I just like you

part 10

 

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Ci pensava da troppo tempo ormai…

La mattina esordiva amara e, nella mente, un solo pensiero: un nome che, con quel viso, sortiva l'effetto di una magia. Aveva perennemente la testa tra le nuvole...

Aveva mentito ad Oscar, lo sapeva bene, ma come poteva dire che aveva visto giusto lei, che, sì, era innamorata persa di André…

La cosa peggiore era accettare la situazione.

Ci pensava da tanto, dal primo giorno che l'aveva visto in quella sacrestia fredda ed umida, da quando aveva sollevato lo sguardo su di lui e si era resa conto che anche un uomo è capace d'amare.

Ogni giorno aveva sperato che tornasse a trovarla, anche solo per un istante.

Si era persa nei sogni che seguiva e, proprio come una marea rompe gli argini, si era abbattuta su di lei la notizia che mai al mondo avrebbe voluto ricevere:" … Infine, il nostro André, diventerà padre…" aveva detto padre Clavel tutto sorridente quella sera, mentre si preparava per sedere a tavola.

La luce di fuori era improvvisamente diventata vuota, senza colori. La sera, come sempre, si preparava a scendere su di lei e, stavolta, Valérie, non avrebbe atteso con impazienza l'inizio di un nuovo giorno.

"Che c'è? Sei diventata silenziosa di colpo…" aveva osservato il prete, senza lontanamente intuire cosa le passava per la testa in quel momento.

"Niente… è una notizia, magnifica" aveva replicato col tono più disinvolto, mettendo in tavola la zuppiera fumante.

"… Però, temo che non vorranno battezzare il bambino" continuò, immergendo il cucchiaio nel piatto" e, nemmeno credo si sposeranno davanti al Buon Dio…"

Seduta di fronte a lui, uno sguardo immobile, cercava di mostrarsi rallegrata e quasi pretendeva di sentir parlare di quell'argomento: voleva soffrire nel modo peggiore perché solo così sarebbe stata in grado di prendere le distanze dal sentimento che sentiva per André.

"Ah! Quasi me ne dimenticavo: Rosalie, domani, non potrà fare lezione e dovrai sostituirla tu."

Ma cosa gliene poteva importare in quel momento? Che differenza avrebbe fatto se i bambini avessero imparato o no la grammatica. Bambini. No, non ne avrebbe voluto sentir parlare per un po’: matrimonio, mogli, mariti, figli, nulla di tutto questo, almeno per un po’. Una pretesa piuttosto grande per una che era costretta a vivere in una chiesa, che aveva a che fare quasi ogni giorno con cose di quel genere. E pensare che, fino a qualche ora prima, era rimasta seduta sugli scalini della chiesa con il viso proteso al sole, ad immaginarsi di varcare quella soglia con lui. Lui che le sorrideva e la guardava, la sfiorava. La baciava ancora e, poi, ancora…

E, poi era arrivato Michel a rompere l'incanto, quello strafottente di uno stronzo che si divertiva a darle il tormento.

"Ehilà! Che fai Bella Addormentata?"

"Cacchi miei!" gli aveva risposto da vera incivile.

Appena sperava di vedere André, chissà perché si materializzava lui. Non che le fosse sgradito, anzi: Michel era davvero un bel ragazzo, i capelli scuri e corti -come andavano di moda da qualche tempo-, gli occhi penetranti, una bella bocca, un fisico atletico, ma non riusciva a sopportare il suo caratteraccio.

"No, no… non ci siamo davvero Valérie!" le aveva detto, agitando l'indice. " Dovrai fare penitenza!"e si era seduto accanto a lei.

"Detto da te!"

"Di tanto in tanto potresti pure fingere di essere contenta di rivedermi…" fece lui stiracchiandosi, con un'espressione poco seria.

"Contentissima, specialmente quando te ne vai!"

"Bella gratitudine!"

"Ah! Ecco dove vuoi arrivare… dovrei baciarti le mani solo perché mi hai salvato la vita?"

"Se le mie mani non sono di tuo gradimento, c'è anche altro…" aveva una faccia da schiaffi.

"Ma dico io! Tra tutti, proprio con te dovevo essere in debito?!"

"Se la pensi così!" si era rialzato e, dopo aver scosso la polvere dai pantaloni, se n'era andato.

Non aveva potuto evitarlo; non riusciva a simulare indifferenza verso di lei. Valérie, all'apparenza fragile, aveva un carattere forte, da scoprire giorno per giorno. A volte sembrava le facesse piacere la sua presenza, altre volte sembrava volesse evitarlo a tutti i costi. Di ritorno dai sotterranei della Torre, a casa di Oscar e André, aveva sperato di trovarla lì ad aspettarlo con tutti gli altri, invece…

Aveva seguito il suo istinto per non rimproverare nulla a se stesso. Rivedere Valérie rappresentava un premio, una gratificazione cui non avrebbe rinunciato tanto facilmente. Lungo la strada per Parigi, gli venne in mente quando, durante un pomeriggio pigro ed assolato, ne aveva parlato con Oscar.

 

"Non mi sopporta proprio…" aveva detto con la solita strafottenza.

"Per quello che posso dirti", cominciò a dire un poco impacciata, "forse lei è nella tua stessa situazione ed ha bisogno di certezze… da parte tua". Chissà perché, a quel punto, aveva pensato bene di mantenersi a distanza di sicurezza dal futuro consorte.

