I just like you

part 3

 

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Approfittò del bel tempo per fare un giro a Parigi.

Dopo giorni di pioggia incessante aveva fatto capolino un sole pallido, che si specchiava sulle pozzanghere prese d'assalto dai bambini che guazzavano bagnandosi i piedi nudi, incuranti del vento gelido.

Camminare le piaceva tanto, poteva guardare la dimensione giusta delle cose e delle persone che non sempre coglieva, dalla groppa del suo cavallo.

Cercava di vincere ad ogni passo la sensazione d'estraneità per quei luoghi che aveva sempre visto in compagnia di lui.

Doveva dargli atto che aveva un senso dell'orientamento di gran lunga migliore rispetto al suo.

Ciononostante, a volte, lei s'impuntava su quale direzione prendere e puntualmente si perdevano.

"Ci siamo… persi?" gli chiedeva con aria innocente

"Sì."

Ci riusciva proprio a procurargli grattacapi: lui, con sopportazione cristiana, andava avanti senza parlare. 

Continuava a camminare con davanti l'immagine della sua schiena, larga e forte, il modo di camminare sciolto e deciso.

In alcuni momenti si dava della sciocca per quei pensieri che si spalancavano improvvisi, prepotenti.

Reagiva bruscamente sentendo la necessità di liberarsene fisicamente scagliandoli lontano, ma poi s'arrendeva, chiedendosi chi era: era quella di prima o un'altra, quanto tempo era passato senza che potesse accorgersi che fosse accaduto?

Immaginò di saperlo, interpretando il fluire del suo stesso sangue che si proiettava nello sguardo luminoso e sulle gote arrossate, si sentiva dividere e comprimere nel medesimo momento.

Era amore quello, un dolore fisico che attraversava l'essere senza nessuna pietà?

Viverlo dunque avrebbe comportato sempre la stessa tribolazione? E se per una qualsiasi ragione l'avesse perso, sarebbe stata in grado di sopportare il vuoto, come dita che serrano l'appiglio e, di sorpresa, lasciarlo andare?

Non fuggì nuovamente dal balenare di sensazioni contraddittorie.

Fece una ricognizione dedicando a ciascuna la giusta attenzione.

Le piaceva quel modo di scoprire cose nuove di sé.

Le donava il piacere proibito di vivere con se stessa, al di fuori d'ogni logica.

Affacciata al parapetto del Pont Neuf, osservava i giochi d'acqua che facevano i barconi mentre attraversavano la Senna.

I raggi di sole balzavano sul fiume riflettendosi negli occhi: li chiuse e, come faceva da bambina, si divertiva a guardare le strane forme che assumevano quei bagliori saettanti.

Era soddisfatta d'aver preferito, una volta tanto, uscire piuttosto che rimanere in casa a fare le solite cose.

Presa da quell'entusiasmo, volle sfruttare in pieno le ultime ore di sole per camminare ancora.

Imbroccò un budello coperto dall'ombra dei palazzi, le piaceva molto. E cercò di scorgere sui muri la targa che ne indicava il nome, piuttosto, un punto di riferimento nel caso si fosse smarrita.

Man mano procedeva, sentì l'ansia che l'accompagnava da qualche tempo presentarsi nuovamente.

Iniziò a rallentare e piano fermarsi: era lui.

Portava la giacca in una mano mentre con l'altra reggeva dei fascicoli.

Non l'aveva vista: sembrava alquanto assorto.

Proseguì: per nulla al mondo avrebbe cambiato direzione.

Era turbata e, avvicinandosi a lui, s'accorse di non riuscire a controllare i battiti cardiaci. Nello stesso tempo, sperò di tenere a bada la lingua e non lasciarsi prendere da una delle sue sfuriate. Ripensò a quella strana voglia che aveva di possederlo e cresceva ad insaputa di lui, che avrebbe percorso Parigi camminando sulle mani, se solo avesse avuto il sentore che Oscar pensava a lui, che lo voleva.

