I just like you

part 6

 

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Rimase con le braccia conserte a guardare la sagoma di André che scompariva lentamente nella cortina di nebbia  fitta ed intensa, quella mattina. Pensava che ad ogni partenza faceva sempre seguito un ritorno, per questa ragione, tutto rimaneva costantemente invariato o, almeno, si sforzava di trovare una componente di continuità per frenare quel circuito inspiegabile di sensazioni contrastanti che la pervadevano.

Lui non si era voltato nemmeno una volta e di questo gliene fu grata quando, piano, si era voltata anche lei dalla parte opposta, immergendosi nei primi rumori della città che cominciava a svegliarsi.

Stava provando a vivere di quella pace che tanto a lungo aveva cercato e che solo lui, forse, sarebbe stato capace di alimentare.

Trascorse qualche giorno a palazzo Jarjayes, eludendo così plausibili sospetti.

Si rese conto che la sua presenza in quella casa era ormai un fatto d'abitudine.

L'avvertiva dalla monotonia della casa, della perpetua posizione di mobili ed oggetti, della luce che vi entrava rifulgendo tra le pieghe di un tempo immobile mentre lanciava un segno di vita.

Tuttavia, in quella casa, vi erano posti speciali che la riportavano a ricordi intensi, difficili da dimenticare.

Rimase in uno stato di vuota e quieta riflessione fino a quando, i rintocchi della pendola la riportarono alla realtà.

Suo padre la stava fissando.

 

"Buongiorno… non vi ho sentito arrivare" disse Oscar, sorridendo. 

 

"Ritorni a Parigi?"

 

"Sì, è la soluzione migliore padre."

 

Esitò ancora un attimo, Oscar, prima di uscire, come se volesse perdonare a se stessa quel momento e, se anche tutto fosse stato perdonato, si sarebbe sentita colpevole per aver morso la mano che l'aveva nutrita, sostenuta e, seppur a modo suo, amata.

Una sorta di veleno le attraversava il sangue e lì, poco distante da lei, suo padre, immobile.

Ora, sembrava bizzarra quella circostanza, lui che si era spinto così lontano creando per lei l'altro lato della sua vita, si sentiva impreparato ad accettare ciò che era del tutto naturale per Oscar, ciò che sarebbe stato del tutto naturale se lei fosse stata un uomo. Il generale si rese conto di non avere nulla da obiettare, nulla da dire. Tutti i progetti che aveva accarezzato si erano smarriti nell'ordine delle cose; in tutti i desideri si celava il prezzo da pagare ed ogni speranza alimentata si stava allontanando da lui, per sempre.

 

E' tutto alle mie spalle ora e ho fatto quello che dovevo fare… Come dovrei sentirmi?

 

Ormai era fatta e sentiva agitarsi dentro tra cose da dimenticare e ricordare insieme.

 

Era sola.

Era da un sacco di tempo che non passava una notte da sola.

Negli ultimi tempi aveva quasi dimenticato che cosa l'aveva spinta a lasciar andare tutto il suo passato.

Quella  nuova vita le stava regalando gioie insperate.

E se per quelle medesime scelte stava perdendo di nuovo qualcosa, qualcosa di prezioso?

In quel momento tutto aveva un senso perché lui le era accanto.

Stava attingendo a piene mani forza dalla realtà, con la totale consapevolezza di aver gettato alle ortiche un passato troppo vicino e pericoloso per dichiararlo inoffensivo, sbattendo in faccia alla sua vita la sua vita e poco importavano gli effetti collaterali della sua scelta.

Un giorno, forse, ma non ora.

Passò una mano tra i capelli trattenendola sulla nuca.

 

"… il popolo costituisce un pericolo per l'ordine sociale tradizionale, il popolo entrerà a far parte della scena politica del paese dalla porta principale…"

 

Le parole le arrivavano come dal fondo di un tunnel; quella sera la sua soglia d'attenzione faceva davvero pena.

Gettò una rapida occhiata all'interno della stanza.

Si soffermò a guardare i volti intenti degli astanti, chiedendosi se, come lei, anche loro mascheravano le inquietudini dietro una parvenza interessata.

Doveva affrontare la prova più difficile della sua vita riuscendo ad ammettere, finalmente, a se stessa, che si trovava in quel posto per convinzione ideologica e non solo per amore di André.

E così, la sera, tornava a casa stanca, con i vestiti impregnati dall'odore acre del tabacco e nella testa i pensieri altalenanti che richiamavano in causa tutta la sua esistenza, nel bene e nel male.

 

"… si avvicinano tempi difficili, amore mio…" in certi momenti le sembrava che la voce di lui fosse la sua, che non riusciva a pensare senza che quel tono caldo riaffiorasse dal profondo adagiandosi sulla superficie di sé.

 

Un'ondata di calore improvvisa la costrinse ad uscire dalla stanza in cui aleggiavano l'aria viziata dal fumo e la sua inquietudine.

Poggiò la schiena contro la parete umida e fredda del muro e, con il viso nascosto tra le mani, cercò di regolarizzare il respiro.

Pensò che per quella sera aveva sopportato abbastanza e l'urgenza di correre a casa era divenuta prioritaria.

Avrebbe scommesso senza riserve di essere incinta; da qualche giorno quel ritardo l'aveva allarmata, sebbene si scopriva in istanti di puro stupore ad immaginare come sarebbe stato suo figlio, quali sembianze e colori avrebbe avuto; la felicità negli occhi di lui.

L'ultima settimana l'aveva trascorsa in quel modo e la sera, prima di addormentarsi, non poteva fare a meno di pensare che se davvero ci fosse stato, quel bambino, avrebbe dovuto cominciare ad abituarsi alle assurde meditazioni di sua madre.