Da lontano André se la rideva; gli sembrava davvero singolare che qualcuno chiedesse consigli "amorosi" proprio a lei, vera esperta di torture psicologiche a danno del malcapitato innamorato. "André Grandier docet…" pensò.

"Ah! Le donne…", mentre se ne andava canticchiando, in giro per casa con chiodi e martello a sistemare le tendine nuove che Oscar, dopo un'agguerrita filippica, gli aveva imposto di appendere alla finestra della cucina. "… Negati per un po’: vedrai che sarà lei a cercarti…" aveva aggiunto, intanto che sorreggeva tra le labbra un chiodo.

"Io lo strozzo!" aveva farfugliato lei, cercando di assumere un'aria noncurante.

Michel rideva quando era in loro compagnia; sembrava ritrovare un po’ di serenità e, non era poco, tanta amicizia sincera.

"Ah! quasi me ne dimenticavo…" fece sulla porta e, frugando nelle tasche della giacca, tirò fuori un foglietto che consegnò ad Oscar. "E’ la bozza del discorso che Bernard farà alla locanda: vorrebbe la vostra opinione."

 

Valérie, distesa sul letto con il viso rivolto al soffitto, rifletteva sugli esiti di quella giornata anomala.

L'aveva osservato allontanarsi e un po’ le era dispiaciuto… fosse stato André a dirle certe cose, avrebbe risposto sicuramente con altre parole, ma Michel no!

Però, le era sembrato triste, forse era solo stanco. Sì, sicuramente doveva aver tirato tardi in uno di quei postacci pieni di chanteuse che frequentava da quando era tornato a vivere a Parigi. Certe volte era in ansia per lui; infondo rimaneva un ricercato, ma a lui sembrava non importare, anzi, si comportava come se avessero dovuto temerlo "quelli".

Che tipo strano…

Ma, adesso, cosa c'entrava con tutto quello che aveva in mente?

E, poi, si chiese cosa avesse in mente…

André aveva significato molto per lei: l'aveva aiutata a riprendere coraggio, ad affrontare la vita senza guardarsi indietro, a cogliere le sfumature della consuetudine… Lui era così, quello era il suo modo di fare con tutti, ma in un momento di fragilità come il suo, aveva creduto di poter essere il centro delle sue attenzioni, invece…

Però, almeno un po’ avrebbe desiderato poter piangere, strapparsi i capelli e dire che non era giusto, per lei.

Sarebbe stato inutile in ogni caso.

Spense la candela e strinse forte gli occhi a cercare nella mente il viso di André, invece, Michel, aveva fatto prima…

 

 

André dormiva ancora.

Quando tutti erano andati via, si era messo a letto con una della sue emicranie terribili: ad un certo punto aveva cominciato a vedere appannato- nonostante gli occhiali-, le vertigini.

 

"… manca la nausea e, forse, sono incinto pure io…" aveva detto scherzando.

 

Oscar, accostò le persiane lasciando entrare la luce sottile e si avvicinò al letto.

Si distese su un fianco, di fronte a lui. Cominciò ad accarezzargli i capelli, il viso, le labbra, fino a quando non lo vide svegliarsi, piano piano.

"Buongiorno" gli disse senza smettere di sfiorarlo.

Le sorrise, senza dire niente. Si rannicchiò contro di lei: una gamba tra le sue, la testa sul seno.

"Il mio cuscino preferito…" bisbigliò, mentre si sistemava più comodo.

"Come ti senti?" domandò, sollevandogli il mento.

"Bene. E, voi due?"

"Stiamo bene anche noi, grazie…" lo fissò intensamente: il suo volto rilassato, quello sguardo luminoso "… come sei bello stamattina!" non poté evitare di dirgli.

Inevitabilmente, André, abbassò il viso, in preda ad un tremendo imbarazzo: ma non era la prima volta che Oscar gli diceva una cosa del genere, per non inventariare certe sue confessioni più audaci…

"Che scema…" aggiunse ridendo. Tornò a stringerla assaporando quegli attimi di quiete familiare, la serenità che avvertiva appena lei gli era accanto, quando si sentiva totalmente amato da lei. Oscar lo capiva e lasciava andare quella parte di se stessa che, poco alla volta, aveva imparato ad apprezzare.

 

La sera prima, erano rimasti svegli fino a tardi nell'attesa del ritorno di Alain e Michel.

Ascoltavano il silenzio della notte propagarsi dalla strada insieme al lento fluire della Senna.

Era una notte stellata.

Rosalie si era appisolata sulla spalla di Bernard. Poco distante, Padre Clavel leggeva un libro; di tanto in tanto sollevava gli occhi stanchi guardando in direzione dell'orologio. Poi, dopo aver scambiato una rapida occhiata con gli altri, ritornava a leggere; scorreva lo stesso rigo da almeno due ore. André, seduto sotto la finestra, giocherellava con le aste dei suoi occhiali. Spesso, spostava lo sguardo su Oscar, che gli stava seduta di fronte, interrogandola con gli occhi.

Gli aveva sorriso.

"Sto bene, sta’ tranquillo" Nel parlare si era alzata dalla poltrona e, avvicinandosi a lui, gli aveva carezzato i capelli.

Poi, si era diretta in cucina ed aveva preparato del caffè: quell'odore si era propagato nell'aria prepotentemente, riscuotendo tutti dal torpore del silenzio e dell'attesa.

Avevano stabilito il rientro di Alain e Michel per l'alba.

La pendola dal fondo della stanza annunciava lo scoccare delle due.