"Io so solo che se prendessi le tue mani tra le mie, non avrei il coraggio di nasconderti quello che sento, ma che non mi è del tutto chiaro. Spero che questi pensieri non ti giungano così come sono, perché io saprò cosa accadrebbe al tuo viso se guardasse il mio…Ci siamo sempre specchiati, ma è tempo che impari da me."

Si fermò davanti a lui che, piano, sollevò lo sguardo.

"Ciao Oscar" disse con tutta la calma di cui non si sapeva capace nella sorpresa. Aveva il suo desiderio dipinto sul volto mentre le guardava quelle due fenditure azzurre, le sopracciglia alte e sottili e la bocca rossa che avrebbe baciato fino a morirne.

"Ciao, come stai?"

Le rispose senza rendersene conto, travolto dalla sua splendente armonia. In un attimo s'accavallarono miriadi di pensieri e d'angosce. Era sempre lei: altera, distaccata e totalmente disinteressata a lui. Gli aveva chiesto con tutta naturalezza come stava, e lui aveva mentito nella risposta. Stava malissimo, la vita gli andava da schifo perché ogni mattina doveva stringere forte gli occhi per trattenere, ancora un momento, la sua immagine che si confondeva col resto dei ricordi, ingoiati dalla luce indiscreta del giorno. Non aveva scampo nemmeno la notte, non poteva dormire stordito dal suono delle cose dette ed impossibili da dimenticare, parole che strepitavano come tuoni e squarciavano il silenzio.

Stava male, mentre lei continuava ad essere bella.

Parlarono un po’, frasi di contingenza lungi dall'essere proprie del loro linguaggio, ciascuno sentiva dentro di sé un brivido raccapricciante che non riusciva a scrollarsi di dosso. La necessità di fare domande personali era scacciata, inesorabilmente, dalla paura di sapere cose sgradite o inevitabili. E il distacco, dopo ventott’anni di vita vissuta assieme, prendeva le forme dell'indifferenza meditata da entrambe le parti.

"… Sei sola o c'è il tuo accompagnatore ufficiale?"

Il ricordo della sua figura a cavallo e accanto il colonnello Girodelle lo investì di rabbia.

La gioia d'averla di fronte gli aveva concesso un momento di tregua che, ora, vedeva sfumato nella realtà.

Si sforzava di vivere lontano dalla donna del suo sogno incessante, pur sapendo che tutto ciò che avrebbe toccato o visto non sarebbe più stata la propria vita. Aggrappato a quella quieta disperazione, assimilò ogni gesto di lei col chiaro scopo di rimirarlo durante le ore in cui, lontano dal mondo e dal tempo, si sarebbe riappropriato del suo delirio.

"… Oggi, ho preferito farne a meno…" gli rispose intenzionata a lasciarlo nel dubbio. 

Stavolta fu lei a guardare la sua bocca, i contorni morbidi delle labbra che rendevano dolce il sorriso.

"… Non verrai nemmeno questo fine settimana a trovare tua nonna?" riprese con tutta naturalezza.

"Salutala per me… - accennò un sorriso - … purtroppo, anche questo fine settimana ho diversi impegni."

Non seppe negare a se stessa che avrebbe voluto provocarlo, sentire ancora una volta il calore che emanavano le sue labbra, ma ricacciò subito indietro quella tentazione, pensando che lui non facesse alcun tentativo per riavvicinarsi: era tutta quella l'importanza che le diceva avere nella sua vita?

"Capisco. Ne sarà senz'altro dispiaciuta."

Improvvisamente, si soffermò su alcuni particolari che aveva tralasciati nella foga d'avvicinarsi.

Sembrava diverso: aveva l'aria sfinita, le palpebre appesantite dalla stanchezza. Era chiaro avesse dormito poco.

Soffiava un vento gelido, e lui andava in giro senza giacca, accaldato come se avesse corso. E si chiedeva perché.

Che cosa ti sta succedendo André? Perché proprio ora hai deciso di allontanarti da me?

