I just like you

part 1

 

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Dedico questo racconto alla cara Alessandra che, grazie al suo animo gentile, mi ha supportata (e sopportata) nel corso di questi giorni irreali! Ringrazio dal profondo del cuore Laura, per avermi dato la possibilita'di poter pubblicare sul suo magnifico sito. Grazie a voi tutte.

 

Quando entrò per la prima volta nella sua nuova casa, sedette accanto alla finestra, a guardare la pioggia.

La malinconia di quel suono disciplinato lo rasserenò.

Aspettava ancora, qualcosa che mancava, il segnale che gli avrebbe indicato il modo.

Voltò uno sguardo alla stanza, piccola ma accogliente. Il mobilio di legno scuro donava un senso di calore. L'unico sfarzo concesso era la poltrona di velluto blu. L'aveva presa da un falegname, che desiderava sbarazzarsene.

"… Dal momento che i braccioli sono rotti, non c'è né il tempo né la necessità di ripararla! In tempi come questi nessun padre di famiglia si concede il lusso di assestare le ossa stanche, magari stando seduto accanto ad un bel fuoco…"

Gli aveva detto lisciandosi la lunga barba, grigia, da anacoreta.

Così, appena poteva, André andava alla bottega, per ripararla da sé.

Si ritenne soddisfatto del suo lavoro, anche il falegname si complimentò con lui, per l'abilità mostrata nel maneggiare gli attrezzi.

"… Se tu, dovessi decidere di lasciare la vita militare, avresti un futuro con questo mestiere."

Sembrava una beffa ma, in quei giorni, sentiva ripetere da chiunque che il suo posto non era quello in cui era abituato a stare da una vita.

Aveva intrapreso la vita militare solo per continuare a rimanerle accanto. Se avesse potuto scegliere, per se stesso, si sarebbe gettato a capo fitto nel movimento rivoluzionario, in maniera attiva.

"Cercare di capire come sarà questa nuova era che ci aspetta…"

Ne parlò con lei, una sera. Era serio al punto che rimase in silenzio ad ascoltarlo, mentre guardava, dalla finestra, le foglie secche terminare sulla terra arida dell'inverno e sfiorarla, con il loro peso intangibile.

Accadeva un anno fa, quando aveva ancora la forza di farsi trovare lì, dove voleva lei.

Avere rapporti con gente come lui gli aveva spalancato un mondo di possibilità cui, in passato, non avrebbe rivolto nemmeno il ritaglio di un pensiero.

Bernard si era lasciato prendere dal suo solito trasporto, nel sapere che sarebbe stato "dei loro".

"Non posso garantirti collaborazione a tempo pieno, sai perché…"

Gli aveva precisato, reggendo a due mani la tazza fumante di caffè.

"Comprendo perfettamente e condivido: l'equilibrio, nonostante la dicotomia intrinseca dei tuoi universi paralleli…"

"Bernard, piantala!"

Dal sorriso schivo di André, capì che sarebbe stato meglio non proseguire quel discorso.

Informò la nonna della sua decisione, sapeva che non sarebbe stato facile spiegarle.

Era vissuta, consapevole dei propri limiti, rassegnata all'infelice idea che la sua vita e quella di André avevano, scandita, la stessa sequenza di regole e doveri.

Lo vedeva crescere, si riteneva fortunata della sua condizione, migliore, rispetto a tanti altri che non potevano nemmeno fermarsi a pensare se al mondo ci fosse qualcuno che vivesse peggio.

Gli aveva insegnato ad apprezzare la sua vita, impartendogli il senso della gratitudine nei confronti di chi l'aveva accolto in casa propria, allevandolo come un figlio.

Lui, non aveva mai interpretato in maniera tanto romantica la sua esistenza: sapeva di appartenere al generale allo stesso modo in cui gli appartenevano i quadri di valore, i palazzi, le terre. Non aveva mai mostrato deferenza nei suoi confronti e, immediatamente, il generale aveva capito che André sarebbe stato l'unico uomo capace di demolirlo.