Rosalie, ripresasi dall'assopimento, aveva raggiunto Oscar. Si era affacciata timidamente, scostando appena la tendina che separava la cucina dal resto della stanza. Era piccola e curata: c'era l'impronta di Oscar in ogni cosa in quella casa, tutto sistemato con impegno, un'attenzione particolare che aveva sperimentato da sola.

In piedi, di fronte al fornello, aveva uno sguardo assorto e fisso sul pentolino dell'acqua. Da qualche tempo, aveva l'abitudine di portare delle camicie più morbide che, adagiate sui fianchi, non mimetizzavano la piccola sporgenza del suo ventre. Qualcosa si cominciava a vedere e, lei ne pareva come compiaciuta.

Forse, solo in quel momento Rosalie prese coscienza del fatto che la sua Oscar era un essere umano come tutti gli altri.

Né più, né meno.

Si rese conto di aver fatto troppo poco per lei, di essere rimasta legata ad un sentimento che rasentava la devozione e, certe volte, aveva visto passare sul viso di Oscar un'indubitabile amarezza, come se lei avesse desiderato solo il conforto di un'amica fidata.

E, nonostante si reputasse sua amica, si rendeva conto che André era l'unica persona su cui aveva potuto contare in funzione di troppe figure che le erano sempre mancate.

Quel bambino, che sarebbe arrivato a novembre, avrebbe rinsaldato la loro unione, completandoli, definitivamente.

Si voltò a guardare in direzione di André che in quel momento parlava con suo marito. Stava sorridendo. L'attraversò un brivido antico, uno di quelli che aveva sentito quando ancora viveva a palazzo Jarjayes, quando certe volte si era scoperta a desiderarlo, nonostante la cotta per Oscar. (Un'idea da lapidazione, lo so! Fossi stata io al posto di Rosalie, mi sarei attaccata alla gamba di André, come fa il mio Caio quando gli piace qualcuno…^^;;;)

"Oscar?" la chiamò con dolcezza

"Rosalie, ti sei svegliata!" le stava sorridendo.

"Posso fare qualcosa?"

"Grazie. Sistemeresti le tazze sul vassoio?"

Si avvicinò al ripiano.

Era felice, senza sapersi spiegare il perché.

Guardò ancora una volta Oscar in tralice, ma lei stavolta se ne accorse e la guardò con quell'espressione serena e protettiva.

"Devi dirmi qualcosa, Rosalie?"

Sorrise cercando di vincere una sorta di pudore.  "Sono felice per voi… cioè… per te e André" ammise.

Prese con sé il vassoio, le sorrise e ritornò nell'altra stanza.

"… Certe volte non sembra vero neanche a me…"  rispose, Oscar tra sé.

Era viva in lei la sensazione di essere arrivata solo a metà del percorso, alla parte più semplice, quella che le infondeva il coraggio per proseguire e, guardandosi attorno, riusciva a captare solo segnali positivi su quella che sarebbe stata la sua vita, d'ora innanzi.

Poi, André: lui dava senso a tutto.

Avrebbe lasciato il suo incarico, di questo era fermamente convinta.

Desiderava un po’ di quiete, voleva darne anche a lui.

La sera precedente aveva osservato André; sembrava preoccupato per qualcosa, e quando entrò nella loro stanza ne ebbe la conferma.

Se ne stava davanti alla porta- finestra del balcone con lo sguardo rivolto alla strada.

Pensava ai suoi genitori.

Lui non ne parlava mai: quella era la parte di André che rimaneva nascosta e non emergeva in nessun caso. Il suo dolore era intimo, profondo, e, davvero, non avrebbe saputo descrivere cosa provasse  nei momenti in cui avrebbe desiderato poterli rivedere almeno una volta. Oscar non gli faceva domande, ma riconosceva quel tratto della sua malinconia. Gli offriva la sua presenza, il suo amore, sperando, dentro di sé, che davvero fossero sufficienti in quei momenti. Erano solo istanti, profondi ed intensi, in cui lo vedeva distante, rapito da qualcosa che non poteva condividere con lei. A volte gli tornava in mente una scena di quando era bambino, quando si affacciava sulla porta del laboratorio di suo padre che, senza voltarsi, gli chiedeva di dargli una mano a mettere in ordine gli attrezzi da lavoro. Ricordava le sua mano grande e callosa che prendeva la sua e, insieme, attraversavano gli ultimi raggi di sole rossiccio che rimbalzava dalle cime degli alberi alla superficie dell'acqua su alcune vasche a ridosso delle mura di casa.

La voce di sua madre…

E, lui, che padre sarebbe stato?

Avrebbe protetto suo figlio, sempre, aiutandolo a comprendere il mondo e la vita meglio che avrebbe potuto. Lo avrebbe seguito e spronato fino a quando, un giorno, avrebbe guardato a lui come antagonista, scontrandosi con la sua concezione della vita  con la speranza che, col passare del tempo, continuasse ad essere evoluto - perché non si sa mai nella vita, aveva aggiunto con tanto di risatina auto-ironica, figurandosi incanutito ed un pochino curvo, probabilmente più basso di suo figlio… -  con le sue idee.

Oscar lo guardava da un po’, cercando di indovinare il corso che avevano preso i pensieri del suo meditabondo compagno. E, quando lo vide strofinarsi il viso, lasciando scorrere la mano intorno al mento, comprese.

"André?"

"Sì."

"Che c'è?"

E, dopo una breve perplessità, André era tornato ad essere per lei.