Oscar madre. L'antitesi per eccellenza, il rischio più grande che avrebbe corso il mondo se lei lo fosse diventata. E allora, lentamente lasciava entrare tra i suoi pensieri tersi la forma più sottile e tagliente della razionalità, riportando tutto il suo intero universo ad un'unica, logica, chiave di lettura.

Però, sentiva d'essere innamorata persa di lui. Tanto più era forte quella certezza,  più cresceva lo spavento di sentirsi divisa, perché c'erano ancora tante, troppe cose di lui che avrebbe voluto tenere solo per sé.

E ripeté a se stessa, un giorno, forse, ma non ora.

Respirò a pieni polmoni come se volesse trattenere dentro di sé tutta l'aria del mondo.

E c'era un'aria così fresca e pulita che le attraversava l'anima.

Se ne stava seduta sui barili vuoti, il viso nascosto tra le mani e gli occhi chiusi, lasciandosi andare a quell' errante senso di vuoto che sosteneva senza fatica il peso dei suoi pensieri.

 

Non c'è vento stasera… sono tanti anni che aspetto questo momento e, adesso, non mi sembra vero…[1]

 

Di cose da fare ne aveva, ma la confusione, che occupava largo spazio nella mente, le impediva di muovere perfino i muscoli.

Rimase ancora un po’ così, mentre ascoltava le voci che dall'interno del loro ritrovo si propagavano nell'aria caotiche.

Il suono di alcuni passi che si avvicinavano la costrinsero a risollevarsi e, stupita, rimase a guardare la figura che si stagliava adesso nitida, davanti a sé.

 

"Buonasera Comandante."

 

"Buonasera Alain."

 

Così scese un velo d'imbarazzo tra di loro e, comprensibilmente, Oscar trovò del tutto naturale la presenza di Alain in quel posto anche se, adesso, avrebbe saputo spiegargli la propria.

Alain s'accomodò alla meglio su uno dei barili che si ammassavano contro le pareti del cortile e, dopo essersi levato il berretto, abbassò lo sguardo come se potesse trovare sulla pietra ricoperta di muschio le parole per poter cominciare la conversazione. Sembrava differente dal solito, sicuramente provato dal dolore che da diversi mesi aveva contrassegnato la sua esistenza, ma che non aveva incrinato la sua compostezza.

 

"Sicché, avete fatto la vostra scelta eh?…" usò il suo solito tono scherzoso.

 

Oscar sorrise.

 

"… E, finalmente, vi vedo sorridere con il cuore…"

 

Comprese subito a cosa si riferiva, e lo guardò con insistenza fino a quando Alain non poté più sostenere il suo sguardo ed abbassò impercettibilmente il capo.

 

"Approvi?"

 

"Comandante… ma volete prendermi in giro? Ho quasi fatto la figura del paraninfo per riavvicinarvi!"

 

Ancora quel sorriso dolce e lui si accorse che non le aveva mai visto quella luce negli occhi.

Ricacciò un sospiro ed insieme un pensiero vagamente malinconico e, in quella constatazione, si rese conto che, in fin dei conti, la soluzione migliore per lui sarebbe stata quella di allontanarsi per un po’ da loro.

All'inizio, il delinearsi di quella necessità, assurda, morbosa, l'aveva considerata come l'effetto secondario del profondo sentimento che provava nei confronti del suo unico, caro amico. Col tempo, aveva imparato a riconoscere la propria debolezza e, il tempo stesso gli aveva mostrato qual era il suo posto. "Assurdo" pensava ad un brutto scherzo dettato dalla profonda tristezza di essere rimasto più solo di prima.

Poi, una sera, erano usciti assieme come non facevano da tanto. André l'aveva assecondato, e si erano diretti nella zona che pullulava di locali frequentati da "attrici", almeno così aveva glossato Alain la definizione - del tutto inaspettata conoscendo la compostezza verbale dell'amico- meno poetica di André.

 

"Se il Comandante viene a sapere che sei stato in un posto del genere… te lo stacca a morsi…"

 

"Oh… lo farebbe eccome!" gli aveva risposto André, intento a declinare l'invito di una procace fanciulla, intenzionata a non mollarlo un attimo.

E, così, erano usciti dal locale ridendo a crepapelle, come due ragazzini e, solo dopo, facendosi improvvisamente seri, avevano dato sfogo a quelli che per tanto tempo erano rimasti discorsi sospesi, ricacciando quelle risate vuote, in cui entrambi mascheravano i dolori.

 

"… e se il suo titolato padre si accorge di qualcosa, cosa farete?"

 

"Boh… non lo so ancora"

 

Aveva poggiato la schiena contro il muro, André, e gli aveva risposto con le mani in tasca e lo sguardo lontano.

 

"Suppongo che, tu le abbia parlato del tuo dopo-lavoro…" disse Alain, quasi fosse una riflessione personale.

 

"Già…" Allontanò una pietra con un calcio.

 

Alain gli si avvicinò battendogli una delle sue pacche sulla spalla. Per un momento, invidiò il percorso dei suoi pensieri, il peso  delle sue responsabilità, la forza di carattere innata, che manifestava in ogni momento. Si chiese se, davvero, di ogni parte di André, Oscar ne era il centro e, se quella era la realtà, allora, lui avrebbe voluto, almeno per una volta, poter vivere le stesse emozioni.

 

Si riscosse da quei pensieri e tornò a guardare Oscar che, adesso, era seduta accanto a lui.

Guardò il suo profilo dolcissimo, la piega morbida delle sue labbra e quello sguardo trasparente che, a volte, diventava impenetrabile. Sorrise ammettendo che, in fin dei conti, lei e André erano nati per stare insieme e non solo perché indispensabili l'uno all'altra, ma come se avessero tatuato addosso il marchio di reciproca appartenenza.