Gli sembrava distante, indipendente da lei con una vita lontana dalla sua: in comune, adesso, avevano solo ricordi tristi e piccole gioie che spesso non avevano distinto nel dolore e riconoscevano, forse, troppo tardi.

Il possesso e la realtà, l'idea e l'azione.

In quale posto dei suoi pensieri era collocata lei?

"Immagino sia più semplice per te crearti nuove amicizie: qui sembrano tutti così disponibili!"

Voleva mettere in dubbio la sincerità dei sentimenti di André, smantellare quell'unica certezza per sentirsi libera da un peso che non poteva reggere, perché lei non avrebbe saputo amarlo.

Dimmelo! Avanti, cosa aspetti, dimmi che c'è un'altra e facciamola finita con questa messinscena!

Non sarebbe riuscita ad accollarsi una responsabilità tanto grande, di fronte a lui sentiva un senso d'inadeguatezza mai provato, era certa di non aver fatto nulla per imporgli di provare un tale sentimento per lei, si era cacciato nei guai da solo e da solo sarebbe dovuto uscirne.

Continuava a mentire a se stessa e non scorgeva alcun modo per svincolarsi.

Assunse la solita posizione di rifiuto e lo salutò in fretta, allontanandosi velocemente senza nemmeno dargli il tempo di risponderle.

Lo amava da prima di quell'istante, e, dall'urlo d'angoscia che tenne dentro mentre lo lasciava, si rese conto d'amarlo di più.

In sella al suo cavallo Oscar pianse, prima con le lacrime poi singhiozzando.

Trovandosi di fronte il cancello di casa, nella luce incerta che tentava di seguire nella sua mente simile a quella dei tramonti invernali, scorse la risposta che da qualche tempo campeggiava in sé.

Il senso d'inutilità che l'opprimeva lo ricondusse al reiterarsi di situazioni che non sarebbe stata in grado di sopportare ancora.

La sua vita era costantemente affidata alla volontà di chi deteneva il potere.

Si chiedeva quali scelte aveva fatto liberamente o se rinunciare a qualcosa poteva definirsi libertà.

Ora che avrebbe voluto scegliere d'amare, sentiva di non avere in sé abbastanza forza da cambiare.

Dissimulava la paura con l'incapacità: non le era bastato nemmeno scoprire ciò che aveva aspettato per troppo tempo e continuava a commettere sempre lo stesso diabolico errore.

Per quanto era impossibile smettere d'amarlo, non riusciva ad immaginarsi al suo fianco.

Avrebbe sentito la necessità di superarlo e proseguire per strade tutte sue in ogni caso.

Non ce l'avrebbe fatta a sostenere il peso di quella scelta accettandone le conseguenze e tenendone il dolore.

La solitudine che si portava dentro sceglieva per lei.

 

Sei perfetto, tutto diventa magnifico ogni volta che sei vicino a me: la luce, l'aria assumono forme diverse che non riesco ad ignorare. Ho imparato a non guardarmi più attorno, non voglio ricordare niente di noi perché noi non ci siamo più…Sono riuscita nel mio proposito di cancellare ogni traccia di me da te! Non credevo che potesse farmi tanto male, amore mio…

 

Erano quelle le parole che teneva dentro e che avrebbe voluto dirgli.

Davanti all'urgenza aveva preso d'assalto il suo cuore, insidiandolo senza pietà col dubbio, sapendo di trovare una facile preda. Era difficile ammettere la sconfitta, ancora più duro ritenerla un'esperienza utile: quel tentativo contribuiva in parte a farle accettare la realtà.

Durante quei brevi momenti, André provò a chiedersi se fossero mutati i suoi sentimenti.

Era stato sul punto di chiederle scusa per come si era comportato giorni addietro, ma qualcosa dentro di sé l'aveva frenato, e vederla improvvisamente indifesa gli aveva procurato una strana soddisfazione. Eppure all'infuori di quella non ne aveva sentita altra. Aveva visto vacillare la donna che amava: era così grande il suo dolore da impedirgli di stringerla tra le braccia e dirle solo, ancora, ti amo.