Le aveva raccontato ciò che aveva scoperto Michel a proposito di suo padre.

Ragionevole sbigottimento a parte, Oscar, aveva appreso la notizia con un certo distacco

"Proteggermi…" si era domandata, sollevando lo sguardo su di lui, "… proteggermi da cosa?"

Era rimasto in silenzio, poi, si era seduto alla poltrona.

Per un attimo aveva guardato fuori, osservando la delicatezza del cielo quella sera. A volte aveva l'impressione di trovarsi lì, in quella casa, da sempre con lei: a volte dubitavano insieme di qualcosa, a volte da soli. Oscar era l'unica certezza della sua vita, l'unica che riuscisse a darne il senso. Ritornò a guardarla mentre si muoveva nella stanza e si preparava per andare a letto.

L'atmosfera era tranquilla, e lei, nella familiarità di gesti che le aveva visto compiere ogni giorno da quando stavano assieme, riusciva a trasmettergli calore e sicurezza

 

"Non gli ho mai chiesto niente, e lui mi ha sempre trattata come se avessi un debito da saldare…" si era seduta sul bordo del letto, di fronte a lui.

 

Manteneva una calma invidiabile.

Era una vecchia storia la loro: non erano mai riusciti a parlarsi, Oscar e suo padre. Il profondo senso di attaccamento alla famiglia di Oscar era stato parte determinante in tutta la faccenda e lei aveva saputo far cadere la scelta sulla strada più difficile per non essere di peso a suo padre. Lui le aveva dato la possibilità di scegliere e lei l'aveva fatto, ma, poi, si era reso conto di aver innescato un meccanismo pericoloso dal quale sarebbe uscito sconfitto. Una vecchia storia di una bambina che, ancora troppo piccola, non riusciva capire perché suo padre la trattasse con tanta freddezza. Pensava di essere cattiva, per questo i suoi genitori agivano così. Aveva cercato di essere buona, troppo buona per non destare il sospetto che potesse avere qualche problema, ma nemmeno in quel modo aveva funzionato e, allora, che fare?

Una domanda troppo difficile, e lei era talmente piccola e sola. Interminabili giorni di silenzio, seduta per terra con la schiena poggiata contro le gambe del letto, a fantasticare su un posto in cui era davvero felice dove, tutti, le volevano bene.

Ecco cos'era stata la sua infanzia.

Eppure la rabbia le era passata col tempo e, il tempo stesso, le aveva insegnato ad essere indifferente verso quel vuoto e tentare di colmarlo con l'educazione ed il rispetto che riteneva di dovere ai suoi.

 

"Chiariremo questa storia, e, poi, nient'altro mi legherà a loro! Voglio tornare in caserma e rassegnare le dimissioni per mia scelta…" aveva detto, determinata.

 

Adesso quel vuoto quasi non lo sentiva più.

Aveva dedicato se stessa al lavoro, nella mente tanti ideali  forse troppi diceva qualcuno, ma la realtà le aveva insegnato che la vita, spesso, scivola via senza dare importanza alle cose più semplici. In fondo, sapeva di essere una contraddizione vivente, e, quando si ritrovava a giurare di non fare qualcosa, poi, accadeva qualcos'altro che le faceva cambiare idea.

André si era avvicinato, adesso, la teneva stretta. Lui, lì con lei, era la prova di tutti i suoi ripensamenti, dei suoi cambiamenti: addirittura ci aveva fatto un figlio e questo raccontava tutto.

Le braccia sotto le sue e la testa posata sulla spalla "… Ho bisogno di cambiare vita, André, di combattere le nostre battaglie".

"Lo faremo…" il tono era serio, e Oscar si sentiva particolarmente serena.

"E  tu, non mi lascerai mai, vero?"

"Lo sai…"

"E' vero…" tornò a guardarlo negli occhi "… e so che non abbandonerai i nostri compagni, così come non lo farò io."

"Allora…" l'aveva distesa sul letto, portandosi su di lei.

"André, ho troppe cose da fare con te e, in tutta onestà, credo non sia necessaria l'uniforme per continuare la nostra lotta."

"Vorresti rimanere a Parigi?"

"Sì, preferisco che mio figlio prenda subito coscienza del mondo, come suo padre" gli accarezzò il viso.

"E che sia concreto con una punta di idealismo, come sua madre…" aggiunse lui,  pieno di una serenità che non sentiva da qualche tempo.

"Quindi sarai felice di vederlo litigare con tutti come fai con me?!" finalmente stava sorridendo.

"Hai un talento naturale, e poi, mi piace quando ti arrabbi… mi fai venire certi pensieri…"

"Ma dico io…"

"Cosa?…"

"Te lo dico dopo…"

 

Considerò quanta vita avessero trascorso assieme, quanta ne avessero ancora davanti.

Riaccostò la sedia al tavolo e tornò dagli altri.

Bussarono alla porta.

Michel, sfatto, distrutto,  la paura stampata in volto ed uno sguardo allucinato, si reggeva in piedi a fatica.

"Alain sta bene: è un po’ ammaccato ma sta bene…" disse appena entrato.

Prese fiato.

Sedette al tavolo lasciandosi cadere sulla sedia "… E' andato da Juliette, la sua Juliette…" si guardò attorno, a cercare la persona che non c'era e che, forse, mai ci sarebbe stata, per lui.

André versò del cognac, gli passò il bicchiere posandogli una mano sulla spalla.