 

"In caserma, tutti sentono la tua mancanza…" tentò Oscar, stavolta, di riallacciare la conversazione

 

"Ho bisogno di starmene ancora un po’ da solo… e, poi, non mi sento di lasciare mia madre. Spero comprendiate, Comandante."

 

"Sicuro Alain, anzi, scusa se sono stata inopportuna."

 

La rassicurò con un sorriso appena accennato. No, la sua scelta non era solo legata a sua madre. Quella vicinanza con lei lo confondeva profondamente e c'era qualcosa, perfino nel suo timbro di voce, a renderla tanto attraente. Per tentare di capire il motivo per cui André stava sprecando la sua vita dietro una stronza che non lo meritava, aveva finito per capire troppo e cadere, pure lui, in quella trappola. Ma quello sarebbe rimasto un suo problema e se, inizialmente, era geloso di dover dividere il suo amico con lei, adesso, avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di starle accanto.

 

 

                                                                                        §§§

 

 

In quel paesino sperduto tra le montagne c'era una sola taverna e di questo ne fu contento. Aveva passato l'intera settimana girando, di paese in paese, mettendosi sulle tracce di quell'uomo. Pensò che la fortuna lo stesse prendendo in giro giacché, quello, cambiava posto non appena ci arrivava lui.

 

"Cazzo! Sono invecchiato dieci anni tra queste montagne" disse tra sé.

 

Seduto al tavolo di quella taverna, con il viso nascosto tra le mani, André, tentava di non perdere la calma.

Buttò giù, tutto d'un fiato, l'ennesimo cognac tanto per cercare di riscaldarsi un po’. Sentiva le ossa congelate e doveva avere senz'altro qualche linea di febbre, dopotutto, andare a cavallo con quelle temperature non era proprio salutare: Bernard e le sue predizioni!

Tirò fuori la mappa che gli aveva tracciato Oscar e la distese sul tavolo tenendola ben nascosta ad occhiate importune.

Il silenzio, quasi irreale, che regnava all'interno del locale aggravava i più piccoli suoni e dovette trattenersi a stento per non cedere al nervosismo. Era abituato a meditare e, tanto nel suo ruolo di "ombra", quanto in quello di rivoluzionario clandestino, doveva correre rischi, aggirare gli ostacoli in vantaggi ma, in ogni caso, preferiva fare piani minuziosi .

Rise di sé, di quel suo criterio, rendendosi conto che, ormai, la sua vita era stata stravolta, ancora, dall'imprevedibilità di Oscar.

Ripensò a quando era entrato a far parte del gruppo di Bernard.

Era uscito, come accadeva da qualche tempo, per andare a bere qualcosa da qualche parte senza badare molto al posto. L'importante era dimenticare lei, dimenticare se stesso.

Ma non era che fantasia.

Seduto tra la gente, osservava i loro volti ed alcuni gli sembravano davvero idioti. Il suono di parole, perdute tra gli altri suoni delle osterie, stazionava in alto, in mezzo al peso insopportabile di odori nauseanti provenienti dalle cucine, misti all'umidità dei muri.

Si confondevano nella mente, annebbiata dai fumi dell'alcol, le sue ossessioni, divise tra quella di fare colpo su di lei e la paura di rimanere solo.

Senza inizio e senza fine.

La notte era il suo regno e vagava tra le ombre di una città scintillante di odio e d'amore.

E, poi, poi, la luce incerta di un pomeriggio invernale e un profumo di pioggia gliel'avevano portata dietro la porta di casa…

Ricordi di un passato recente gli rendevano accettabile anche lo stare seduto in quella taverna ignota, per inseguire un criminale che, non si era nemmeno capito bene, poteva dare informazioni importanti alla loro causa.

 

"Questa ve la offre quel signore seduto là, in fondo alla sala" gli disse l'oste, piazzandogli davanti la bottiglia di cognac mentre con un cenno capo gli indicava la posizione dell'altro.

 

André sollevò appena lo sguardo e vide avvicinarsi al suo tavolo un giovane di bell'aspetto nonostante la barba incolta. Lo sguardo torvo di chi ne ha viste e subite tante nella vita, e, forse, la cicatrice sulla faccia che non nascondeva, rafforzava quell'impressione.

 

"Questo non è un bel periodo per venire da queste parti" , furono le prime parole che rivolse ad André.

 

"Dipende…" gli rispose, invitandolo a sedere, "… a cosa devo tanta gentilezza?" E versò da bere per entrambi.

 

L'uomo lo squadrò per bene e, André si sentì pervadere da un senso di fastidio che non riuscì a mascherare.

 

"Tranquillo!  Mi piacciono le donne…"

 

"Allora siamo in due!" gli rispose André, stavolta in maniera rilassata.

 

Tuttavia, c'era qualcosa in quel ragazzo che lo impensieriva e, la cosa che gli dava maggiormente fastidio, era che più lo capiva e più sentiva forte un'aura di lealtà provenire da lui.

 

"Sei di Parigi?

 

"Sì."

 

"Sei diretto a nord?"

 

"No, non più. Il mio viaggio finisce qui…" disse il ragazzo, mentre giocherellava col tappo della bottiglia facendolo roteare sul tavolo.

 

"… Sei venuto per eliminarmi o cosa?"

 

"…"

 

A quel punto fu chiaro, per André, che non ci sarebbe stato bisogno di chiedergli il suo nome, nemmeno il motivo per cui stava scappando, ma voleva sapere come aveva fatto a riconoscere lui. Era stato attento a non lasciare tracce, a non insospettire nessuno anche se, durante tutti quei giorni, gli era sembrato di stare sulle orme di un fantasma. Aveva come riferimento la descrizione che gli aveva fatto padre Clavel, ma si rendeva conto che, se avesse continuato a fare affidamento su quella, non sarebbe mai riuscito a trovarlo e che non gli aveva raccontato tutta la verità.

