembrano svanite nel nulla, Michel" disse André serio.
Bernard prese il quaderno e lo ripose con cura sul tavolo, poi, intrecciò le dita e guardò fisso in direzione del ragazzo
"Sono sicuro che non hai detto tutta la verità…Forse, tu e Valérie avete architettato questo piano per vendicarvi di qualcuno…"
Michel si gettò all'indietro poggiando pesantemente la schiena sulla sedia. Strinse forte i pugni tentando di mantenere la calma.
"Valérie ha detto la verità, ed io non so che fine abbiano fatto queste persone." Guardò in direzione di André. Sembrava non capacitarsi di quella situazione e tornò a guardare il quaderno.
"Siamo stati alla Torre e non abbiamo trovato niente e nessuno…" continuò Alain " … questo può significare che Bernard ha ragione."
"Cristo! A questo punto avrei preferito che mi avessero scovato quelli e non voi…"
Rimasero per un attimo in silenzio, Michel li guardava come se avesse voluto lasciare, a ciascuno di loro, il tempo per trarre le logiche conclusioni.
La campanella sulla porta attirò la loro attenzione.
Oscar, tolti il cappello ed il mantello che grondavano acqua, si sistemò i capelli e la cintura che teneva sopra la camicia lasciata sui fianchi.
Gli altri tre rimasero a guardarla mentre, André, inforcava gli occhiali e portava a sé, con un gesto deciso, il quaderno.
Si sedette tra di loro e l'oste le portò subito una tazza di cioccolato.
"Ci sono delle novità" disse, soffiando sulla bevanda fumante.
Mail to mariassunta.paolillo@virgilio.it