Bevve tutto d'un fiato e, con la testa bassa, cercava di ricacciare quel nodo alla gola che gli impediva di respirare.

Raccontò quel che aveva visto con Alain, in maniera dettagliata. Di tanto in tanto si fermava, sollevava lo sguardo a cercare riparo in quello di Oscar e, dopo, riprendeva a parlare.

Sedette accanto a lui prendendogli le mani tra le sue

"Non è colpa tua, Michel" fece lei, guardando quel volto ribelle dallo sguardo profondo e scuro.

Senza sapere perché, Michel, posò la testa sulla spalla di Oscar. Gli tornò in mente quando, giorni prima, le aveva parlato di Valérie, di come aveva saputo confortarlo: i nervi cedettero e scoppiò in un pianto silenzioso.

 

 

                                                                                              §

 

Versailles, ore 10: 00

 

 

Il generale Jarjayes attraversò la galleria degli specchi col suo solito passo deciso e sul volto un'espressione imperturbabile. Salutò i pochi presenti con cortesia senza fermarsi a parlare con nessuno.

Entrò nel salottino adiacente ed attese l'invito del generale Bouillé ad essere ricevuto.

C'era un silenzio insolito; benché la giornata fosse particolarmente soleggiata, anche il parco sembrava deserto. Stava finendo un'epoca, sua figlia gliel'aveva anticipato mesi addietro

 

"Tutti mi conoscono per un uomo amante delle tradizioni, ed è una qualità apprezzabile in un aristocratico" disse, posando con garbo il tovagliolo sul ginocchio.

"Permettetemi di dire che, ormai, queste definizioni sono abbastanza arcaiche" gli aveva risposto Oscar.

"Con ciò…" alzò di un tono la voce seppellendo la frase di Oscar "…voglio provare che, senza continuità, senza il sentimento per la propria dignità, non si può dare il buon esempio al popolo." Una pausa, a studiare l'espressione d'insofferenza della figlia.

"Tra quella gentaglia non ho mai visto nessuno che abbia dimostrato di possedere uno straccio di principio. La loro mescolanza è semplicemente volgare!" Asserì perentorio, sicuro di aver troncato la conversazione.

"Però, tutto questo non v'impedisce di approfittare dei servigi che individui simili vi rendono!"

"Come osi solo pensare una simile sciocchezza!"

"Come osate voi pensare che, ancora, possano esistere quegli antichi privilegi che hanno rallentato il progresso sociale…"

"Ma quale progresso…" la interruppe con un lampo d'ira negli occhi "… cosa stai dicendo! Vuoi forse negare  che a nostro vantaggio giochi una forte tradizione? A sentirti si direbbe che ci troviamo al limite della legalità!"

"Questo stato di cose, è illegale!"

 

Perso in quei ricordi, non aveva sentito il lacchè chiamarlo.

 

Bouillé era particolarmente nervoso quella mattina. Aveva un'espressione terrorizzata, come se avesse guardato la morte da vicino. Jarjayes sentì che era davvero il caso di pregustare una piacevole vittoria.

"Non formalizzatevi, Generale" disse con quella voce catarrosa, mentre congedava tutti gli altri.

"Grazie. Vi disturbo per una faccenda piuttosto urgente" rispose il generale, che si sentì più sollevato.

Avrebbe desiderato fermare il tempo, e vagliare ancora la sua scelta. Ma non poteva, ormai il dado era tratto.

"Generale Jarjayes…" disse Bouillé, titillandosi il mento"… Vi rendete conto che questo si chiama ricatto?"

"Sì." rispose il Generale senza abbassare lo sguardo. "Comunque la mia preoccupazione è di tenere il nome del mio casato fuori da questa faccenda." Era determinato.

I crimini commessi all'interno della Torre non sono imputabili al generale Bouillé, perché egli ha esercitato la sua autorità unicamente in funzione di Comandante supremo dell'esercito: di quelle morti il generale avrebbe avuto conoscenza solo dopo… recitava un documento che portava il sigillo reale.

Bouillé lo conosceva a memoria. Teneva la pergamena aperta tra le dita ma guardava il suo interlocutore dritto negli occhi

… L'azione di polizia, infine, è giustificata allo scopo di fermare la dilagante violenza nelle strade di Parigi, per combattere i terroristi che attentano alla stabilità del nostro paese.

"Vi rendete conto della pericolosità di quella lettera, Bouillé…?" Esordì il generale senza scomporsi. "… è esplicitamente menzionato il vostro nome, il compenso che avete ricavato rivendendo le armi dell'esercito francese ed altri particolari che, forse, nella foga di nascondere la lettera non avete notato…"

"Di cosa state parlando?"

"Parlo di immunità che avete garantito a certe persone, immunità che andrebbero a discapito della Corona rendendo ancor più pericolosa la sua posizione agli occhi del popolo in questo momento, Bouillé…" Bouillé, si lasciò cadere su un massiccio sedile, che oscillò sotto il suo peso.

"Cosa volete in cambio?"

"Ripristinate l'incarico di mia figlia: lei è diversa da noi, da me…"

"Non posso farlo!"

"Allora, non mi rimane che presentare a Sua Maestà questa lettera…" fece Jarjayes, avvicinandosi alla porta.

"No! No, un momento, un momento…" Balbettava. Sudava freddo. "… D'accordo, avete vinto…" aggiunse sfinito, mentre si avvicinava al sécrétaire. "… A patto che vostra figlia non indaghi sui fatti della torre."