 

"Cosa ti fa credere che io sia qui, per te?"

 

"Ti ho visto a Parigi. Tu bazzichi la chiesa di quel prete… Clavel e, da quanto mi è parso di capire, non per seguire la messa."

 

"Questo mi consola… e tu, sei credente Michel?"

 

"Non entro i canoni…"

 

André vedeva il prospettarsi di quella situazione, più difficile di quanto aveva immaginato. Aveva intrapreso quel viaggio, animato dalla rabbia che provava nei confronti di quei bastardi senza scrupoli che, con raccapricciante freddezza, arrestavano, torturavano ed uccidevano persone innocenti. Un clima di terrore degno della peggiore inquisizione, la violenza con cui i regnanti cercavano di reprimere il clima di ribellione che si era insinuato, poco per volta, tra i bisogni della gente. Sarebbe stato del tutto ovvio che persone come lui, Bernard, Alain, potessero pagare cara la scelta di combattere il sistema, ma non riusciva a comprendere i motivi per cui si erano accaniti contro Valerie a quel modo.

Eppure, adesso, di fronte a quel ragazzo sentiva di non provare il disgusto che aveva immaginato. Si lasciò convincere dal suo istinto, e gli diceva che quella storia era più complicata di quanto tutti quanti avevano immaginato. Sentiva di non avere scelta, anche quello faceva parte del rischio, e cercava di attenuare la profonda delusione di essersi imbattuto in un uomo che stava scardinando le sue certezze.

 

"… Sono stanco di fuggire, di nascondermi, di sentirmi un assassino. E' buffo, io non ho mai ammazzato nessuno eppure sono rimasto in silenzio, mentre le cose orribili che ho visto mi circondavano, senza mi opponessi. Poi, un giorno…” Prese in mano un bicchiere. “… Quella ragazzina… si aggrappava a me, dopo… le avevano bruciato le dita… seviziata…” Lo poggiò sulle assi del tavolo, cercando le parole. “… è stato un caso che non le abbiano fatto la festa, perché era svenuta. Allora, mi hanno chiamato dal posto di guardia perché non c'erano uomini a sufficienza e mi hanno ordinato di riportarla in cella.”

Guardava lontano, nei ricordi. E continuò il suo racconto. L'aveva sollevata, in quel momento aveva riaperto gli occhi. Era stato un attimo. Valérie. Aveva attraversato il sotterraneo con lei tra le braccia. L'aveva avvolta in una coperta. La poteva sentiva mentre tratteneva il respiro, tremava. Allora, l’aveva stretta più forte. Quando, infine, erano usciti, l’aveva nascosta dietro un cumulo di pietre ed era corso a prendere un cavallo eludendo, con una scusa, le sentinelle di guardia alle scuderie. Era fuggito, nella campagna buia e deserta, temendo che qualcuno potesse tornare in cella per andare a riprenderla, spronando l'animale al galoppo, sfiancandolo. Dopo ore di quella corsa sfrenata, era arrivato ad una chiesa. Erano rimasti nascosti lì per diverso tempo, si chiedeva se stesse facendo la cosa giusta, stanco, i muscoli irrigiditi dalla fatica, dalle notti insonni per la tensione di quell’incarico…

Era stato allora che l’aveva visto. Mentre padre Clavel gli consegnava un plico. Forse aveva capito che era ora di cambiare.

“Ho aspettato che te ne andassi… Quando lei è rinvenuta era confusa… ripeteva quello che l’avevano costretta a dire… poi è svenuta ancora…” Allora, l’aveva lasciata davanti al portone di quella chiesa."

 

L'espressione dura, il volto imperturbabile erano soltanto la maschera di Michel. Una maschera che non aveva creato  per il bisogno di nascondere qualcosa, bensì, per attrarre eventi che lo trascinassero via dal suo mondo solitario e chiuso.

Era entrato a far parte delle Guardie reali controvoglia e, invece, il suo sogno era quello di  viaggiare per completare gli studi di medicina, andare in Italia, respirare l'aria, il fascino ed il mistero della terra di Leonardo da Vinci.

 

"Cosa ce ne facciamo di un altro stupido macellaio?" gli aveva detto suo padre il giorno in cui si era infranto il suo sogno di libertà.

 

Bisognava aiutare la famiglia, pagare i debiti oltre che sopravvivere alla fame, alla vergogna. E, quando l'avevano trasferito alla "Torre", si era reso conto che tutti i suoi sogni brillavano in un luce troppo fioca e distante, che non aveva alcun motivo per continuare quella vita fatta di rinunce, di compromessi, perché, in fondo, non gli importava più della stima di suo padre.

 

"Ho bisogno di credere anch'io in qualcosa…" disse Michel fievolmente.

 

André ascoltava con cautela, come sempre del resto, osservava i suoi gesti distratti che riflettevano la sua paura di dover ammettere di essere, in qualche modo, anche lui colpevole. Si stava affidando al suo istinto, lo stesso istinto che aveva messo da parte all'età di sei anni, per lasciare spazio alla razionalità e, attraverso quel ragazzo, con tutto il suo carico d'angosce e di paure, rivedeva se stesso. Non lo considerava più colpevole dell'intera società che, solo dopo anni di sopraffazioni, stava maturando una coscienza. Non stava a lui giudicare quel ragazzo, nemmeno al suo gruppo di abili politicanti, divisi tra la vendetta e la giustizia, tutti tesi a far calzare discorsi che ancora non rendevano beneficio alle necessità della gente. Lo stesso Bernard aveva scelto di rimanere nell'ombra sebbene fosse molto legato a Robespierre e, poco per volta, anche lui, si era reso conto che l'unica soluzione possibile era quella di restituire dignità agli uomini. Ma, non aveva né il tempo né il modo per contattare i suoi compagni e sapeva di dover sistemare le cose senza poter contare su nessun aiuto da parte loro. Se fosse riuscito a trovare un accordo soddisfacente tanto di guadagnato, altrimenti si sarebbe personalmente assunto la responsabilità di ogni complicazione.