Salutò sua nonna, sulla porta del retro. Le passò una carezza sulla guancia morbida, cui, spesso, accostava la sua per sentirne il profumo. Lei era l'unico tratto d'unione con la sua vita, l'unica ad avere lo stesso sguardo, verde e triste.

La pioggia continuava a battere incessante, era contento di quella compagnia che, di tanto in tanto, lo salutava, picchiando rumorosamente contro i vetri della finestra.

Approfittò pienamente della sua libertà e dello spazio che gli apparteneva, disfacendo la valigia e sparpagliando sul letto la roba.

Il rumore dei suoi gesti coprì il suono della stanza silenziosa, fino a quando lo scricchiolio dell'anta dell'armadio a specchio scandì la fine del suo da fare.

Si buttò sul letto, coprendosi gli occhi con un braccio. Era già calata la sera e, aveva portato con sé i toni indistinti del dolore e del rimorso. Aveva sperato che l'attuale libertà mitigasse i suoi sentimenti, invece i pensieri si diressero verso lei, e alla sua immagine scolpita nell'anima.

Il susseguirsi di emozioni, sempre più forti, incombeva su lui, tenendolo bloccato per gli arti, sul letto.

La sostanza della sua vita era sempre uguale, lo sapeva bene. Non era mai fuggito e aveva disprezzato chi, nei momenti difficili, preferiva defilarsi davanti alle responsabilità: anche lui era un uomo. Per fortuna, si disse, non perfetto.

Si soffermò su quell'ultimo pensiero, cercando di renderlo reale. Decise che, per un po’, avrebbe almeno tentato di vivere quella separazione in maniera totale, lasciando anche a lei la possibilità di far passare per buona la sua scelta.

Questo proposito lenì in parte il dolore che gli toglieva il respiro. Pensò di aver rispettato la sua disposizione in maniera ragionevole, nella misura in cui non avrebbe leso l'orgoglio di una donna incapace di provare alcun rancore. Al dolore già conosciuto s'aggiunse il rimorso di non averle detto niente, preso dalla paura di non riuscire più nel suo proposito, se solo incrociava il suo sguardo o forse, dal timore di leggere la sua indifferenza. A quel punto, sarebbe stato molto facile cedere al genio ispiratore della fine. Di cosa si preoccupava in realtà? Si sentiva morto da un pezzo, lui. A cosa sarebbe valso tornare a svegliarsi un altro giorno, sapendo che, ormai, nemmeno i sogni avrebbero potuto sollevare la sua mente. Si sarebbe aggiunto un altro ricordo straziante, legato a lei.

Agguantò il mantello ed uscì.

Assaporò l'odore della sera, e gli parve diverso senza di lei.

 Lungo le strade, a tratti, usciva dalle finestre il profumo della cena, incurante di giungere dove non ci sarebbe stato nulla per sedere a tavola.

Rivolse uno sguardo al fardello che conteneva qualche provvista e provò imbarazzo per la combinazione.

Sembrava che, per quel giorno, la frustrazione avesse deciso di non mollarlo, nemmeno per un istante.

Tornò a casa, sedette ancora davanti alla finestra, e gli avrebbe mostrato un angolo di cielo sconosciuto che avrebbe allargato la distanza da lei.

 

Quando, a spettacolo finito, abbandonò il teatro, si sentì assalire da una profonda tristezza.

Una sensazione improvvisa ed inspiegabile aveva annullato quelle poche ore di svago.

Respirò a pieni polmoni l'aria fredda ed umida della sera.

Si diresse alla carrozza, senza rendersi conto che suo padre la stava chiamando.

Guardò fuori del finestrino cambiare il paesaggio e, appena lasciata Parigi, le salirono le lacrime, come se lì avesse perso qualcosa d'importante.

Al suo rientro, c'era Nanny ad attenderla come di solito. Aveva un'espressione tirata e triste. Oscar poggiò guanti e mantello sulla poltrona, si avvicinò a lei, portando l'aria fresca che aveva addosso. La prese per mano ed insieme andarono a sedersi sul divano, di fronte al fuoco.

"C'è qualcosa che non va, nonna?"

La donna, la guardò, piena di profondo affetto e, stringendole le mani tra le sue, sospirò, ricacciando indietro un antico dolore.