"Nessun compromesso Bouillé: non mi intrometto nel lavoro di mia figlia!"

"State intercedendo per lei, mi pare!"

"Tutt'altro! Sto cercando di rimediare al torto che le ho fatto… Avete i vostri mezzi per venire fuori da questa storia… in fondo, quelle persone, vi devono un favore…"

 

                                                                                                §

 

I soliti giorni rimpiazzati da quelli particolari, in cui tutto assumeva un significato diverso.

Era estate a Parigi, un'estate calda.

La porta finestra che dava sul balconcino era aperta, le persiane chiuse lasciavano filtrare la luce calda che si stendeva ad intervalli sul pavimento, contro le pareti, ed in parte illuminava  il viso di lui, chino sul suo, in un'espressione intensa e seducente.

Gli strinse le gambe contro i fianchi e sollevò appena il viso, ad incontrare la sua bocca. Era in lei e, lei, completamente presa da quel movimento. La pelle scivolare sulla pelle, il suo odore attraversarla nei ricordi e nel presente.

 

Suo, fino alla fine.

 

Quasi avevano cercato un pretesto per farlo,  provando a mettersi l'uno contro l'altra, a  litigare, assaporando vecchie sensazioni che non erano  state mai appagate. In passato, alla fine di un allenamento o di una corsa a cavallo, avrebbero desiderato la stessa cosa: ma, allora, chi dei due avrebbe avuto il coraggio di ammetterlo?

E, poi, una sera buia, un pianoforte suonava diligentemente una melodia malinconica, un uomo, una donna, il centro di una stanza che abbracciava la notte.

Il peso di un corpo sul proprio, un calore improvviso al basso ventre e  la paura di lasciarsi andare, perché, si era resa conto di essere così donna in quel momento.

 

Una frenesia.

 

Così aveva definito quel pensiero, Oscar, mentre, ora, si aggrappava a lui.

Un morso sulla scapola.

 

Rientrando a casa, l'aveva trovato disteso sulla poltrona, un braccio sul petto, l'altro al di sopra della testa reclinata all'indietro.

Dormiva.

Era rimasta in piedi a guardarlo, senza sapere bene a quale urgenza dare la priorità.

Era stata parecchio in ansia per lui, e, lui dormiva.

Certe volte, quando era preso da altro, lo fissava furtivamente. Lo vedeva lì, sempre uguale a se stesso seppur differente sotto certi aspetti che non erano mai cambiati. Lo sentiva completamente suo, un senso di possesso che non avrebbe immaginato di provare per qualcuno. Istanti che facevano quasi male al cuore.

 

Adesso, la stava fissando in quell'intensità unica, mentre si mordeva un labbro.

Lo stava guardando pure lei, lasciandosi trasportare.

Era scivolata in basso, attirandolo ancora di più in sé.

La voce si era dilatata in un affanno avido, chiamando il suo nome.

 

Si era seduta sul bracciolo ed aveva aspettato che si svegliasse.

 

"Perché non sei venuto alla riunione?"

"Mi sono addormentato…" aveva risposto lui, candidamente, un poco imbambolato.

"La prossima volta cerca di non dimenticartene…" era delusa. Molto delusa.

"Agli ordini!" aveva scherzato, sfiorandole l'interno del ginocchio e l'aria malandrina.

"A che serve dire così se, poi, mi lasci fare da sola cose che non vorrei?!"

"Amore? Che ti prende?"continuava a canzonarla per il semplice gusto di vederla incendiarsi.

"Come che mi prende?…"

"Avanti: cos' ho fatto?…" aveva abbandonato quella postura un po’ languida, raddrizzandosi sulla poltrona.

"Tu sei un incosciente…" si era alzata e diretta verso il tavolo prendendo alcuni fogli, che, poi, gli aveva sventolato sotto gli occhi.

"… Ricordi che oggi dovevamo scrivere il testo per il discorso di Bernard???" Era completamente incazzata. "… la bozza ce l'avevi tu, e non c'era tempo per venire a casa a prenderla, non c'era nemmeno quello sciagurato di Alain, Michel se n'è andato chissà dove, tu…" aveva sottolineato con abbondante ferocia quel TU, "… tu, qui a dormire!"

 

A quel punto non avrebbe certo potuto dirle che, sì: era colpevole d'essersi addormentato, ma, per il semplice motivo che, ancora una volta, la sua vista aveva fatto cilecca e per un'eternità gli era sembrato di avere in testa un martello che picchiava a ripetizione. Non poteva dirle questo sapendo a cosa si sottoponeva lei, nonostante, durante l'ultima visita, il medico le avesse imposto di passare a letto più tempo possibile. "Che situazione del cazzo!", pensò mentre formulava mentalmente le sue scuse che, poi, non erano state accettate.

Poi, l'aveva raggiunta in cucina dove Oscar stava riversando la sua rabbia su una  lattuga.

Pensò a quanto fosse paradossalmente bella quella situazione: la sua Oscar arrabbiata come una tigre, in cucina a preparare la cena. Roba da non riuscire a dormirci la notte per quanto non riuscisse a credere che, nonostante tutto, nonostante i suoi difetti, Oscar, avesse scelto lui.

Si era avvicinato, le aveva circondato la vita, posandole la testa sulla spalla.

"Oscar amore, sono uno stronzo!"

"…"

"Silenzio assenso…"

"…"

"E, dimmi, al posto di quella lattuga dovrei esserci io?"

"Sei scemo…" le scappò da ridere.