 

"Se scendi da queste montagne ti ammazzano, lo sai vero?"

 

"Non me ne frega niente, verrò con te a Parigi."

 

"Ci sei dentro, fino al collo. Hai deciso di riscattarti, o di farti ammazzare?"

 

"Voglio incontrare Valérie."

 

"No! Non se ne parla nemmeno."

 

"Io ho bisogno del suo perdono e, poi, sparirò per sempre."

                                                                                                                   

André sorrise, stava superando il varco dei suoi soliti vicoli bui, gli stessi che l'avevano continuamente portato in un mare di guai da cui era sempre riuscito a riemergere. In quel momento non riuscì a dire nulla, e, sollevando appena lo sguardo su Michel, lesse una luce a lui nota; sul volto, la coscienza di venire schiacciati da una delusione troppo amara, dalla stanchezza e dal fallimento di un'intera esistenza.

Fuggire dal dolore e  fuggire dal rimorso, poteva continuare a prendere in giro il mondo ma non se stesso; questo André lo sapeva bene.

 

 

                                                                                         §§§

 

 

"Cerchiamo di ragionare…" disse Oscar alla ragazza seduta di fronte a lei.

 

Si guardarono per un attimo in silenzio, ciascuna intimidita per aver sentito parlare dell'altra.

Aveva cercato d'immaginare il volto di Valerie centinaia di volte e non ci era mai riuscita.

Adesso era là davanti,  fragile e bella: chissà se anche André aveva pensato la stessa cosa quando l'aveva vista.

Ricacciò subito quel pensiero, non era da lei essere gelosa o forse sì, ma non aveva tempo da dedicare a quella fastidiosa appendice giornaliera.

 

"… state dicendo di non essere sicura di aver dato i nomi giusti?"

 

"No, ho detto che solo uno potrebbe essere innocente".

 

"Qual è il nome?"

 

"Michel… Michel Bouvet."

 

Evitò di guardare gli altri, se non altro, per risparmiarsi occhiate misericordiose in un momento che richiedeva tutta la sua capacità di mantenere il sangue freddo.

Oscar corrugò la fronte

 

"Qual è il vostro concetto d'innocenza, Valerie?"

 

"Io… mi dispiace, non volevo causare questo guaio… ma lui, ecco, mi ha salvato la vita!"

 

Sedute l'una di fronte all'altra, tentavano di  mascherare le loro inquietudini e Oscar capì che sarebbe stato più semplice se fosse rimasta da sola con Valérie.

Cercò il consenso di Bernard ed Alain che erano nella stessa stanza.

Rimasero a guardare i cerchi fluttuanti del fumo del tè, appena gli altri uscirono.

Oscar trattenne una risata.

Chi l'avrebbe mai detto che sarebbe scesa a compromessi con qualcuno?

E così, Valérie le raccontò come erano andate le cose, facendo una piccola premessa.

 

"Quando ho conosciuto André, beh… tutto era successo da poco, ed ero confusa. Col passare dei giorni, mi sono riaffiorate alla mente alcune scene che per paura, forse, avevo totalmente rimosso…"

 

Oscar ascoltava attentamente,cercando di non perdere nemmeno una sillaba di quel racconto. Tutto combaciava alla perfezione con quanto le aveva raccontato André, ma si domandava come mai avesse preso tanto a cuore la storia di quella ragazza, come mai un tipo riflessivo come lui avesse accettato quell'incarico senza battere ciglio, senza appurare le informazioni. Sentì la sua voce chiedere se, per caso, c'era stata una storia tra di loro. Vide lo sguardo limpido di Valérie incrociare il suo e negare senza perdere purezza e, da quello, comprese che non le stava mentendo.

 

"Abbiamo in comune, più o meno, gli stessi sensi di colpa, ma credo che oramai non ci siano nemmeno più quelli…"

 

"Scusatemi Valérie."

 

Una frase che non avrebbe mai voluto pronunciare che, tuttavia, era rimasta in sospeso fin da quando si erano viste.

Cos'era, vendetta?

No, non sarebbe mai stata capace di un simile gesto, ciò nonostante dentro di sé aveva sentito la necessità di esorcizzare la paura con la paura stessa.

 

"André mi ha parlato di voi una sola volta…" disse Valerie, senza spostare lo sguardo dalle sue mani riparate dentro i guanti bianchi.

 

"Cosa?" articolò con una voce che tentava di districarsi tra ciò che sarebbe sembrato desiderio di sapere e volontà di ignorare.

 

"Sì, lui mi disse che aveva intrapreso questo cammino per cercare di capire cosa lo legasse alla donna di cui era innamorato. Appena vi ho visto arrivare ho subito capito che siete voi quella donna. Non so spiegarlo, ma credo di non sbagliare."

 

"Sì Valerie, per fortuna non sbagliate" le scappò da ridere.

 

Ma Valerie comprese l'inevitabile imbarazzo di Oscar.