Entrò nella locanda con i segni evidenti della sofferenza impressi sul volto.

Bernard li aveva visti conversare provando una gran tenerezza per entrambi.

Non se la sentì di alleggerire la situazione: frequentandolo assiduamente, era riuscito a capire André e rispettava profondamente i suoi sentimenti e l'irreprensibile lealtà.

Aveva accettato di collaborare col movimento, quando era sul punto di non saper più distinguere i suoi desideri dai doveri che aveva principalmente per se stesso. Tuttavia traspariva, in lui, che gli uni non escludessero gli altri.

Si era chiesto svariate volte se la sua non fosse una lucida follia, dettata principalmente dalla frustrazione di non poter ambire ad una donna proibita, e si era ricreduto non appena aveva conosciuto la profondità dei suoi pensieri, le maniere gentili con cui trattava gli altri, l'animo nobile totalmente disinteressato.

La sua ostinazione per quell'amore assoluto era basato su un'unica certezza: sapere che anche lei l'amava e che aveva deciso di sfidarla.

Lo accolse stringendogli calorosamente la mano, congratulandosi con lui per le informazioni avute da Valerie.

"Sappiamo che il luogo in cui avvengono questi orrori, non dista molto da Versailles… " disse Bernard versando da bere, mentre André tirava su le maniche della sua maglia serafino blu cercando d'apparire meglio rilassato

"… tuttavia, dobbiamo essere cauti: il posto è ben sorvegliato ma non abbastanza per noi…" aggiunse ottimista

"Conosco il bastardo che l' ha torturata, Bernard" disse con un lampo d'ira nello sguardo che fece gelare Bernard.

"André, abbiamo il compito di stanarli, ricorda che ognuno di noi ha la sua funzione ed assieme facciamo la forza."

Prevenne l'intenzione che aveva di fargliela pagare.

Bernard ebbe l'impressione che André fosse sul punto di commettere colpi di testa. La sua vita non era facile, composta di due occupazioni che lo sfinivano.

"Non devi occuparti tu di queste faccende!"

"Già… il lavoro sporco lo lasciamo agli altri" disse guardando un punto indefinito del pavimento.

"Sbagli a vederla in questi termini… il tuo compito non è meno pericoloso di quello degli altri."

Riuscì a calmarlo un po’.

"E' ora di andare… dimmi un po’: tua moglie, non si lamenta mai dei tuoi orari?"

Bernard sorrise, e colse la sfumatura.

"Sempre! Ma è più tranquilla da quando sa che sono in tua compagnia…"

"Oh… dunque sono responsabile della tua moralità…- disse scherzando - … Allora la cara Rosalie, può dormire sonni tranquilli!"

La sincerità della loro amicizia veniva fuori dei caratteri opposti. Un'intesa nata dagli ideali comuni e quell'affiatamento riusciva a mettere a proprio agio Bernard, sebbene vivesse contemporaneamente l'amarezza di avergli procurato un danno permanente all'occhio sinistro e la gratitudine che gli avesse salvato la vita.

"Ceni con noi? Rosalie ne sarebbe felice, lo sai."

"Ti ringrazio Bernard, ma oggi non sarei molto di compagnia… sono parecchio stanco."

Non seppe perché, ma anziché tornare a casa cambiò strada tirando dritto. Aveva voglia di sgranchirsi un po’ e, soprattutto, mescolarsi tra la gente l'avrebbe aiutato a sentirsi parte di qualcosa. Osservò attentamente, come gli capitava di fare spesso, le condizioni d'estrema miseria in cui versava la popolazione: la forte crisi economica aveva aggravato le condizioni sociali  e lungo le strade era facile trovare barboni addossati ai muri che chiedevano l'elemosina, illuminati dai bagliori dei fuochi accesi da donne frantumate, che tentavano di vendere il proprio corpo.