"Niente che non possa guarire il tempo".

Percepì quelle parole legate a lui. Era certa e, nuovamente, la strana angoscia di prima l'assaliva senza pietà. Attese un po’, prima di chiederle cosa fosse successo, a voler ritardare ancora di un momento la delusione che avrebbe fatto seguito. Sembrava che riuscisse a leggere i pensieri di Nanny ed entrambe pensavano a lui.

"Si tratta di André, vero?"

"E' andato via questa mattina, si è trasferito nella sua nuova casa, in città."

Vide schiantare sul pavimento il proprio cuore. Continuava a battere convulso, ad aspettare solo il colpo di grazia finale.

Avrebbe voluto sdrammatizzare e, in mente, poche giustificazioni da dare a se stessa.

"E' giusto, è libero di fare ciò che vuole, nonna" rendendosi conto che, in quel momento, era stata veicolo di quelle parole e, le stesse, davano senso all'angoscia che la dilaniava.

Indossò la vestaglia bianca e, andò a sedersi sul canapè di fronte al camino. Sorseggiò lentamente il suo cognac.

Fece roteare il ballon, più forte, lasciando traboccare una goccia che si posò sulla parte morbida della mano.

 La raccolse, poggiandovi le labbra socchiuse. Quel contatto la riportò indietro nel tempo, a quando, una mattina, André le aveva baciato per scherzo la mano, dopo averla disarmata della spada. Era andato a recuperarla e, quando gliela aveva restituita, si era inchinato, poggiando lievemente le labbra sul dorso della sua mano.

Lo aveva rincorso per tutto il parco, minacciando che l'avrebbe infilzato come uno spiedino, se solo avesse tentato di nuovo di fare una sciocchezza del genere.

Si era fermato di colpo

"Ti chiedo scusa, Oscar. Non avevo intenzione di offenderti."

Lo aveva guardato allontanarsi, seguendo i suoi passi sicuri e cadenzati, mentre le tornavano, in eco, quelle parole malinconiche. Adesso, era in grado di comprendere la sfumatura della voce, lo sguardo venato dalla tristezza di chi, ancora, non sapeva arrendersi alla vita che altri avevano scelto per loro.

Poggiò il mento sulle ginocchia. Sentì le lacrime calde scendere sul viso e raffreddarsi sul tessuto della vestaglia. Desiderò con tutta se stessa che quel dolore non avesse mai fine, non voleva dimenticare di aver pianto per lui, non voleva vergognarsi d'averlo fatto.

Passarono diversi giorni, prima che s'incontrassero. Durante tutto quel tempo ebbe la tentazione d'approfittare del suo grado di comandante per chiamarlo nei momenti in cui, come una febbre, cresceva il bisogno, disperato, di vederlo. Appena si decideva, le saliva un nodo alla gola. Allora cercava di sedare l'istinto, ponendogli i dubbi della ragione. Le mancava il coraggio d'affrontarlo, chiedergli i motivi di quella scelta, e si convinceva che, forse, sarebbe stato opportuno non fare domande che non avrebbe saputo porre.

Barricata dietro il suo atteggiamento impeccabile, aveva imparato a non dare ascolto all'istinto. Ritrovò la sua proverbiale vocazione. Si ritenne soddisfatta dell'ennesima opera d'annullamento, fatta a se stessa, fino a quando, una mattina, se lo trovò di fronte.

Infilava, la giacca dell'uniforme e, in quel gesto, Oscar, riconobbe André, uguale a se stesso, eppure distante.

L'espressione rilassata di chi sa d'essere solo, in un momento che scivolerà come tanti altri, ignorati.

"Vai o torni?" gli chiese amichevole.

Non avrebbe mai dimenticato il riflesso del sole nei suoi occhi, verdi, prima che un’ombra gli spegnesse lo sguardo.

"Torno, per andare" rispose lui, sottolineando l'ultima parola, con ostentata freddezza.

Vacillò, sotto quello sguardo algido, impenetrabile. Per un attimo, le sembrò di non averlo mai conosciuto.

"Esaustivo, come al solito!"