 

Nei giorni seguenti, Oscar si catapultò nel quotidiano inferno del suo lavoro, sbattuta tra gli assassini di strada e le macchie d'umidità che tappezzavano i muri del suo ufficio, ripetendosi che anche quella giornata sarebbe passata, e poi ne sarebbe arrivata un'altra a pretendere da lei coraggio ed efficienza, senza aspettare.[2]

Come avrebbe potuto deludere una simile aspettativa?

Pensieri che andavano ad infrangersi contro un muro che non sapeva se definire rimpianto del passato o paura di non sapere affrontare il futuro.

Era stato in quel momento che Oscar aveva deciso di fare una sorta di selezione dei ricordi, allontanare da sé tutto quanto avrebbe potuto compromettere il suo equilibrio, le sue scelte.

Lungo le strade affamate di Parigi, tra i vicoli scuri senza gioia e confusione, e quelli più caotici dove i balconi facevano mostra di panni che spargevano il profumo di sapone fatto in casa e cenere, nel modo in cui la vivacità di colori ed odori mascherava toppe e rammendi, Oscar, vide il mondo girarle attorno. Poggiata contro una parete, chiuse gli occhi per non cadere.

 

Un ora più tardi era distesa sul lettino nell'ambulatorio del suo medico.

 

"Avete riposato poco, troppe emozioni, molti scompensi ,Oscar!" le disse il dottore con la solita espressione in volto che lasciava presagire una rampogna incombente.

 

"Non posso permettermi una sana dormita, figurarsi una licenza."

 

"Questo lo capisco Oscar, ma non dipende solo da voi…"

 

"Dottore, conosco una persona che ha il brutto vizio di parlare per metafore… e le metafore m'innervosiscono…"

 

"Siete incinta, Oscar."

 

"Sono stata… regolare, fino a qualche giorno fa e vi assicuro che non può essere come dite voi."

 

"Perdite causate per i motivi che vi ho appena elencato. Oscar, dovete convenire che conosco il mio lavoro quanto voi conoscete il vostro: fidatevi di me."

 

"Porca miseria!"

 

"Porca miseria" continuò a ripetere mentre tornava a casa sconvolta, ma non in collera. Il suo stupore superava tutte le altre suggestioni, sentendo d'essere tutto ed il contrario.

 

Eppure, lei era incinta, il dottore aveva lasciato effettivamente poco spazio ad un potenziale errore, e di certo non era un miracolo in senso biblico, ma lo era per lei stessa.

Stranamente, si era accorta che non le importava nulla delle implicazioni della sua maternità rispetto agli altri, e non significava un accidenti essere donna, solo, sentiva di volerlo.

Ed era trascorsa un'altra settimana e, totalmente immersa nei suoi pensieri, Oscar, concedeva al mondo di entrare a far parte della sua vita.

In vari momenti, durante la giornata, si ritrovava a vagare nei posti inesplorati della sua mente, istigando i pensieri a tracciare la via da percorrere in quel momento illogico della sua vita. Ecco qual era la prospettiva e si ripeteva che, se non si fosse sentita in grado di proseguire, allora, avrebbe mollato. Ma, poi, improvvisamente, come se le parole potessero esaudire un desiderio incerto, si fermava a pensare a come sarebbe stato se il "clandestino" avesse deciso di lasciarla. E, allora, un vuoto che non reputava possibile s'impossessava di lei, e lasciava perdere qualsiasi cosa stava facendo per fermarsi a parlare ancora un po’ con lui, a tranquillizzarlo e dirgli che, a volte, le parole dure sono solo il mezzo più semplice per non stare ad ascoltare l'istinto.

E non ammettere a se stessi di aver stimato più del giusto la paura.

 

Seduta al tavolo della locanda, appartata dagli altri, il sole che risplendeva tra i suoi capelli, dava l'impressione di non aver capito nemmeno una parola del discorso che stavano portando avanti, da un po’, i suoi compagni.

 

"… il terrore, ecco cosa vuole quel deficiente!…" Bernard, rosso in volto, riferiva, a quelli che reputava davvero i suoi compagni, ciò che si era discusso alla riunione con Robespierre, Saint Just e proprio con l'ultimo aveva avuto una feroce discussione.

 

"Attento, Bernard, la tua è una posizione scomoda. Ti sei chiesto cosa potrebbero farti se venissero a sapere delle tue attività clandestine?" replicò padre Clavel.

 

"Certo! E' proprio questo il motivo per cui non mi attacco più di tanto a quello stronzo…"

 

"Già, se solo André si decidesse a tornare…" commentò il proprietario della locanda a bassa voce, subito azzittito da un'occhiataccia di Bernard.

 

Con la testa bassa, Oscar continuava a vergare foglio su foglio, una scrittura incomprensibile finanche a lei, ma avevano un senso quei segni che misuravano il suo stato d'animo.

Posò con delicatezza la penna sul tavolo e si alzò, indicando a Bernard la porta.

La pioggia incessante dei giorni precedenti aveva lasciato un cielo brunastro trafitto da qualche pallido raggio di sole e l'aria umida esalava l'odore del muschio attaccato sui muri.

 

"André mi ha fatto avere un suo messaggio…" disse Oscar con voce piatta, mentre continuava a fissare oltre il muricciolo scrostato del cortile che, ora, cominciava a detestare.

 

Era sempre lì quella crepa che pareva eterna, pronta a sfidare lei e le sue certezze e, la strana immobilità delle cose rendeva più inquietante l'attesa.

 

"… ha trovato quell'uomo. Rientreranno fra tre giorni, almeno lui crede così."

 

"Non avevo dubbi che ci sarebbe riuscito. Sei fiera di lui, vero?"- eppure si vide costretto a spegnere l'entusiasmo di fronte all'espressione turbata di lei - "Cosa c'è Oscar?"

 

"Niente, perché me lo domandi?"