"Ehi… con te ci verrei anche gratis…"

Erano diverse le loro vite, i loro mondi, nonostante lui per una vita avesse condiviso quello di lei da spettatore, ingoiando bocconi amari di fronte alle ingiustizie, reprimendo la voglia di reagire per evitare di coinvolgerla in situazioni difficili. Era sempre lei a lanciarsi in prima linea, a denunciare gli abusi e la meschinità del suo ceto sociale e aveva un modo tutto speciale di difendere i più deboli da qualsiasi parte della barricata si trovavano. In quei momenti lui sentiva di far parte di lei, per come sapeva dare calore, affetto, amicizia senza mai trascendere in sentimentalismi compassionevoli che incrinassero la reciproca stima. Poi, era arrivato il giorno in cui si era sentito parte di un gioco giunto ormai al termine, anzi, era stata lei ad annunciargli che quella farsa era arrivata al compimento ed aveva visto uno per uno giorni della sua vita svanire.

Si era rotto qualcosa in lui e, guardando la sua immagine riflessa nello specchio, aveva scorto un uomo svuotato della dignità.

L'amore avrebbe ammesso anche quell'annullamento, se Oscar fosse stata una donna come le altre. Ma lei lo aveva sfidato, apertamente, mettendogli tra le mani le armi giuste: almeno preferiva interpretare così la situazione rendendola musa della sua nuova realtà. Sentiva d'essere ancora in debito con lei, e forse quel rinascere dalle sue ceneri gli aveva conferito lo slancio opportuno per tentare di nuovo la scalata al suo cuore. In una società differente lui avrebbe potuto farla sua, senza imporle di dover rinunciare alle sue origini, ma cominciò ad addentrarsi in un percorso tortuoso di pensieri che gli rendevano accettabili le menzogne della differenza di classe, sopperendo all'assenza di certezze, proveniente da lui.

Le avrebbe parlato dell'imminente lotta che avrebbero affrontato poveri e ricchi, gli uni contro gli altri, senza mentirle sull'esito della vittoria, e forse lei gli avrebbe raggelato il sangue liquidandolo con una delle risposte saccenti e prive di sentimento cui era avvezza da qualche tempo.

 

Che cos' ho da offrirti? Solo quello che vedi Oscar… Adesso provo di nuovo quella sensazione d'inutilità, che mi fa sentire diverso da come sono, non sarei nemmeno in grado di spiegartelo, e tu non mi capiresti…Il dolore non è sparito, non sparirà mai, e continuerò a vivere con in mente l'immagine di te…delle tue labbra che si muovono, e  sto imparando a non capire più…

 

Forse, non sarebbe mai vissuta nella stessa realtà con lui, non avrebbe potuto sopportare le ristrettezze della gente comune che poco alla volta impara a privarsi persino della dignità.

Dentro di sé paventava quella possibilità ma non riusciva ad ignorarla.

Si chiedeva se  sarebbe mai riuscito a dimenticarla: accadeva quando incrociava gli sguardi accattivanti delle altre donne, non mercenarie del sesso, donne normali con modi e forme tali da scompigliare la volontà suprema dell'astinenza, lasciarsi andare ai loro abbracci, possederle e lasciarsi possedere. Rifuggiva da una vita tali tentazioni, era stato soprattutto attento a non far nascere chiacchiere maligne sul suo conto a palazzo Jarjayes, dove non c'era arma più letale delle chiacchiere di ragazze rifiutate, e lui era stato accorto ad usare loro tutta la galanteria di cui si sapeva capace.

Non aveva mai avvertito un senso di perdita rifiutando corteggiamenti, spesso spudorati, di ragazze che avrebbero fatto di tutto per averlo: in ciascuna di loro non c'era traccia della scia luminosa che avrebbe seguito fino perdersi, come accadeva con lei.