Lo vide sbiancare e capì che stava per lasciarsi prendere da uno dei suoi attacchi di collera, che avrebbe dominato passandosi una mano sulle labbra. Continuò a fissarlo, come se volesse confonderlo e poi, piano, dargli il tempo di riprendersi.

Le sorrise e, portando lo sguardo alle sue labbra, rosse, che spiccavano sul volto diafano, le disse:

"Non ti sarò più d'intralcio, il nostro rapporto è limitato a quello di comandante e soldato, come sempre. Se continui a guardarmi, perdo il controllo. Non riesco più a rimanere solo con te, finirei col volerti baciare di nuovo e tu non vuoi. Bene, ho risposto alla tua domanda. Adesso, col Vostro permesso, Comandante".

S'allontanò, dopo averla fissata intensamente, credendo che quella fosse l'ultima volta.

Sul volto pallido di Oscar, dipinto lo sgomento per l'improvvisa scoperta di un aspetto di lui mai immaginato.

Sostenne anche lei il suo sguardo, ma non riuscì ad assecondare l'intenzione a reagire.

Improvvisamente, sentì il bisogno di andare via, poter rimanere completamente sola, con i suoi pensieri.

Tutto apparve piccolo, insignificante. Si sentì soffocare, allentò il primo bottone della giacca e prese a respirare lentamente.

Avvertì, il suo vice che sarebbe andata via prima. Spinse il cavallo al galoppo, senza alcuna meta.

La campagna s'allargava davanti a lei, interminabile, come se qualcuno avesse spostato l'orizzonte. Il sole accecante delle ore passate si smorzava al passaggio delle nuvole che, ora, coprivano di grigio il cielo.

Si rese conto che, da quelle parti, c'era la chiesa dove si tenevano quelle riunioni cui aveva assistito anche lei, una sera, tempo fa.

Era vuota e fredda. Sentiva il rumore dei suoi passi, accentuato dal silenzio che la circondava. Sedette ad uno degli ultimi banchi, con le mani incrociate sul grembo. Non ebbe pensiero di pregare, non rientrava tra le sue priorità.

Avrebbe dovuto comprendere, fin da quella sera, che qualcosa in lui stava cambiando. L'aveva invitata, non per scagionarsi da un'accusa meschina, semplicemente voleva aprire il suo mondo, a lei.

Era stato, misurato e tranquillo, benché avesse il diritto di sentirsi offeso, e lei aveva continuato a non capire.

Ecco, cosa aveva fatto cambiare André, davanti ai suoi occhi, al suo fianco.

Avevano proseguito, in quel cammino, forti del tacito assenso, dell'equilibrio stabilito nonostante i loro mondi, opposti.

Sapeva di aver fatto di tutto per allontanarlo, mentre lui, senza colpo ferire, continuava a tenderle la mano.

Col tempo, lei, aveva imparato ad ignorare l'abitudine di quel gesto, immergendosi a capo fitto nel suo universo apatico.

Giorno per giorno, faceva a pezzi il suo cuore, senza clamore.

Innamorata, sapeva d'esserlo, con certezza. Eppure, fino a quella mattina, faceva finta di niente, come se il tempo trascorso e quello attuale non avessero lo stesso sapore amaro.

Sentiva di essere estranea al mondo in cui, lui, era completamente libero.

Sapeva di avere la forza per lasciarsi andare, avvicinarsi a lui, e rendere all'eternità il gesto di un momento.

Ma il coraggio? Si disse che sarebbe venuto da sé, affrontando la realtà. Non era disposta ad annaspare nell'illusione che forse, un giorno, tutto si sarebbe risolto. Non poteva vedere scivolare via il tempo, la vita.

Era già buio, quando uscì dalla chiesa. Si voltò ancora una volta a guardarla, raccomandando a se stessa di non dimenticare mai che, in quel luogo, aveva preso la decisione più importante della sua vita.

Appena giunta a casa, le comunicarono che suo padre l'attendeva nello studio.