 

Parigi cominciava a svegliarsi.

Ora, il respiro era tornato regolare.

Dal balcone aperto risalivano i rumori della strada "… Arrotate i coltelli…" Una voce arrivava, sfumata.

Gli stava carezzando i ricci sudati sulla nuca. "Il mondo si è messo in moto…" pensava, mentre la mente faceva un'altra escursione sull'ultimo scambio di battute e sul modo in cui erano finiti a fare l'amore come dovesse essere l'ultima volta. Come era successo durante le prime settimane che stavano assieme, quando aveva deciso e voluto che André fosse solo suo. La paura di perderlo per troppa sventatezza, il terrore di vedere sfumare la passione di quei momenti in noia, l'angoscia di poter riconoscere che, forse, avrebbero fatto meglio a rimanere buoni amici. Invece, non aveva perso l'abitudine di rimanere sveglia ad aspettarlo, solo che ora dividevano lo stesso letto. Fingendosi addormentata, aspettava fino al momento in cui, lui, avrebbe infilato una gamba tra le sue, addormentandosi sul suo seno. "Lo ami da così tanto tempo" le faceva ricordare la coscienza.

Dietro l'angolo, le campane di Notre Dame rintoccavano le sei.

Le scappò ancora da ridere.

 

                                                                                               §

 

 

Finché uno non comincia a chiedere perché certe cose accadono, si dà fondo alle proprie risorse, sperando siano sufficienti.

 

Si stava preparando per uscire, quella mattina, quando aveva sentito bussare alla porta.

Di fronte a lei, un domestico di palazzo Jarjayes, che non aveva mai visto, le recapitava un messaggio da parte di suo padre.

Richiuse la porta poggiandovi la schiena, mentre continuava a fissare la busta.

L'aprì, si accorse che le tremavano le ginocchia ed il cuore aveva cominciato a battere all'impazzata. Prese un sorso d'acqua che scese a fatica  lungo la gola.

Si sedette allo scalino sotto la finestra e scorse in breve tempo le poche righe scritte.

Prima o poi sarebbe stata obbligata a vestire così, e non seppe resistere alla tentazione di rimandare, sebbene avesse deciso di riservarla per André quella sorpresa "Per lui, ho in serbo qualcosa di meglio…" disse fra sé.

Aprì l'armadio e tirò fuori un vestito semplice, sui toni del beige, che scendeva morbido sulla sua figura.

Passò le mani a stendere la gonna, poi, aprì la porta e scese le scale lentamente.

Appena fuori, si incamminò per strada senza badare alle occhiate ammirate di uomini e donne.

Una bella donna,  uno sguardo limpido che guardava tutto con la curiosità di chi, suo malgrado, è costretto a tenersi lontano dalle cose. Ci conviveva da sempre Oscar con quella sorta di distanza dell'ammirazione che gli altri sentivano nei suoi confronti. Le venne da sorridere ed in quel momento ripensò che davvero non era l'abito a fare il monaco.

"Parliamoci chiaro", disse fra sé Oscar, "vado da mio padre solo perché, nonostante lui sia una testa di cazzo, gli voglio bene…" sorrise. La sua proverbiale contraddittorietà.

E mentre le strade scivolavano lente sotto i suoi passi, attraverso i suoi occhi, le venne in mente che le scelte più importanti le aveva sempre fatte di conseguenza ad un uomo e, per quanto ritenesse di essere totalmente libera, si rendeva conto che l'unica volta in cui aveva deciso solo per se stessa, era stato quando aveva voluto un figlio. Era consapevole del fatto che per André era la stessa cosa, ne era certamente entusiasta e felice, ma non si era lasciato andare come aveva sempre immaginato. Sapeva che lui aveva bisogno di allontanarsi da quel mondo, innanzitutto, lasciarsi alle spalle la vita difficile che avevano sempre fatto, per un'altra più semplice. Per lui, felicità significava aiutare il prossimo, era così anche per lei e, allora, si disse che avrebbe continuato a farlo, a modo suo, senza sacrificare altro della sua vita.

Sulla porta del caffè intravide suo padre seduto nei pressi di una finestra che dava sulla piazza.

"Buongiorno" disse, aspettando l'invito di suo padre a sedere.

"Buongiorno" rispose, sollevandosi dalla poltrona.

E chiese: "Di cosa si tratta?" Posò su di lui uno sguardo senza illusioni.

Il generale, un breve sorso di vino, si fermò ad ammirarla.

"Non bevi?" le fece, mettendo giù il bicchiere.

Sfiorò lo stelo del calice, lasciando passare sulle  labbra serrate un sorriso auto ironico. "Non ne ho voglia" archiviò.

"Vesti sempre così?"

"Appena posso…" sollevò di poco gli occhi a fissare l'espressione stanca di suo padre.

Le tornò in mente l'ultima volta che avevano conversato in  tranquillità, nel suo studio, l'inverno precedente.

Erano successe tante cose durante quei giorni.

Ne sarebbero accadute altre da quel momento in poi, cose nate dalla privazione o dall'aggiunta di qualcos'altro. Non lo sapeva ancora, però era certa che, tra loro due, non poteva  andare peggio di come era stato per tutta la vita.

Con le parole avevano comunicato poco: quel vestito, nella banalità del suo significato, aveva detto molto.

Il generale aveva saputo congedarsi senza fare tragedie. Era meglio così.

"Fa’ crescere tuo figlio lontano da tutto questo" le aveva detto, mentre si mescolava tra la folla.