 

"Questa storia ti ha stancata parecchio, ti capisco. André è l'unica persona di cui mi fido totalmente..."

 

"Lo so..."

 

"Allora, cos'è che ti preoccupa?"

 

"Da qualche giorno, in caserma si respira un'aria strana. Forse sbaglio, ma credo mi stiano tenendo d'occhio."

 

"Chi?"

 

"Sto indagando..."

 

A Bernard era scappato un sorriso sentendole pronunciare quell'affermazione con tanta autenticità. Già, per lei era del tutto naturale cavarsela da sola, tenere testa agli uomini senza perdere la sua femminilità, organizzare una strategia senza lasciarsi influenzare dai sentimenti personali e, allo stesso tempo, infondere in essi tutta se stessa.

 

"A proposito Bernard: è inteso che André lo prendo in custodia io…" disse mentre si allontanava.

 

"Nessuna obiezione, Comandante!"

 

Guardandosi indietro era giunta ad un altro giorno e quasi non riusciva a trovare il proprio volto nello specchio del passato, come la coda dei chiari di luna che, coprendo l'orizzonte, apre la vista a ciò che anzi è vicino.

Giorni strani, difficili, imprevedibili che aveva trascorso in completa solitudine, quando sarebbe stato del tutto naturale cercare il conforto di una persona amica, una persona di cui potersi fidare. Aveva pensato a sua madre intensamente. Le sarebbe piaciuto poter parlare con lei di ciò che le stava accadendo, della sua paura, dei suoi dubbi, ma non era così semplice. Sembrava che nulla lo fosse per lei eppure, sentiva di non essere una persona diversa dalle altre o, forse, lo era, ma il peso di essere speciale, di essere importante per cose che a volte faceva fatica ad ammettere a se stessa, si faceva ogni giorno più insostenibile.

Le sarebbe piaciuto che fosse sua madre, una volta tanto, a cercarla, a pretendere il suo affetto di figlia come non aveva mai fatto, piuttosto che accontentasi di saperla sana e salva. Ciò nonostante sentiva di capirla, le era stato chiesto di mettere al mondo dei figli, maschi, ma il suo grembo aveva solo partorito femmine, cinque per l'esattezza, e, all'ultima avevano fatto credere il contrario.

Ormai era storia e stare lì a domandarsi se nell'atto del concepimento i suoi genitori si fossero domandati se era giusto mettere al mondo dei figli, non aveva senso. Aveva commesso lei stessa quella mancanza o, meglio, se l'era chiesto anche se aveva sfidato la sorte per puro caso e, per puro caso, adesso si trovava a fare i conti con la propria incoerenza: un militare spaventato dalla morte.

Tuttavia, non appariva rabbia nei suoi pensieri, solo, il desiderio di un po’ di tregua e di voler prendere a schiaffi André.

Se c'era dell'egoismo celato in fondo a quelle necessità, non riusciva ad avvertirne la colpa.

La cosa più sorprendente era che solo in quel momento aveva pensato a lui.

Era in lei, questo nessuno poteva impedirlo. E,  l'avrebbe preso per mano, guidato fin dove possibile, e l'avrebbe aiutato a capire meglio che poteva, senza abbassare gli occhi, mai.

Compagna di un rivoluzionario clandestino, rivoluzionaria a sua volta ma di nobili natali, depositaria di futuro.

Forse avrebbe messo la testa a posto, però non avrebbe dispensato consigli, ma sentiva che non avrebbe mai smesso di dare il cattivo esempio, e tutto in conflitto con il resto.

 

Lungo la strada era stata dal fornaio, però solo a casa, dopo aver poggiato il pane sul tavolo, si era accorta di aver avuto più resto.

 

"Come mi complico la vita io, non se la complica nessuno… piccolo clandestino!" ormai ci aveva preso gusto a parlare con lui, e la divertiva quella serie ininterrotta di discorsi che spaziavano da un argomento all'altro, rendendolo partecipe della sua vita, delle sue scelte, per la ragione che, un giorno, non si chiedesse, come aveva fatto lei, il perché.

 

Con l'aria stralunata e la spossatezza del primo sbocciare di quella maternità sorprendente, si diresse verso la porta intenzionata a tornare dal fornaio per restituirgli ciò che non le apparteneva.

Solo quando fu per strada si accorse che si era fatto scuro e, sicuramente, avrebbe trovato chiuso.

Affrettò il passo e, distratta, non si accorse che, tra le ombre che si stendevano sui muri dei vicoli, c'era qualcuno che veniva dalla direzione opposta.

La osservava con insistenza, ammirandone il viso su cui cadevano gli ultimi fulgori di un giorno morente.

La strada era deserta.

Istintivamente, Oscar sollevò lo sguardo, si accorse di qualcuno che si avvicinava, ma che non poté distinguere; vedeva solo una massa offuscata.

Una cappa scura che cadeva dalle spalle fino ai piedi della figura.

Per un attimo ebbe paura.

Proseguì senza esitare, il suo orgoglio glielo proibiva categoricamente, e poi, non era la prima volta che camminava da sola per le strade di Parigi. Ma non da sola, pensò, e nemmeno disarmata e si odiò per quella distrazione.

Ancora qualche passo e avrebbe potuto vedere chi aveva di fronte.

 

"Non ti arrendi mai, vero Comandante?"

Quanto poteva sorprenderla quella voce?

 

"Porca…"  - bisbigliò, mentre sentiva i battiti del cuore impazziti - "… non ti ho riconosciuto!"

 

"Come?!" pressoché offeso.

 

"Eh sì… tutto buio, conciato da contrabbandiere… la fai facile tu!"

 

Adesso si sentiva finalmente a casa, André.