 

… mi basta solo incontrarti un attimo… e poi, mi ritrovo a dover riempire il vuoto che lasci dentro di me appena ti allontani… non ce la faccio, non esiste nessuno che possa alleviare la mia pena…

 

Era l'unico dono che poteva farle in segno del suo amore, incondizionato, l'unica parte di sé che non avrebbe mai perso per errore o distrazione.

 

Giunse in caserma in anticipo rispetto alla solita ora. Seduta alla scrivania del suo ufficio, Oscar leggeva i rapporti dei pattugliamenti notturni, quando si aprì la porta ed apparve André senza che avesse bussato.

"Buongiorno Comandante, scusate, credevo non foste ancora arrivato". Rimase sull'attenti, con lo sguardo fisso. A tradire la postura da soldato impeccabile, il tremolio impercettibile delle narici che cercavano di inalare ossigeno con moderazione.

"Mi hanno incaricato di lasciare questo dispaccio per voi", riprese solo dopo aver ricevuto il riposo.

Oscar l'osservò non senza provare un qualcosa che s'avvicinava all'imbarazzo, dettato principalmente dalla sua reazione della sera prima.

Si lasciò andare indietro poggiando pesantemente la schiena sulla poltrona, voltandosi appena in direzione sua

"Con chi farai coppia fino al rientro d'Alain?"

"Non mi è stato ancora assegnato nessuno, Comandante". Stupendosi di se stesso per come riuscisse a mantenere quell'atteggiamento ufficiale.

"Verrò io con te questa mattina, dammi solo dieci minuti". Si sollevò dalla poltrona, avanzando di qualche passo nella sua direzione. Lui arretrò e, guadagnando l'uscita, le assicurò che l'avrebbe attesa sul piazzale.

Seduta sul bordo della scrivania, ascoltò il suo profumo persistente sospeso nell'aria, un odore originario che l'aveva sempre accompagnata di cui conosceva le variazioni: l'avrebbe riconosciuto solo da quello, l'unica fragranza maschile capace di confonderla e rassicurarla nello stesso istante.

Lontano da lui, tirava fuori il peggio di sé e della loro storia, recriminava la sua testardaggine sul perché un tipo come lui aveva scelto d'innamorarsi proprio di lei: che cosa avrebbe potuto offrirle se non gli stessi difetti?

Le tornò in mente un episodio accaduto un anno prima.

"André… riuscite a trovare il tempo per dedicarvi alla vostra vita privata?" gli aveva chiesto un pomeriggio il conte di Fersen.

Stava comodamente seduto su un grosso tronco d'albero poco distante dal crogiolo, mentre lui, intento a forgiare i ferri per i cavalli, l'ascoltava in silenzio.

"… Me lo chiedo spesso visto che il vostro lavoro vi tiene parecchio occupato…" André avvertì subito la nota compassionevole che il conte aveva assunto, e fece un grosso sforzo per rispettare regole non sue. Ripose il martellino sul bancale, e s'avvicinò al suo cavallo carezzandogli il muso.

"Con un po’ d'organizzazione, si riesce a fare tutto ciò che si vuole… o almeno in parte".

"Coma mai non vi siete ancora sposato? Alla vostra età ci sono uomini che hanno già dei nipotini…" concludendo la frase con una fragorosa risata che non riuscì a coinvolgere André.

"Scusate Conte, dovreste spostarvi…- disse con tono paziente, mentre sollevava dal bancale la scure -…Potreste godere anche voi della gioia di nipotini!"

"Credo che non vi sia del tutto chiara la mia situazione!" rispose animosamente.

Lei era arrivata in quel momento, e aveva ascoltato le ultime battute della loro conversazione. Capì subito che André non sarebbe stato remissivo con lui, e seguì ogni suo gesto con apprensione.

"Anche la mia non vi è chiara, affatto", rispose con voce trattenuta dallo sforzo di posare l'incudine, e dopo averla adagiata, la guardò rivolgendole un sorriso, triste.

Ora troppe volte, durante la giornata, le mancava il suo modo silenzioso di guardarla e sorridere.