Aveva un'aria stranamente felice, quella sera. Le chiese di sedersi, le parlò con un tono che non aveva mai usato. Per un attimo pensò fosse il suo senso di colpa, per aver deciso di cominciare a disubbidirgli. Era più confusa di prima, sapeva di amare suo padre, la famiglia, tuttavia si sentiva minacciata da quell'impercettibile manifestazione d'affetto.

"Ieri, sei andata via dimenticando le buone maniere, lo sai Oscar?"

Era un'ammonizione, ma non sapeva di minaccia.

"Mi dispiace, mi ha colpito un'improvvisa emicrania."

Aveva mentito. Per quanto fosse cosciente che due torti non fanno una ragione, sarebbe stato del tutto illecito raccontargli che aver visto nei paraggi il colonnello Girodelle, sotto braccio al conte di Fersen, le aveva provocato un irrefrenabile senso di nausea. Avrebbe dato dieci anni della sua vita per avere accanto a sé André, scherzare con lui di quel paradosso. Scivolare tra le sue braccia per rassicurarlo, dirgli che mai nessuno era stato capace di tirar fuori il suo istinto materno, perché, appena ne incrociava lo sguardo, provava un'infinita tenerezza, il bisogno di custodirlo e scacciare la tristezza.

Personalmente, aveva superato l'imbarazzo che provava per ciascuno di loro. Non aveva più rimpianti, entrambi appartenevano ad un mondo da cui, ora, cercava di fuggire e, se non fosse rimasta, nessuno di loro avrebbe saputo colmare il vuoto che sentiva dentro.

Seduta, di fronte a suo padre, guardava le rughe che, da qualche tempo, gli infierivano sul volto. I suoi occhi avevano perso lo splendore della giovinezza, quando emanavano energia, passione. Oscar vide un uomo stanco che, a modo suo, tentava di chiederle scusa, cosa che, invece, avrebbe voluto fare lei.

Sentiva d'impazzire, doveva trovare al più presto una soluzione. La sua naturale attitudine alla riflessione vacillava in quei momenti, senza fine. Che cosa avevano intenzione di fare quei due? André, l'aveva completamente spiazzata, quella mattina e, l'idea di perderlo, definitivamente, la straziava. Allo stesso modo, non era ancora pronta ad abbandonare il suo passato, sapeva bene che una cosa del genere avrebbe ucciso suo padre. Perché, all'improvviso, era tormentata dal dubbio?

Qualche ora prima, in quella chiesa, si sentiva pronta ad affrontare tutte le conseguenze che, sarebbero scaturite dalle sue scelte. Ma ora, l'immagine di suo padre, stanco ed indifeso, di fronte al peso della sua stessa coscienza, la faceva arretrare.

Ammirava i suoi gesti, imprimendoli nella memoria, i colori, gli odori della stanza sarebbero stati il ricordo di un tempo ormai finito.

 

La locanda era ormai vuota, l'oste s'apprestò a chiudere il pesante portone scuro. Andò a sedersi al tavolo, dove, ogni sera, rimanevano fino a tardi André, Bernard e padre Clavel, il vecchio parroco della chiesa in cui avvenivano "le riunioni", che di spirituale avevano ben poco. Detestato dalle cariche più alte del clero, si era spinto nell'unica direzione plausibile al movente. Perciò un uomo abbandona i beni materiali e si dedica alla salvezza delle anime. Sicuramente, era un prete fuori dell'ordinario: sebbene continuasse a rispettare il voto di castità, non disdegnava la compagnia femminile e qualche buon bicchiere di vino. L'aveva messo in contatto André, invitandolo a dare il suo contributo per aiutare la causa comune.

Le sue informazioni diventavano indispensabili per la stesura degli scritti polemici e, nonostante l'iniziale reticenza di Bernard, avevano raggiunto un buon livello di coesione. Dal canto suo, padre Clavel s'impegnava a nascondere ricercati politici, scrittori messi all'indice dalla censura, a patto che il suo nome fosse coperto dal massimo riserbo e, qualche capatina alla messa domenicale, di tanto in tanto, da parte loro.

"Un'accusa precisa, abbiamo bisogno di sapere date, luoghi e, soprattutto, i nomi di quei bastardi!", urlò Bernard, battendo violentemente sul tavolo il pesante fascicolo, che conteneva informazioni fino a quel momento inutili.