 

"Io ti ho riconosciuta subito… nonostante la mia miopia!"

 

"Certo! Perché sono bionda ed indosso colori pastello!"

 

"Ma sentila… che smorfiosa!" le aveva bisbigliato all'orecchio, con le dita tra i suoi capelli.

 

"Tutta invidia!" gli aveva risposto, nascosta tra le pieghe del mantello con il viso premuto sul petto.

 

"Ora, me lo dai un bacio?"

 

 

 

                                                                                       § § §

 

 

 

"Faccio un bagno e poi andiamo a mangiarci il tuo esperimento culinario, va bene?"

 

"Vai, io comincio a dare un'occhiata a quei documenti."

 

Gli aveva baciato una guancia.

Sempre indaffarata, la sua Oscar, pronta a rendere fruttuoso ogni momento della giornata, senza cedere mai alla stanchezza. Come sempre, aveva ragione lei: a cosa sarebbe servito stare un po’ con lui, magari massaggiandogli le spalle mentre rimaneva in ammollo nella vasca? Si lasciò andare al tepore dell'acqua quasi bollente, mettendo da parte quei progetti ardenti che aveva accarezzato quasi ogni notte durante la sua assenza. Aveva avuto, fin da subito, l'impressione che Oscar gli stesse sfuggendo, o, forse, era solo incavolata con lui perché, in fondo, aveva fatto lo splendido a non tenerla informata, tramite i loro contatti dislocati un po’ dappertutto sul territorio, sugli sviluppi delle ricerche. L'aveva messa in ansia, ma se ne rendeva conto solo ora, e pochi minuti prima, di fronte a lui, aveva abbassato gli occhi pericolosamente lucidi; non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di vederla piangere, per un cretino come lui che si era messo in testa di giocare a fare l'eroe, che si era lasciato trascinare dagli eventi lasciandole credere di essersi dimenticato di lei. Forse era quello il motivo? Allora, non sarebbe bastato chiederle scusa, perché lei, senz'ombra di dubbio, lo avrebbe spiazzato con una delle sue frasi del tipo" Non essere ridicolo", oppure " Sono tanto patetica?". E, sì, non aveva scampo: per un po’ doveva  starsene buono ed aspettare che le passasse, in fondo, ci era abituato.

Decise di mettere da parte quelle valutazioni, più tempo sarebbe rimasto in vasca, più forte avrebbe sentito la necessità di cedere alla stanchezza, addirittura tirandole lo scherzetto di addormentarsi senza aver gustato la cena che si era, spontaneamente, offerta di preparargli.

Com'era bella, illuminata dal riverbero della candela che si distribuiva sulle linee armoniose del volto, una mano dimenticata sul grembo e  l'altra a sorreggere il viso attento. Rimase per un po’, appoggiato allo stipite della porta, a contemplarla. Solo dopo un po’ sollevò lo sguardo in direzione sua.

 

Gli sorrise.

 

Le sorrise di rimando, sciogliendo le braccia conserte, avvicinandosi al tavolo. Sedette accanto a lei e, piano, prendendole il polso, l'attirò a sé, facendola sedere sulle sue ginocchia. Le baciò la punta del naso, accarezzandole i capelli.

 

"Hai l'aria stanca."

 

"Come, ho impiegato quasi un'ora a farmi bello e mi smonti così?"

 

"Di’ la verità… non è che per caso, in questi giorni, qualcuna ti ha fatto montare la testa?"

 

"Non è mica colpa mia se piaccio…"

 

"Ma tu guarda che razza di padre avrà mio figlio!"

 

Il pregio di Oscar, quello di dire la verità senza mezzi termini, di svelare i misteri che sembravano avvolgerla, con la freschezza di una brezza primaverile che spazza via nubi minacciose. Il suo modo di non dirgli ti amo, ma fargli perdere la testa tra i suoi gesti pieni di un amore vivo. Il suo modo di desiderarlo e sfidarlo al tempo stesso, facendo crollare l'apparente sicurezza nel gioco delle parti, e disarmarlo, sbattendogli in faccia che tra di loro non esistevano regole. Il suo essere contraddittoria, impulsiva, passionale, fragile nonostante tutto.

Per tutte le volte che avevano detto che sarebbe stato da pazzi fare un figlio in quel mondo strampalato, crudele, difficile… eppure l'avevano sfidato, quel mondo che, in ogni caso, sarebbe andato avanti e non si sarebbe fermato neppure il giorno in cui loro figlio fosse venuto al mondo. Ed i pensieri di André erano proiettati al futuro che non aveva mai visto vicino come in quel momento, a tutti gli attimi di lei che avrebbe colto mentre si sarebbe lasciata andare per un po’ a quell'abbandono naturale previsto dalla sua condizione. Si sarebbe crogiolato all'idea di saperla mentalmente impegnata in altre cose, oltre alla sua idea fissa di voler salvare il mondo, anche a costo di non far più parte dei suoi pensieri e del suo cuore.

Lui non gliel'avrebbe impedito mai, mai.

Avrebbe accettato qualsiasi sacrificio pur di veder nascere suo figlio e continuare a leggerle sul viso tutta la felicità che, ancora, lei stessa non sapeva di essere capace di dare.

Il suo sesto senso gli suggeriva che le sorprese non erano ancora finite, che, Oscar, non avrebbe mai smesso di sorprenderlo.

Di questo ne era certo.

Non volle pensare più a niente che non fosse la sua felicità, almeno per quella sera.

 

Mail to mariassunta.paolillo@virgilio.it

 

[1] Non potevo farne a meno… GUCCINI, Canzone delle domande consuete, EMI, 1990.

[2] Evidentemente GUCCINI, Signora Bovary, EMI, 1987.

 

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