Aveva provato attrazione per lo svedese, non si era mai soffermata all'apparenza fisica: viveva con André da una vita ed era del tutto naturale per lei che gli uomini fpssero così attraenti, profondi. A differenza di lui, Fersen amava parlare di sé e, con le sue maniere raffinate ed accattivanti, esprimeva opinioni con fervore. Poi, all'ombra del dubbio, dell'impossibilità, fuggiva, evitando di dover spiegare ad altri ed accettare per sé la realtà. In questo lei era molto simile.

 

"… Mi chiedo perché Dio, vi abbia fatto nascere donna… Idiota Hans, perché sono stata così idiota!"

 

André, e tutto ciò che gli apparteneva, era limpido come il cuore di un bambino e fragile di fronte alle incertezze. Non parlava mai di sé, dei suoi sogni, delle paure e quando quel silenzio l'aveva attratta, lui era andato via lasciandola sola nel tormento d'innumerevoli domande.

André aspettava sul piazzale con i cavalli, lo raggiunse e, sfilandogli le briglie, sfiorò di proposito la sua mano alla ricerca di un contatto che avrebbe soddisfatto la sua necessità, oltre la curiosità, di provare a trattenere l'agitazione che la prendeva quando erano accanto.Tenne opportunamente la testa bassa, lasciandogli credere che fosse stata una cosa non voluta, e scrutò con la coda dell'occhio la reazione che lui affidò ad un sorriso appena accennato.

Giunti a Parigi continuarono entrambi a rimanere in silenzio. Solitamente André coglieva ispirazione da un fatto qualsiasi per intavolare la conversazione, ma in quella circostanza non volle rischiare di coprirsi di ridicolo più di quanto non avesse già fatto. Improvvisamente pensò di essere diventato troppo vecchio per quel tipo di situazioni, che forse era arrivato il tempo di staccarsi definitivamente da una storia, se tale poteva definirsi, inceppata nel solco dell'incomunicabilità.

Intanto la gente passava da un comizio all'altro movendosi come una marea placata solo dal suono di parole che inneggiavano alla libertà, alla continua ricerca di qualcuno che potesse offrire una prospettiva di vita migliore.

Oscar si guardava attorno dedicando particolare attenzione ai volti della gente, leggendo in ognuno una speranza comune, la volontà di tentare ancora una volta la sorte per rimproverarsi di aver osato abbastanza.

Di tanto in tanto guardava anche lui che le rivolgeva occhiate tranquille oltre la rassegnazione. Era evidente che era stato preso da qualche riflessione cui avrebbe voluto sentirsi partecipe anche lei, se non altro per ricominciare un minimo di dialogo.

Arretrarono di qualche passo lasciando lo spazio necessario al passaggio di un carretto che, con le ruote sgangherate dall'usura, faceva un rumore assordante. Lo seguirono entrambi fino a quando non scomparve dietro una stradina, e si scambiarono un occhiata stupita nel momento in cui ritornò il silenzio, rotto dal vociare sommesso della gente.

Scoppiarono entrambi a ridere.

"E' già tanto che riesco a distinguere il suono della tua risata" disse André, incurante di aver espresso un pensiero intimo.

Oscar accolse quelle parole come una carezza.

Ripresero il cammino mandando i cavalli a passo lento, si sentivano vicini come non accadeva da tanto tempo, con la complicità di sempre che rendeva plausibile anche quel silenzio.

Era ancora pieno inverno, nonostante fosse una di quelle giornate grigie, e il cielo coperto da nuvole colme di pioggia.

Oscar pensò fosse bello che un tempo tanto fosco potesse creare ricordi piacevoli.

Il bagliore delle prime fiaccole ruppe l'incanto, durato solo il tempo di riconoscerlo, e non privi d'angoscia si diressero verso la caserma.

Al loro rientro, il colonnello Girodelle attendeva Oscar con una carrozza della casa reale.

"Il Cavaliere senza macchia e senza paura è venuto a prenderti…" disse sarcastico.