"E' poco più di una bambina, loro l'hanno torturata senza nessuna pietà!", continuò ad inveire. "Avevano bisogno di un capro espiatorio, qualcuno da condannare, per dimostrare che sono ancora in grado di sorvegliare e punire". La voce gli era morta in gola, pronunciando l'ultima frase. Valerie era stata arrestata, con l'accusa di cospirazione ai danni della corona,  perché aveva chiesto l'elemosina ad un ambasciatore di un paese straniero, lasciando credere al titolato ospite che i Borboni non fossero in grado d'amministrare con equità.

L'aveva ritrovata, padre Clavel, davanti al portone della sua chiesa. Raccontò che l'avevano abbandonata in aperta campagna, minacciando che sarebbero tornati a prenderla, se avesse aperto bocca.

"Cerca di ragionare Bernard, devi darle il tempo di comprendere che vogliamo aiutarla", disse André con tono calmo." Se continuiamo a fare pressioni, tenderà a richiudersi in se stessa, si sentirà sempre minacciata”.

Bernard si passò nervosamente una mano tra i capelli, camminava su e giù per la stanza rendendo insopportabile lo scricchiolio delle assi del pavimento ad ogni suo passo. Scese un silenzio rintronante, e gravava, su di loro, come un macigno.

Ognuno richiamava alla memoria le esperienze fatte in quel mondo sproporzionato, le ingiustizie operate e passate. La presa di coscienza tormentava l'animo che, almeno una volta, aveva provato indifferenza, di fronte a situazioni scomode, incomprensibili. Parlavano spesso di questo e, nei momenti difficili, la frustrazione ingoiava anche la volontà di reagire. Il momento peggiore non annunciava mai la sua comparsa. Il suo giungere improvviso sparava davanti ai loro occhi la paura letta in quelli di coloro che avevano subito. Capire, dai loro rari sorrisi spenti, che si stava aprendo un varco, entro cui avrebbero, silenziosamente, chiesto aiuto.

"Parlaci tu", disse Bernard, rivolgendosi ad André. "Hai un modo particolare di mettere a proprio agio le persone”. Con uno sguardo di reciproca intesa.

André scucì un sorriso, che sapeva di fiele, rivolto a se stesso. Bevve in un fiato il cognac e, sollevandosi dalla sedia, s'avvolse nel mantello.

"Domani sera, alle sette" disse apprestandosi alla porta.

Casa sua non distava molto dalla locanda, ma preferì fare un giro, attraverso l'aria gelida, che, piano, gli avrebbe sottratto le forze, così da non pensare al suo letto, freddo e vuoto.

 

Uscì dalla caserma, più triste di come v'era entrata. La giornata le era sembrata particolarmente lunga e monotona. Per tutta la durata della riunione non aveva smesso di pensare a quella chiesa.

Il colonnello D'Agout le aveva illustrato con perizia gli ultimi aggiornamenti sullo stato di salute dei soldati, erano seguiti l'inventario dell'armeria e gli acquisti per la mensa. Aveva sfogliato i fascicoli, passandovi un’occhiata rapida e distratta.

"Scusate comandante, è necessario che apponiate la vostra firma…" aveva esordito il colonnello, quasi rammaricato d’aver interrotto il filo dei pensieri di Oscar. La sua espressione smarrita, o meglio assorta, prendeva direzioni tutte sue, a tratti manteneva un sorriso compiaciuto e, piano, si spegneva. Il colonnello, intimamente divertito da quella lettura limpida che offriva il viso di Oscar, arrivò a pensare fosse innamorata. Durante gli ultimi tempi, aveva notato che il colonnello Girodelle aveva ricominciato ad attendere Oscar all’uscita della caserma, e li aveva visti passeggiare a cavallo, sulla strada che conduceva a palazzo Jarjayes.

“Oh… certo Colonnello” aveva risposto imbarazzata Oscar.  “… Ho bisogno, però di leggere con più cura questi documenti. Farò in modo di renderveli entro domattina.”