E, seguendo la gente nella direzione opposta, Oscar, si voltò solo una volta verso suo padre, già lontano.

 

                                                                                              §

 

Rivoltosi ed occupazione, una morsa che teneva in ostaggio Parigi. La situazione andava continuamente degenerando e quel giorno sembrava un punto di non ritorno.

Parigi era un inferno.

Passare attraverso le zone presidiate un vero incubo, quando colonne di militari spuntavano improvvisamente in mezzo alle persone per scortare carri di vettovaglie, con i soldati che fissavano la gente dall'alto dei cavalli roteando minacciosi le baionette. C'era da valutare pure quello, considerò Bernard, mentre si avviava alla locanda.

Dal fondo della strada, scorse il portone della locanda già aperto. Camminava lentamente, trascinandosi dietro interminabili interrogativi su quello che sarebbe stato il suo compito l'indomani: parlare ad un piccolo gruppo di gente.

Prima di quel momento non gli era mai pesato.

Discorsi i cui contenuti andavano a parare sempre dalla solita parte:  istigare la gente a prendere il coraggio di impugnare le armi e difendere i propri diritti.

Oscar era appena arrivata. L'aveva vista voltare l'angolo e, quel pomeriggio, c'era qualcosa d' inspiegabile in lei, un particolare che sulle prime, preso dalle sue elucubrazioni, non aveva notato.

Affrettò il passo, ed i pensieri, che parevano seguire il suo andamento, non mollavano ancora.

Per quello che gli spettava fare, sarebbe stato più semplice parlare ad una popolazione ridotta alla fame e sfinita per l'assedio che durava da giorni.

Nell' inferno di Parigi.

 

"Prendi tutte le precauzioni" gli stava dicendo Oscar.

 

Il progetto era di rendere noti i nomi delle persone scomparse, rivelare la posizione esatta della torre, aiutando chi, nel corso di quei mesi terribili, non aveva avuto più notizie dei propri cari. Bernard, avrebbe avuto dinnanzi a sé gli occhi di quella gente che continuava a nutrire una flebile speranza. Lui avrebbe decretato la fine delle loro illusioni. Sarebbe stato meglio lasciarli vivere nell'inganno di veder tornare il proprio marito, figlio, padre, indietro?

L'etica del suo lavoro richiedeva assoluta sincerità a costo di rivelare verità scomode, mettendo in gioco se stesso.

Non c'era politica in quell'impegno, non faceva parte di un piano prestabilito scoprire resti umani e non voleva perpetrarne scempio attraverso il proselitismo.

 

Ma poteva parlare di giustizia?

 

"Al punto in cui siamo…" aveva detto Oscar sulla soglia della locanda, assaporando quel po’ di frescura che regalava il tramonto: il tempo prometteva pioggia. "… non so se sia giusto parlare di giustizia. Stiamo vivendo un momento drammatico, e la diffusione di queste notizie accrescerà la tensione."

"Cosa faremo se vorranno reagire?"

"Non possiamo impedirlo, però possiamo proteggerli."

"Cioè?" Bernard, ancora una volta, si domandò se per Oscar esistessero dei limiti.

"Faremo una partita a scacchi…" fece lei sorridendo, spostandosi dal viso alcune ciocche di capelli.

"Scusa Oscar, non ti seguo!"  Bernard, grattandosi il capo, mosse qualche passo più in là, parandosi di fronte a lei.

"Faremo degli appostamenti alla torre. I nostri uomini copriranno l'intera zona e, neutralizzando le sentinelle, dovranno disporsi al loro posto". Guardava lontano Oscar, mentre la sua mente proiettava altre possibilità o, come avrebbe detto lei, preparava un piano di riserva. Sentiva su di sé lo sguardo ammirato di Bernard, quella solita sensazione di sentirsi sola tra gli amici e i nemici, il distacco di chi non riusciva ad immaginarla diversa da quello che mostrava. Quella donna, splendida, sia che indossasse un vestito semplice come in quel momento, sia che indossasse l'uniforme, disorientava Bernard.

Per fortuna André era stato lungimirante in quel senso…

"Oscar", fece Bernard appoggiandosi alla spalletta del ponte, "sarebbe più giusto se quel discorso lo facessi tu."

Lei, la schiena rivolta al fiume, si voltò verso di lui cercando di non tradire l'emozione che le aveva dato quella frase.

"Tu sei la mente…" riprese Bernard aprendo le mani sulla pietra grezza del parapetto "… e devi continuare ad esserlo."

 

Prese fiato e si alzò, adagio, raggiungendo la porta finestra che dava sul balconcino. Lo aprì, lasciandosi attraversare dall'aria umida e fresca. Rimase per un po’ a guardare il flusso della Senna, gonfia di pioggia. Ogni tanto il cielo grigio era rischiarato da qualche fulmine che apriva un varco tra le nuvole pesanti.

Dopo l'ultimo squarcio di un tuono decise di rientrare.

Quella sera, André, rientrando a casa, si meravigliò a vederla seduta senza il suo solito da fare. Andò a sedere di fronte a lei sotto la finestra, le carezzò un ginocchio fino alla caviglia.

Gli sorrise

"Che c'è?"

"Ho incontrato mio padre…" Poi, mordendosi il labbro inferiore cercò di mantenere un tono tranquillo"… il mio incarico è stato ripristinato, André."

 

pubblicazione sul sito Little Corner del febbraio 2005

Mail to mariassunta.paolillo@virgilio.it

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