Oscar lo guardò piena di amarezza, ma non volle replicare.

Mantenne lo sguardo immobile davanti a sé e proseguì in direzione delle scuderie: lei odiava vederlo allontanarsi così.

Sollevò appena il braccio per salutarla e avrebbe usato l'altro cancello per uscire, per evitarsi l'inutile pena di vederla andare via con quell'uomo.

Per la strade di Parigi si respirava l'aria pungente di un inverno severo che regalava l'illusione di qualche raggio di sole, nei giorni in cui tutto doveva essere buio.

Con lo scorrere del tempo si convinceva che la sua fosse stata la scelta migliore, non avrebbe avuto più niente da recriminare contro se stesso. Tutto sommato da quell'amore impossibile aveva imparato a conoscere i suoi limiti, la follia di cui un uomo è capace pur di strappare un sorriso alla donna che nessun altro sarebbe riuscito ad amare più di lui.

Il suo amore non conosceva gioia, non aveva ricevuto calore, mai ne aveva dato. Tutta la sua vita scandita dalla monotona e patetica sequenza di perdita ed abbandono: era riuscito a non impazzire grazie alla loro amicizia, ma poi anche quella si era estinta davanti ai frammenti di una bottiglia di cognac ed a un tavolino rovesciato.

Non si era mai pianto addosso, ma ora sentiva di avere abbastanza motivi da commiserarsi un po’: aveva toccato il fondo della disperazione e della solitudine e per un istante sperò che fosse cominciata almeno la sua felicità, così da avere il movente per staccarsi definitivamente da lei.

Aveva sempre saputo che quello sarebbe stato l'unico rimedio al suo dolore, lo sapeva anche nei giorni in cui si sarebbe strappato il cuore dal petto pur di non saperla di un altro, e aspettava solo un giorno ignoto che improvvisamente avrebbe segnato l'inizio della nuova fine.

Sua Maestà la Regina aveva ordinato che qualcuno andasse a prendere Madamigella Oscar con la carrozza, e mai Girodelle aveva accolto un ordine con tanto entusiasmo, appena celato dall'espressione affranta per le cattive condizioni di salute del Delfino di Francia.

Durante il tragitto non fece alcuno sforzo per nascondere il suo malumore, e la circostanza che li voleva seduti nella stessa carrozza avrebbe depistato ogni brillante intuizione del colonnello Girodelle.

Rimase tutta la notte con la Regina, accolse le sue lacrime e ne versò a sua volta per il dolore struggente che non trovava consolazione. Oscar provava un profondo affetto per quel bambino. Anzi, lei li adorava tutti benché non avesse mai avuto un contatto diretto con loro: sapeva quali gioie avevano la capacità di regalare con la loro semplicità, l'innocenza che scruta a fondo il cuore placando dolori e rancori. Provava un piacevole stupore quando le sorridevano, sapeva di avere ancora in sé un posto speciale per tutte le emozioni che tirava fuori appena rimaneva sola, immaginando una vita diversa dalla sua e da quella di donne che avevano subito le scelte altrui, che avevano concepito figli per la ragione di stato, per errore e per dovere anche se nell'atto assoluto della creazione, pensava, si doveva prendere coscienza che chi fosse venuto al mondo non avrebbe dovuto sopportarne il peso.

Quando la Regina le ricordò che non avrebbe mai potuto capire la sua pena perché lei non avrebbe mai avuto figli, Oscar sentì una fitta al ventre come se in quel momento fosse stata davvero privata della sua natura, cancellando l'unico segreto che consegnava ai suoi sogni.

Per tutta la vita aveva permesso al lato scuro di prevaricare in ogni fibra del suo essere. Aveva nascosto tanto bene i propri desideri da non ricordare dove erano. Ma, con pazienza, li aveva ritrovati uno per uno quando un giorno, incrociando lo sguardo di André, aveva sentito un fuoco bruciare nel posto più freddo del suo cuore.

 

 

Mail to mariassunta.paolillo@virgilio.it

 

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