Aveva sorriso, il suo volto s’era illuminato di una luce viva e, stavolta, l’uomo non aveva potuto fare a meno di contemplarne lo splendore.

Aveva decisamente cambiato tattica, Girodelle. Si rivolgeva a lei con più vigore, evitando d’assumere gesti e linguaggi che avrebbero sortito, in una donna qualsiasi, sensazioni leggiadre e sospiri sommessi. Oscar era un’altra storia. Aveva provato sulla sua pelle le reazioni d’insofferenza di cui era capace. Adesso, sperava di rassicurarla, farle capire che, in ogni caso, se gli avesse concesso la possibilità di frequentarsi, come si conveniva, avrebbe scoperto che, per lui, Oscar, era perfetta così. Almeno, tentava di convincere se stesso.

Oscar s’impegnò con tutta se stessa nel cercare di mantenere viva quella conversazione, avvilente sotto certi aspetti.

“Victor, che cosa mi combini? Tu, preso da te stesso, al punto di sparare contro uno specchio deformante, vorresti convincermi che potresti convivere con il mio egocentrismo? Piantala!”

Divertita da quel pensiero, non potette trattenere una delle sue rare, fragorose risate.

“Perdonatemi, Madamigella Oscar, cos’è che vi diverte tanto, se potete dirmelo?”

“Sei ridicolo, Madamigella Oscar! Ho trent’anni suonati, un nome maschile, e nessuna voglia di cambiarlo… Madamigella Oscar, almeno, chiamami Comandante… così finirei con l’apprezzare il tentativo disumano che stai facendo, per non trattarmi da donna!”

Glissò, chiedendo scusa per la sua mancanza, ma non se la sentiva d’inventarsi qualcosa a discapito del suo pensiero.

Mancava ancora qualche chilometro e, finalmente, sarebbe giunta a casa. Non distolse più lo sguardo dalla strada. Ebbe l’impressione che, se l’avesse fatto, avrebbe potuto perdere qualcosa d’importante, sebbene, non riuscisse a spiegarsi cosa.

Uno spostamento d’aria, improvviso, la travolse alla sua sinistra.

Non badò alle imprecazioni del suo accompagnatore, seguì fin dove poteva lo sguardo, il cavallo nero, a lei familiare, lanciato al galoppo.

“Ma, quello, non era forse, il vostro attendente?” Quel tono dispregiativo la irritò.

“E’ un soldato della guardia metropolitana, adesso”, puntualizzò Oscar, con voce atona.

“Un gran bel progresso!” ribatté, acremente.

“Così mi offendete, Colonnello Girodelle.”

La maschera si era incrinata, Girodelle si sentì definitivamente con le spalle al muro, ma volle approfittare di quella situazione, per scoprire, finalmente, di quale intensità fosse il legame che ancora la teneva stretta ad André.

“Mi dispiace, non era mia intenzione sminuire i vostri valorosi soldati.”

Oscar s’astenne dal replicare, sapeva di non essere in grado di controllare le sue reazioni, particolarmente scombinate negli ultimi tempi. Scosse la testa, sperando di intravedere quanto prima il cancello di casa.

“Ho notato, con piacere, non vi nascondo, che negli ultimi tempi avete allontanato André”. Sapeva d’aver fatto centro. “Sapete, sembrava quasi che voi foste di sua proprietà… un atteggiamento a dir poco oltraggioso. I plebei, tutti uguali: se provi a trattarli con un minimo di compassione, pretendono di poter sedere alla tua tavola!”

Oscar fermò bruscamente il cavallo, parandosi di fronte a lui:

“Avete finito?”

Strinse forte, fino a farsi male, il frustino. Gli lanciò un’occhiata carica di disprezzo e, dopo aver voltato il cavallo, aggiunse:

“Non osate mai più, in mia presenza, offendere persone che non hanno la possibilità di difendersi. Se davvero credete che esistano persone inferiori e persone sublimi, come ritenete d'essere, allora vi occorre un immediato intervento della Provvidenza per elevarvi alla beata ignoranza, Colonnello Girodelle!”

 

 

Mail to mariassunta.paolillo@virgilio.it

 

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